Alessandra Dignani
Dottoranda di diritto privato dell’Università degli Studi di Macerata
Cass. civ., Sez. II, 30 aprile 2021, n. 11465 – Pres. Gorjan – Rel. Varrone
Furto – Usucapione – Opere d’arte – Possesso – Pubblicità – Non clandestinità
Ai fini dell’usucapione, il requisito della non clandestinità va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con quest’ultimo.
Il presente contributo ha per oggetto l’analisi di una recente pronuncia della Corte di Cassazione del 30/04/2021, n. 11465, nella quale si afferma come il requisito della pubblicità del possesso ai fini dell’usucapione di un’opera d’arte possa dirsi rispettato solo quando questo possa essere apprezzato da una indistinta generalità di soggetti, e non solo da chi ha un particolare rapporto con il possessore. Tale decisione della Corte funge da punto di partenza per una riflessione che concerne i possibili rimedi per l’incertezza dei traffici nel mercato dell’arte, partendo dall’istituto dell’usucapione per poi analizzare anche l’applicazione dell’ art. 1153 c.c. con riferimento alle opere d’arte e ai beni culturali.
This article has as its aim the analysis of a recent ruling by the Court of Cassation of 04/30/2021, n. 11465, which states that the requirement of publicity of possession for the purposes of the usucapion can be said to be respected only when this can be appreciated by an indistinct generality of subjects, and not only by those who have a particular relationship with the owner. This decision of the Court serves as a starting point for a reflection concerning the possible remedies for the uncertainty of trade in the art market, starting from the institution of usucapion and then also analyzing the application of art. 1153 of the Civil Code, with reference to works of art and cultural heritage.
Sommario: 1. La vicenda. – 2. I motivi di ricorso e la decisione della Corte di Cassazione alla luce di un consolidato orientamento giurisprudenziale. – 3. Riflessioni a margine del provvedimento della Cassazione: l’acquisto a non domino dei beni artistici come possibile rimedio all’incertezza dei traffici nel mercato dell’arte. – 4. L’ acquisto a non domino dell’opera d’arte tra esigenze di regolamentazione e necessità di tutela.
1. La vicenda giudiziaria da cui prende le mosse questo contributo ha origine dalla proposizione di domanda giudiziale, volta all’accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà del dipinto “La bagnante” di Francesco Hayez, rubato a Roma nella notte tra il 17 e il 18 agosto 1966. L’attrice E.M. aveva ricevuto il dipinto come dono dal compagno e padre dei suoi due figli e fino al 2004, anno nel quale si era rivolta ad una casa d’aste per provvederne alla vendita ed era così venuta a conoscenza della sua provenienza illecita, era rimasto appeso ad un muro del salotto di casa sua.
Instauratosi un giudizio penale per il reato di ricettazione, l’attrice domandava di accertare l’acquisto del diritto di proprietà sull’opera per donazione o, in via subordinata, ex art. 1153 c.c. o per usucapione. A questo punto P.J., figlio della legittima proprietaria del dipinto rubato, si costituiva in giudizio e proponeva domanda riconvenzionale per accertarne la proprietà e ottenere la condanna dell’attrice alla sua restituzione.
Il Tribunale di Verona, competente per il primo grado di giudizio, accoglieva la domanda del convenuto e rigettava l’istanza dell’attrice, ritenendo che il possesso del quadro non potesse definirsi pubblico in quanto noto solamente ai conoscenti più stretti della donna, gli unici a frequentarne la casa.
E.M. appellava la sentenza dinanzi la Corte d’Appello di Venezia, che accoglieva l’impugnazione e riformava la decisione del Tribunale; la Corte non concordava con il giudice di primo grado poiché, data la corretta destinazione del quadro rispetto alla sua natura, il possesso doveva considerarsi pubblico e dunque idoneo all’usucapione[1]. La sentenza emessa al termine del giudizio d’appello accertava che l’appellante avesse acquistato il diritto di proprietà de “La Bagnante” per usucapione.
2. P. J. impugnava con ricorso per Cassazione la sentenza pronunciata in grado d’appello per violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. e dell’art. 360, comma 1, n. 3, c.p.c.
Con il primo motivo di doglianza il ricorrente lamentava una motivazione della decisione del tutto insoddisfacente da parte della Corte d’Appello, che aveva accertato che il quadro avesse ricevuto la destinazione consona alla sua natura trattandolo alla stregua di un’opera di provenienza lecita e senza curarsi del fatto che fosse stato invece oggetto di furto; a parere del ricorrente, se la Corte ne avesse tenuto conto non sarebbe potuta arrivare alla conclusione che la mera esposizione del dipinto nel salotto di un luogo privato, accessibile ai pochi soggetti legati da un rapporto di fiducia e vicinanza a E.M. e non divulgata all’esterno, potesse in alcun modo consentire di raggiungere la reale destinazione del bene. A riprova di quanto sostenuto, il ricorrente osservava come nella prima occasione in cui il quadro era stato esaminato dall’occhio di un esperto questo si era immediatamente reso conto della sua provenienza illecita, cosa che aveva comportato la subitanea interruzione del possesso.
Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente riteneva che il requisito della pubblicità del possesso ex art. 1163 c.c., necessaria per il perfezionarsi dell’usucapione, non fosse stato rispettato, e che il giudice d’appello nell’emettere la sentenza non avesse tenuto conto di un orientamento consolidato della Corte di Cassazione per cui, per escludere la clandestinità, è necessario un esercizio del possesso tale da dare al possessore illegittimo la concreta possibilità di conoscere il possesso altrui. Nel caso in esame tale situazione non si era verificata, poiché il fatto di aver destinato il quadro all’ esclusiva esposizione nel suo salotto non aveva permesso neppure astrattamente ad E.M. di prendere consapevolezza della provenienza furtiva del bene.
La decisione della Corte di Cassazione si colloca nel solco di un consolidato orientamento giurisprudenziale (nonché dottrinale) secondo cui la non clandestinità del possesso dipende non dagli espedienti a cui il possessore potrebbe ricorrere per sembrare proprietario del bene agli occhi dei terzi, ma da pubbliche modalità di acquisto ed esercizio dello stesso; in altri termini, l’esercizio del possesso deve avvenire in modo visibile e non occulto, così da palesare la volontà del possessore di assoggettare la cosa al proprio potere[2].
