Katia de Blasio
Dottoranda di diritto privato comparato dell’Università degli Studi di Macerata
Trib. Cagliari, sez. impresa, 19 gennaio 2021, Giudice Bruno Malagoli, Maria Sofia Pisu c. Fondazione Statio dell’Arte di Ulassai
Diritto d’autore – illecita riproduzione fotografica – tutela – donazione – responsabilità
In mancanza di una disposizione espressa che trasferisca il diritto di utilizzazione economica dell’opera, è illecita la riproduzione fotografica di questa da parte dell’ente divenutone proprietario a seguito di donazione da parte dell’artista.
Con ordinanza del Tribunale di Cagliari – Sezione Impresa, Nr. R.G. 1958/2020 del 19/01/2021, il Giudice adito ha inibito alla Fondazione Stazione dell’arte di Ulassai la riproduzione di immagini delle opere dell’artista Maria Lai in alcuni volumi curati dalla stessa Fondazione in quanto, sebbene quest’ultima fosse divenuta proprietaria delle opere raffigurate a seguito di una donazione della stessa Maria Lai, in mancanza di una disposizione espressa che trasferisse con le opere anche il diritto di utilizzazione economica delle stesse si doveva ritenere che tale diritto fosse di titolarità dell’erede universale dell’artista.
La pronuncia in esame è interessante in quanto fa emergere un aspetto critico concernente la disciplina dei diritti di utilizzazione economica delle opere. Occorre domandarsi, infatti, se tali diritti, solitamente ricondotti nella c.d. proprietà intellettuale, non siano troppo rigidi, finendo con l’impedire, di fatto, la diffusione e la promozione della cultura, con grave danno per l’intera società.
The courtroom of Cagliari, company law section, with the ruling Nr. R.G. 1958/2020, held that the Foundation Stazione dell’arte (located in Ulassai) could not reproduce images of pieces of art by the artist Maria Lai in some volumes sold by the Foundation itself, even though the Foundation was the owner of the pieces after that Maria Lai donated them. In fact, although Maria Lai transferred the ownership of the artworks, there was no specific agreement on the transfer of the copyright, which was then inherited by the niece of the artist.
This judgment is interesting because it shows how the rules concerning the rights of exploitation of art, considered as intellectual property, are perhaps too strict, with the result that they prevent cultural promotion, leading to a great damage for society as a whole.
Sommario: 1. L’oggetto della controversia e la decisione del Giudice. – 2. La disciplina per le immagini delle opere protette dal diritto d’autore. – 3. Proprietà intellettuale ed influenze dalla Common law. – 4. Riflessioni conclusive: the tragedy of the anticommons.
1. Con ricorso ex articolo 156 della Legge sul diritto d’autore (l. 22 aprile 1941, n. 633), la ricorrente, nipote ed erede universale della celebre artista sarda Maria Lai, chiedeva al Giudice, previo accertamento dell’illiceità della condotta della resistente Fondazione Stazione dell’arte, di inibire a quest’ultima la commercializzazione, la pubblicazione e la distribuzione di una serie di volumi contenenti immagini di opere dell’artista.
Con l’ordinanza in esame, il Giudice, dopo aver accertato da un lato la titolarità del diritto di utilizzazione economica delle opere in capo alla ricorrente, diritto pervenutole iure hereditatis, e dall’altro lato il periculum in mora, rinvenuto nello stesso comportamento della resistente che esercitava di fatto diritti di esclusiva sulle opere dell’artista, inibiva l’ulteriore commercializzazione, distribuzione o diffusione dei volumi denominati «I maestri e la Terra» e «Il Museo sotto il Cielo», mentre per gli altri volumi prodotti in giudizio riteneva che la Fondazione non avesse avuto alcun ruolo nella riproduzione non autorizzata delle opere.
La Fondazione, dal canto suo, aveva dedotto nel corso del giudizio che Maria Lai, con la donazione di una ingente quantità delle sue opere, non avesse inteso trasferire la sola proprietà fisica di tali opere, ma anche i diritti di utilizzazione economica delle stesse, necessari alla realizzazione di un progetto di diffusione e valorizzazione dell’opera dell’artista.
Il Giudice ha deciso in senso opposto, argomentando che la donazione non comportava necessariamente il trasferimento del diritto patrimoniale sulle opere poiché tale diritto, secondo quanto prescritto dall’articolo 109 della Legge sul diritto d’autore, non viene automaticamente alienato con la cessione di uno o più esemplari dell’opera, salvo patto contrario nel negozio traslativo[1]. Il Giudice ha altresì ritenuto che tale pattuizione debba esplicarsi in una clausola espressa, non potendosi desumere il trasferimento dei diritti di utilizzazione economica da un’interpretazione sistematica del negozio di cessione.
2. La pronuncia del Tribunale di Cagliari fa emergere il contrasto, a volte insanabile, tra l’esercizio dei diritti patrimoniali da parte del titolare del diritto d’autore e i diritti della collettività alla pubblica informazione, alla promozione della cultura e all’incentivazione dello studio, che sono riconosciuti attraverso fonti nazionali e sovranazionali; ad esempio, all’articolo 9 della Costituzione si prescrive che «la Repubblica promuove lo sviluppo della cultura», ma si pensi anche all’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, ove si garantisce la libertà di opinione e la libertà di ricevere o di comunicare informazioni o idee[2].
D’altro canto, l’art. 12 della Legge sul diritto d’autore garantisce e riconosce all’autore il diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e, secondo l’opinione prevalente, tale diritto è unitario, sebbene esso si esplichi in molteplici facoltà, alcune delle quali sono elencate negli articoli successivi (dall’art. 13 al 18); tale elenco non è tassativo, ben potendosi rinvenire ulteriori utilizzazioni economiche dell’opera al di fuori di quelle tipizzate dalla legge[3].
A tal proposito è utile chiarire che, secondo quando prescritto nell’art. 1 della Legge sul diritto d’autore, le opere dell’ingegno sono quelle di «carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione». Anche l’elenco contenuto in tale norma non è tassativo, ma esemplificativo[4].
Tra le facoltà di utilizzazione economica dell’autore ricade, secondo quanto disposto dall’articolo 13 della stessa legge, il diritto di riproduzione dell’opera in qualunque forma, anche attraverso la fotografia, poiché anche lo sfruttamento dell’immagine dell’opera assume connotazione patrimoniale.
Ai fini del trasferimento dei diritti di utilizzazione economica, l’articolo 109 della Legge sul diritto d’autore prescrive che «la cessione di uno o più esemplari dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione», per cui è chiaro che il diritto di riproduzione dell’opera spetta all’autore della stessa, nonostante l’alienazione e sempre salvo patto contrario. Il trasferimento dei diritti di utilizzazione economica va provato per iscritto secondo quanto prescritto dall’articolo 110 della legge in questione[5], né può ritenersi che l’inserimento di fotografie dell’opera in cataloghi o volumi vada considerato come un accessorio del diritto di esposizione[6]. Pertanto, mentre il diritto di esposizione spetta al proprietario dell’opera (nella fattispecie in esame la Fondazione Stazione dell’arte), il diritto di riprodurla spetta all’autore[7], e quindi al suo erede. Tale assunto ha portato persino a configurare un diritto di accesso all’opera da parte dell’autore al fine di fotografarla e di riprodurla, a scapito del diritto di proprietà del suo avente causa[8].
