Moda e fotografia: il caso Cox vs Marras

Francesca Ferretti

Dottoranda di diritto civile dell’Università di Camerino

Trib. Milano, sez. spec. impresa, 23 aprile 2020, n. 2539 – Pres. Marangoni, rel. – Daniel J. Cox (avv. Todisco); Antonio Marras s.r.l. (avv.ti Mancuso, Valli); Drexcode s.r.l. (avv.ti Morretta, Chiarva).

Diritto d’autore – Opera d’arte fotografica – Elaborazione creativa – Contraffazione

L’opera fotografica di un fotografo professionista, utilizzata senza alcun consenso del titolare per pubblicizzare capi di abbigliamento su cui era stata stampata  viola il diritto d’autore e non può essere considerata come una semplice fotografia se  vi sia nella stessa una particolare capacità creativa dell’autore e una  sua impronta personale.

L. 22 aprile 1941 n. 633, Art. 2

Con la sentenza in commento, il Tribunale di Milano ha condannato la società italiana di moda Antonio Marras S.r.l. al risarcimento del danno in favore del fotografo statunitense naturalista Daniel J. Cox, per la riproduzione non autorizzata di un suo noto scatto raffigurante un lupo su alcuni capi di abbigliamento femminili, distribuiti e commercializzati anche tramite piattaforme on-line. ll profilo di principale interesse della pronuncia è rappresentato dalla questione relativa alla qualificazione dello scatto in oggetto quale opera fotografica tutelata dalla L. 22 aprile 1941 n. 633 ex art. 2 n. 7, che costituisce l’occasione per analizzare alcuni aspetti salienti in tema di fotografia e diritto d’autore, con particolare riguardo all’utilizzabilità di uno scatto d’autore liberamente reperibile sul web.

With this commented judgment, the Court of Milan sentenced the Italian fashion company Antonio Marras S.r.l. to damage compensation in favour of the American naturalist photographer Daniel J. Cox, for the unauthorised reproduction of his well-known wolf shoot on some women’s clothing, distributed and marketed also through online platforms. The most interesting profile of the decision is about the qualification of this photography as a «work of photographic art» protected by art. 2 n. 7 of the L. 22 April 1941 n. 633, which is an opportunity to analyze some key issues in the field of photography and copyright, with particular regard to the usability of an author shoot freely available on the web.

Sommario: 1. I fatti di causa. – 2. Tipi di fotografie e disciplina applicabile. – 3. Opere d’arte fotografiche e creatività. – 4. Condivisione della fotografia sul web e copyright. – 5. Sanzioni e risarcimento del danno secondo il criterio del «prezzo del consenso». – 6. La responsabilità del distributore.

1. Nella vicenda oggetto del presente contributo, il noto fotografo naturalista Daniel Cox ha convenuto in giudizio la famosa casa di moda Antonio Marras S.r.l. e la società distributrice Drexcode S.r.l. chiedendone la condanna per l’illecito sfruttamento economico di uno scatto fotografico da lui realizzato nel 1993, ancora presente anche sul portale immagini di Google.

Tale scatto, raffigurante un lupo che ulula nel mezzo di una suggestiva tempesta di neve, era stato utilizzato, in assenza del consenso del fotografo, per la realizzazione di alcuni capi di vestiario femminili della collezione moda Autunno/Inverno per l’anno 2014/2015, poi distribuiti anche tramite alcune piattaforme online per l’abbigliamento di lusso, tra cui quella gestita dalla convenuta Drexcode S.r.l.

Secondo la ricostruzione di parte attrice, la predetta immagine, caratterizzata da un elevato valore artistico e creativo, sarebbe meritevole di protezione in quanto opera creativa secondo l’art. 2 n. 7 L.d.A. Per tale ragione, Cox ha adito il Tribunale di Milano al fine di ottenere il risarcimento del danno patrimoniale e non patrimoniale, l’emissione dell’ordine di distruzione dei capi realizzati e la pubblicazione della sentenza a sé favorevole.

Le società convenute hanno inizialmente negato la corrispondenza tra l’immagine stampata sui capi d’abbigliamento e lo scatto fotografico di Cox; hanno inoltre ricondotto la foto alla disciplina di cui agli artt. 87 ss. L.d.A., eccependo l’intervenuta decadenza dei diritti di privativa per il decorso del termine ventennale ex art. 90 L.d.A. La Antonio Marras S.r.l. ha altresì puntualizzato di aver utilizzato l’immagine solo come fonte di ispirazione; la società distributrice ha invece negato la propria condotta colposa, essendosi trovata nell’impossibilità di avvedersi della lesione del diritto d’autore anche adottando la diligenza professionale nell’espletamento dell’attività di controllo.

Il Tribunale, nell’accogliere la domanda attorea, ha attribuito correttamente rilievo pregiudiziale all’accertamento della corrispondenza tra lo scatto fotografico realizzato da Cox e l’immagine riprodotta sugli abiti dalla casa di moda e, successivamente, a quello relativo alla paternità della foto in capo all’attore.

Quanto al primo aspetto, il giudice ha agevolmente rilevato l’identità tra le due immagini dopo aver esaminato il materiale istruttorio fornito dalle parti, da cui ha desunto l’evidente coincidenza tra alcuni particolari significativi, nello specifico: «la posizione del cranio del lupo, avente la medesima rotazione e inclinazione rispetto all’asse del corpo; le fauci del canide, che mostrano la medesima apertura e dalle quali spunta un canino avente uguale posizione e dimensione in entrambe le immagini; la perfetta sovrapponibilità dell’occhio del lupo; le identiche cromature, macchie e pieghe del pelo presente sul collo dell’animale».

