Opere d’arte in cerca d’autore.

Ovverosia: la soggettività giuridica al tempo dell’intelligenza artificiale.

Michele Giaccaglia

Assegnista di ricerca dell’Università Politecnica delle Marche

Le nuove tecnologie hanno imposto ai giuristi una profonda rimeditazione delle categorie giuridiche sulla base delle quali si era abituati a ragionare. Così sta accadendo anche per il diritto d’autore, branca del diritto all’interno della quale l’intelligenza artificiale ha scosso dalle fondamenta le tradizionali definizioni di originalità e autorialità, suscitando interrogativi e problematiche di non agevole soluzione. Con il presente saggio si tenterà di inquadrare, pur brevemente, le varie questioni in discussione, affrontando alcune delle soluzioni proposte dagli studiosi, per concludere con l’invito a non abbandonare le pregevoli elaborazioni già da tempo fornite dagli interpreti.

 New technologies have forced jurists to profoundly rethink the legal categories based on which we used to reason. The same is happening for copyright, a branch of law in which artificial intelligence has shaken the traditional definitions of originality and authorship to their foundations, raising questions and problems that are not easy to solve. With this essay we will try to frame, briefly, the various issues under discussion, addressing some of the solutions proposed, to conclude with an invitation not to abandon the valuable elaborations already provided for some time by the interpreters.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Gli attuali confini del diritto d’autore e l’evoluzione tecnologica. – 3. Il (falso?) problema della originalità. – 4. Il (falso?) problema della personalità giuridica. – 5. Il (vero?) problema di politica economica del diritto. –  6. Conclusioni.

1. Come noto, quella del diritto d’autore è una specializzazione giuridica risalente nel tempo, seppur non formalizzata sin dalle sue antiche origini[1]. Come tale, si è sempre evoluta di pari passo con i meccanismi che consentivano la riproduzione delle opere[2], ed è quindi anch’essa indissolubilmente legata all’evoluzione tecnologica[3].

Sebbene non manchino importanti ed autorevoli ricostruzioni che collocano la nascita del diritto d’autore in tempi assai risalenti[4], difficilmente si può contestare la circostanza che fu l’invenzione della stampa, con la conseguente estrema facilità di circolazione delle opere ed il correlativo aumento di redditività delle stesse, a dare impulso fondamentale a questo strumento di tutela giuridica[5].

Il diritto d’autore nasce dunque, si potrebbe dire, con la stampa, e si evolve con il fonografo, il grammofono, e poi il cinema, la radio, la televisione, il computer. Tutti mezzi di riproduzione che hanno posto nuove problematiche agli studiosi, in quanto consentivano e consentono la diffusione di opere artistiche sempre più a basso costo[6].

Con la diffusione dei sistemi di intelligenza artificiale[7], invece, ci si trova al cospetto non più di uno strumento per la diffusione delle opere artistiche ma, bensì, di un mezzo attraverso il quale l’autore può essere affiancato nella creazione o, addirittura, è la macchina stessa a creare[8]. La tecnologia, insomma, ha profondamente modificato i concetti di creazione[9], distribuzione[10], proprietà[11] e circolazione delle opere d’arte[12].

2. Come noto, scopo della normativa sul diritto d’autore è quella di tutelare le opere dell’ingegno di carattere creativo riguardanti le scienze, la letteratura, la musica, le arti figurative, l’architettura, il teatro, la cinematografia, la radiodiffusione e, da ultimo, i programmi per elaboratore e le banche dati, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.

Il diritto d’autore comprende tanto il diritto morale d’autore così come il diritto patrimoniale d’autore, e la disciplina di tali situazioni soggettive si rinviene, oltre che nel c.c., anche nella l. n. 633/1941.

In breve: il diritto morale d’autore è un diritto personale, inalienabile e intrasmissibile e consente al suo titolare di rivendicare la paternità dell’opera, di opporsi a qualsiasi modificazione o utilizzo della stessa che possa pregiudicare l’onore e la reputazione dell’autore; mentre il diritto patrimoniale d’autore attribuisce al suo titolare l’esclusivo sfruttamento economico dell’opera protetta, per il tramite di varie facoltà, che possono peraltro essere oggetto di contratti di cessione e/o di licenza, quali quelle di riproduzione, distribuzione e rielaborazione dell’opera.

Uno dei principali obiettivi che si prefigge il legislatore con la disciplina del diritto d’autore, e più in generale con quella della proprietà intellettuale, è quello di dare un impulso alla creazione di nuove tecnologie e di nuove opere d’arte per il tramite di un riconoscimento, morale e patrimoniale, dell’attività dell’autore.

Per l’appunto, i diritti morali e patrimoniali d’autore sono lo strumento attraverso il quale il legislatore persegue lo scopo sopra menzionato, mediante il quale quello che potrebbe essere definito un sistema di ricompensa del merito e del lavoro dell’autore che funziona mediante l’attribuzione di diritti esclusivi.

Il diritto morale d’autore viene attribuito all’autore per il semplice fatto della creazione dell’opera[13]; mentre i diritti patrimoniali d’autore sono quelli che consentono al loro titolare di ottenere un riconoscimento economico per l’utilizzo che i terzi facciano dell’opera d’arte.

Per limitarsi in questa sede alla normativa nazionale[14], i diritti morali, irrinunciabili e inalienabili, sono disciplinati dagli artt. 20-24 della legge n. 633/1941; mentre i diritti patrimoniali, di distribuzione, riproduzione, comunicazione e trasformazione dell’opera, sono disciplinati dagli artt.  12-19 della stessa legge.

L’art. 1 della legge sul diritto d’autore afferma che sono protette tutte le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione.

L’art. 6 sancisce poi che il titolo originario dell’acquisto del diritto di autore è costituito dalla creazione dell’opera, quale particolare espressione del lavoro intellettuale e, sebbene non sia indicato in maniera esplicita che tale soggetto può essere solamente una persona fisica, vi sono una serie di indici normativi che consentono di ritenere sussistente una vera e propria presunzione di “umanità” dell’autore dell’opera d’arte.

Oltre al requisito espressamente richiesto dall’art. 1 affinché l’opera possa essere sottoposta alla tutela di cui alla legge sul diritto d’autore, e cioè quello della creatività, l’opera deve essere caratterizzata dalla novità e dalla originalità[15]. È dunque possibile che concetti come creatività, originalità, individualità, ingegno e personalità, possano essere riferiti ad una macchina piuttosto che all’autore persona fisica[16]?

Ancora, la locuzione “lavoro intellettuale”, di cui all’art. 6 della l. 633/1941 e di cui all’art. 2576 c.c., oppure quella “vita dell’autore”, “settantesimo anno solare dopo la sua morte”, o “ai suoi aventi causa” di cui agli artt. 25 l. 633/1941 e 2580 c.c., possono far propendere per l’estensione in capo alle macchine intelligenti della tutela apprestata dalla legge sul diritto d’autore[17]?

La questione, dunque, se sia possibile attribuire il diritto morale e patrimoniale d’autore alla macchina, osservando la normativa del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, sembra lasciare effettivamente pochi spazi di manovra per il giurista.