In tale quadro si rinviene nell’articolo 70 della Legge sul diritto d’autore una deroga al principio di esclusività di utilizzazione economica dell’opera da parte dell’autore; tale articolo consente infatti la diffusione del riassunto, della citazione o la riproduzione di brani o di parti dell’opera esclusivamente «per uso di critica o di discussione», sempreché tali riproduzioni «non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera».
Chiaramente l’articolo in questione non sarebbe stato invocabile nel caso di specie poiché, per quanto la riproduzione delle immagini delle opere dell’artista Maria Lai nei volumi oggetto del ricorso possa essere considerata con favore per la finalità divulgativa dell’opera dell’artista, la raccolta delle immagini nei volumi venduti dalla Fondazione non ha avuto esclusivamente uno scopo critico-didattico, ma anche una finalità economica, quale può essere quella di illustrare ai visitatori la rilevanza culturale delle opere esposte e di trarre profitto dalla messa in commercio dei volumi contenenti immagini delle opere dell’artista[9].
3. Il diritto dell’erede di Maria Lai di escludere gli altri dall’utilizzazione economica delle opere dell’artista viene ricondotto nello jus excludendi alios, facoltà tipica del diritto di proprietà[10].
È appena il caso di ricordare, infatti, che ormai si parla comunemente di proprietà intellettuale, indicando con tale espressione una categoria eterogenea di istituti che regolano l’esercizio di diritti patrimoniali su beni immateriali (brevetti, marchi, diritto d’autore, ecc…).
In particolare, il concetto di proprietà intellettuale è stato introdotto nel nostro ordinamento giuridico grazie all’influenza anglo-americana, che include la proprietà intellettuale nella categoria della personal property[11].
Come è noto, nel modello di Common law la property, differentemente da quanto avviene per la proprietà nel nostro ordinamento giuridico, è sinonimo di patrimonio, per cui le cose non sono oggetto di proprietà in quanto tali bensì in misura dei diritti patrimoniali che possono essere esercitati sulle stesse, con la conseguenza che su una cosa possono coesistere più diritti di «proprietà».
Nel modello inglese di proprietà si distingue tra real property e personal property; tale distinzione risale all’epoca medievale, in quanto le res oggetto di real property erano protette attraverso le actiones in rem, così denominate non perché perseguissero la res presso chiunque ne avesse il possesso, ma perché garantivano una tutela processuale restitutoria, per cui se la cosa fosse stata sottratta al legittimo proprietario, quest’ultimo avrebbe potuto agire in sede processuale per recuperare il bene. Al contrario, in caso di sottrazione di un bene riconducibile alla personal property, colui che era in possesso della cosa poteva scegliere di pagare una somma di denaro in luogo della restituzione della cosa[12].
Oggetto della tutela restitutoria erano le terre e i diritti feudali ad essa relativi, ossia i c.d. freehold estates, mentre tutto ciò che non rientrava nella suddetta categoria, veniva incluso tra i chattels, termine riferito a tutto ciò che non era land.
Per tale motivo, storicamente, la personal property si è formata in modo alluvionale, ricomprendendo di volta in volta i diritti esercitabili su tutti quei beni che non rientravano nella real property[13].
Tutt’oggi, gli autori distinguono la real property dalla personal property, sussumendo sotto quest’ultima sia beni corporali (choses o things in possession) sia beni immateriali (choses o things in action), quali ad esempio i diritti di credito, i brevetti, il diritto d’autore[14].
Successivamente, questa concezione di protezione dello sfruttamento economico delle opere di ingegno nell’ottica del diritto delle proprietà è confluita anche negli accordi internazionali c.d. TRIPs (Trade-related aspects of intellectual property rights)[15], conclusi nel 1994 nell’ambito dell’accordo istitutivo della World Trade Organization (WTO), nonché nella Convenzione Europea dei diritti dell’uomo, laddove, all’articolo 17, che riconosce e garantisce il diritto di proprietà, si prescrive, al comma secondo: «intellectual property shall be protected», dovendosi pertanto desumere dalla collocazione della norma e dal suo tenore letterale che vi sia stata una sorta di equiparazione concettuale tra la proprietà tradizionale e la proprietà intellettuale[16].
Nel nostro ordinamento giuridico, invero, qualche autore ha accolto con scetticismo la riconduzione del diritto esclusivo di utilizzare economicamente l’opera al diritto di proprietà[17], sebbene ormai nel linguaggio corrente si sia soliti ricondurre i brevetti, il diritto d’autore e i marchi nella proprietà intellettuale, pur permanendo una certa difficoltà nel dare una definizione unitaria dell’istituto.
4. Posto, dunque, che al giorno d’oggi si è soliti ricondurre il diritto d’autore all’istituto della proprietà, che costituisce il diritto assoluto per antonomasia, occorre domandarsi se questa sia la soluzione più consona a garantire il progresso tecnologico e sociale.
L’ordinanza del Tribunale di Cagliari costituisce uno dei tanti esempi in cui è possibile constatare che la prevalenza delle facoltà esclusive del titolare del diritto d’autore su altri diritti giuridicamente tutelati e la rigida interpretazione delle norme che ne permettono l’alienazione hanno degli effetti negativi sulla divulgazione della cultura.
Infatti, nell’ordinanza in esame, lo stesso Giudice ha riconosciuto che nel costituire la Fondazione la stessa Maria Lai «aveva inteso attribuire alla stessa un ruolo di rilievo in relazione alla diffusione e alla conoscenza della propria arte», deducendo altresì che in tale opera di divulgazione l’utilizzo delle immagini delle opere «assume un’importanza essenziale». Ciononostante, egli ha deciso di inibire alla Fondazione l’utilizzo delle immagini delle opere di sua proprietà.
Del resto, il ragionamento del Giudice di merito è coerente con la lettera della legge e con l’idea di fondo per la quale sia necessario proteggere la proprietà intellettuale con regole stringenti per incentivare la creazione di nuove opere e per far sì che l’autore, dopo la diffusione della sua opera, possa controllarne l’utilizzo da parte di altri[18].
Per tale fine, come si è già fatto rilevare, la proprietà intellettuale viene di fatto equiparata all’istituto della proprietà inteso in senso tradizionale, sebbene vi siano delle differenze sostanziali ancor prima che disciplinari tra i due istituti, essendo la proprietà dei beni materiali finalizzata alla migliore allocazione dello sfruttamento economico di cose che, per loro natura, sono oggettivamente limitate nella quantità[19], ossia i c.d. beni ad uso non rivale[20].
Garrett Hardin in un celebre articolo[21] del 1968 sentenziava: «freedom in a commons brings ruin to all»[22] e tale concetto è stato spesso utilizzato per giustificare la c.d. «privatisation» in molti settori[23].