La paternità dello scatto, circostanza neppure contestata dalle convenute, è stata ritenuta provata dall’attore mediante l’apparato documentale da questi fornito, costituito dal certificato di protezione autorale concesso dalla U.S. Copyright Office e dall’attribuzione della titolarità dello scatto in capo allo stesso contenuta in una monografia.

Dopo aver aderito alla tesi prospettata dall’attore e volta a riconoscere natura di opera d’arte fotografica allo scatto in questione, il Tribunale ha qualificato la condotta delle convenute come un’ipotesi di contraffazione[1] scaturente dalla violazione dei diritti di sfruttamento economico ex art. 12 L.d.A.

Nel respingere anche l’ulteriore eccezione di legittimo uso dello scatto per la presenza dello stesso sul motore di ricerca Google, il giudice milanese si è pronunciato anche sulle sanzioni da irrogare: ha quantificato il risarcimento del danno, secondo il metodo di calcolo del cd. prezzo del consenso, in € 16.000,00, a cui è stata aggiunta la componente non patrimoniale, liquidata in € 9.000,00, per un totale di € 25.000,00 in solido tra le due società convenute, condannate altresì al pagamento delle spese processuali. Il giudice ha poi inibito alle soccombenti l’ulteriore riproduzione, commercializzazione e diffusione della fotografia oggetto di causa; ha infine disposto a loro spese la pubblicazione del dispositivo della sentenza sul periodico Vanity Fair.

2. Nella ricostruzione della vicenda, assume rilevo centrale l’inquadramento giuridico dello scatto fotografico realizzato dall’attore. Sul punto, come già chiarito, le parti in causa forniscono una differente ricostruzione: «segnatamente, l’attore assume che la predetta immagine debba godere della privativa autorale concessa dall’art. 2, n. 7, L.d.A.; di contro, le convenute deducono che lo scatto vada qualificato come “fotografia semplice”, soggetto alla più restrittiva disciplina di cui agli artt. 87 e ss. L.d.A.».

Il Tribunale aderisce alla ricostruzione di parte attrice, ritenendo creativa l’opera fotografica a prescindere dal soggetto inquadrato ed attribuendo invece rilievo dirimente alle modalità soggettive di riproduzione dello stesso. Tale profilo è rinvenibile «nella capacità creativa dell’autore, vale a dire nella sua impronta personale, nella scelta e studio del soggetto da rappresentare (…), così come nel momento esecutivo di realizzazione e rielaborazione dello scatto, tali da suscitare suggestioni che trascendono il comune aspetto della realtà rappresentata[2]».

La fotografia scattata da Cox ha per protagonista un lupo, che – pur nella sua peculiare natura di animale selvaggio, pericoloso e diffuso solo in specifici contesti ambientali – rappresenta un oggetto ordinario, standard, facilmente rinvenibile in natura, e sul quale il fotografo non può operare alcun intervento modificativo: la potenziale banalità dell’oggetto non è tuttavia idonea a privare la fotografia del riconoscimento della tutela autoriale.

A simili conclusioni era già giunto il Tribunale di Catania[3] nel 2001, pur in un caso dove la fotografia controversa era relativa ad un oggetto totalmente diverso. Nello scatto in questione era stata rappresentata la facciata frontale del Duomo cittadino, addobbato in occasione dell’annuale festa in onore di Sant’Agata, immortalato nell’attimo dell’esplosione notturna dei fuochi d’artificio e nel contesto architettonico dei palazzi antichi del centro storico. Anche in tale vicenda, analogamente al caso qui esaminato, era stato riconosciuto il valore artistico dell’opera fotografica, in quanto dotata del necessario carattere creativo, indipendentemente dalla tipologia di oggetto prescelto (v. amplius, paragrafo 3).

Per comprendere meglio la distinzione tra opera d’arte fotografica e mera fotografia – rilevante non solo a fini nozionistici e classificatori, ma anche e soprattutto in relazione alla diversa disciplina applicabile – appare opportuno ripercorrere, sia pure sinteticamente, le tappe principali della storia della tutela autorale della fotografia.

Nella vigenza del R.D. del 25 giugno 1865 n. 2337 e del T.U. del 19 settembre 1882, mancando una norma specifica, si dubitava della tutelabilità delle fotografie[4]. La situazione normativa era destinata a mutare grazie all’espresso inserimento delle fotografie tra le opere protette ad opera del R.D.L. 7 novembre 1925, n. 1950[5], convertito in L. 18 marzo 1926, n. 562 all’art. 1 comma 2, sebbene con un diritto di durata ridotta rispetto a quella generale (secondo l’art. 31, pari a vent’anni dalla prima pubblicazione e non a cinquant’anni dalla morte dell’autore[6], secondo quanto previsto dalla regola generale).

In sede di globale riforma della materia, la L. n. 633 del 22 aprile 1941 (L.d.A.), nella sua versione originaria, aveva previsto per le fotografie (che non fossero mera riproduzione di documenti e oggetti materiali) un regime speciale[7] configurato come diritto connesso al dritto d’autore (artt. da 87 a 92), caratterizzato da un minore livello di protezione e dalla non necessarietà del requisito della creatività[8]. Per alcuni tipi di fotografie «di particolare importanza» era prevista invece una tutela più estesa (pari a quarant’anni) previo deposito presso l’Ufficio della proprietà letteraria ed artistica del Ministero della Cultura popolare. La scelta di un trattamento differenziato per le fotografie si fondava su ragioni culturali: se è vero che anche il fotografo interpreta una particella di realtà, «la sua è interpretazione probabilmente minore, perché non avviene mediante il corpo, la voce, lo strumento musicale, ma mediante la meccanica, l’ottica, la chimica[9]».