La questione che concerne l’opportunità di attribuire la soggettività giuridica ai software che svolgono attività (para) umana non è certo nuova nel panorama giuridico recente, ed è di enorme rilevanza per le conseguenze che potrebbe comportare nell’ambito della creazione e della tutela delle opere d’arte, stante le capacità produttive pressoché illimitate che hanno le moderne intelligenze artificiali[18]. Sono ormai da tempo all’ordine del giorno notizie di softwares che si cimentano nella scrittura[19], nella creazione di opere[20], nella soluzione di particolari problemi tecnici[21], e la dottrina si interroga sulle questioni giuridiche che scaturiscono da tale attività delle macchine. 

3. L’intelligenza artificiale potrebbe essere considerata autore dell’opera? L’opera creata dall’intelligenza artificiale può essere considerata, se del caso, originale?

Sosteneva Turing che chiedersi se una macchina possa pensare come un essere umano non abbia alcun senso perché nessuno sa come pensa un essere umano, concludendo che l’intelligenza artificiale (a suo dire negli anni 2000) sarebbe diventata indistinguibile dall’intelligenza umana[22].

Per la verità, soprattutto in campo artistico, è difficile sostenere l’equivalenza dell’intelligenza artificiale con gli esseri umani.

La creazione artistica, infatti, viene considerata quasi alla stregua di un’attività spirituale, come tale riservata alla mente umana. L’opera d’arte sarebbe sempre e solo frutto raffinato dell’intelligenza e, soprattutto, della sensibilità umana, e dunque autore “è colui che esprime sé stesso”[23].

Inoltre, una abissale differenza tra intelligenza umana e artificiale viene generalmente individuata nella totale assenza di coscienza della macchina. Senza coscienza, l’intelligenza artificiale non ha uno scopo, non ha una volontà, e non comprende il significato delle attività che svolge[24].

In tale ottica, le intelligenze artificiali non potrebbero mai essere autori né tantomeno originali, nonostante esistano, come si è rapidamente visto, sistemi intelligenti che creano musica, opere grafiche, scrivono romanzi, e via dicendo.

È vero che, come è stato giustamente osservato[25], l’artista, per essere considerato tale (e di conseguenza l’opera, per essere considerata originale) non deve essere capace di intendere e di volere, non potendosi altrimenti spiegare l’attribuzione dell’opera a soggetti che, nel momento della creazione, erano naturalmente incapaci[26].

In ogni caso, la soluzione del problema dell’attribuzione dell’opera d’arte alle intelligenze artificiali non passa, ad avviso di chi scrive, per il tramite dell’accertamento di loro qualità umane giacché tale circostanza, anche qualora si volessero accogliere le tesi di chi ritiene sia già possibile programmare la coscienza in un software[27], non potrebbe in ogni caso portare a riconoscere, nella macchina, l’autore.

4. La questione, invero, si gioca su tutto un altro campo, seppure questa discussione sia (anche) la conseguenza del confronto tecnico filosofico tra mente elettronica e mente umana.

E riguarda il problema della sempre più massiccia presenza di intelligenze artificiali nella nostra vita quotidiana, che ha portato alcuni a considerare la possibilità di personalizzare la loro possibile soggettività, creando un vero e proprio statuto giuridico specifico per questi (s)oggetti[28], attribuendo alle intelligenze artificiali la soggettività giuridica[29].

L’idea ha cominciato ad essere seriamente discussa in Europa[30] dopo la assai nota Risoluzione del Parlamento Europeo del 16 febbraio 2017, con raccomandazioni alla Commissione sulle norme di diritto civile in materia di robotica, che ha introdotto al punto 59 lett. f) l’idea di creare uno specifico ordinamento giuridico personalità per i robot, in modo che almeno i robot autonomi più complessi possano essere considerati persone elettroniche responsabili della riparazione dei danni che possono causare[31].

Queste affermazioni sono state prese come base per la costruzione di una nuova “robotica delle persone”, dimenticando, in realtà, che il (falso, anche questo) problema che la Risoluzione rappresentava e opinava di risolvere con tali proposte era quello della responsabilità per i danni causati da sistemi intelligenti.

Peraltro, l’idea è stata poi immediatamente abbandonata già nel successivo Parere del Comitato economico e sociale europeo su «L’intelligenza artificiale — Le ricadute dell’intelligenza artificiale sul mercato unico (digitale), sulla produzione, sul consumo, sull’occupazione e sulla società» (2017/C 288/01), laddove, al punto 1.12 esplicitamente afferma che “Il CESE è contrario a introdurre una forma di personalità giuridica per i robot o per l’IA. In tal modo verrebbe infatti compromesso l’effetto di correzione preventiva della nozione di responsabilità giuridica, con possibilità di azzardo morale, sia nello sviluppo che nell’impiego dell’IA, e conseguentemente di abusi”.

Ancora, il Rapporto sulla Responsabilità per l’Intelligenza Artificiale e altre tecnologie emergenti, reso il 27 novembre 2019 dalla Direzione generale della Giustizia e dei consumatori, dal Gruppo di esperti su responsabilità e nuove tecnologie e Commissione europea, espressamente si è affermato che: “Non è necessario conferire personalità giuridica a dispositivi o sistemi autonomi, in quanto i danni che possono causare possono e devono essere imputabili a persone od organismi esistenti”[32]. In sostanza, il gruppo di esperti ha ritenuto la mera ipotesi che i robot abbiano lo status legale di persone elettroniche un’idea senza senso, ideologica e non pragmatica, sostenendo la propria posizione sulla scorta del già citato Parere del Comitato economico e sociale europeo (CESE) sull’intelligenza artificiale, e quanto affermato dalla World Commission on the Ethics of Scientific Knowledge and Technology (COMEST UNESCO) in un rapporto del 2017[33].

Sulla stessa falsariga, e ancora più nettamente, la Risoluzione del Parlamento europeo recante raccomandazioni alla Commissione su un regime di responsabilità civile per l’intelligenza artificiale, laddove viene chiarito che la gestione della responsabilità per danno cibernetico non richiede la formazione di una personalità giuridica nelle macchine ma giustamente stabilisce tra i principi cardine l’obbligo di polizza assicurativa secondo i parametri per i risarcimenti stabiliti nel regolamento.

E, infine, la Proposta di regolamento contenente norme armonizzate sull’intelligenza artificiale (Artificial Intelligence Act), del 21 aprile 2021, che rappresenta forse il primo vero quadro giuridico sull’intelligenza artificiale, che si pone l’obiettivo di garantire un mercato interno ben funzionante per i sistemi di intelligenza artificiale in cui sia i benefici che i rischi dell’IA siano adeguatamente affrontati a livello di Unione. Con tale proposta la Commissione presenta una Bozza di Regolamento di diritto europeo sull’IA, regolando in 85 articoli i vari aspetti di questa tecnologia, e non vi è assolutamente traccia, in tale proposta, dell’idea di una personalità elettronica.