Quando il possesso viene acquisito ed esercitato pubblicamente, affinché si verifichi il perfezionamento dell’usucapione non ha alcuna rilevanza l’effettivo apprezzamento del fatto da parte del proprietario del bene[3]: la sola pubblicità del possesso è sufficiente di per sé a garantire l’obiettiva possibilità di prendere conoscenza dell’altrui possesso[4] per i consociati esterni alla relazione possessoria e consentire al titolare del bene di esercitare i propri diritti dominicali su di esso.[5] In caso contrario, il possesso non può che ritenersi clandestino, e come tale impedisce il perfezionarsi dell’usucapione: la clandestinità rende infatti il possesso non socialmente apprezzabile e fa venir meno la meritevolezza della tutela del possessore rispetto al proprietario; a tal proposito non è neppure necessario un animus celandi da parte del possessore, ma è sufficiente un atto che miri oggettivamente ad occultare l’impossessamento[6] e a non rendere percepibile questa situazione da parte del proprietario.
Nel caso preso in esame la Corte di Cassazione accoglie il secondo motivo di ricorso – e dichiara assorbito il primo- e ribadisce ancora una volta che ai fini dell’ usucapione, la non clandestinità del possesso non è da riferirsi agli espedienti che il possessore potrebbe porre in essere per apparire proprietario agli occhi di terzi, ma al fatto che l’esercizio del possesso sia avvenuto pubblicamente e cioè in modo tale da essere visibile a tutti o almeno ad una indistinta generalità di soggetti, e non solo al possessore o a quel ristretto numero di individui che abbiano la possibilità di averne conoscenza solo in virtù del rapporto personale con costui. Perché si abbia pubblicità, secondo la Corte, non è necessario che il soggetto danneggiato dal possesso sia concretamente venuto a conoscenza della situazione di fatto, essendo sufficiente una conoscibilità in astratto: a tal proposito il possessore deve esercitare il possesso in modo visibile e non occulto, sì da rendere esplicare il proprio animus possidendi.[7]
Tra i precedenti giurisprudenziali richiamati dalla Corte, di particolare interesse è la sentenza n. 16059/2019 per le rilevanti analogie con la vicenda giudiziaria de “La bagnante” di Hayez. Anche in questo caso oggetto della controversia erano due dipinti, “Santa Caterina d’Alessandria” di Bernardo Strozzi e “Ritratto di Vittoria della Rovere” di Justus Sustermans; le opere erano state trafugate dai nazisti durante la seconda guerra mondiale ed erano poi state acquistate da un cittadino tedesco che le aveva lasciate in eredità al proprio figlio M. W. Quest’ultimo si costituiva in giudizio chiedendo di accertare l’acquisto del diritto di proprietà per usucapione delle opere, delle quali né lui né suo padre conoscevano la provenienza illecita, e che per molti anni erano state esposte nel salone della reception dell’azienda farmaceutica di famiglia. Dopo aver visto respinta la propria domanda in primo grado ed in appello, M.W proponeva ricorso per Cassazione della sentenza emessa dalla Corte d’appello per (tra gli altri motivi) violazione dell’art. 1163: il ricorrente contestava l’ampiezza attribuita alla nozione di clandestinità del possesso dalla Corte d’appello, la quale affermava che per poter qualificare il possesso come pubblico i dipinti avrebbero dovuto essere esposti in mostre o inseriti in qualche pubblicazione di settore. A parere del ricorrente una tale interpretazione contrasterebbe con la ratio stessa dell’usucapione, che mira ad attribuire certezza alle situazioni giuridiche anche nell’ottica di non ostacolare la circolazione dei beni. La Cassazione, invece, nel rigettare il ricorso di M. W. accoglieva la ricostruzione della Corte d’appello per cui non appariva “seriamente dubitabile che in ambito di opere d’arte solo l’esposizione a mostre, ovvero l’inserimento in pubblicazioni specializzate, consenta la conoscibilità delle stesse”.
La rilevanza di questa asserzione della Corte di Cassazione sta nel fatto di determinare inequivocabilmente quelle che devono essere le modalità di esercizio del possesso di un’opera d’arte ai fini dell’acquisto della sua proprietà per usucapione, e data la funzione nomofilattica del giudice di legittimità appare logico ritenere che queste debbano valere per ogni dipinto, non potendosi così escludere anche quello oggetto del provvedimento preso in esame in questo commento: a maggior ragione, nel caso dei due dipinti della cui proprietà si è deciso nella sentenza n. 16059/2019, il possesso non era neppure stato esercitato entro i confini di una residenza privata, come nel caso de “La bagnante”, eppure ciò non era servito ad escludere la clandestinità del possesso e ad impedire il perfezionarsi dell’usucapione.
Un orientamento tanto restrittivo in ordine alla pubblicità del possesso di un’opera d’arte non appare pienamente condivisibile, in considerazione del fatto che non tutti i dipinti hanno un’importanza tale da poter essere esposti o pubblicati e che in questo modo il loro possesso sarebbe sempre clandestino[8]; è comprensibile che la Corte guardi al rimedio dell’usucapione delle opere d’arte con diffidenza, poiché il mercato dell’arte è saturo di beni di provenienza illecita che divengono oggetto di compravendita e poiché l’acquisto di un diritto per usucapione, se valido, può determinare un pregiudizio in capo al precedente proprietario del bene, ma allo stesso tempo questo ragionamento mina la sicurezza del mercato dell’arte, non potendosi mai escludere il “costante rischio di rivendica del bene non esposto o mai pubblicato”[9].
3. L’ordinanza della Cassazione presa in esame e tutti i precedenti giurisprudenziali da essa richiamati dimostrano una certa circospezione per quanto riguarda la possibilità di usucapire la proprietà di un bene artistico, e offrono degli spunti di riflessione volti alla ricerca di soluzioni idonee a garantire la certezza dei traffici nel mercato dell’arte.
Quello dei beni artistici è un settore estremamente florido, che genera enormi proventi ogni anno, per cui le incertezze che lo colpiscono non sono di poco conto se rapportate alle ricadute sulla fiducia dei suoi operatori.
Un’ipotesi ampiamente analizzata in dottrina è quella di ricorrere all’istituto degli acquisti a non domino ex art. 1153 c.c., che ai fini dell’acquisto del diritto di proprietà prevede la presenza di un titolo astrattamente idoneo, il trasferimento del possesso del bene mobile e la buona fede dell’acquirente.
Questa soluzione non appare, prima facie, particolarmente problematica per quanto riguarda quelle opere d’arte che non siano state elevate al rango di bene culturale dall’ apposita dichiarazione ex art. 13 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, né siano dunque soggette alla relativa disciplina; sussistenti la buona fede dell’acquirente, il titolo idoneo e il materiale trasferimento del possesso richiesti dalla norma, l’acquisto del diritto è subitaneo, senza che sia previsto il decorso di un determinato lasso di tempo durante il quale il possesso deve essere esercitato pubblicamente e senza che si verifichino le problematiche di cui sopra.[10]
Molto più difficoltosa per le ragioni di cui si andrà a dire è invece la possibilità di agevolare la circolazione di opere d’arte rientranti nella categoria dei beni culturali tramite l’art. 1153 c.c., poiché su di esse vi è un interesse pubblico alla conservazione del patrimonio culturale.