In suddetto contributo, infatti, l’autore sosteneva che, in un regime in cui i beni sono comuni a tutti, ogni individuo cercherà di massimizzare il proprio profitto senza tener conto dei danni arrecati agli altri utilizzatori e, più in generale, alla società di cui egli stesso è parte[24].
Per tale problema l’autore riteneva che l’adozione di un regime di proprietà privata fosse funzionale ad evitare la c.d. «tragedy of the commons», ossia la rovina totale della società[25].
In contrapposizione alla suddetta teoria, si è sottolineato[26], in tempi più recenti, che, soprattutto per quanto concerne i beni immateriali, la loro riconduzione all’istituto della proprietà non sempre sortisce gli effetti sperati; è infatti lecito domandarsi se, agli antipodi della «tragedy of the commons» non si stia in realtà profilando una «tragedy of the anticommons», che avviene quando troppe persone vantano diritti su una parte di qualcosa, con la conseguenza per cui a nessuno è permesso di utilizzarla («when too many people own pieces of one thing, nobody can use it»[27]).
Per tale motivo, tenuto conto anche della mutata situazione economico-sociale rispetto agli anni in cui Garrett scrisse il suo articolo, andrebbe certamente valutata la possibilità di discostarsi dall’idea che interpretare i diritti di utilizzazione economica su alcuni beni immateriali nell’ottica proprietaria sia la soluzione ottimale da prediligere per garantire un migliore sfruttamento dei beni, aprendo la riflessione a nuovi scenari che potrebbero apportare numerosi benefici in diversi settori.
I risvolti positivi si avrebbero non solo in ambito artistico, come nella vicenda che riguarda le opere di Maria Lai, ma anche in altri settori, come ad esempio quello farmaceutico, ove l’esistenza di numerosi brevetti ha spesso impedito la commercializzazione di nuovi farmaci necessari per combattere malattie gravi[28].
Diverse soluzioni sono state proposte per risolvere le suddette problematiche, vi è anche si è spinto a sostenere che la proprietà intellettuale non dovrebbe esistere in quanto non vi è alcuna evidenza che corrobori la teoria per la quale essa aiuti ad incentivare l’innovazione tecnologica o la creatività artistica[29].
Altri hanno sostenuto che la proprietà intellettuale, differentemente dalla proprietà intesa in senso tradizionale, non dovrebbe essere oggetto di successione mortis causa, bensì dovrebbe essere riconosciuta in capo a coloro che sono in grado di migliorare la cosa ovvero di farne un uso migliore per la società[30]. Tale ultima proposta avrebbe sicuramente delle ricadute in vicende simili a quella in esame, ove i diritti patrimoniali sull’opera non rientrerebbero sic et simpliciter nel patrimonio ereditario, ma sarebbero trasferiti a chi meglio potrebbe diffondere e valorizzare l’opera dell’autore, dunque non necessariamente l’erede dell’artista.
Un’altra soluzione potrebbe essere quella di limitare la durata temporale dei diritti di utilizzazione economica dell’opera. Infatti, per quanto tali diritti non siano perpetui, come accade invece nella proprietà tradizionale, comunque i tempi di estinzione sono molto lunghi (nel nostro ordinamento giuridico essi durano «tutta la vita dell’autore e sino al termine del settantesimo anno solare dopo la sua morte», secondo quanto prescritto dall’art. 25 della Legge sul diritto d’autore).
L’ordinanza del Tribunale di Cagliari offre dunque l’occasione per ripensare alla proprietà intellettuale in modo critico. Infatti, benché i diritti di esclusiva sulle creazioni intellettuali incentivino la realizzazione di nuove opere e tecnologie, la graduale equiparazione tra gli stessi e le facoltà riconosciute tradizionalmente al proprietario di un bene materiale potrebbe comportare una sempre maggiore difficoltà nella diffusione della cultura e, nei casi più gravi, la paralisi del progresso scientifico e culturale[31].
Provvedimento
Omissis.1 In via di premessa si osserva come le Sezioni Unite della Corte di Cassazione con la sentenza n.
642 del 16.1.2015 hanno ritenuto, in ordine ai requisiti richiesti nel vigente ordinamento processuale per la motivazione delle sentenze, conforme al modello normativo (il quale prevede la sinteticità della motivazione quale corollario del dovere di assicurare la ragionevole durata del processo) la motivazione c.d. per relationem ed, in particolare, valido il richiamo al contenuto degli atti difensivi delle parti e degli altri atti processuali. Appare pertanto legittima l’adozione di tale schema anche per motivare l’ordinanza con cui si assume la presente decisione. Pertanto, richiamati, in ordine alla ricostruzione dei profili fattuali della vicenda controversa, il contenuto assertivo del ricorso introduttivo e della memoria di costituzione, si osserva per quanto rileva al fine di decidere quanto segue.
1.2 Con ricorso ex art. 156 Legge 22 aprile 1941, n. 633 (“Legge a protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio”) depositato in data 13.3.2020, *** ha chiesto al Tribunale che, dichiarata la sua esclusiva titolarità iure hereditatis del diritto d’autore sulle opere di Maria Lai e previo accertamento dell’illegittimità della pubblicazione, distribuzione e commercializzazione ad opera della Fondazione Stazione dell’Arte di una serie di volumi contenenti
immagini di opere dell’artista, venisse inibito in via d’urgenza alla predetta Fondazione di continuare in dette attività, disponendo la pubblicazione del provvedimento cautelare e la fissazione di una somma ritenuta congrua per ogni violazione. A tal fine ha esposto: – che Maria Lai era stata una grande esponente del panorama artistico italiano ed internazionale del dopoguerra e che al suo decesso le era succeduta come unica erede universale, in virtù di testamento datato 1.10.2011; – che nel maggio 2016 aveva costituito un “Archivio delle opere di Maria Lai” avente lo scopo di valorizzare e diffondere la figura e l’opera dell’artista e di realizzare il catalogo generale delle opere così come da onus morale disposto nel testamento; – che al fine di divulgare la conoscenza e lo studio delle opere di Maria Lai, in data 30.11.2018 aveva inoltre costituito la “Fondazione Maria Lai” con sede in Lanusei;