Ecco perché, di fronte a questo panorama, a maggioranza degli autori ritiene che i sistemi intelligenti, sia che si tratti di software che operano all’interno di un comune hardware, sia che si tratti di veri e propri robot androidi, non possano e non debbano avere personalità giuridica[34].

In sostanza, il fatto che la personalità giuridica, così come avvenuto per gli enti, sia categoria dogmatica teoricamente attribuibile anche ai robot, non deve far concludere per la necessità di attribuirla.

Ma a tale conclusione, a mio avviso, non si deve addivenire riconducendo tutta la questione ad una sorta di dilemma morale-filosofico, pur interessante, ma avulso dal contesto strettamente dogmatico-giuridico. In sostanza, non va solamente contrapposta, all’opzione di riconoscere personalità giuridica ai robot in virtù del fatto che tali macchine sono intelligenti e presto avranno una coscienza, quella di escludere tale riconoscimento sulla scorta del fatto che intelligenza e coscienza sono e saranno sempre qualità esclusivamente umane.

Più propriamente, invece, a tali considerazioni vanno da un lato aggiunte quelle relative al fatto che il riconoscimento di diritti dovrebbe essere accompagnato dall’imposizione di obblighi e doveri, il che è difficilmente realizzabile con i robot; ed anche quelle che riguardano il pericolo che l’eventuale riconoscimento di soggettività a questi sistemi potrebbe comportare una vera e propria fuga dalla responsabilità dalle persone fisiche. Ma soprattutto quelle relative alla categoria stessa della soggettività giuridica, che è concetto funzionale all’attribuzione di situazioni giuridiche soggettive che, nel caso dell’intelligenza artificiale, difficilmente sarebbero ricollegabili alla macchina anziché al programmatore, al produttore o all’utilizzatore, in virtù del loro sempre necessario intervento[35], anche se in certi casi anche in una fase assai anteriore rispetto a quella della creazione dell’opera[36]. Ed anzi, non sembra neanche sia necessario il ricorso ad una finzione[37] per riconoscere che dietro l’automazione del software incorporato nella macchina, guidata dal codice, vi è sempre l’uomo. Non sarà, dunque, necessario ragionare «come se» l’atto creativo fosse posto in essere (quantomeno anche) da una persona fisica, perché esso «è» concretamente posto in essere da questa, dal momento in cui ha deciso di ricorrere al software quale strumento per la creazione[38].

5. Ecco che, allora, una volta messa da parte, quantomeno per il preciso momento storico in cui ci troviamo, la questione relativa all’attribuzione di soggettività giuridica alle intelligenze artificiali, si schiude dinanzi all’interprete il vero problema.

Se la creazione di un’opera d’arte comporta la nascita di diritti morali e materiali d’autore, e la risposta positiva non è comunque da ritenere scontata[39],  vi è da chiedersi a chi spettino tali diritti: i) al produttore; ii) al programmatore; oppure iii) all’utilizzatore.

Volendo sintetizzare al massimo[40],  la soluzione che attribuisse al produttore i diritti autoriali rischierebbe, da un lato, di retribuire doppiamente un soggetto che già riceve il proprio compenso in virtù della commercializzazione che fa del prodotto (software) e che, in ogni caso, vede collocarsi il suo operato in un momento antecedente rispetto alla creazione dell’opera, e comunque ininfluente rispetto alla stessa

Per quanto attiene al programmatore, invece, questi da un lato, come il produttore, o riceve già il suo compenso sulla scorta dei scorta dei diritti di proprietà intellettuale che gli spettano sul software; oppure, se il mero utilizzo del programma in questione (id est mediante la semplice accensione o attivazione) generasse l’opera, sarebbe egli stesso l’autore.

Poiché, invece, nella maggior parte dei casi, dopo l’intervento del produttore e del programmatore vi è un soggetto che utilizza il software, e purché il suo utilizzo non si riduca alla mera attivazione dello stesso di cui sopra, a me pare che i diritti autoriali, se sussistenti, vadano riconosciuti in capo a quest’ultimo.

Una volta arrivati a questo punto, allora, si dovrebbe affrontare l’enorme questione relativa alla tutela ed alla promozione della creatività, così come a quella che attiene alle esternalità negative prodotte dal riconoscimento di tutela autoriale alle opere create dalle intelligenze artificiali[41].

Ma queste sono, come indicato nel titolo del presente paragrafo, questioni che necessiterebbero di ben altre consapevolezze teoriche per essere affrontate funditus, e che ci allontanerebbero dallo scopo che si prefiggeva il presente scritto, ovverosia quello di negare (almeno per ora) cittadinanza all’idea che debba farsi ricorso alla soggettività giuridica per garantire la creazione delle intelligenze artificiali.

6. Il richiamo, nel titolo, all’antefatto di uno dei più celebri e fortunati romanzi di Luigi Pirandello, che si apre con l’irruzione dei sei personaggi (in cerca d’autore) su un palcoscenico già gremito, si attaglia al senso di smarrimento che il giurista avverte dinanzi all’incedere del fenomeno tecnologico.

Come si è visto, per il tramite dell’evoluzione tecnologica (anche) l’attività artistica, e con essa il suo risultato, l’opera d’arte, hanno oltremodo superato i confini che il legislatore, in un passato che sembra oggi già lontanissimo, aveva per esse delineato[42].

La comparsa di macchine (sempre più) intelligenti, che sono capaci di imitare la mente umana e le sue abilità anche “creando” opere artistiche, sta obbligando i giuristi ad uno sforzo di comprensione e interpretazione.

Con il presente scritto si è cercato di spiegare perché il riconoscimento di nuove soggettività giuridiche non sia ad oggi una soluzione necessaria, in quanto prematura e, comunque, forse non indispensabile alla risoluzione delle problematiche che oggi pone l’intelligenza artificiale. 

Anche perché, se si concorda sul fatto che l’attività del giurista consiste nell’interpretare i mutamenti della società tentando, ove possibile, di ricondurli nell’ambito dell’apparato giuridico esistente, le questioni relative all’autorialità delle opere d’arte create dall’intelligenza artificiale sembra, come si è tentato di spiegare con il presente scritto, che possano agevolmente trovare soluzione sulla scorta della normativa e delle sue interpretazioni già esistenti.


[1] Come si può immaginare, la letteratura sul diritto d’autore è sterminata. Si limiteranno dunque i richiami, in queste sede, a E. Piola Caselli, Codice del diritto d’autore. Commentario della nuova legge 22 aprile 1941-XIX, n. 633, Torino, 1943, passim; P. Greco e P. Vercellone, I diritti sulle opere dell’ingegno, Torino, 1974, passim; L.C. Ubertazzi, voce Diritto d’autore, in Digesto delle discipline privatistiche. Sezione commerciale, vol. IV, Torino, 1989, p. 366 ss.; V. De Sanctis, voce Autore (diritto di), in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 378 ss.; e Id., Autore (diritto di), in Enc. dir., Agg., II, Milano, 1998, p. 104 ss.

Più recentemente va visto il lavoro di A. Musso, Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, Bologna-Roma, 2008, passim.