Su tale tipologia di beni lo Stato esercita una particolare tutela[11], che si esplica nella previsione ex art. 59 dei Codice dei beni culturali di un obbligo di denuncia del trasferimento al Ministero dei Beni Culturali a carico del titolare; questo obbligo riguarda tutti i beni culturali, anche quelli per cui il procedimento di verifica dell’interesse culturale sia stato avviato ma non ancora concluso positivamente[12]; la ratio di tale previsione è quella di monitorare la circolazione dei beni aventi interesse culturale, così da permettere allo Stato di intervenire laddove sia necessaria la sua tutela ed esercitare un diritto di prelazione c.d. “artistica”[13] nei confronti dell’acquirente privato.[14] Tale peculiare diritto di prelazione non mira a garantire ad un soggetto l’acquisto del diritto di proprietà, bensì ad agevolare lo Stato nella conservazione del patrimonio culturale perseguendo un interesse collettivo, ed è emblema della particolarità del regime giuridico cui sono sottoposti i beni culturali: secondo autorevole dottrina essa sarebbe solo nominalmente legale, ma “ai fatti corrisponderebbe a un tertium genus di prelazione assoggettata a un particolare regime giuridico che trova la sua fonte in uno specifico interesse giuspubblicistico”[15]; a differenza di un’ordinaria prelazione, nel caso dei beni culturali lo Stato che la esercita non si surroga al privato nel rapporto negoziale, né è vincolato dalle clausole stipulate dai privati nel contratto di alienazione, ma acquista il diritto autonomamente esercitando i poteri pubblicistici che la legge gli riconosce[16]. Tale diritto di prelazione può essere esercitato anche quando il contratto sia già stato perfezionato senza previa denuncia dell’atto: in questo caso, infatti, il contratto rimane sottoposto a condizione sospensiva, e la prelazione può essere esercitata ben oltre i termini previsti dal Codice civile per i beni mobili sprovvisti di interesse culturale[17].
Dalla previsione dell’obbligo di denuncia del trasferimento e del diritto di prelazione artistica[18] istituiti dal Codice dei beni culturali, discendono vincoli in capo al titolare del bene culturale e limitazioni in ordine alla circolazione stessa di tale tipologia di beni[19] che arriva ad essere, in certi casi, addirittura esclusa; da qui il primo profilo di apparente incompatibilità con la disciplina degli acquisti a non domino: l’art. 1153 c.c. si applica infatti a quei beni che per loro natura sono destinati a circolare, e trova la sua ratio nell’ esigenza di tutelare l’interesse collettivo alla sicurezza dei traffici giuridici[20]; solo quando sussista tale interesse sono giustificabili la tutela della posizione dell’acquirente a non domino in buona fede e l’eventuale pregiudizio del precedente proprietario, il cui diritto si estingue a prescindere dal comportamento e dalla diligenza operata da quest’ultimo. Questo, in termini generali, porterebbe ad escludere che si possa tutelare la posizione dell’acquirente a non domino ogni qual volta non sia configurabile tale interesse pubblico, essendo la salvaguardia della posizione del proprietario del diritto più coerente con i canoni della giustizia distributiva[21].
Nel caso dei beni culturali l’interesse che va tutelato è sì pubblico, ma diretto alla conservazione dell’integrità del patrimonio culturale, piuttosto che alla sicurezza dei traffici[22]; anzi, l’uno e l’altro interesse appena richiamati non possono che stridere nel caso dei beni culturali, e la posizione del legislatore al riguardo dimostra poca considerazione delle esigenze del mercato dell’arte nella misura in cui all’art. 64 bis C.b.c. esclude, suffragato da autorevole dottrina[23], che i beni culturali possano essere assimilati alle merci[24], ed essere dunque assoggettati alla medesima disciplina anche in fatto di circolazione, con conseguente rifiuto dell’applicazione dell’art. 1153 c.c.
Vi sono anche altre ragioni che ostano all’estensione della disciplina dell’ art. 1153 c.c. ai beni culturali: la norma richiede che l’alienazione abbia ad oggetto un bene mobile, ma in dottrina si è discusso sulla possibilità di ricondurre il bene culturale alla categoria dei beni mobili ex art. 821, co. 3, c.c.
In primo luogo ci si è interrogati[25] sulla natura della proprietà avente ad oggetto un bene culturale, per arrivare alla conclusione che questo esprime tanto un interesse pubblicistico (legato alla conservazione del bene) quanto uno privatistico (di matrice economica). In base a questa ricostruzione si è postulata l’esistenza di una proprietà di “terzo grado” sul bene culturale, che prevale tanto su quella di “primo grado” del privato[26] quanto su quella di “secondo grado” dello Stato e degli enti pubblici;[27] questa proprietà assolve ad una funzione universale[28], e in ciò si giustifica “il sacrificio dello sfruttamento produttivo e della sua subordinazione alle preminenti esigenze esistenziali”[29]. Passando al nocciolo della questione, la differenza fondamentale tra i beni culturali e i beni mobili è questi ultimi sono sempre idonei a “spostarsi da un luogo ad un altro, senza che ne risultino minimamente intaccate la loro sostanza e la loro destinazione economico-sociale”[30], mentre i primi necessitano sempre del lasciapassare della pubblica autorità per ogni trasferimento, che “potrebbe compromettere la stessa ‹‹ culturalità›› del bene”[31]. Le limitazioni concernono non solo lo spostamento fisico, ma anche la stessa libertà di disposizione del proprietario. In conclusione, appare seriamente dubitabile che, in considerazione della ridotta mobilità dei beni culturali, questi possano essere considerati alla stregua di beni mobili semplici, atteso che questi ultimi non incontrano alcuna restrizione in ordine alle loro possibilità di circolazione.
L’art. 1153 c.c. prevede che, ai fini della configurabilità dell’acquisto a non domino, l’acquirente sia in buona fede al momento della consegna; posto che la sussistenza della buona fede viene valutata dal giudice anche sulla base, tra gli altri elementi, del soggetto che ha concluso il negozio e delle sue eventuali specifiche conoscenze della materia[32], all’acquirente di un bene culturale è richiesto un maggiore grado di cautela e di approfondimento nelle ricerche rispetto a quello che ci si aspetterebbe da chi compri un normale bene mobile, per cui sarebbe molto arduo poterne apprezzare la buona fede[33].