– che di recente, era venuta a conoscenza del fatto che la Fondazione Stazione dell’Arte aveva realizzato condotte in totale violazione del diritto d’autore, o perché volte a recare molestia al godimento del diritto, ingenerando nei soggetti terzi, dubbi e perplessità sulla effettiva titolarità dello stesso, o perché volte ad arrogarsi indebitamente tale diritto. Sotto il primo profilo, la ricorrente ha spiegato che la Fondazione Stazione dell’Arte, ritenendo erroneamente di detenere, con il Comune di Ulassai, i diritti d’autore sulle opere di Maria Lai, con atto in data 28.11.2019 aveva rilasciato all’Istituto Italiano di Cultura di Parigi autorizzazione ad utilizzare a titolo gratuito le immagini di opere di Maria Lai per la realizzazione del catalogo della mostra “Maria Lai. Suivez le Rythme” tenutasi nel dicembre 2019 – gennaio 2020; sempre la Stazione dell’Arte, con comunicazione indirizzata alla Cantina Antichi Poderi di Jerzu in data 08.01.2020, aveva invitato la Cantina “ad astenersi da qualsiasi iniziativa volta a sfruttare impropriamente l’immagine dell’artista”, nonostante la Cantina avesse agito munita di espressa autorizzazione della ricorrente. Sotto il secondo profilo, invece, la ricorrente ha allegato che: (1) nella pagina del sito internet della Fondazione Stazione dell’Arte, veniva pubblicizzata una “vasta selezione di idee regalo” che prevedeva la vendita di pubblicazioni contenenti immagini di opere di Maria Lai quali i volumi: – “Tenendo per mano il sole” al prezzo di € 130,00 la copia (doc. 5); – “Tenendo per mano l’ombra” al prezzo di € 110,00 la copia (doc. 6); – “Il Dio distratto” al prezzo di € 110,00 la copia; (2) la commercializzazione del volume “Il Dio distratto”, veniva peraltro eseguita anche in violazione della ordinanza resa in data 25/7/2019 dal Tribunale Civile di Cagliari (Sezione specializzata in materia di impresa, RG. 3235/2019) che aveva già vietato la commercializzazione, la distribuzione o diffusione, in qualunque forma o a qualsiasi titolo, di detto volume, ordinandone il ritiro dal commercio; (3) la Fondazione Stazione dell’Arte, inoltre, presso la propria sede, commercializzava, ulteriori volumi, oltretutto privi del contrassegno SIAE, contenenti immagini di opere di Maria Lai, quali: – “Curiosape” al prezzo di € 150,00 ; – “Come un gioco” al prezzo di € 25; – “Maria Lai ABC Sguardo Opera Pensiero”; – “Fuori Era Notte” al prezzo di € 25; – “I luoghi dell’arte a portata di mano” al prezzo di € 150,00; – che le condotte sopra sintetizzate erano poste in essere in totale violazione del diritto d’autore, non disponendo la resistente del diritto all’utilizzazione delle immagini di nessuna fra le opere di Maria Lai, di nessuna di esse, neppure di quelle ad essa donate da Maria Lai; – che Maria Lai, nel contribuire a costituire la Fondazione Stazione dell’Arte nel 2004 e nel donare alla Fondazione circa 50 opere, come elencate nell’all. D all’Atto Costitutivo della Fondazione (cfr. doc.n.16), non aveva trasferito alla Fondazione anche il diritto (come tutelato dall’art. 12 della Legge n. 633/41 sul Diritto d’Autore) alla utilizzazione, pubblicazione e commercializzazione delle immagini di queste opere, che aveva invece inteso conservare per sé stessa, per poi trasferirlo, con il testamento citato, alla nipote, nominata sua unica erede.
Quanto al periculum in mora la ricorrente ha dedotto (in sintesi) che lo stesso doveva ritenersi riscontrabile nello stesso comportamento della Fondazione, chiaramente volto a rivendicare diritti alle immagini sulle opere dell’artista del tutto indebitamente, profilandosi in ciò un periculum in re ipsa, posto che la persistenza dei comportamenti illegittimi, avrebbe di per sé determinato un
aggravarsi quotidiano del danno, anche tenendo in debito conto della difficoltà della sua successiva quantificazione in sede di merito.
1.3 Con memoria depositata in data 10.9.2020, si sono costituiti in giudizio la Fondazione Stazione dell’Arte e (con contestuale atto di intervento volontario) il Comune di Ulassai, per resistere al ricorso.
Le resistenti hanno anzitutto contestato la carenza del fumus boni juris. A tal fine, hanno dedotto, sotto un primo profilo, di non essere editori dei testi oggetto della richiesta inibitoria, essendo la casa editrice degli stessi la Arte Duchamp (salvo che per “Maria Lai ABC: Sguardo Opera Pensiero” edito dalla Agave). La Fondazione convenuta ha quindi sottolineato di non avere alcuna paternità rispetto alla realizzazione e produzione di tali volumi. Pertanto, siccome la
responsabilità di qualsiasi libro, articolo, rivista o altra pubblicazione, incombe esclusivamente sul soggetto che ne è editore (oltre che naturalmente sull’autore), ossia colui che organizza, finanzia e decide il contenuto della pubblicazione ed essendo viceversa esclusa qualsiasi responsabilità in capo allo stampatore, al distributore o al rivenditore, alcuna responsabilità poteva essere imputata alla Fondazione. La resistente ha, in proposito, altresì evidenziato che, affinché il semplice distributore o rivenditore di un prodotto editoriale altrui possa essere destinatario di un provvedimento di inibitoria, occorre che la illiceità di detto prodotto sia stata preventivamente e debitamente accertata dal giudice in contraddittorio con l’editore, ipotesi non ricorrente nella fattispecie. L’unico fra i volumi indicati in ricorso, rispetto al quale vi era stato il predetto accertamento giudiziale in contraddittorio con l’editore – che era poi sfociato in un provvedimento cautelare volto ad inibirne la pubblicazione, la commercializzazione e la diffusione – era quello intitolato “Il Dio distratto”, edito dalla Art Duchamp; per esso tuttavia la Fondazione aveva già provveduto al ritiro dal bookshop del Museo di Ulassai, mentre la circostanza che il libro risultasse ancora sul sito della Fondazione era da imputarsi ad una semplice dimenticanza cui si era già da tempo posto rimedio. Sotto un secondo profilo, le resistenti hanno contestato il diritto della ricorrente ad inibire l’esercizio dei diritti immateriali attinenti alle opere donate da Maria Lai alla Fondazione, non rispondendo al vero che la signora *** fosse titolare dei diritti su tutte le opere create da Maria Lai. In proposito le resistenti hanno dedotto: – che in data 11 ottobre 2004 era stata costituita la Fondazione “Stazione dell’Arte Ulassai”, avente il dichiarato scopo di attuare “iniziative di interesse artistico intese alla diffusione e alla conoscenza delle Opere di Maria Lai”; – che il patrimonio iniziale della Fondazione era rappresentato da una serie di opere dell’Artista; – che l’art. 4 dell’Atto Costitutivo prevedeva che “la signora Maria Lai assegna alla Fondazione, facendone ad essa donazione, le opere descritte nell’elenco che si allega al presente atto sotto la lettera D” (una nutrita serie di lavori rappresentanti gli episodi più significativi dell’intero percorso dell’artista, costituenti la più importante raccolta organica delle sue opere); – che l’art. 2 dello Statuto della Fondazione, nel precisare le finalità e i compiti dell’ente, evidenziava quello di “promuovere e attuare studi e ricerche, convegni, seminari, mostre ed ogni altra iniziativa tendente alla valorizzazione dell’opera e alla divulgazione e approfondimento del messaggio artistico e umano di Maria Lai”, prevedendo altresì fra i suoi compiti anche quello di istituire “un museo che accolga le opere più significative di Maria Lai”; – che, a sottolineare il forte rapporto fra Maria Lai e la Fondazione da questa istituita, lo Statuto (art. 6) riservava a Maria Lai la presidenza onoraria “a vita” della stessa ed affidava il Consiglio Direttivo a“tre membri nominati da Maria Lai”; – che Maria Lai, nell’effettuare la donazione delle sue opere alla Fondazione, non aveva affatto trasferire la sola proprietà fisica di tali opere, ma anche i diritti di utilizzazione