Con la Revisione di Bruxelles del 26 giugno 1948 della Convenzione di Berna per la protezione delle opere letterarie ed artistiche (CUB) del 9 settembre 1886, le fotografie sono state inserite espressamente tra le opere protette di cui all’art. 2, con conseguente applicazione dello standard di tutela internazionale previsto dalla Convenzione per tutte le opere dell’ingegno, comprensivo del riconoscimento del diritto morale di cui all’art. 6bis.

La ratifica della Convenzione del testo di Bruxelles era stata autorizzata dal Parlamento con la L. 16 febbraio 1954, n. 247 ma senza che la legge sul diritto d’autore fosse conseguentemente emendata: si era creata una discrepanza tra la normativa italiana e quella internazionale, vista la limitata tutela in Italia ai soli diritti connessi[10] in ambito fotografico.

Solo dopo il riconoscimento della natura self-executing[11] di alcune norme della Convenzione di Berna (specificamente, gli artt. 2 e 6bis) e dopo due sue ulteriori successive revisioni (rispettivamente avvenute a Stoccolma del 1967 e a Parigi del 1971) e corrispondenti ratifiche, con il D.P.R. 8 gennaio 1979 n. 19 la normativa sul diritto d’autore è stata finalmente adeguata alle modifiche operate nel diritto internazionale, mediante l’inserimento nell’art. 2 L.d.A. del punto 7)[12].

La distinzione tra opera fotografica e mera fotografia è stata testualmente prevista in Italia soltanto a seguito di tale modifica legislativa, anche se la giurisprudenza[13] aveva rilevato l’esistenza della menzionata dicotomia già sotto la previgente disciplina, a conferma della crescente esigenza di riconoscere la protezione autorale alle fotografie dotate di valore creativo.

La novella del 1979 ha dunque esteso alle opere fotografiche, dotate del requisito della creatività, la disciplina generale del diritto d’autore, inizialmente con durata ridotta ex art. 32bis, pari a cinquant’anni dall’anno di produzione dell’opera. Tale ultimo dato normativo difforme è venuto meno con il d.lgs. 26 maggio 1997 n. 154 attuativo della Direttiva 93/98/CEE[14], che ha modificato l’articolo da ultimo richiamato, prevedendo una durata dei diritti di utilizzazione dell’opera fotografica pari a sett’antanni, come per le altre opere dell’ingegno, decorrenti dalla morte dell’autore; oltre all’allungamento della durata in sé, il termine a quo è stato spostato da un riferimento oggettivo ad uno soggettivo, legato alla vita dell’artista.

Il regime speciale di diritto connesso è rimasto invece in vigore limitatamente alle semplici fotografie, prive di carattere creativo, di cui agli artt. 87 ss. L.d.A.

Da quanto sopra sinteticamente richiamato ed in base alla disciplina attualmente vigente, è possibile individuare tre categorie rilevanti con riguardo al settore fotografico. Le «opere fotografiche» sono protette ex art. 2 n. 7 L.d.A. al pari delle altre opere intellettuali; sul versante opposto, le «riproduzioni fotografiche» di cui all’art. 87 comma 2 L.d.A, cioè le mere riproduzioni di scritti, documenti, carte di affari, oggetti materiali, disegni tecnici, e prodotti simili, sono invece prive di tutela autoriale, poiché in questi casi gli scatti sono caratterizzati dall’assoluta meccanicità del processo di riproduzione[15]. A livello intermedio si collocano le «semplici fotografie», che, in base al disposto di cui all’art. 87 comma 1 L.d.A. consistono in immagini di persone o di aspetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, ottenute col processo fotografico o con processo analogo, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa e i fotogrammi delle pellicole cinematografiche. Tali fotografie, in quanto prive del carattere creativo necessario a ricevere la piena tutela autoriale, pur essendo «caratterizzate da una qualche attività personale del fotografo» sono pur meritevoli di una minore protezione grazie alla disciplina dei diritti connessi, coerente con la versione originaria della L.d.A.

La collocazione di una fotografia nell’ambito del diritto d’autore o dei diritti connessi produce rilevanti conseguenze in termini di disciplina applicabile, e risulta pertanto dirimente l’accertamento del requisito della «creatività», da parte dell’interprete, il quale è chiamato a chiarire e specificare il contenuto di tale concetto[16].

La divergenza più evidente riguarda la durata della protezione: mentre l’opera fotografica gode di tutela per tutta la vita dell’autore e fino a settanta anni dopo la sua morte (art. 35 L.d.A.), le semplici fotografie sono protette per un periodo di tempo inferiore, pari a venti anni dalla data dello scatto (art. 92 L.d.A.).

Differenti sono pure le modalità di nascita del diritto: se nel caso di opera d’arte fotografica la protezione nasce in automatico, con la semplice esecuzione dell’opera, senza bisogno di formalità costitutive (art. 6 L.d.A), all’autore della semplice fotografia, è richiesta – a fini di opponibilità del suo diritto nei confronti dei terzi – sia l’indicazione della data dell’anno di scatto, sia del suo nome (o, nel caso di opera commissionata, del nome della ditta o del committente), allo scopo di rendere noti la durata del diritto ed il nome di colui al quale deve essere chiesto il consenso per l’utilizzo della fotografia (art. 90 comma 1, nn. 1) e 2) L.d.A.). Questi elementi, nell’attuale era digitale, possono essere agevolmente apposti tramite i c.d. «digital watermarks[17]», filigrane digitali o tatuaggi elettronici che consentono di renderne ineliminabile l’apposizione. Di contro, qualora gli esemplari[18] non riportino queste indicazioni, la riproduzione della fotografia non sarà considerata abusiva e non sarà dovuto alcun compenso per il suo utilizzo, a meno che non venga provata la mala fede del riproduttore dello scatto fotografico, secondo il disposto del secondo comma dell’art. 90[19]. È stato più precisamente rilevato che queste indicazioni sarebbero necessarie non per la nascita del diritto, ma per il suo esercizio, e si considerano apposte anche se indicate in forma abbreviata, purché siano identificabili nome e data[20].