In dottrina[34] si è addirittura contestato che la presunzione di buona fede, che normalmente opera anche negli acquisti a non domino grazie ad una lettura estensiva[35] dell’art. 1147, co. 3, c.c., possa trovare applicazione quando oggetto dell’acquisto sia un bene culturale: l’estensione della buona fede ex art. 1147 c.c. si giustifica in funzione dell’intenzione del legislatore di voler tutelare il soggetto acquirente, ma nel caso dei beni culturali l’interesse principale è quello della salvaguardia del patrimonio culturale, non di chi lo acquista[36]; al contrario, una eventuale presunzione di buona fede potrebbe in questo caso consentire “una maggior facilità nell’applicazione di una regola che agevola la circolazione dei beni culturali di illecita provenienza”[37].
Infine, l’art 1153 c.c. prevede che, perché si perfezioni un acquisto a non domino, oltre alla buona fede dell’acquirente e alla traditio del bene mobile sia necessario anche un titolo (astrattamente) idoneo al trasferimento della proprietà, valido ed efficace. Dal combinato disposto degli articoli 164 bis C.b.c., che postula che “le alienazioni, le convenzioni e gli atti giuridici in genere, compiuti contro i divieti stabiliti dalle disposizioni del Titolo I della Parte seconda, o senza l’osservanza delle condizioni e modalità da esse prescritte, sono nulli” e dell’art. 62, co. 4 del medesimo codice, secondo cui qualora “la denuncia sia stata omessa o presentata tardivamente oppure risulti incompleta, la prelazione è esercitata nel termine di centottanta giorni dal momento in cui il Ministero ha ricevuto la denuncia tardiva o ha comunque acquisito tutti gli elementi costitutiva della stessa ai sensi dell’articolo 59, comma 4”, risulta che il titolo trasferito nell’inosservanza delle norme codicistiche e senza rispettare l’obbligo di denuncia sarà nullo[38], o la produzione di effetti da parte del negozio che trasferisce il bene culturale sarà sottoposta a condizione sospensiva[39].
Sulla base di quanto analizzato sopra, la conclusione non può essere che quella di escludere l’applicabilità dell’art. 1153 c.c. ai beni culturali; si potrebbe pensare che la possibilità di acquistare a non domino beni culturali agevolerebbe la circolazione delle opere all’interno del mercato dell’arte, con conseguenze benefiche su questo settore dell’economia; d’altro canto, una tale tutela di chi acquista, anche se in buona fede, beni di potenziale provenienza illecita, finirebbe per incentivare fenomeni “assolutamente deleteri per l’interesse collettivo alla fruizione e conservazione del patrimonio culturale[40]. Gli argomenti portati contro tale applicazione dell’art. 1153 c.c. sembrano “dimostrare l’esistenza di un sistema di regole autonome ed autosufficienti, che esclude il ricorso al principio possesso vale titolo con riguardo ai beni culturali”[41].
Da ultimo, la dimensione transfrontaliera del mercato dell’arte pone esigenze di armonizzazione della legislazione nazionale con quella comunitaria e degli altri stati membri dell’UE[42], giacchè nella maggior parte degli ordinamenti stranieri difettano del tutto previsioni normative volte a tutelare chi abbia acquistato beni di provenienza illecita.[43]
4. Se, per le già trattate esigenze di monitorare la circolazione dei beni nell’ambito del commercio dell’arte, si deve essere portati ad escludere la possibilità di estendere l’applicazione dell’art. 1153 c.c. anche alle ipotesi di alienazione dei beni culturali, tali vincoli non si dimostrano così stringenti quando oggetto del trasferimento sia un’opera d’arte per la quale non sia ancora intervenuta una dichiarazione di interesse culturale ex art. 13 C.b.c.; posto che, come emerge anche da una sentenza della Cassazione[44] menzionata in questo contributo, l’usucapione non potrebbe operare universalmente per ogni opera d’arte, data la difficoltà di assolvere al requisito della pubblicità così come inquadrato dalla Corte di legittimità, l’acquisto della proprietà ex art. 1153 c.c. non presenta particolari problemi ed anzi appare come una soluzione preferibile, poiché non è richiesto alcun decorso di tempo durante il quale esercitare pubblicamente il possesso.
Anche con riferimento a quest’ultima ipotesi si potrebbero configurare delle criticità circa la validità del trasferimento del possesso e la sussistenza della buona fede al momento dell’acquisto. Relativamente al trasferimento del possesso, delle perplessità sorgono sulla base dell’interpretazione estensiva data dalla Cassazione all’art. 173 C.b.c.[45], che commina una sanzione per “chiunque, essendovi tenuto, non presenta, nel termine indicato dall’art. 59, comma 2°, la denuncia degli atti di trasferimento della proprietà o della detenzione”; secondo la Corte la previsione deve applicarsi non solo ai beni culturali – o a quei beni per cui il procedimento di dichiarazione dell’interesse culturale sia stato avviato ma non si sia ancora concluso – ma anche a quelli che, non avendo questa qualifica, potrebbero tuttavia rivestire un interesse culturale. Questa argomentazione avverso l’acquisto a non domino delle opere d’arte nel caso in cui non sia stata presentata l’apposita denuncia, tuttavia, non appare idonea a viziare gli effetti che si producono dal trasferimento del possesso[46], posto che l’interpretazione estensiva data dalla Corte si concentra solo sulla previsione di una sanzione.
Circa la sussistenza della buona fede, invece, vanno richiamate le osservazioni già fatte con riferimento ai beni culturali: sebbene, a differenza di quanto accade per l’ acquisto a non domino di questi ultimi, nel caso delle opere d’arte si possa ritenere sussistente la presunzione di buona fede, tuttavia laddove il giudice sia chiamato a verificarla egli non potrà non tenere conto delle circostanze in cui si è concluso il negozio e delle eventuali conoscenze dell’acquirente in tema di beni artistici[47]; poiché come già detto non è inusuale che nel settore dell’arte circolino beni di provenienza furtiva, il compratore che voglia tutelarsi contro ogni apprezzamento in negativo circa la sua buona fede sarà tenuto a prestare un grado di diligenza maggiore preliminarmente all’acquisto dell’opera, cercando tutte le informazioni necessarie sulla sua provenienza.
L’ultimo aspetto di cui tenere conto, per chi acquisti (a non domino o meno) un’opera d’arte, è che il bene divenuto di sua proprietà potrebbe sempre essere dichiarato di interesse culturale, e venir così assoggettato a quel particolare e stringente regime giuridico che ne circoscrive la circolazione ed il potere di disporne del suo titolare.