economica delle stesse, essendo evidente che la donazione di tali lavori si era inserita ed era strettamente funzionale a un progetto di diffusione e valorizzazione dell’opera dell’artista nel quale tutta l’attività della Fondazione era istituzionalmente ed esclusivamente finalizzata; – che infatti che l’espletamento dei compiti della Fondazione – quali per esempio la realizzazione di libri, cataloghi, studi, filmati e opere audiovisive, l’organizzazione di convegni, l’organizzazione di mostre, implicava necessariamente anche lo sfruttamento dei diritti di utilizzazione economica delle opere donate, a partire dai diritti di pubblicazione (art. 12 l.d.a.) di riproduzione (art. 13 l.d.a.), di comunicazione (art. 16 l.d.a.), di distribuzione (art. 17 l.d.a.), senza i quali quegli scopi non avrebbero potuto essere perseguiti; – che ciò era confermato dal fatto che Maria Lai nel corso di nove anni di intenso rapporto e collaborazione con la Fondazione e con il Comune, non si era mai opposta agli atti di utilizzazione economica delle opere donate (esposizione nel Museo gestito dalla Fondazione, riproduzione delle immagini in studi, monografie, cataloghi, realizzazione di poster, cartoline, gadget ecc.) né aveva mai preteso un compenso dai ricavi derivanti da tali utilizzazioni (biglietti del museo, ricavi da pubblicazioni varie). Ulteriori elementi di conferma del trasferimento dei diritti di esclusiva sulle immagini delle opere donate, potevano rinvenirsi, in primo luogo, nel fatto che, né l’atto Costitutivo della Fondazione, né il suo Allegato “D” contenessero espressione che potesse far pensare a una qualche limitazione quanto al trasferimento alla Fondazione delle opere donate dei diritti su essa insistenti, dovendosi anzi ritenere il contrario attraverso una corretta lettura congiunta degli atti (cfr. pagine 10 e 11 della memoria di costituzione). Le resistenti hanno poi chiarito il rilevante interesse economico del Comune di Ulassai (soggetto intervenuto con la medesima memoria – cfr. in particolare pagine 13-19) ed hanno contestato che fosse in concreto configurabile un periculum in mora.
1.4 In sede di repliche, a fronte della prima eccezione delle resistenti, la ricorrente ha prodotto tre ulteriori volumi (“I Maestri e la Terra” in due edizioni e “Il museo sotto il cielo”), evidenziando come la Fondazione fosse in realtà parte attiva rispetto alla riproduzione di libri contenenti immagini di opere di Maria Lai, ben potendo quindi essere destinataria della inibitoria invocata. Le resistenti hanno contestato l’inammissibilità della produzione, non rientrante nel petitum cautelare del ricorso, evidenziando comunque che la Fondazione non aveva assunto alcun ruolo di “co-editore” neppure rispetto alla edizione di tali libri.
2.1.1 Preliminarmente, giova richiamare il principio per cui l’autore di un’opera, ai sensi dell’art. 12 L.d.a., ha il diritto esclusivo di pubblicare l’opera e di utilizzarla economicamente in ogni forma e modo originale o derivato, nei limiti e modi fissati dalla legge. L’art. 109 L.d.a., poi, stabilisce che la cessione di un esemplare dell’opera non importa, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti di utilizzazione economica connessi a dette opere; in particolare non può ritenersi, in mancanza di prova contraria proveniente dal proprietario dell’esemplare, che a questi sia stato contestualmente ceduto
insieme alla proprietà sulla res anche il diritto di utilizzazione economica di essa in forme varie, atteso che l’art. 13 L.d.a. riserva al titolare del diritto d’autore il potere esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma, come la copiatura a mano, la stampa, la litografia, l’incisione, la fotografia, la fonografia, la cinematografia ed ogni altro procedimento di riproduzione. La giurisprudenza ha poi chiarito che anche la riproduzione fotografica di un’opera d’arte figurativa nel catalogo di una mostra rappresenta una forma di utilizzazione economica dell’opera e rientra nel diritto esclusivo di riproduzione riservato all’autore. Ratio dell’art. 109 l.d.a. è evidentemente quella di tutelare il diritto patrimoniale più vicino e connesso a quello morale d’autore, ossia il diritto sulla creazione intellettuale dell’opera. Dunque, con la vendita dell’opera, l’artista non cede all’acquirente il proprio diritto di riproduzione; in mancanza di diverse pattuizioni, la compravendita trasferisce il diritto di proprietà sulla res ma non già quello di riproduzione dell’opera.
2.1.2 Venendo al caso di specie, alla luce del testamento di Maria Lai, in cui *** è stata nominata erede universale (cfr. doc. 1 allegato al ricorso, copia del testamento dell’1.10.2011), deve allo stato ritenersi comprovato il diritto d’autore in capo alla ricorrente in relazione a tutte le opere realizzate dall’artista.
La resistente assume in proposito che, in realtà, Maria Lai con la donazione effettuata alla Fondazione da lei stessa istituita, non avrebbe inteso trasferire la sola proprietà fisica delle opere donate, ma anche i diritti di utilizzazione economica sulle stesse (con conseguente fuoriuscita degli stessi dalla successione ereditaria), essendo tale donazione volta a dotare la fondazione di un patrimonio artistico funzionale allo scopo ideale dell’ente, che è quello di realizzare un progetto di diffusione e valorizzazione dell’opera dell’artista, nel quale tutta l’attività della Fondazione è istituzionalmente ed esclusivamente finalizzata.
La suddetta tesi pare scontrarsi con l’inequivoco dato letterale dell’art. 109 L.d.a., sopra richiamato, secondo cui la cessione dell’opera (o di più esemplari) non comporta, salvo patto contrario, la trasmissione dei diritti d’autore. Detta disposizione, evidenziando la necessità di un “patto espresso” avente specificamente ad oggetto detti diritti, pare di per sé precludere che possa opinarsi nel senso di desumere il trasferimento in questione da una interpretazione sistematica del negozio di cessione, che pur non abbia esplicitato l’effetto traslativo anche in relazione a detti diritti. Ragionare diversamente significherebbe di fatto avallare una sorta di interpretazione tendenzialmente abrogatrice della norma – in quanto volta a far discendere detto trasferimento non da un patto espresso, ma da un accertamento in concreto di una volontà negoziale, rimasta formalmente inespressa.
Orbene, è pur vero che Maria Lai nel costituire la Fondazione aveva inteso attribuire alla stessa un ruolo di rilievo in relazione alla divulgazione e conoscenza della propria arte (si tratta di una considerazione che non viene posta in discussione dalla ricorrente) e che certamente l’utilizzo delle
immagini donate in questo genere di attività assume un’importanza essenziale; ma è altrettanto vero che, ciononostante, la stessa artista non ha mai inteso esplicitare nulla, né in sede di atto costitutivo, né in sede di statuto della fondazione, riguardo ai diritti di autore sulle opere donate, i quali attengono ad un aspetto diverso ed attinente ad una sfera personale e morale assai delicata.