[2] Per una ricostruzione di stampo non prettamente giuridico va visto P.A. David, Le istituzioni della proprietà intellettuale ed il pollice del panda. Brevetti, diritti d’autore e segreti industriali nella teoria economica e nella storia, in G. Clerico, S. Rizzello (a cura di), Diritto ed economia della proprietà intellettuale, Padova, 1998, p. 9 ss.

[3] Sul punto vanno viste le magistrali intuizioni di W. Benjamin, L’opera d’arte nell’era della sua riproducibilità tecnica, Torino, 2000, passim, ma in part. p. 20 ss. Più di recente, poi, il rimando è obbligato al lavoro di C. Di Cocco, Il diritto d’autore nell’era digitale: la tutela dei beni informatici, in C. Di Cocco e G. Sartor (a cura di), Temi di diritto dell’informatica, Torino, 2020, in part. p. 149 ss.

[4] Basti pensare a quanto racconta M. Fabiani, Diritto di autore gastronomico, in Il diritto d’autore, 58, 1987, p. 116.

[5] Come è stato efficacemente osservato, infatti, “[l]e prime forme di tutela giuridica delle utilità prodotte dall’ingegno umano vengono infatti ad esistenza quando l’innovazione tecnologica rende possibile concepire l’oggetto di questa tutela, facendo sì che se ne percepisca l’autonomo e specifico valore economico”: così U. Izzo, Alle origini del copyright e del diritto d’autore. Tecnologia, interessi e cambiamento giuridico, Roma, 2010, p. 5.

[6] Basti pensare, infatti, alle tecniche di digitalizzazione che, utilizzando immagini fotografiche ad altissima definizione, riproducono visualmente oggetti bidimensionali e tridimensionali, scorporando dunque l’opera dal suo supporto materiale, e consentendone la trasmissione istantanea ed a costo zero in qualsiasi luogo mediante softwares quali smartphone, computers, tablets.

Sul tema della digitalizzazione del patrimonio artistico italiano ed il possibile connubio con la tecnologia blockchain mi sia consentito il rinvio a M. Giaccaglia, Brevi note in tema di tecnologia, tutela del patrimonio culturale e sistema tributario. Ovverosia: il patrimonio culturale al tempo della blockchain, in Foro amm., 2020, 7-8, p. 1571 ss.

[7] Scienza che, semplificando al massimo, studia le possibilità di far compiere ad un software i processi mentali propri degli esseri umani. Sul tema il rimando è obbligato alle due opere collettanee curate da Ugo Ruffolo. Si fa riferimento ad U. Ruffolo (a cura di), Intelligenza artificiale e responsabilità, Milano, 2017, passim, e al più recente U. Ruffolo (a cura di), Intelligenza artificiale – Il diritto, i diritti, l’etica, Milano, 2020, passim.

[8] È chiaro, infatti, che debba essere distinta la situazione in cui l’opera sia creata da una persona fisica utilizzando un software appositamente programmato, che non pone particolari questioni in punto di attribuzione del diritto sull’opera; da quella, completamente diversa, e della quale ci si occuperà in questa sede, in cui l’opera è creata in maniera autonoma ed esclusiva dalla macchina.

[9] Il 25 ottobre 2018 è stato venduto all’asta da Christie’s un ritratto, Edmond de Belamy de la Famille de Belamy, eseguito interamente da un software che, grazie allo studio di più di 15mila ritratti risalenti al periodo tra il XIV e il XX secolo, ne ha appreso le regole pittoriche. Il nome dell’opera è un omaggio del collettivo che ha utilizzato il software, Obvious, all’inventore dell’algoritmo che ha avuto il compito di scegliere, tra tutti i ritratti, quelli sulla base dei quali eseguirne uno nuovo, Ian Goodfellow. Assolutamente degno di nota è, poi, il lavoro svolto da un gruppo di sviluppatori che, dopo aver creato un algoritmo nel quale inserire i risultati della scannerizzazione di tutti i ritratti di Rembrandt, hanno ideato un software che fosse capace di creare, ex novo, un’opera secondo lo stile dell’artista olandese. Il risultato è impressionante: nextrembrandt.com.

[10] È ormai entrata a far parte del linguaggio comune il terminenon fungible token (Nft), per il tramite dei quali sta cambiando il mondo dell’arte e del collezionismo. Si tratta di tokens che rappresentano un’opera d’arte unica, in formato digitale (ma potrebbe anche essere reale), che attribuiscono il diritto di proprietà sulla stessa, e che, una volta inseriti in una blockchain, ne garantiscono l’autenticità e quindi anche la proprietà intellettuale.

In àmbito di Nft, assai noti sono l’acquisto, «trasformazione» in token e successiva distruzione di un’opera, Morons (White), del britannico Bansky; e ancora quella della chiusura di un’asta per l’opera di un artista, Beeple, venduta ad oltre 13 milioni di dollari, che è un ‘opera composta da oltre 5000 file che l’artista ha aggiunto gli uni agli altri, ogni giorno, a partire dal 1° maggio del 2007.

Sugli NFT si vedano, per tutti, C. Trevisi, R. Moro Visconti e A. Cesaretti, Non-Fungible Tokens (NFT): business models, legal aspects, and market valuation, in MediaLaws, 2022, p. 332 ss.; D. Masi, ‘Non-Fungible Tokens’ (NFTs): riflessioni sulla natura giuridica e la disciplina applicabile, in Riv. giur. eur., 2022, 1, p. 81 ss.; e, con particolare riguardo alle tematiche oggetto della presente trattazione G. Vulpiani, Non fungible tokens, smart contracts e blockchain nell’arte e nella moda: crypto art e digital fashion, in Cammino Diritto, 2021, p. 2 ss.; nonché E. Damiani, Cripto-arte e non fungible tokens: i problemi del civilista, in questa Rivista, 2022, 2, p. 1 ss.

Sui tokens in generale, invece, vanno visti almeno E. Rulli, Incorporazione senza “res” e dematerializzazione senza accentratore: appunti sui “token”, in Orizz. dir. comm., 2019, 1, p. 121 ss.; e R. de Caria, L’impatto della tokenizzazione sui diritti di proprietà, in MediaLaws, 2021, 3, p. 90 ss.

[11] Difatti, il problema di attribuire un’opera al suo autore non si presenta solamente nelle ipotesi di falso ma, oggi, sia qualora l’artista/programmatore si avvalga di un software o di un algoritmo per creare un’opera, sia quando quest’ultima sia il risultato di un insieme di prodotti artistici.

La letteratura in tema di rapporto tra arte e intelligenza artificiale, con particolare attenzione al tema del diritto d’autore morale e materiale è assai ricca di pregevoli studi.