Diversa è anche l’ampiezza dei diritti di utilizzazione economica: se l’autore di un’opera fotografica gode del generale diritto di «utilizzare economicamente l’opera in ogni forma e modo» ex art. 12 comma 2 L.d.A. (ivi comprese le specifiche facoltà di pubblicazione, riproduzione, distribuzione, comunicazione al pubblico, elaborazione, etc.), l’autore di una fotografia semplice riceve una protezione circoscritta al solo ambito di cui all’art. 88 L.d.A., che menziona i soli diritti esclusivi di riproduzione, diffusione e spaccio).

Inoltre, mentre l’autore di un’opera fotografica gode anche dei diritti morali d’autore, ivi compresi quelli di paternità e di integrità dell’opera ex art. 20 L.d.A, la giurisprudenza non è univoca nel riconoscere gli stessi diritti all’autore di una semplice fotografia[21]. Ancora, se per le fotografie semplici la cessione del negativo implica, salvo patto contrario, il trasferimento dei diritti esclusivi (art. 89 L.d.A), per le opere fotografiche vale l’opposto principio di cui all’art. 109 LdA. Differente è anche il regime delle libere utilizzazioni: mentre è generalmente lecita la riproduzione di fotografie semplici in opere scientifiche e didattiche previo pagamento di un equo compenso (art. 91 L.d.A.), l’art. 70 liberalizza solo l’uso di una porzione dell’opera d’arte (riferendosi espressamente al riassunto, alla citazione o alla riproduzione di brani o parti di opera) a fini determinati («per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini»; «a fini di insegnamento o di ricerca scientifica») e sempre in assenza di scopo di lucro («purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera»; «per fini non commerciali»); il nuovo comma 1bis ha un ambito di applicazione ancora incerto, inidoneo a fornire chiarimenti sul punto[22].

Come anticipato, ai fini della distinzione tra la prima e la seconda categoria di fotografie – entrambe tutelate dalla normativa autoriale sia pure con diversa intensità e diversi strumenti giuridici – «occorre verificare se sussista o meno un atto creativo, che sia espressione di un’attività intellettuale preponderante rispetto alla tecnica materiale dove l’interpretazione, ossia la modalità di riproduzione del dato fotografato trasmetta un messaggio ulteriore e diverso rispetto alla visione oggettiva di esso, rendendo una soggettiva interpretazione che permetta di individuare l’opera tra le altre analoghe[23]».

Ciò che invece distingue le immagini fotografiche ex art. 87 comma 1 L.d.A. dalle riproduzioni fotografiche rientranti nella terza tipologia di cui al comma 2 del medesimo articoo, non è tanto l’attività del fotografo, correlata alle sue capacità tecnico-professionali (la scelta degli oggetti, la loro collocazione, la cura della luce), quanto la presenza di uno scopo in capo allo stesso, ulteriore e diverso, rispetto a quello meramente documentativo.

Stante il carattere dirimente della «creatività» per la collocazione dello scatto all’interno di una delle categorie in cui si articola la normativa autoriale in tema di fotografia, occorre delinearne e approfondirne i tratti distintivi.

3. In generale, un ostacolo al riconoscimento del carattere creativo nell’opera d’arte fotografica in quanto tale è stato riscontrato, da parte della dottrina più rigorosa[24], nelle modalità di realizzazione della fotografia. Si è sostenuto infatti che l’apparecchio tecnico si sostituirebbe all’uomo al momento dello scatto, istante decisivo per la formazione dell’opera tutelabile, con il risultato pratico di escludere, nella creazione della forma d’arte, quell’apporto personale che in caso di disegno sarebbe fornito dalla mano dell’artista. Seguendo tale linea argomentativa, si è arrivati ad affermare l’inidoneità della tutela autorale per la fotografia, stante la carenza di creatività ex se in qualsiasi scatto, alla luce del procedimento di formazione.

Secondo una tesi più moderata, sebbene l’imputabilità dell’operazione andrebbe comunque attribuita all’apparecchio, cionondimeno esso è comunque avviato dalla mano umana, e questo consentirebbe alla fotografia di rappresentare la realtà in modo personale e addirittura di creare immagini di pura fantasia[25].

La tesi più restrittiva descritta per prima non è condivisibile, in primis perché l’elemento tecnico-strumentale condiziona anche altre opere dell’ingegno (come la pittura e la scultura) pacificamente tutelate dal diritto d’autore. La presenza della componente tecnica è inidonea a precludere ex se il carattere creativo dell’opera fotografica, che rimane comunque il risultato della combinazione tra la capacità tecnico-professionale e l’inventiva del fotografo[26].

Un ulteriore limite alla creatività è stato in passato individuato nell’impossibilità di intervenire sul soggetto dello scatto, che verrebbe così pedissequamente riprodotto, in modo estremamente fedele alla realtà, essendo impossibile determinarne una variazione[27]. Ciò accade nella riproduzione di opere d’arte o di elementi naturalistici (un paesaggio, un essere vivente, come per l’appunto il lupo oggetto della fotografia relativa alla sentenza in commento).

L’opinione esaminata non è condivisibile: ai fini della sussistenza del requisito della creatività, non è necessariamente richiesto l’intervento del fotografo sulla composizione dell’oggetto della fotografia[28]. Al contrario, è ben possibile rinvenire un elevato livello di creatività anche nella fotografia di un soggetto trovato in rerum natura, che può essere immortalato più volte in modo da generare impressioni differenti e rivelatrici di autonome impronte autoriali[29].