In conclusione, chi si trova a commerciare nel mercato dell’arte incontra numerose problemi, che trovano la loro motivazione nell’esigenza di poter tracciare con quanta più accortezza possibile gli spostamenti dei beni artistici, per poter così contrastare ogni attività illecita. Appare comunque auspicabile un intervento di regolamentazione del mercato dell’arte, che eviti di sottoporre alle suddette limitazioni tutti i beni che vengono commerciati[48] tramite, ad esempio, il ricorso agli strumenti offerti dalle nuove tecnologie, d’ausilio nell’istituzione di registri pubblici per agevolare tanto l’attività di controllo dello Stato, quanto quella di ricerca di informazioni da parte dell’acquirente privato.[49]
Provvedimento
(OMISSIS) agiva in giudizio per ottenere l’accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà per usucapione di un dipinto di (OMISSIS) intitolato “(OMISSIS)” compendio del delitto di furto commesso in (OMISSIS) presso l’abitazione di (OMISSIS). L’attrice a sostegno della domanda deduceva di aver ricevuto il dipinto in donazione nell’anno 1965 (anno poi corretto nel 1966) da (OMISSIS) con il quale aveva avuto una relazione da cui erano nati due figli, affinchè se ne potesse servire per le esigenze della famiglia. Lei nel 2004 aveva deciso di vendere il dipinto avvalendosi della casa d’aste (OMISSIS) e, in tale occasione, ne aveva appreso la provenienza illecita. Il quadro era sottoposto a sequestro penale e la stessa era stata anche indagata per il reato di ricettazione.
Nel corso del giudizio l’attrice integrava la domanda chiedendo l’accertamento dell’acquisto del diritto di proprietà per donazione o e in subordine ai sensi dell’articolo 1153 c.c. o per usucapione.
Si costituiva in giudizio (OMISSIS), erede di (OMISSIS), chiedendo in via riconvenzionale l’accertamento della proprietà del dipinto e chiedendone anche la restituzione.
Il Tribunale di Verona rigettava la domanda dell’attrice e accoglieva la domanda riconvenzionale del convenuto.
(OMISSIS) proponeva appello avverso la suddetta sentenza.
La Corte d’Appello di Venezia accoglieva l’impugnazione e in riforma della sentenza del Tribunale di Verona accertava che l’appellante (OMISSIS) aveva acquistato per usucapione il diritto di proprietà sul dipinto di Francesco (OMISSIS) intitolato “(OMISSIS)”.
Secondo il collegio giudicante dall’istruttoria era emerso che il dipinto, una volta ricevuto dalla (OMISSIS) da parte di (OMISSIS), fino al 2004 era sempre stato appeso nel salotto dell’abitazione di costei la quale ne aveva avuto pertanto il possesso in modo continuo, pacifico e pubblico. A tal proposito la Corte non condivideva l’apprezzamento del Tribunale secondo il quale il quadro, pur collocato in modo conforme alla sua destinazione tipica, non era stato oggetto di un possesso pubblico, perchè destinato ad essere visibile solo da una ristretta cerchia di persone che frequentavano la casa. A parere della Corte d’Appello la destinazione del quadro era del tutto consona alla sua natura e determinava che il possesso dovesse considerarsi pubblico in conformità con alcuni orientamenti della Corte di Cassazione.
(OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la suddetta sentenza sulla base di due motivi e con memoria depositata in prossimità dell’udienza ha insistito nella richiesta di accoglimento del ricorso.6. (OMISSIS) non si è costituita.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Il primo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 in relazione all’insufficiente incongrua e contraddittoria motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio.
A parere del ricorrente la Corte d’Appello avrebbe ritenuto con motivazione del tutto insoddisfacente che la (OMISSIS) avesse dato al dipinto in oggetto una destinazione del tutto consona alla sua natura avendolo appeso ad una ad una parete del salotto della sua abitazione privata. E tuttavia la Corte d’Appello non avrebbe chiarito quale fosse la destinazione consona alla natura di un quadro oggetto di furto e non avrebbe spiegato perchè la mera presenza in una casa privata integrasse tale requisito. Infatti, trattandosi di un quadro oggetto di furto non si poteva ritenere che la mera esposizione del bene in un luogo privato, inaccessibile a soggetti esperti del campo, non divulgata all’esterno con nessun mezzo, fosse di per sé un fatto idoneo a raggiungere la reale destinazione del bene. Infatti, non appena il dipinto era stato portato al di fuori della stretta cerchia di conoscenze e la sua esistenza era stata effettivamente resa pubblica ne era subito emersa la provenienza illecita. In altri termini appena eliminata la clandestinità il possesso era stato immediatamente interrotto.
Il secondo motivo di ricorso è così rubricato: violazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 in relazione alla violazione o falsa applicazione dell’articolo 1161 c.c., articolo 1163 c.c. e ss..
La censura ha ad oggetto il requisito della pubblicità e della non clandestinità del possesso, ai fini dell’acquisto della proprietà per usucapione. A parere della ricorrente la sentenza impugnata sarebbe erronea nella parte in cui ha affermato che il fatto che il dipinto (OMISSIS) fosse sempre appeso nel salotto dell’abitazione della signora (OMISSIS) conformemente alla sua destinazione tipica e che ciò integrasse il requisito del possesso pubblico richiesto dall’articolo 1163 c.c.
In tal modo vi sarebbe stata una non corretta applicazione degli articoli dal 1161 al 1163 c.c. che non avrebbe tenuto in considerazione l’evoluzione giurisprudenziale in tema di pubblicità e non clandestinità del possesso ai fini dell’usucapione.
In tal senso il ricorrente cita alcune sentenze di questa Corte, evidenziando che il concetto di possesso non clandestino deve necessariamente passare attraverso la concreta possibilità del possessore illegittimo del bene di prendere conoscenza del possesso altrui non richiedendone tuttavia un’effettiva conoscenza. Nel caso in esame tale conoscibilità in astratto non era possibile. Il dipinto infatti era custodito nel salotto dell’abitazione privata della signora (OMISSIS) e non era visibile in un luogo pubblico, in quanto nell’appartamento si accedeva solo per volontà della proprietaria e non vi poteva accedere un numero indistinto di persone, ma solo un ristretto numero di conoscenti e amici. Il dipinto “(OMISSIS)” non era mai più circolato successivamente al furto del (OMISSIS) non era mai stato esposto in mostre e non era nemmeno mai stato sottoposto a un restauro. Il giudice dell’appello non aveva deciso le questioni di diritto in modo conforme alla giurisprudenza della corte di cassazione.