Si rimanda, tra gli altri, a G. Sanseverino, Ex machina. La novità e l’originalità dell’invenzione prodotta dall’IA, in AIDA, 2018, p. 3 ss.; S. Guizzardi, La protezione d’autore dell’opera dell’ingegno creata dall’intelligenza artificiale, ivi, p. 42 ss.; F. Banterle, Ownership of inventions created by artificial intelligence, ivi, p. 69 ss.; F. Ferrari, L’intelligenza artificiale e l’enforcement dei diritti di proprietà intellettuale, ivi, p. 171 ss.; G. Rossi, L’intelligenza artificiale e la definizione di opera dell’ingegno, ivi, p. 268 ss.; L. Attolico, Profili giuridici delle opere dell’ingegno create da intelligenze artificiali, in Aa. Vv., Attualità del diritto d’autore. Studi in onore di Giorgio Assumma, Roma, 2018, p. 21 ss.; A. Panella, Arte e tecnologia: da oggi l’arte è morta?, in AES. Arts+economics, 2019, p. 60 ss.; M. Capparelli, Intelligenza Artificiale e nuove sfide del diritto d’autore, in Giur. it., 2019, 7, p. 1740 ss.; G. Frosio, L'(I)Autore inesistente: una tesi tecno-giuridica contro la tutela dell’opera generata dall’intelligenza artificiale, in AIDA, 2020, p. 52 ss.; N. Muciaccia, Diritti connessi e tutela delle opere dell’intelligenza artificiale, in Giurisprudenza commerciale, 4, 2021, p. 761 ss.; G. Sena, Intelligenza artificiale, opere dell’ingegno e diritti di proprietà industriale e intellettuale, in Riv. dir. ind., 6, 2021, p. 325 ss.; e L. Bosotti, Nuove creazioni del web, intelligenza artificiale e rapporto tra invenzioni e diritto d’autore, in Il diritto industriale, 2021, 2, p. 180 ss.

Ancora più recentemente, va visto il bel saggio di F. Ferretti, Intelligenza artificiale e diritto d’autore: quale tutela per il robot creatore?, in questa Rivista, 2022, 1, p. 68 ss.

([12]) L’elemento da non sottovalutare, in tema di compravendita di opere d’arte tramite blockchain, è la sicura tracciabilità della transazione, e la sua immodificabilità. Al riguardo, si rimanda a G. Magri, La Blockchain può rendere più sicuro il mercato dell’arte?, in Aedon, 2019, 2, spec. § 3.

[13] In particolare, tra i diritti morali d’autore vi sono il diritto di inedito (diritto di decidere se pubblicare o meno l’opera); il diritto di paternità (diritto di identificazione, diritto di rivelazione, diritto di rivendicazione); il diritto all’integrità dell’opera (opposizione a quelle deformazioni, mutilazioni od altre modifiche che possano recare pregiudizio all’onore e alla reputazione dell’autore); il diritto di ritiro dell’opera dal commercio.

[14] Assai complesso è, invero, l’articolato normativo sovranazionale. Basti pensare alla Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie e artistiche, adottata nel 1886, la Universal Copyright Convention, adottata nel 1952, l’accordo TRIPs (the agreement on Trade-Related Aspects of Intellectual Property Rights) del 1994 e i due trattati della WIPO (World Intellectual Property Organization), ossia il WIPO Copyright Treaty (WCT)e il WIPO Performances and Phonograms Treaty (WPPT), approvati nel 1996. A livello europeo assai numerose sono le direttive emanate a partire dal 1996, ma fra le tante va menzionata la recente 2019/790 del 17 aprile 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale (sulla quale va visto il bel lavoro di F. Faini, La tutela della proprietà intellettuale nel quadro dell’evoluzione giuridica europea e nazionale: la ricerca dell’equilibrio tra gli interessi in gioco, reperibile in federalismi.it, 5, 2022, p. 60 ss. e in part. 62 ss.).

Sul tema vanno visti, almeno, L.C. Ubertazzi, voce Diritto d’autore internazionale e comunitario, in Dig. Disc. Priv., Sez. comm., IV, Torino, 1989, p. 350 ss.; nonché R. Mastroianni, La tutela internazionale e comunitaria del diritto d’autore come diritto fondamentale dell’uomo, in A.M. Gambino e V. Falce (a cura di), Scenari e prospettive del diritto d’autore, Roma, 2009, p. 13 ss.

[15] Sul punto è interessante una recente sentenza del Trib. Milano, Sez. spec. Impresa, 19/04/2021, n. 3204, ai sensi della quale “[i]l requisito del carattere creativo è autonomo rispetto a quello dell’originalità e consiste nell’apporto personale dell’autore alla realizzazione dell’opera, inteso come sforzo espressivo qualificato”.

[16] Sul punto v. le contrastanti opinioni, tra i molti, di F. Ferretti, Intelligenza, cit., p. 80, e G. Frosio, L'(I)Autore, cit., p. 71 ss.

[17] Va comunque ricordato che il diritto d’autore è, in alcune ipotesi, riconosciuto ad un soggetto diverso: basti pensare a colui che organizza e dirige l’opera collettiva (artt. 7.1 e 38 ss. dir. aut; cfr. anche gli artt. 11 e 44 ss. dir. aut.); oppure al datore di lavoro del dipendente che abbia creato, nello svolgimento delle sue mansioni e seguendo le istruzioni del datore stesso, un programma per elaboratore (art. 12 bis dir. aut.); o a tutta la disciplina dei diritti connessi (art. 88, 2 e 3 dir. aut.). 

[18] Maggiore preoccupazione, se non, per alcuni, sgomento, suscitano poi le questioni relative al rapporto dell’uomo con la macchina, che (consente in certi casi già oggi, ma soprattutto) consentirà di modificare i confini della vita e della morte (assai discussi sin dai tempi del diritto romano, e ancora oggi oggetto di acceso dibattito: v. D. Carusi, Momentum mortis vitae tribuitur? Del danno da uccisione e di alcune questioni in materia di condizione, in Riv. dir. civ., 3, 2002, p. 391 ss.) e di superare i limiti delle potenzialità umane. Per una interessante analisi di questi e altri temi si rimanda a U. Ruffolo e A. Amidei, Intelligenza Artificiale e diritti della persona: le frontiere del transumanesimo”, in Giur. it., 7, 2019, p. 1658 ss.; e Idd., Intelligenza artificiale, human enhancement e diritti della persona, in Intelligenza artificiale – Il diritto, i diritti, l’etica, cit., p. 179 ss.; nonché E. Ancona, Soggettività, responsabilità, normatività 4.0. Profili filosofico-giuridici dell’intelligenza artificiale. Introduzione, in Riv. fil. dir., 1, 2019, p. 81 ss.

[19] La casistica sul punto è davvero ricchissima, e basterebbe rimandare a tutti i pregevoli lavori già citati.

Davvero interessante mi sembra, però, anche per i risvolti filosofici affrontati, lo scritto di S. Marche, Artificial intelligence. I used an algorithm to help me write a story. Here’s what I learned, in Mit Technology Review, 17 giugno 2020, reperibile in technologyreview.com/2020/06/17/1003665/i-used-an-algorithm-to-help-me-write-a-story-heres-what-i-learned/, laddove si racconta l’esperienza di collaborazione tra uomo e macchina: si trattava di un software chiamato SciFiQ, connesso a Internet, che è stato capace di identificare e processare le similitudini tra vari lavori letterari, identificandone i pattern, così creandone altri.