In relazione alla pittura, la giurisprudenza di legittimità[30] ha chiarito come, nonostante più opere ritraggano lo stesso soggetto, se le diverse modalità con le quali esso viene ritratto lasciano trasparire la creatività di ciascun artista, ognuna di esse sarà meritevole di autonoma protezione.

In questa prospettiva, la Cassazione[31] ha riconosciuto la qualifica di opera creativa ad una fotografia che ritraeva la rappresentazione di un dipinto. Nel caso di specie, si contestava la circostanza che l’elemento aggiunto alla mera riproduzione del quadro fosse limitato all’estrapolazione di un particolare (un uomo che brandiva una bandiera), quale fattore insufficiente ad estrinsecare la sensibilità creativa dell’autore. La Corte di legittimità ha invece ritenuto congrua ed immune da errori logici e giuridici la motivazione addotta dal giudice di merito con la quale si era dato atto della creatività della fotografia e della conseguente tutela mediante diritto d’autore.

Tali osservazioni sono suscettibili di interpretazione estensiva anche al caso di una pluralità di scatti fotografici, sebbene l’accertamento del carattere creativo risulti indubbiamente più complesso in questo campo[32], stante l’ineliminabile e necessitato legame con la realtà preesistente, che viene immortalata mediante un’attività di tipo essenzialmente meccanico[33].

Anche per tali ragioni, mentre in generale il livello di creatività ritenuto sufficiente ad ottenere la tutela autoriale non è particolarmente elevato, essendo sufficiente che l’opera presenti anche solo «qualche elemento o qualche combinazione originale», in ambito fotografico tradizionalmente si richiede un livello di creatività maggiore rispetto agli altri settori[34] e, in senso assoluto, particolarmente elevato[35].

Secondo un criticabile filone giurisprudenziale, il riconoscimento del valore artistico spetterebbe alla sola opera fotografica in grado di «rielaborare la realtà», e andrebbe di contro negato a tutti quegli scatti privi di manipolazioni fantasiose ed inidonei ad esprimere un quid pluris rispetto all’oggettività del fatto[36].

Tale orientamento non è condivisibile, posto che l’apporto personale dell’artista non è connesso tanto alla scelta dell’oggetto dello scatto, quanto invece alla sua peculiare rappresentazione[37]: «l’immagine di un albero, ad esempio, è cosa diversa dall’albero stesso. Essa può essere impressa su tela da un pittore o diventare una fotografia[38]». La creatività non dipende dalla banalità dell’oggetto fotografato, ma dall’apporto personale del fotografo, dalla «personalità della visione[39]» della realtà.

In tale ottica, è possibile superare l’originaria linea interpretativa della L.d.A., che sembrava ritenere determinante, ai fini della graduazione del livello di tutela, l’oggetto dello scatto fotografico; al contrario, gli elenchi contenuti nell’art. 87 L.d.A. assumono una valenza non dirimente, ma meramente esemplificativa, per l’individuazione della tutela applicabile, posta la necessità dell’accertamento del requisito della creatività in concreto, a prescindere dal soggetto immortalato[40].

In aderenza a tale impostazione, la dottrina ha ritenuto che «per valutare il carattere creativo di una fotografia bisogna porsi idealmente davanti allo stesso soggetto [fotografato]e chiedersi se l’autore abbia aggiunto all’immagine fissata nel negativo qualcosa che non ci sarebbe se la fotografia fosse stata fatta da un altro, con la precisazione che si deve trattare di qualcosa di significativo che riveli l’intendimento espressivo dell’autore[41]».

Al contrario, la giurisprudenza non si è sempre mostrata di questo avviso, anzi ha frequentemente riservato alla fotografia un trattamento di peculiare severità riguardo al livello di creatività richiesto ai fini dell’accesso alla tutela autoriale, interpretando in maniera restrittiva il requisito dell’«intendimento espressivo». I giudici hanno talvolta ritenuto di essere in presenza di un’opera d’arte fotografica solo previo riscontro del valore artistico[42], pur nell’assenza di tale requisito nel dettato normativo[43].

Parimenti criticabile è la linea interpretativa che fa dipendere la creatività dalla capacità delle fotografie di suscitare reazioni emotive negli spettatori: per l’effetto si è affermato che «la fotografia è creativa quando evoca suggestioni» o «induce in chi esamini tali fotografie una lettura emozionata[44]».

Tali orientamenti giurisprudenziali restrittivi hanno determinato, di conseguenza, l’esclusione dalla tutela autoriale di fotografie orientate ad una fedele descrizione della realtà (si pensi al caso di reportage[45]) o aventi ad oggetto opere d’arte figurative.

In relazione alle fotografie aventi questo secondo oggetto, si è evidenziato come esse si limitino ad una pedissequa riproduzione della realtà, senza l’apporto di alcuna rielaborazione delle immagini da parte del fotografo.

Proprio nel campo delle fotografie che riproducono opere dell’arte figurativa (in cui uno sforzo creativo venne già a suo tempo compiuto dall’autore dell’opera fotografata) difficilmente la fotografia consegue carattere creativo, in quanto «la necessaria fedeltà nella rappresentazione oggettiva del soggetto riprodotto, caratteristica naturale di tale tipo di fotografia, ne costituisce anche l’altrettanto necessario limite[46]». Sulla scorta di tali considerazioni, tali scatti andrebbero qualificati come opere derivate, cioè come elaborazioni a carattere creativo dell’opera originaria, consentite ed autonomamente tutelate, purché senza pregiudizio dei diritti d’autore dell’opera oggetto dell’elaborazione[47].