Il suddetto dato, che emerge nitidamente dagli atti, non può allo stato essere superato dalla “interpretazione” dell’atto di donazione proposta dalla resistente, in quanto inidonea a surrogare l’assenza formale di un patto espresso in tal senso. La circostanza che la Lai abbia utilizzato il termine “assegna” in luogo di “dona”, è inconcludente rispetto al preteso trasferimento dei diritti di esclusiva; né le conclusioni possono mutare facendo riferimento alla destinazione funzionale delle opere agli scopi della Fondazione, non essendovi alcuna contraddizione tra l’aver donato alla fondazione importanti lavori, aver istituito l’ente con compiti di diffusione e valorizzazione delle opere dell’artista ed aver riservato a sé (e conseguentemente all’erede i diritti di esclusiva sulle predette opere); ed ancora, ulteriori e convincenti argomenti non paiono potersi trarre dalla circostanza che il patrimonio della fondazione sia costituito dalle opere donate, dal reddito potenzialmente derivante dalle stesse e dai proventi eventualmente realizzati dalle ricerche, studi, mostre e altre iniziative svolte
dalla Fondazione, posto che anche i suddetti elementi sono perfettamente compatibili con la volontà di riservare a sé i diritti di esclusiva sulle immagini delle opere. Resta dunque il dato formale del negozio testamentario che, allo stato, non pare scalfito dalla circostanza che parte significativa della produzione artistica di Maria Lai sia stata donata e spetti alla
Fondazione resistente.
Quanto sopra è assorbente (rispetto a tutte le ulteriori deduzioni coinvolgenti la posizione della SIAE, i presunti dissidi della Lai con la Fondazione, gli ingenti investimenti del Comune di Ulassai) per ritenere che la ricorrente, sulla base del negozio testamentario vanti i diritti d’autore su tutte le opere dell’artista Maria Lai, anche su quelle nella proprietà della Fondazione resistente.
2.2 Ciò posto, occorre rilevare che rispetto alla pubblicazione dei volumi “Sguardo opera pensiero”, “Fuori era Notte”, “I luoghi dell’arte a portata di mano”, “Come un gioco”, “Curiosape”, “Tenendo per mano il Sole”, “Tenendo per mano l’ombra”, la domanda si appalesa comunque infondata, essendo stata rivolta nei confronti della Fondazione Stazione dell’Arte, senza che allo stato vi sia alcun riscontro in ordine ad una qualche responsabilità della stessa nella pubblicazione o riproduzione di tali volumi, nelle accezioni rilevanti ai fini della violazione del diritto d’autore. I libri sopra indicati risultano editi dalla Arte Duchamp con la Arti grafiche Pisano (estranee al giudizio), in un’epoca in cui la Fondazione non era stata neppure costituita (i volumi risultano editi nel biennio 2002-2004, la Fondazione è stata costituita nell’ottobre del 2004).
Né la ricorrente ha offerto ulteriori riscontri sul punto: tali non possono essere le difese svolte dalla Casa editrice Art Duchamp in precedente giudizio cautelare, cui era rimasta estranea la Fondazione, per la ragione assorbente che tali difese hanno riguardato un solo specifico caso, quello della edizione de “Il Dio distratto” e non possono essere estese, sic et simpliciter a tutti i rimanenti volumi.
Del resto, in assenza di un effettivo ed oggettivo riscontro in ordine all’assunto, secondo cui, la Fondazione avrebbe rivestito il ruolo di co-editore o comunque un ruolo allo stesso equiparabile in relazione alla pubblicazione di tali volumi, l’emissione del provvedimento inibitorio avrebbe come destinatario principale un soggetto che è rimasto completamente estraneo al giudizio, in quanto non convenuto Allo stato degli atti, deve pertanto escludersi la responsabilità della resistente in relazione alla violazione dei diritti di esclusiva con riferimento ai volumi in questione, potendo e dovendo trovare applicazione ai presenti fini, il principio espresso dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione, con riguardo alla posizione di chi si limita a commerciare un’opera illegittimamente riprodotta, secondo cui: “Se è vero che il diritto di autore, anche nel suo profilo economico, esige una tutela forte, è anche vero che i singoli soggetti della catena commerciale, estranei alla abusiva riproduzione, non possono essere gravati di troppo pesanti oneri di controllo, tanto più che la tutela viene comunque almeno in parte realizzata sotto il profilo “oggettivo” della distruzione o della aggiudicazione degli esemplari reperiti. Le esposte considerazioni valgono anche ad escludere contraddittorietà fra l’orientamento giurisprudenziale ribadito con la presente sentenza ed altra decisione di questa stessa Corte (la n. 2364 del 1988) richiamata dalla ricorrente, in cui ‘e affermato che la tutela del marchio di esprime non solo contro chi abusivamente lo appone sui prodotti, ma anche nei confronti di chi, estraneo alla prima operazione, fa commercio dei prodotti medesimi. Infatti, mentre nel caso ora in esame il problema si sostanzia nella contrapposizione fra interesse dei commercianti (estranei all’iniziale illecito) a non vedersi gravati di eccessivi oneri di controllo ed interesse dell’autore alla piena realizzazione del profilo economico del suo diritto, nel caso invece del marchio viene in rilievo, accanto all’interesse del titolare del segno distintivo e a quello dei commercianti estranei alla contraffazione, l’ulteriore e primario interesse alla genuinita’ del mercato e alla salvaguardia dei
consumatori.” Alla luce delle deduzioni sviluppate dalla ricorrente nelle note, pare inoltre opportuno precisare che, quanto argomentato in relazione al volume “Maria Lai ABC: Sguardo Opera Pensiero” (cfr. pagina 10 delle note di replica del 2.10.2020), non trova riscontro nel volume prodotto quale documento 13
– che contiene un piccolo libro intitolato “Sguardo Opera Pensiero”, contenente aforismi e pensieri dell’artista e che risulta edito dalla Art Duchamp nel 2004 – rispetto al quale valgono le considerazioni sopra svolte circa l’assenza di un coinvolgimento della Fondazione rispetto alla riproduzione di tali testi. Ed occorre altresì aggiungere che, in relazione al volume “Il Dio Distratto” – oggetto dell’ordinanza inibitoria resa in data 25/7/2019 dal Tribunale Civile di Cagliari, Sezione specializzata in materia di impresa, RG. 3235/2019, giudice Enzo Luchi –, le doglianze della ricorrente avanzate in ricorso sull’inottemperanza della Fondazione al provvedimento del Tribunale, a seguito delle difese della Fondazione, che ha rappresentato di aver prontamente disposto il ritiro del volume, sia dal proprio bookshop presso il Museo, sia dalla propria “vetrina” online, non sono state ulteriormente replicate, dovendo in proposito ravvisarsi una cessazione della materia del contendere, con la conseguenza che nulla deve sul punto statuirsi.