[20] Oltre al noto esempio già richiamato in nota n. 9, ad oggi, volendo individuare un momento iniziale nel 2015, quando abbiamo visto per la prima volta le immagini prodotte da DeepDream di Google, si è arrivati al punto in cui alcuni algoritmi, come Dall-E 2 e MidJourney, consentono di creare qualsiasi immagine che venga in mente al loro utilizzatore: assai nota è quella derivante dalla frase “foto di un astronauta che cavalca un cavallo”. Dall’immagine, grazie al casco, non si riesce a capire se si tratti di un astronauta o di una astronauta, ma il problema sul funzionamento di questo codificatore testuale è già stato sollevato nel momento in cui si è notato che gli “infermieri” sono sempre donne, e gli “avvocati” sempre uomini: A.D. Signorelli, L’intelligenza artificiale che disegna ciò che vuoi sembra un po’ sessista, 17 aprile 2022, reperibile in wired.it/article/intelligenza-artificiale-dall-e-2-algoritmo-sessismo/.

[21] È assai nota, sul punto, la decisione della Federal Court of Australia del 30 luglio 2021 (Thaler v Commissioner of Patents, con la quale si è stabilito che DABUS, cioè un algoritmo di intelligenza artificiale ideato dal Dott. Stephen Thaler, potesse essere denominato inventore di una domanda di brevetto. La Corte, neanche a dirlo, ha motivato la propria decisione sulla circostanza che nella normativa australiana l’“inventore” non è categoria riconducibile alle sole persone fisiche, non potendosi dunque escludere una inventorship ad un algoritmo. Va rilevato che, comunque, la richiesta di intestare il brevetto a DABUS non aveva invece superato il vaglio dell’Ufficio Europeo dei Brevetti, nel 2019.

La pronuncia è reperibile in judgments.fedcourt.gov.au/judgments/Judgments/fca/single/2021/2021fca0879.

[22] A.M. Turing, Computing Machinery and Intelligence, in Mind, 1950, 236, p. 433 ss. Analizza, tra le altre cose, anche il lavoro di Turing, L. Floridi, Singularitarians, AItheists, and Why the Problem with Artificial Intelligence is H.A.L. (Humanity at Large), not HAL, in American Psychological Association Newsletter, 2015, 2, p. 9 ss.

[23] G. Frosio, L'(I)Autore, cit., p. 71.

[24] Sul tema non posso soffermarmi, essendo necessarie ben altre consapevolezze teoriche. Ma rimando ad Aa. Vv., Cervelli che parlano. Il dibattito su mente, coscienza e intelligenza artificiale, E. Carli (a cura di), in part. p. 63 ss. Molto interessanti anche le riflessioni di Y.N. Harari, Homo Deus. Breve storia del futuro, Milano, 2018, p. 296 ss.

[25] F. Ferretti, Intelligenza, cit., p. 78 ss.

[26] Si dice cosa assai nota, infatti, se si ricorda che il movimento surrealista era nato proprio per apertamente contestare le convenzioni artistiche del suo tempo. Sulla tematica appena accennata nel testo, va visto il bel saggio di G. Galetta, Surrealismo e dissociazione creativa: il “caso” Dalí e gli effetti delle droghe sulla creatività artistica contemporanea, in A. Fusco e R. Tomassoni (a cura di), Psychology and artistic creativity : Proceedings of the International Symposium, Cassino, 30-31 October 2014, Milano, 2017, p. 268 ss.

[27] Assai note, e spesso fortemente contestate, sono le tesi di D.C. Dennet, Can machines think?, in Alan Turing: Life and Legacy of a Great Thinker, Berlino, 2004, p. 295 ss.

[28] La letteratura sul tema del soggetto di diritto è, ovviamente, sterminata (sempre fondamentale rimane però il lavoro di A. Falzea, Il soggetto nel sistema dei fenomeni giuridici, Milano, 1939, in part. p. 39 ss.; oltre al quale si vedano almeno M. Bessone e G. Ferrando, Persona fisica (dir. priv.), in Enc. dir., XXXIII, Milano, 1983, p. 193 ss.; G. Oppo, Declino del soggetto e ascesa della persona, in Riv. dir. civ., 2002, 1, p. 830 ss.; e, ancora, P. Zatti, Di là dal velo della persona fisica. Realtà del corpo e diritti “dell’uomo”, in Liber amicorum per Francesco Busnelli, II, Milano 2008, spec. p. 121 ss.), ed ha prontamente evidenziato come le norme che il c.c. (artt. 1 e 2) dedica ad essa sono divenute assai presto insufficienti allo scopo che si era prefissato il legislatore del 1942, ovverosia quello di disciplinare la condizione umana all’interno dell’ordinamento giuridico. Già sufficiente a riflettere, ancorché rimanendo nell’àmbito delle scelte prettamente terminologiche, è il fatto che di «persona», nei due menzionati articoli, non si discorre.

Per una ricostruzione del dibattito intorno alle figure della persona, del soggetto, e dell’uomo, si veda F. Giardina, Sub art. 1, in A. Barba e S. Pagliantini (a cura di), Delle persone, I, Disposizioni sulla legge in generale e artt. 1-10 c.c, in Comm. c.c. Gabrielli, Milano, 2012, p. 335 ss., ove ulteriore bibliografia.

Assai dibattuto resta, però, il momento in cui il soggetto di diritto può essere, appunto, definito tale. Emblematica è, in tal senso, la discussione, della dottrina e della giurisprudenza, sulla attribuzione al concepito della soggettività giuridica. Sul punto, con opinioni discordanti tra loro, vanno visti almeno G. Giacobbe, Problemi civili e costituzionali sulla tutela della vita, in Dir. fam. pers., 1988, 2, p. 1119 ss.; F.D. Busnelli, L’inizio della vita umana, in Riv. dir. civ., 2004, 1, p. 533 ss.; nonché F. Gazzoni, Osservazioni, cit., p. 168 ss.; e G. Cricenti, Il concepito soggetto di diritto e i limiti dell’interpretazione, in Nuova giur. civ. comm., 2009, 12, p. 1268 ss.