In chiave parzialmente difforme rispetto agli orientamenti sopra esposti e criticati, la sentenza in commento costituisce invece espressione di quella corrente – sino ad ora minoritaria[48] ma in crescita – orientata all’uso di canoni obiettivi e neutrali per la valutazione del requisito della creatività, anche nello specifico ambito fotografico.

La ratio decidendi del Tribunale di Milano si fonda infatti, condivisibilmente, sui parametri obiettivi individuati in sede europea già qualche anno prima all’interno della nota pronuncia relativa al caso Painer[49].

Il giudice europeo era stata investito della questione in sede di rinvio pregiudiziale, a seguito di un giudizio instaurato in Austria, da una fotografa indipendente autrice di uno scatto ad una bambina, successivamente rapita; dopo il sequestro, le autorità avevano utilizzato il ritratto ai fini di ricerca[50], ricavandone un identikit. Tali scatti erano stati poi pubblicati dalla stampa e via Internet, in assenza del consenso della fotografa e senza l’indicazione del suo nome quale autrice, anche molti anni dopo, quando la persona fotografata era riuscita a sfuggire al suo sequestratore. La fotografa aveva convenuto in giudizio gli editori, chiedendo l’inibitoria della riproduzione e della diffusione delle fotografie, oltre al risarcimento del danno.

Per stabilire se i ritratti fotografici fossero meritevoli della protezione del diritto d’autore di cui all’art. 6 della Direttiva 93/98, la Corte di Giustizia, nel richiamare il precedente Infopaq International[51], ha ricordato che tale tutela può essere estesa soltanto alle opere originali: una creazione intellettuale «appartiene» al suo autore se ne rispecchia la personalità, estrinsecata attraverso scelte libere e creative.

Nello specifico, il giudice eurounitario, ai paragrafi 90 e 91 della sentenza Painer, ha specificato che «l’autore può effettuare le proprie scelte libere e creative in molti modi e in diverse fasi durante la sua realizzazione. Durante la fase preparatoria l’autore potrà scegliere lo sfondo, la messa in posa della persona da fotografare o l’illuminazione. Nel fotografare potrà scegliere l’inquadratura, l’angolo di ripresa o ancora l’atmosfera creata. Infine, al momento dello sviluppo, l’autore potrà scegliere tra diverse tecniche esistenti quella da adottare, o ancora procedere, eventualmente, all’impiego di programmi informatici».

Anche la Cassazione nel 2015, in tema di accertamento del valore artistico nell’industrial design, ha fatto uso di analoghi criteri obiettivi. Nello specifico, la Corte ha ritenuto, a fronte dei rischi scaturenti dagli indici soggettivi di valutazione, condizionati dal senso estetico, dalla cultura e dalla sensibilità artistica dei valutatori, di individuare parametri «maggiormente oggettivi che, corroborando e dando consistenza alle impressioni soggettive, possano tendere ad uniformare le possibili decisioni assunte dai giudici sulla medesima fattispecie[52]».

Nella sentenza in esame, il Tribunale di Milano fa puntuale applicazione dei parametri indicati nella sentenza Painer: quanto allo sfondo, vista la «sapiente sfocatura dell’ambiente circostante (…) facendo emergere i fiocchi di neve che, copiosamente [vi] cadevano»; in relazione al soggetto, per il fatto che il fotografo «ha altresì colto l’animale mentre lo stesso era intento ad ululare (…)»; con riguardo alle tecniche esistenti, si è enfatizzato «un sapiente uso del chiaroscuro e l’utilizzo, con finalità creative, dei giochi di luce e ombre distinguibili sullo sfondo blu dell’immagine e, sopratutto, dal contrasto generato tra i fiocchi di neve rispetto alla cromatura del pelo del lupo».

Sebbene qualche refuso in chiave soggettivistica[53] sia presente anche in questa pronuncia, i principali elementi posti a fondamento della decisione assumono una valenza oggettivamente valutabile.

La motivazione del giudice milanese corrobora l’assunto per cui in fotografia, al prodotto creativo si giunge attraverso la selezione, la combinazione e l’elaborazione degli effetti ottenibili mediante l’impiego dell’apparecchio (inquadratura, prospettiva, luce, colori), o tramite l’intervento – se possibile – sulla composizione del soggetto (l’atteggiamento, l’espressione o lo sguardo nel caso di un soggetto ritratto). L’attività preparatoria, come quella successiva (di sviluppo dei negativi e oggi, nell’era digitale, di elaborazione del file) «è opera dell’uomo e manifestazione della sua capacità tecnica, ma anche di scelte dettate dai suoi intendimenti e da un particolare modo di vedere la realtà», richiedendo «quasi inevitabilmente la presenza di (un minimo di) scelte soggettive nella combinazione di numerose variabili[54]».

Il Tribunale ritiene altresì che a sostegno del carattere artistico della fotografia possano richiamarsi «lo specifico riconoscimento autoriale in territorio statunitense (…), sia la sua collocazione all’interno di un’opera monografica alla quale è stata data dignità di pubblicazione e di stampa (…), nonché la sostanziale identità, sul piano della qualità creativa, della predetta immagine rispetto ad altre rappresentazioni naturalistiche» ad opera dello stesso fotografo «apparse su prestigiose riviste di settore». Da ultimo, si evidenzia come l’opera fotografica «sia stata particolarmente apprezzata dagli operatori commerciali» e che «anche il noto motore di ricerca Google pone la fotografia oggetto di causa tra le prime immagini associate alla stringa holwing wolf o “lupo ululante”».