2.1 Il secondo motivo è fondato e il suo accoglimento determina l’assorbimento del primo.
Questa Corte con indirizzo oramai consolidato ha affermato il seguente principio di diritto cui il collegio intende dare continuità: Ai fini dell’usucapione, il requisito della non clandestinità va riferito non agli espedienti che il possessore potrebbe attuare per apparire proprietario, ma al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo dal precedente possessore o da una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto con quest’ultimo (Sez. 2, Sent. n. 16059 del 2019, Sez. Sez. 2, Sent. n. 17881 del 2013 e Sez. 2, Sent. n. 11624 del 2008).
In particolare, come è stato già affermato da questa Corte, il requisito della non clandestinità, richiesto dall’articolo 1163 c.c., va riferito al fatto che il possesso sia stato acquistato ed esercitato pubblicamente, cioè in modo visibile e non occulto, così da palesare l’animo del possessore di voler assoggettare la cosa al proprio potere senza che sia necessaria l’effettiva conoscenza da parte del preteso danneggiato (v. Cass. 17-7-1998 n. 6997; Cass. 14-5- 1979 n. 2800; Cass. 10-4-1973 n. 1021; Cass. 9-10-1970 n. 1910). In altri termini, ai fini dell’accertamento della mancanza di clandestinità, è necessario che il possesso sia acquistato ed esercitato pubblicamente in modo visibile a tutti o almeno ad un’apprezzabile ed indistinta generalità di soggetti e non solo al precedente possessore o ad una limitata cerchia di persone che abbiano la possibilità di conoscere la situazione di fatto soltanto grazie al proprio particolare rapporto col possessore (Nel caso di specie, la Corte ha cassato la sentenza di secondo grado che aveva ritenuto pubblico il possesso di un vano accessibile solo mediante una botola d’ingresso, situata in un retrobottega, visibile solo a chi avesse la possibilità di entrare nel locale) (Cass. 9-5- 2008 n. 11624).
Il suddetto principio è stato applicato da questa Corte anche in una fattispecie analoga a quella in esame, ovvero riferita al possesso di un dipinto esercitato mediante una modalità di esercizio non sufficiente a garantire, nella prospettiva della ratio dell’articolo 1163 c.c., che “chiunque” potesse acquisire conoscenza che i dipinti erano nella materiale disponibilità del possessore ed eventualmente contestare tale possesso. In tale occasione si è anche affermato che in ambito di opere d’arte solo l’esposizione a mostre, ovvero l’inserimento in pubblicazioni specializzate, consenta la conoscibilità delle stesse (Sez. 2, Sent. n. 16059 del 2019).
La Corte d’Appello, pertanto, nel riformare la sentenza di primo grado che si era uniformata ai suddetti principi, ha erroneamente ritenuto che la circostanza che il quadro fosse rimasto appeso alla parte del salotto di (OMISSIS) rappresentasse una modalità idonea ad integrare un possesso pubblico e non clandestino.
In conclusione la Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che provvederà anche alla liquidazione delle spese del giudizio di legittimità.
P.Q.M.
La Corte accoglie il secondo motivo di ricorso, dichiara assorbito il primo, cassa e rinvia alla Corte d’Appello di Venezia in diversa composizione che provvederà anche sulle spese del giudizio di legittimità.
Sulla rilevanza della corretta destinazione del bene ai fini dell’usucapione cfr. Cass., 29 novembre 2005 , n. 25922, per cui “Ai fini dell’acquisto della proprietà per usucapione, il possessore deve esplicare con pienezza, esclusività e continuità il potere di fatto corrispondente all’esercizio del relativo diritto, manifestando con il puntuale compimento di atti conformi alla qualità e alla destinazione della cosa secondo la sua specifica natura – un comportamento rivelatore anche all’esterno di una indiscussa e piena signoria di fatto su di essa, contrapposta all’inerzia del titolare; pertanto, la verifica in ordine all’idoneità del possesso a determinare il compiersi dell’usucapione deve essere effettuata dal giudice non in astratto ma con riferimento alla specifica destinazione economica e alle utilità che, secondo un criterio di normalità, il bene è capace di procurare”. ↑
Cass., 17 luglio 1998, n. 6997; della stessa opinione anche Cass., 9 ottobre 1970, n. 1910; Cass., 10 aprile 1973, n. 1021; Cass., 14 maggio 1979, n. 2800; Cass., 9 maggio 2008, n. 11624; Cass., 23 luglio 2013, n. 17881; Cass., 14 giugno 2019, n. 16059, con nota di G. Magri, Buona fede, clandestinità del possesso e opere d’arte rubate: riflessioni a margine di una recente pronuncia della Cassazione, in Aedon, Rivista di arti e diritto online, 2020. ↑
Cfr. P. Gallo, Trattato di diritto civile, vol. III, La proprietà, i diritti reali limitati, il possesso, Torino, 2019, p. 605. ↑
Cfr. S. Ruperto, Usucapione (diritto vigente), in Enciclopedia del diritto, XLV, Milano, 1992, p. 1032; L. Bigliazzi Geri, U. Breccia, F. D. Busnelli, A. Natali in Diritto civile, II, Diritti reali e possesso, Torino, 1998, p.400). ↑
Cass., 22 agosto 2006, n. 18293. ↑
F. De Martino, Del possesso, in Commentario del Codice Civile Scialoja- Branca, sub. art.li 1140- 1172, Bologna, 1984, p. 94; S. Ruperto, op.cit., p. 1032. ↑
Cass., 30 aprile 2021, n. 11465. ↑
Come osserva acutamente G. Magri, Buona fede, clandestinità del possesso e opere d’arte rubate: riflessioni a margine di una recente pronuncia della Cassazione, in Aedon, Rivista di arti e diritto online, 2020, p. 4. ↑
G. Magri, o.u.c., p. 4. ↑
Delle perplessità potrebbero sorgere in relazione al trasferimento del possesso e all’apprezzamento della buona fede dell’acquirente, ma di questo si dirà più avanti (par. 4). ↑
V. D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, Circolazione, cessione, riciclaggio. Alcuni profili giuridici dell’arte e del suo mercato, in Quaderni del dipartimento di Giurisprudenza dell’Università di Torino, 2020, n. 18, p. 85. ↑
V. D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.l.u.c, p.86; A. Giuffrida, Contributo allo studio della circolazione dei beni culturali in ambito nazionale, Milano 2008, p. 194 ss. ↑
V. G. F. Basini, La prelazione artistica, in I Contratti, 2019, 462 ss, secondo cui l’espressione “prelazione artistica” sarebbe «doppiamente imprecisa, o, per meglio dire, imprecisa per un doppio ordine di ragioni. Per un verso, infatti, il vocabolo “prelazione” è ora accettabile unicamente nel significato, ampio e atecnico, di “preferenza”. Questa “prelazione”, infatti, non è accomunabile al diritto di prelazione di natura privatistica, ma più ancora, molto probabilmente, non è nemmeno espressione di un diritto soggettivo, giacché, come meglio si dirà tra poco, quello che il soggetto pubblico ha rispetto all’alienazione dell’opera d’arte è un potere pubblicistico, e non un diritto soggettivo. Si è qui assai lontani, perciò, dalla prelazione privatistica, e, in particolare, dal diritto di prelazione di fonte legale. Per altro verso, anche l’aggettivo “artistica” appare impreciso. Anzi, esso è doppiamente impreciso, in quanto da un lato è troppo stretto e da un altro è troppo ampio, per indicare esattamente l’oggetto della preferenza ora in considerazione. Esso è troppo stretto poiché, come ben si nota ad osservare anche soltanto il più recente quadro normativo, vale a dire il D. Lgs. 22 gennaio 2004, n. 42, c.d. “codice dei beni culturali”, in verità oggetto di vincolo, indirettamente di denunzia e, eventualmente, di prelazione, sono beni che costituiscono una categoria ben più ampia delle sole opere d’arte».