2.3 Considerazioni diverse devono invece svolgersi in relazione agli ulteriori volumi prodotti dalla ricorrente, ovvero “I Maestri della Terra”, nelle due edizioni proposte nel maggio del 2016 (l’una con copertina bianca, l’altra con copertina nera) ed “Il Museo sotto il cielo” pubblicato nel 2019. Rispetto a tali pubblicazioni deve infatti ritenersi che le ragioni della ricorrente siano pienamente assistite dal fumus boni
juris.
2.3.1 A fronte delle contestazioni della Fondazione, che assume che i suddetti volumi non rientrano nel petitum cautelare del giudizio, essendo stati prodotti dalla ricorrente solo con le note di replica, occorre preliminarmente rilevare che non si ravvisa sul punto alcuna illegittima estensione della domanda.
La ricorrente ha agito in giudizio in via d’urgenza per chiedere tutela del proprio diritto d’autore, assumendo che la resistente in via stragiudiziale aveva posto in essere comportamenti volti ad arrogarsi indebitamente tale diritto; ed il thema decidendum del procedimento come poi profilatosi a seguito delle difese svolte in giudizio dalla Fondazione attiene alla stessa titolarità dei diritti di esclusiva riguardanti le opere ricevute in donazione dall’artista. In tale contesto, deve ritenersi che il riferimento ai volumi oggetto della richiesta di cautela sia niente di più che un riferimento empirico della domanda di inibitoria ex art. 156 L.d.a. formulata, che non è stata ristretta all’elenco di libri individuato nelle conclusioni, ma è stata estesa a “tutte le pubblicazioni esistenti poste dalla Fondazione Stazione dell’Arte in distribuzione ed in commercio”. Stando così le cose, e posto che il procedimento cautelare non si caratterizza per preclusioni istruttorie, l’indicazione degli ulteriori volumi prodotti con le note (rispetto ai quali le resistenti hanno svolto ampie difese nel merito) non altera la domanda cautelare proposta, né comporta una sua inammissibile estensione.
2.3.2 Ciò posto, occorre evidenziare che la tesi delle resistenti, riprodotta anche in relazione ai volumi in questione, secondo cui le stesse non sarebbero (in definitiva) legittimate passive dell’azione inibitoria proposta, in quanto avrebbero semplicemente commercializzato un prodotto edito da una casa editrice terza – la quale sola potrebbe essere la destinataria passiva della doglianza – non convince. Rispetto a tali riproduzioni deve infatti essere adeguatamente valorizzato il ruolo che la Fondazione Stazione dell’Arte ha assunto nelle stesse pubblicazioni contestate, dovendosi allo stato ritenere ampiamente riscontrata la circostanza che per questi tre volumi, essa è stata la vera promotrice della pubblicazione, come dimostrato dall’apposizione del logo della Fondazione sulle copertine (nonché nelle pagine iniziali e finali) dei libri e dalle stesse “presentazioni” contenute in apertura dei cataloghi
(a firma di membri dello staff della Fondazione). In tale contesto, al contrario di quanto opinato dalla Fondazione, il ruolo della casa editrice che ha materialmente curato la confezione degli scritti, pare all’evidenza essere stato quello di mera esecutrice materiale di una condotta illecita consumatasi a
monte, con la pretesa della resistente di esercitare indebitamente i diritti di riproduzione alle immagini delle opere dell’artista.
2.3.3 Rispetto a tali volumi, deve inoltre ritenersi sussistente anche l’ulteriore presupposto del periculum in mora, da rinvenirsi nello stesso comportamento della resistente, che manifesta la pretesa di poter liberamente esercitare i diritti di esclusiva sulle opere dell’artista. Il valore economico complessivo dei cataloghi non è particolarmente ingente, ma tanto non esclude di dovere attribuire alla condotta delle resistenti un potenziale effetto di pregiudizio irreparabile ove le condotte censurate non fossero tempestivamente inibite. È innegabile che il tempo necessario per lo svolgimento di un’eventuale causa di merito e la possibilità di ulteriore espansione di tali condotte, determinerebbe quantomeno un aggravarsi del danno, connesso al persistere dell’illecito e nella difficoltà di una precisa quantificazione dello stesso. In questa prospettiva, può ritenersi che le violazioni dell’opera intellettuale altrui comportino un pericolo nel ritardo rappresentato dalla prosecuzione dell’attività censurata appunto nelle more del giudizio di merito, idonea a radicare un pregiudizio difficilmente risarcibile, anche perché di difficile previsione.
2.5 Quanto alla cautela da concedere, a fronte della richiesta della *** di inibizione alle resistenti di produzione e distribuzione dei volumi, di ritiro dal commercio di quelli esistenti e di pubblicazione del provvedimento cautelare, con fissazione di una somma per le violazioni o per ogni ritardo nell’esecuzione del provvedimento, ritiene questo giudice di dovere accordare quanto richiesto – in relazione (per quanto sopra chiaritosi) ai volumi “I Maestri e la Terra”, in entrambe le edizioni prodotte, ed al volume “Il Museo sotto il Cielo” – disponendo la pubblicazione del provvedimento, per estratto, su uno due maggiori quotidiani a diffusione regionale e su uno tra il Corriere della Sera e la Repubblica (a scelta delle resistenti), risultando tali misure del tutto sufficienti ad eliminare ogni pregiudizio effettivo.
***
Le spese seguono la soccombenza. Le resistenti devono pertanto essere condannate alla rifusione in solido delle spese di lite sostenute dalla ricorrente, che vengono liquidate (in applicazione dei parametri medi stabiliti per i procedimenti cautelari a complessità media, tenendo conto della sostanziale assenza di una fase istruttoria autonoma) in Euro 4.454,00 oltre spese generali ed accessori.
P.Q.M.
visto l’art. 669 octies c.p.c.
1) inibisce alle resistenti l’ulteriore commercializzazione, distribuzione o diffusione, in qualunque forma o a qualsiasi titolo, dei volumi intitolati I Maestri e la Terra e Il Museo sotto il Cielo; 2) ordina il ritiro dal commercio di tutti i volumi esistenti; 3) fissa la somma di euro 80,00 a titolo di penale per ogni volume eventualmente diffuso, ceduto e/o commercializzato in violazione dell’inibitoria di cui al capo 1; 4) ordina la pubblicazione per estratto (intestazione e dispositivo) del presente provvedimento sui quotidiani La Nuova Sardegna o L’Unione Sarda e sui quotidiani Corriere della Sera o la Repubblica entro il 2.3.2021; 5) fissa la somma di euro 40,00 a titolo di penale per ogni giorno di ritardo della pubblicazione (anche in uno solo dei quotidiani) di cui al capo che precede; 6) condanna i resistenti, in solido tra loro, al pagamento a favore della ricorrente delle spese di lite, che liquida in Euro 4.454,00 oltre spese generali ed accessori.