Altro aspetto rapidamente richiamato dalla pronuncia in esame è quello dell’irrilevanza, ai fini del riconoscimento della creatività del fotografo, della qualità grafica dello scatto[55]. Con riguardo al profilo tecnico, non è richiesta la sussistenza della qualifica di professionista in capo al fotografo, ben potendo essere oggetto di tutela autoriale una fotografia realizzata da un dilettante, in assenza di competenze specifiche e studi approfonditi. Di contro, è possibile che lo scatto realizzato da un professionista sia privo del necessario carattere creativo: in una recente decisione, il Tribunale di Milano, nonostante l’elevata professionalità e ricercatezza della fotografia, ha qualificato lo scatto come mera fotografia, stante l’assenza di apporto personale del fotografo e la mancanza di «un consolidato e perdurante successo del prodotto presso la collettività ed i suoi ambienti culturali[56]».

Si è sostenuto che nelle fotografie dei professionisti mancherebbe il requisito della creatività, riducendosi l’apporto del fotografo all’abilità e all’esperienza, espressione di un’attività ripetitiva sulla base di regole tecniche volta semplicemente a valorizzare le possibilità del mezzo di ripresa[57]. All’opposto, l’abilità del fotografo professionista è stata considerata non come un limite, ma quale mezzo di espressione per ammettere l’esistenza di rappresentazioni della realtà creative[58].

Com’è stato correttamente osservato dalla giurisprudenza di legittimità, in relazione al valore artistico dell’industrial design, «non necessariamente un noto artista produce sempre ed in ogni caso opere di valore artistico, così come, al contrario, è ben possibile che artisti ancora non riconosciuti per tali producano opere aventi il predetto valore[59]». Un’opera fotografica può dunque essere realizzata indifferentemente da un professionista quanto da un dilettante, non essendo a tal fine determinanti e qualità personali dell’autore, ma le caratteristiche obiettive dell’opera realizzata.

Nella sentenza in commento, l’attore ha dedotto in giudizio il carattere professionale della propria attività, sin dalle premesse («D.J.C., premesso di essere un fotografo professionista insignito di numerosi e prestigiosi riconoscimenti internazionali, nonché riconosciuto tra i più affermati fotografi naturalistici del pianeta»).

Il Tribunale milanese ha implicitamente riconosciuto la sussistenza di tale qualifica in capo all’attore, valorizzando in tal senso alcune allegazioni, quali: la collocazione dell’opera in una monografia dotata di dignità di stampa e pubblicazione, un livello di creatività analogo a quello di altre foto dello stesso autore pubblicate su note riviste di settore, l’apprezzamento manifestato dagli operatori commerciali, la presenza della foto tra i primi risultati di ricerca su Google.

Tali elementi sono stati utilizzati al solo limitato fine di corroborare la motivazione favorevole al riconoscimento della creatività dell’opera, che si basa, condivisibilmente e principalmente, sulla valutazione dell’apporto personale del fotografo, che emerge dalle caratteristiche del prodotto realizzato e non dalla qualifica di fotografo esperto, stante la già chiarita irrilevanza di tale profilo soggettivo.

4. Al momento dell’accertamento in senso affermativo della coincidenza tra lo scatto fotografico e l’immagine utilizzata dallo stilista, il giudice milanese corrobora tale assunto mediante la confessione stragiudiziale fornita dalla convenuta, che ha dichiarato di aver reperito l’immagine del lupo sul web, nello specifico, attraverso l’uso del motore di ricerca Google. Su tale allegazione, lo stilista solleva un’eccezione di presunta legittimità dell’utilizzo dello scatto, essendo lo stesso liberamente reperibile in rete[60].

Il Tribunale mostra di non condividere questa linea difensiva e, al contrario, qualifica come colposa la condotta dello stilista convenuto, che ha utilizzato l’immagine senza accertarsi preventivamente sul regime di protezione autoriale. La ritenuta violazione dell’obbligo di diligenza gravante sulla società convenuta è motivata da due considerazioni: in primo luogo, la circostanza che lo stesso motore di ricerca Google inserisca la specifica segnalazione per cui le immagini raffigurate potrebbero «essere oggetto di copyright[61]», la quale grava l’utilizzatore della rete dell’onere di accertarsi dell’effettiva sussistenza di diritti autoriali aventi ad oggetto le immagini che intende utilizzare.

In secondo luogo, nel caso in esame, avendo la società convenuta commesso l’illecito durante lo svolgimento di attività professionale, l’onere di diligenza su di lei gravante era quello, particolarmente elevato, di cui all’art. 1176 comma 2 c.c[62]. Appartiene al bagaglio nozionistico del medio professionista, in particolar modo se operatore del c.d. fashion business, il noto principio secondo il quale l’utilizzo di una fotografia senza richiedere la liberatoria dell’autore o senza previo accertamento della libera riproducibilità dell’immagine, costituisce un’ipotesi di contraffazione[63].

Il Tribunale di Milano è chiaro nell’enucleare il principio per il quale la mera presenza di un’immagine in rete[64] non ne liberalizza automaticamente l’utilizzo da parte dei terzi. Anche altre pronunce di merito hanno aderito alla medesima linea interpretativa, richiedendo in capo all’utente un comportamento diligente nell’espletamento delle valutazioni necessarie all’accertamento della sussistenza di eventuali diritti autoriali sulle immagini reperite in Internet.

La prima vicenda, decisa dal Tribunale di Roma nel 2015[65], ha riguardato la pubblicazione su di un noto quotidiano nazionale di alcune fotografie ritraenti giovani cubiste nei locali notturni romani, prelevate sulla pagina Facebook dell’autore degli scatti. A fronte della domanda giudiziale spiegata da quest’ultimo per violazione del diritto d’autore, i convenuti hanno eccepito il difetto di legittimazione attiva in capo all’attore, dal momento che la pubblicazione sul social network da parte dell’utente avrebbe comportato l’automatica cessione alla piattaforma dei diritti di sfruttamento dei contenuti ivi pubblicati[66].