Va sottolineato come, peraltro, la denuncia non sia una condicio sine qua non per l’esercizio della prelazione, che è considerata dalla dottrina maggioritaria come “dichiarazione non negoziale con funzione partecipativa e non negoziale” (V. F. Toschi Vespasiani, La circolazione dei “beni culturali”: la fattispecie traslativa tra profili giusprivatistici e interesse pubblico alla luce del testo unico n. 490/1999, in Riv. dir. civ., 2003, 298 ss; A. Giuffrida, o.l.u.c, p. 194 ss.). ↑
V. D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., cit., p. 86. ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 86; per un approfondimento sulle differenze tra tipi di prelazione v. G. Di Rosa, Il modello (non unitario) della prelazione legale, in La Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, 2015, II, 61 ss. e M. Tamponi, Prelazioni legali a confronto, in Obbligazioni e Contratti, 2012, 851 ss. ↑
A. Giuffrida, Contributo, cit., p. 238 ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 91; A. Giuffrida, o.u.c., p. 255. ↑
Nonché dalle regole poste da altre convenzioni e direttive in tema di beni culturali; cfr. Convenzione UNIDROIT sui beni culturali rubati o illecitamente esportati (1995); Direttiva 93/7/CEE, relativa alla restituzione di beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno stato membro, successivamente sostituita dalla direttiva 2014/60/UE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 15 maggio 2014, relativa alla restituzione dei beni culturali usciti illecitamente dal territorio di uno Stato membro e che modifica il regolamento (UE) n. 1024/201. ↑
Cfr. D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 102, ove si legge che “Le regole del Codice dei beni culturali, quelle convenzionali e quelle della direttiva, infatti, sono volte a limitare e, in alcuni casi, a escludere la circolazione dei beni di interesse culturale, arrivando, addirittura, ad imporre l’obbligo di restituzione dei beni rubati o illecitamente esportati”. ↑
Per una minuziosa analisi della figura dell’acquisto a non domino v, L. Mengoni, L’acquisto a non domino, Milano, 1994; M. Cenini, Gli acquisti a non domino, Milano, 2009; sul punto anche Cfr. D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 102, nonché G. Magri, Beni culturali e acquisto a non domino, in Riv. dir. civ., 2013, p. 741 ss. ↑
Richiama la giustizia distributiva L. Mengoni, o.u.c., secondo cui “la giustizia distributiva vuole, in linea di massima, che sia salvaguardato al proprietario il diritto che già gli è stato attribuito”; F. Longobucco, Beni culturali e conformazione dei rapporti tra privati: quando la proprietà ‘obbliga’, in E. Battelli – B. Cortese – A Gemma – A. Massaro (a cura di), Patrimonio culturale: profili giuridici e tecniche di tutela, Roma, 2017, p. 211 ss. ↑
Cfr. D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., cit., p. 102 ↑
V. M. Comporti, Per una diversa lettura dell’art. 1153 cod. civ. a tutela dei beni culturali, in Scritti in onore di Luigi Mengoni, Milano, 1995, che esclude l’assimilabilità dei beni culturali alla categoria dei beni mobili ordinari e la possibilità che di renderli oggetto di affari commerciali alla stregua di questi ultimi. ↑
All’art 64 bis, co. 3, C.b.c. è riportato “con riferimento al regime della circolazione internazionale, i beni costituenti il patrimonio culturale non sono assimilabili a merci”; nonostante il legislatore faccia riferimento alla circolazione internazionale non vi è motivo di escludere l’applicazione della norma all’ordinamento interno, essendo illogico che lo stesso bene goda di un trattamento diametralmente opposto entro e fuori i confini nazionali (v. G. MAGRI, Beni culturali e acquisto a non domino, cit., p. 750, e D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 103.) ↑
Cfr., a titolo esemplificativo, O. Palma, Beni di interesse pubblico e contenuto della proprietà, Napoli, 1971, p. 240 ss., secondo cui i beni culturali sono espressione di una proprietà funzionalizzata; M. S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 26, per cui si deve distinguere tra un substrato materiale del bene e uno immateriale dell’interesse culturale da esso espresso. ↑
v. F. Longobucco, Beni culturali, cit., p. 225, il quale afferma che “Il titolare di un bene culturale non è dunque un proprietario tel quel, ma è soggetto a una serie di limitazioni, è titolare di una serie di situazioni di soggezione o situazioni passive, accanto alle facoltà attive, che si giustificano in vista della particolare categoria di bene su cui insiste ‘la titolarità’ e in ragione della funzione che il bene è stesso chiamato a realizzare.” ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 104; S. Rodotà, Lo statuto giuridico del bene culturale, in Annali dell’associazione Bianchi Bandinelli, Roma, 1994, p. 15 ss; T. Calvano, I beni culturali: restituzione dei beni illecitamente esportati e nuova disciplina dell’esportazione, in Riv. crit. dir. priv., 1995, 761 ss.; cfr., Cass., sez. un., 10 marzo 1969, n. 763, in Giurisprudenza italiana, 1969, p. 987: la Suprema Corte afferma che i beni culturali di privati sono beni di pubblica fruizione, e per tale motivo il diritto di proprietà deve conformarsi a questa funzione. ↑
F. Longobucco, o.u.c., p. 218. ↑
S. Pugliatti, La retribuzione sufficiente e le norme della Costituzione, in Riv. giur. lav., 1949/1950, p. 189; P. Perlingieri, Salvatore Pugliatti ed il «principio della massima attuazione della Costituzione», in Rassegna di diritto civile, 1996, p. 807 ss.; A. Lener, Problemi generali della proprietà, in Aa.Vv., Proprietà privata e funzione sociale, Padova, 1976, p. 8, secondo il quale i beni culturali “«devono servire al progresso materiale e spirituale della collettività […] cioè a una finalità complessa che prende direttiva soprattutto dalle disposizioni degli artt. 2 e 3 cost., ed in ogni caso trascende gli aspetti puramente economici del benessere individuale e collettivo”; A.M. Gambino, Beni extra mercato, Milano, 2004, p. 90. ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 104; gli autori richiamano anche F. De Martino, La proprietà, in Comm. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 1968, p. 19. ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 104; si veda anche art. 21 del Codice dei beni culturali: «Sono subordinati ad autorizzazione del Ministero:… b) lo spostamento, anche temporaneo, dei beni culturali mobili ». ↑