[29] Oltre agli autori citati nelle note precedenti, in senso favorevole alla soluzione positiva, per tutti, G. Teubner, Soggetti giuridici digitali? Sullo status privatistico degli agenti software autonomi, Napoli, 2019, passim, ma spec. 3 ss. La dottrina maggioritaria sembra, almeno per il momento, contraria: si vedano G. Finocchiaro, La conclusione del contratto telematico mediante i «software agents»: un falso problema giuridico?, in Contr. impr., 2002, 2, p. 501 ss.; Ead., Il contratto nell’era dell’intelligenza artificiale, in Riv. trim. dir. proc. civ.,2018, 2, p. 441 ss.; F. Bravo, Contratto cibernetico, in Dir. inf., 2011, 2, p. 169 ss.; U. Ruffolo, Intelligenza Artificiale e diritto. Introduzione, in Giur. it., 2019, 7, p. 1657 ss.; F. Di Giovanni, Intelligenza artificiale e rapporti contrattuali, in U. Ruffolo (a cura di), Intelligenza artificiale e responsabilità, Milano, 2017, p. 121 ss.; Id., Attività contrattuale e Intelligenza Artificiale, in Giur. it., 7, 2019, p. 1677 ss.; nonché piú recentemente e ancora piú approfonditamente Id., Sui contratti delle macchine intelligenti, in Intelligenza artificiale – Il diritto, i diritti, l’etica, cit., 251 ss., ma spec. 265 ss.; e Antonina Astone, La persona elettronica: verso un tertium genus di soggetto?, in Aa. Vv., Il soggetto di diritto. Storia ed evoluzione di un concetto nel diritto privato, Napoli, 2020, p. 253 ss. Sul punto va vista anche la ricostruzione di F. Longobucco, Smart contract e “contratto giusto”: dalla soggettività giuridica delle macchine all’oggettivazione del fatto-contratto. Il ruolo dell’interprete., in federalismi.it, 2, 2021, p. 106 ss, il quale giunge, all’unisono con la dottrina appena citata, ad una soluzione in senso negativo della problematica relativa all’attribuzione della soggettività giuridica all’algoritmo, osservando giustamente che il «paradigma della soggettività, invero, non soltanto non si attaglia al fenomeno dell’algoritmo, salvo incorrere in analogie non facilmente argomentabili, ma, del pari, non appare nemmeno utile».

Osserva, a mio avviso correttamente, U. Pagallo, Vital, Sophia, and Co.—The Quest for the Legal Personhood of Robots, in Information, 2018, p. 230 ss., che il dibattito sulla possibilità di attribuire la soggettività giuridica ai softwares sconta forse un errore di impostazione, in quanto confonde le questioni relative alla personalità giuridica con quelle relative alla regolamentazione dei fenomeni sociali e delle attività che hanno rilevanza giuridica.

Si vedano anche le considerazioni contenute nella Risoluzione del Parlamento europeo P8_TA(2017)0051 del 16 febbraio 2017, contenente Raccomandazioni alla Commissione concernenti norme sui diritti civili riguardanti la robotica.

[30] Perché, come noto, la proposta di attribuire la personalità giuridica a entità robotiche nasce molto prima nelle discussioni dei giuristi nordamericani. In un lavoro del 1992, L.B. Solum, Legal Personhood for Artificial Intelligences, in North Carolina Law Review, 1992, 4, p. 1232 ss., riflette sulle ragioni che possono essere poste alla base di tale riconoscimento, sostenendo che un robot potrebbe essere qualificato come persona giuridica se possiede intelligenza e volontà.

[31] Inutile dire che il problema della responsabilità civile nell’ambito dell’utilizzo delle nuove tecnologie è problema affatto approfondito dalla dottrina ma che non potrà che essere solo accennato in questa sede. Offre uno spunto interessante nel senso della necessità di imporre obblighi assicurativi in capo ai gestori dei servizi basati su blockchain e, in genere, delle nuove tecnologie L. Buonanno, La responsabilità civile nell’era delle nuove tecnologie: l’influenza della Blockchain, in Resp. civ. prev., 2020, 5, p. 1618 ss.

Con specifico riferimento al tema della responsabilità civile dell’intelligenza artificiale, senza alcuna pretesa di esaustività, si rimanda a M.A. Biasiotti, F. Romano e M.T. Sagri, La responsabilità degli agenti software per i danni prodotti a terzi, in Inf. dir., 2002, 2, p. 157 ss.; G. Comandé, Intelligenza artificiale e responsabilità tra liability e accountability. Il carattere trasformativo dell’IA e il problema della responsabilità, in Analisi giur. econ., 2019, 1, p. 169 ss.; Id., Responsabilità e accountability nell’era dell’Intelligenza Artificiale, in F. Di Ciommo e O. Troiano (a cura di), Giurisprudenza e Autorità indipendenti nell’epoca del diritto liquido. Studi in onore di Roberto Pardolesi, Milano, 2018, p. 1001 ss.; M. Costanza, L’Intelligenza Artificiale e gli stilemi della responsabilità civile, in Giur. it., 2019, 7, p. 1686 ss.; N.F. Frattari, Robotica e responsabilità da algoritmo. Il processo di produzione dell’intelligenza artificiale, in Contr. impr., 2020, 1, p. 458 ss. E la questione si pone anche nell’àmbito della creazione di opere d’arte (si pensi all’ipotesi di plagio), quando è necessario individuare l’eventuale responsabile.

[32] Si veda Commissione europea, Direzione generale della Giustizia e dei consumatori, Liability for artificial intelligence and other emerging digital technologies, Publications Office, 2019, reperibile in data.europa.eu/doi/10.2838/573689.

[33] Si veda il Report of COMEST on robotics ethics, Paris, 14 settembre 2017, reperibile in unescoblob.blob.core.windows.net/pdf/UploadCKEditor/REPORT%20OF%20COMEST%20ON%20ROBOTICS%20ETHICS%2014.09.17.pdf.

[34] Si rimanda, per la questione relativa all’imputabilità dell’attività giuridica posta in essere mediante software, alla letteratura già citata alla nota n. 29, cui adde G. Conte, La formazione del contratto, in Cod. civ. Comm. Schlesinger, Milano, 2018, p. 274 ss.

Qui sia consentito aggiungere solamente che neanche sembrano praticabili quelle soluzioni che parlano di rappresentante, di nuncius, o di arbitratore, giacché presuppongono comunque una soggettività che allo stato attuale, come detto, non sussiste in capo ai softwares.

Concordano, tra gli altri, anche C. Amato, La computerizzazione, cit., p. 1280, in part. nota n. 92; e G. Salito, voce Smart contract, cit., p. 397, la quale individua, semmai, nella figura del programmatore un nuncius.

Una terza via sembra essere percorsa da G. Sartor, Gli agenti software e la disciplina giuridica degli strumenti cognitivi, in Dir. inf., 2003, 1, p. 55 ss. Si chiede, con la consueta pragmaticità, se, in ambito di contrattazione smart, sussista una effettiva volontà contrattuale oppure «se non sia invece più adeguato alla natura del fenomeno rappresentare tutto ciò nei termini di un sistema di assunzione del rischio», G. Finocchiaro, Riflessioni sugli smart contract e sull’intelligenza artificiale, in giustiziacivile.com, 16 novembre 2020, p. 3.

[35] D’altronde, è stato correttamente sottolineato (da F. Delfini, Blockchain, cit., p. 177), portando ad esempio l’obbligo di custodia del dispositivo di firma digitale o la responsabilità per danno cagionato da cose in custodia, come il nostro ordinamento «già prevede casi in cui la suitas dell’atto o negozio giuridico è legata alla logica del rischio di avvalimento di strumenti tecnologici».  La dichiarazione, seppur divergente dalla volontà, è ricollegata (da R. Di Raimo, Autonomia privata e dinamiche del consenso, Napoli, 2003, p. 65 s.), piuttosto che al criterio dell’affidamento, alla prospettiva della prevalenza delle ragioni dell’acquisto su quelle della proprietà, e quindi ad un disegno del legislatore orientato a favorire (non la conservazione ma) la circolazione dei beni. Sulla discussione vanno viste anche le preziose riflessioni di G. Frosio, L'(I)Autore, cit., p. 71 ss.