Sul punto cfr. anche P. Mignani, Musei e valorizzazione delle collezioni: questioni aperte in tema di sfruttamento dei diritti di proprietà intellettuale sulle immagini delle opere, in Riv. Dir. Ind., 2016, 6, p. 215. ↑
Per approfondire il tema del bilanciamento del diritto d’autore con altri diritti, cfr. G. Finocchiaro, L’equilibrio titolare/users nel diritto d’autore dell’unione europea, in Diritto dell’Informazione e dell’Informatica, 2016, II, 3, p. 499 ss. ↑
L. C. Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, 7a ed., Padova, 2019, p. 1686 ss. ↑
Come del resto avviene anche in altri ordinamenti giuridici, ad esempio nell’ordinamento statunitense alla Sec. 102 del Copyright Act del 1976 si dà un elenco esemplificativo di ciò che può costituire un’opera d’ingegno. In entrambi gli ordinamenti il presupposto delle norme rimane l’interesse del legislatore a remunerare il lavoro creativo, cfr. sul punto G. Colangelo, Diritto comparato della proprietà intellettuale, Bologna, 2011, p. 21. ↑
Si discute se la prova debba ritenersi raggiunta solo con la produzione del contratto ovvero se possano essere sufficienti uno o più documenti che attestino o presuppongano l’esistenza di un accordo attributivo dei diritti di utilizzazione economica, cfr. L. C. Ubertazzi, Commentario, cit., p. 2156. ↑
Nello stesso senso Corte d’Appello Roma 08/02/1993, così massimata in Dejure.it: «la riproduzione fotografica di un’opera pittorica costituisce una forma di utilizzazione economica concretante il diritto esclusivo di riproduzione di cui all’art. 13 della legge sul diritto d’autore del quale l’autore resta titolare anche in caso di cessione dell’opera. L’esercizio del diritto del proprietario di un quadro di esporlo in una mostra non comporta l’esclusiva di riproduzione autonomamente facente capo all’autore. Una siffatta soluzione del conflitto tra diritto del proprietario e diritto dell’autore non si ritorce in una lesione degli interessi generali relativi al libero accesso alla cultura, atteso che l’attribuzione del diritto esclusivo di riproduzione al proprietario dell’opera, anziché all’autore, non sembra implicare alcuna sostanziale modificazione sull’assetto degli interessi perseguito dal legislatore per realizzare un equilibrio tra i diritti di utilizzazione economica dell’opera e gli interessi culturali della collettività». ↑
V. M. Sessa, La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, in Foro Amm., 2001, 4, p. 1029. ↑
V. M. Sessa, o.l.c. ↑
Sulla inapplicabilità dell’art. 70 della Legge sul diritto d’autore quando non si è in presenza della sola finalità critico- didattica ma anche economica cfr. V. M. Sessa, o.l.c. e in giurisprudenza Cass. 19 dicembre 1996, n. 11343 in DeJure.it, Trib. Reggio Emilia, 14/06/2004, in DeJure.it. ↑
A. Gambaro, Ontologia dei beni e jus excludendi, 2010, p. 1 ss., disponibile al seguente link http://www.comparazionedirittocivile.it/sezioni.asp?cod_cat=35&nome_cat=Atti%20di%20convegni%20e%20seminari, da ultimo consultato il 28/01/2022. ↑
A. Iannarelli, “Proprietà”, “immateriale”, “atipicità”: i nuovi scenari di tutela, in G. Resta (a cura di), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Torino, 2011, p. 79 ss. e A. Gambaro, Ontologia, cit., p. 2. ↑
L. Moccia, Il modello inglese di proprietà, in aa. vv., Diritto privato comparato. Istituti e problemi, Roma-Bari, 2008, p. 50 ss. ↑
L. Moccia, o.l.c. ↑
L. Moccia, o.l.c. ↑
Il testo dell’accordo è consultabile presso il seguente link: https://www.uibm.gov.it/attachments/Accordo_trips.pdf, da ultimo consultato il 28/01/2022. ↑
La formulazione letterale della norma ha suscitato alcune critiche, cfr. G. Resta, Nuovi beni immateriali e numerus clausus dei diritti esclusivi, in G. Resta (a cura di), Diritti, cit., p. 3 ss. ↑
A. Gambaro, Ontologia, cit., p. 2. ↑
Sulle giustificazioni della proprietà intellettuale cfr. M. K. Lemley, Ex Ante Versus Ex Post Justifications for Intellectual Property, in University of Chicago Law Review, 2004, 71, p. 129. È altresì molto diffusa la pratica da parte dei musei di permettere la riproduzione delle opere dagli stessi esposte soltanto attraverso contratti che autorizzano la riproduzione esclusivamente in determinate modalità, per evitare una rappresentazione o un uso sbagliato dell’immagine e dunque per mantenere alto il prestigio del museo stesso, per un approfondimento sul punto cfr. K.D. Crews, M.A. Brown, Control of museum art images: the reach and limits of copyright and licensing, in The structure of intellectual property law, a cura di A. Kur, V. Mizaras, Cheltenham, p. 269 ss. ↑
A. Iannarelli, “Proprietà”, cit., in G. Resta, Diritti, cit., p. 97 ss. ↑
Tale espressione viene utilizzata da A. Gambaro, Ontologia, cit., p. 9. ↑
G. Hardin, The tragedy of the commons, in Science, New Series, 1968, 162, p. 1243 ss. ↑
G. Hardin, o.l.c. ↑
M. Heller, The Tragedy of the Anticommons: A Concise Introduction and Lexicon, in The modern law review, 2013, 76, p. 8. ↑
G. Hardin, The tragedy of the commons, cit., p. 1244 ss. ↑
G. Hardin, The tragedy of the commons, o.l.c. ↑
M. Heller, The tragedy of the Anticommons, cit., p. 10. ↑
G. Hardin, The tragedy of the commons, cit., p. 7. ↑
M. Heller, The tragedy of the Anticommons, cit., pp. 6 e 21. ↑
M. Boldrin, D.K. Levine, Against intellectual monopoly, Cambridge, 2008, p. 15 ss. ↑
M.K. Lemley, Ex Ante, cit., p. 11. ↑
Sul punto va segnalato, tuttavia, come la recente direttiva del 17 aprile 2019, n. 790 del Parlamento europeo e del Consiglio, cui si è data attuazione nel nostro ordinamento giuridico col d. lgs. 8 novembre 2021, n. 177 sembri riconoscere una protezione ancora più pervasiva dei diritti di utilizzazione economica a scapito della diffusione di idee e di opere; si veda ad esempio il nuovo art. 102 sexies della Legge sul diritto d’autore che richiede che le piattaforme digitali sulle quali siano caricati da utenti esterni opere debbano domandare l’autorizzazione dei titolari del diritto di autore sulle opere messe a disposizione del pubblico, anche mediante la conclusione di accordi di licenza e anche qualora gli utenti non agiscano per scopi commerciali ovvero laddove la loro attività non generi ricavi significativi, per cui sembrerebbe che, con tale disposizione, si vada di fatto ad indebolire il disposto dell’art. 70 della Legge sul diritto d’autore, quantomeno in punto di caricamento sulle piattaforme digitali di contenuti con finalità di insegnamento o di ricerca scientifica. ↑