V. Cass. 14 settembre 1999, n. 9782, in Mass. Giust. civ., 1999, p. 1968, che sentenzia che “la buona fede rilevante, ai sensi dell’art. 1153 c.c., per l’acquisto a non domino della proprietà di beni mobili, deve ricorrere in capo all’acquirente al momento dell’acquisto (mala fides superveniens non nocet) e la relativa presunzione di sussistenza, può essere vinta in concreto anche tramite presunzioni semplici, le quali siano gravi, precise e concordanti e forniscano, in via indiretta (com’è normale, trattandosi di accertare l’esistenza o meno di uno stato psicologico), il convincimento della esistenza in capo all’acquirente del ragionevole sospetto di una situazione di illegittima provenienza del bene. Gli elementi sui quali si possono fondare dette presunzioni possono essere costituiti (oltre che da circostanze coeve) anche da circostanze estrinseche precedenti all’acquisto. (Nella specie, concernente l’acquisto del dipinto “Natura morta con pesci” del De Chirico, avvenuto ad un’asta di Sotheby’s dopo un precedente furto nella casa della proprietaria, la S.C. ha ritenuto che correttamente il giudice di merito avesse desunto per presunzione che l’acquirente era stato in una situazione psicologica di sospetto dell’illegittima provenienza del dipinto, sì da doversi escludere la sua buona fede, argomentando dal fatto che egli, essendo, quale gallerista ed esperto d’arte, un esperto conoscitore delle opere di De Chirico – come emergeva da una serie di circostanze, quali l’esistenza di una collezione di quadri di quell’autore a lui facente riferimento, la redazione della prefazione e presentazione per la relativa mostra e una lettera indirizzatagli dallo stesso De Chirico – era stato nelle condizioni di accertare se il suddetto quadro rientrava tra quelli oggetto delle indagini penali scaturite dal furto)”. Sull’ analisi giurisprudenziale del requisito della buona fede dell’acquirente ex art. 1153 c.c. si veda inoltre M. Cenini, op. cit., p. 229. ↑
M. Comporti, o.u.c., p. 404 s. sostiene che «la particolare natura e valore delle cose d’arte richiede infatti una maggiore diligenza al momento dell’acquisto, tenendo conto di tutte le circostanze, particolarmente del tempo e del luogo ove esso avviene e del prezzo corrisposto». Dello stesso avviso G. Magri, Beni culturali e acquisto a non domino, cit., p. 754. ↑
R. Sacco – R. Caterina, Il possesso, in Tratt. Cicu e Messineo, Milano, 2000., 486 ↑
Cass. 16 dicembre 2009, n. 26400 in Mass. Giust. civ., 2009, p. 1696, secondo la quale, «In caso di acquisto a non domino di cosa mobile non registrata, dalla presunzione, derivante dal principio posto dall’art. 1147 c.c., che l’acquirente sia stato in buona fede, deriva, per colui che intenda contrastare tale presunzione, l’onere di fornire elementi idonei alla formulazione non del mero sospetto di una situazione di illegittimo possesso, ma di un dubbio derivante da circostanze serie, concrete e non ipotetiche»; v. anche Trib. Milano 23 marzo 2010, n. 3741; Cass. 13 ottobre 2000, n. 13642, in Mass. Giust. civ., 2000, p. 2132; Cass. 14 settembre 1999, n. 9782, in Mass. Giust. civ., 1999, p. 1968; Cass. 16 maggio 1997, n. 4328, in Giur. it., 1998, p. 1374; Cass. 24 giugno 1995, n. 7202. ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c. p. 109. ↑
G. Magri, Beni culturali e acquisto a non domino, cit., p. 756. ↑
Secondo la giurisprudenza tale nullità va intesa come relativa, per via del fatto che l’invalidità negoziale è disposta solo nell’interesse dello Stato, non potendo essere fatta valere nei rapporti fra privati, né essere rilevata d’ufficio dal giudice; infatti, colui che abbia acquistato il bene a non domino in forza di un titolo non idoneo, perde il suo diritto solo se lo Stato eserciti il proprio potere di prelazione (in questo senso, Cass. 24 maggio 2005 n. 10920, in F. it., 2006, I, c. 1880; Cass., sez. un., 15 maggio 1971, n. 1440, ivi, 1971, I, c. 2829; Cass. 14 febbraio 1975, n. 590, id., 1975, I, c. 1107 e Cass. 26 aprile 1991, n. 4559.) ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., cit., p. 111. ↑
G. Magri, Beni culturali e acquisto a non domino, cit., p. 764. ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., cit., p. 111. ↑
S. Ferreri, Il diritto di proprietà sui beni culturali al vaglio della Corte Europea dei diritti dell’uomo, in Europ. d. priv., 2001, p. 349 ss. ↑
G. Magri, Beni culturali e acquisto a non domino, cit., p. 765. ↑
Cass., 30 aprile 2021, n. 11465. ↑
Cfr. Cass. pen. 15 febbraio 2005, n. 21400, in C. pen., 2006, 1, p. 49 ss., con nota di G. Pioletti, Considerazione sull’obbligo di denuncia per il privato del trasferimento di beni culturali non notificati; la Corte afferma che “il bene giuridico protetto dalle nuove disposizioni sui beni culturali ed ambientali” non è solo il “ patrimonio storico artistico “dichiarato”, (beni la cui valenza è oggetto di previa dichiarazione), bensì anche in quello “reale” (beni protetti in virtù del loro intrinseco valore, indipendentemente dal previo riconoscimento di esso da parte delle autorità competenti)”. ↑
Mentre, come osservato nel precedente paragrafo, per i beni culturali l’omessa denuncia dell’atto di trasferimento inficia gli effetti del negozio, sottoponendoli a condizione sospensiva. ↑
V. la già richiamata Cass. 14 settembre 1999, n. 9782, in Mass. Giust. civ., 1999. ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, Circolazione, p. 127. ↑
D. di Micco, M. F. Filho e G. Magri, o.u.c., p. 126. ↑