[36] Analogo ragionamento a mio avviso si applica poi anche alle ipotesi di contrattazione smart e algoritmica poiché da tempo è già stato efficacemente dimostrato come vi sia un momento temporalmente e logicamente precedente alla conclusione del contratto informatico (e, ora, intelligente), in cui il soggetto che utilizza il software esprime la propria volontà: per tutti basti il richiamo a G. Finocchiaro, La conclusione del contratto telematico mediante i «software agents»: un falso problema giuridico?, in Contr. impr., 2002, 2, p. 501 ss.; Ead., Il contratto nell’era dell’intelligenza artificiale, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2018, 2, p. 441 ss.; F. Bravo, Contratto cibernetico, in Dir. inf., 2011, 2, p. 169 ss.; U. Ruffolo, Intelligenza Artificiale e diritto. Introduzione, in Giur. it., 2019, 7, p. 1657 ss.; F. Di Giovanni, Intelligenza artificiale e rapporti contrattuali, in U. Ruffolo (a cura di), Intelligenza artificiale eresponsabilità, Milano, 2017, p. 121 ss.; Id., Attività contrattuale e Intelligenza Artificiale, in Giur. it., 7, 2019, p. 1677 ss.; nonché piú recentemente e ancora piú approfonditamente Id., Sui contratti delle macchine intelligenti, in Intelligenza artificiale – Il diritto, i diritti, l’etica, cit., 251 ss., ma spec. 265 ss. Parla, efficacemente, di «spinta causale umana» S. Aceto Di Capriglia, Contrattazione algoritmica. Problemi di profilazione e prospettive operazionali. L’esperienza “pilota” statunitense, in federalismi.it, 2 ottobre 2019, p. 56.

Sul tema mi sia consentito, pur nella consapevolezza della sua ineleganza, il richiamo a M. Giaccaglia, Considerazioni su Blockchain e smart contracts (oltre le criptovalute), in Contr. impr., 2019, 3, p. 941 ss.; Id., Il contratto del futuro? Brevi riflessioni sullo smart contract e sulla perdurante vitalità delle categorie giuridiche attuali e delle norme del Codice civile italiano, in Tecnologie e diritto, 2021, 1, p. 168 ss.; nonché Id., Questioni (ir)risolte in tema di smart contract. Per un ritorno al passato, ibidem, 2022, 2, p. 333 ss.

[37] Pur trattandosi, come si è stati correttamente avvertiti (v. A. La Torre, La finzione nel diritto civile, in Riv. dir. civ., 2000, 3, p. 315), di termine polisenso, si può qui tranquillamente intendere la finzione come una modificazione artificiosa della realtà, operata di modo che «sembri ciò che non è».

[38] Ma v. contra, nel senso che di vera e propria finzione si tratti, G. Frosio, L'(I)Autore, cit., p.

Ha bene avvertito del pericolo di restare prigionieri delle finzioni D. Carusi, Momentum, cit., p. 396, e per averne una dimostrazione basti pensare alla costruzione giuridica e dottrinale del contratto con effetti protettivi a favore del terzo, che rinveniva le sue fondamenta nella dottrina tedesca, intenta a risolvere problemi del tutto diversi rispetto a quelli che potevano porsi nel sistema italiano dell’illecito, con il rischio, per quest’ultimo, di assottigliarsi fino a scomparire (sul punto, per tutti, A. Di Majo, La protezione del terzo tra contratto e torto, in Eur. dir. priv., 2000, 1, p. 1 ss.; e D. Zorzit, La Cassazione “dimentica” il contratto con effetti protettivi a favore del terzo: vero oblio o consapevole ripudio?, 2012, 12, p. 1202 ss.); o, più in generale, al processo (per la cui interpretazione, che vada oltre l’angolo visuale prettamente tecnico, si rimanda alla raccolta di saggi di S. Satta, Il mistero del processo, Milano, 1994, p. 11 ss.), che non a caso è da sempre stato considerato dai romani «come se» fosse una verità, ma non la verità.

Sulle origini e la storia del brocardo res iudicata pro veritate accipitur, si v. L. Mingardo, Res iudicata pro veritate accipitur, in P. Moro (a cura di), Il diritto come processo. Princìpi, regole e brocardi per la formazione critica del giurista, Milano, 2012, p. 227 ss.

Una preziosa divagazione letteraria in tema di finzione, all’esito di una, come di consueto, elegante trattazione del tema, si trova in P. Rescigno, Le finzioni del diritto privato, in Contr. impr., 2002, 2, p. 585 ss., qui p. 596.

[39] Contra il riconoscimento di un diritto sull’opera creata dall’intelligenza artificiale, per tutti, v. G. Sena, Intelligenza artificiale, opere dell’ingegno e diritti di proprietà industriale e intellettuale, in Rivista di diritto industriale, 2021, 6, p. 325 ss.

[40] Rimandando per un esame più approfondito della problematica agli Autori citati alla nota n. 11, e in particolare S. Guizzardi, La protezione, cit., p. 42 ss.; F. Banterle, Ownership, cit., p. 69 ss.; F. Ferrari, L’intelligenza, cit., p. 171 ss.; G. Rossi, L’intelligenza, cit., p. 268 ss.; M. Capparelli, Intelligenza, cit., p. 1740 ss.; G. Frosio, L'(I)Autore, cit., p. 52 ss.

[41] Che vanno ovviamente bilanciate con quelle, ritenute invece positive, che consistono nei maggiori investimenti in intelligenza artificiale che il riconoscimento di tale tipo di tutela di cui si discute nel testo comporterebbe.

[42] La prepotente evoluzione tecnologica, infatti, ma anche l’assoluta rilevanza assunta nel tempo dal capitale e dall’economia in generale, fanno temere che il diritto possa essere stato relegato dagli eventi a mero comprimario. Non si possiedono le conoscenze né la sensibilità necessarie anche solo per toccare il complesso tema della perdita di centralità del diritto come strumento di controllo della (evoluzione della) società.

Tale sensibilità però dimostrano di avere, tra gli altri, e pur consapevoli che la discussione non è così recente, ma nasce già verso la fine del secolo scorso, C. Castronovo, Eclissi del diritto civile, Milano, 2015, soprattutto p. 15 ss.; V. Zeno Zencovich, Autopsia del diritto civile, in Riv. crit. dir. priv., 2018, 4, p. 617 ss.; e F. Di Ciommo, Valori e funzioni della responsabilità civile nell’epoca del post-turbocapitalismo, in Danno resp., 2021, 2, p. 137 ss.

La conclusione alla quale giunge quest’ultimo A. è, comunque, ci si sente di poter dire, confortante, giacché il diritto rimane l’unico strumento per (tentare di) regolare tali fenomeni.

Condividi