Nell’accogliere la domanda attorea, il Tribunale di Roma ha in primis dichiarato che la pubblicazione di una fotografia su un profilo Facebook non comporta l’automatica ed integrale cessione dei diritti d’autore alla piattaforma, ma una mera licenza non esclusiva per il suo utilizzo sul social network, cronologicamente limitato alla permanenza dell’immagine sulla piattaforma; pertanto, l’originario diritto d’autore era rimasto in capo all’autore dello scatto e titolare della pagina Facebook dove le foto erano state pubblicate[67].

Anche questa pronuncia, sebbene ai diversi fini di cui all’art. 90 L.d.A. in punto di accertamento della mala fede, esige dall’utente un comportamento cauto e corretto anche in rete, che si traduce «nella possibilità di conoscere, secondo l’ordinaria diligenza, il titolare dei diritti patrimoniali esclusivi sulle immagini fotografiche riprodotte sul giornale».

Una vicenda più recente, decisa con sentenza dell’11 marzo 2021 sempre dal Tribunale di Roma, era relativa alla pubblicazione non autorizzata sulla pagina Facebook di una gioielleria di una fotografia raffigurante il centro storico di Frosinone prelevata da un’altra pagina dello stesso social network, gestita dall’ACLI di Frosinone.

Secondo la ricostruzione della difesa, la foto in oggetto, pur in astratto tutelabile in virtù del disposto di cui all’art. 87 L.d.A. come fotografia semplice, non conteneva le indicazioni richieste dall’art. 90 L.d.A. (stante l’omessa menzione dell’autore dello scatto), e dunque in concreto sarebbe stata priva di protezione, risultando impossibile procedere all’identificazione del soggetto destinatario della richiesta di autorizzazione per l’utilizzo dell’immagine.

Il Tribunale, nel respingere l’eccezione, sottolinea ancora una volta l’importanza di un comportamento diligente al momento dell’accertamento del copyright: «La circostanza che la società convenuta abbia tratto la foto su una pagina Facebook dell’ACLI di Frosinone che non conteneva l’indicazione del sito dell’autore (a seguito di probabile taglio della parte inferiore della foto) non esclude la responsabilità della società convenuta la quale, prima di utilizzare la fotografia tratta su pagine internet che non garantiscono che le foto ivi pubblicate non siano oggetto di diritti autoriali, doveva effettuare adeguati accertamenti al riguardo[68]».

Sebbene i casi sopra esaminati abbiano in oggetto fotografie reperite su un social network, le argomentazioni addotte sono applicabili anche al caso di fotografie trovate su Google o, più in generale, nel web. Il canone di diligenza richiesto all’utente infatti prescinde dal luogo virtuale di navigazione, non costituendo la libera disponibilità di una fotografia presunzione di assenza di diritti autorali sulla medesima, qualunque sia il sito Internet effettivamente consultato.

Non rileva neppure la circostanza che i due casi da ultimo citati abbiano avuto ad oggetto «semplici fotografie» e non «opere fotografiche», diversamente dalla sentenza in commento.

Anzi, le considerazioni sulle fotografie ex art. 87 L.d.A. sono a fortiori applicabili al caso di tutela delle opere d’arte fotografiche, meritevoli di protezione autoriale piena, che ne rende illecito l’utilizzo in assenza di consenso a prescindere dai requisiti richiesti dall’art. 90 L.d.A. (l’indicazione del nome del fotografo e della data dello scatto, salva la prova della mala fede). Proprio per questa ragione, una volta qualificata come «opera d’arte» la fotografia oggetto del giudizio, il Tribunale di Milano non ha approfondito questi ulteriori profili.

5. La domanda di parte attrice era diretta all’ottenimento di una sentenza di condanna sia per la violazione del diritto morale d’autore che per i diritti di sfruttamento economico, come risulta dalle conclusioni riportate a pagina 2 della sentenza. Il giudice milanese tuttavia, al punto 5 della pronuncia fa riferimento all’accertamento del solo illegittimo sfruttamento economico dell’immagine, sebbene poi provveda alla liquidazione anche del danno non patrimoniale da illecita utilizzazione economica[69] in aderenza con l’art. 158 comma 3 L.d.A.

In generale, le opere fotografiche godono, analogamente alle altre opere dell’ingegno, di una duplice tutela, a contenuto sia personale che economico, che si traduce rispettivamente nel riconoscimento di un diritto morale[70] ed di diritti di utilizzazione economica[71], separatamente disciplinati. Come già accennato[72] a queste due tipologie[73] di diritti corrisponde poi un diverso tipo di violazione: mentre il plagio consiste nella falsa attribuzione della paternità dell’opera con lesione del della componente morale, la contraffazione si traduce nel suo illecito sfruttamento, allo scopo di trarne utilità economiche pur senza usurparne la paternità.

Spesso il termine plagio è tuttavia utilizzato con un significato più esteso, riferito ad entrambe le ipotesi principali, cioè sia alla riproduzione degli elementi creativi dell’opera altrui, con usurpazione della paternità, sia alla contraffazione, intesa solo come sfruttamento dei diritti economici nascenti dall’opera protetta senza il consenso dell’autore[74].

Una recente pronuncia del Tribunale di Milano[75] ha chiarito i confini tra le fattispecie di plagio, contraffazione e plagio-contraffazione, affermando specificamente che «si ha contraffazione qualora la violazione consista nello sfruttamento illecito dei soli diritti economici dell’autore (sia quando l’opera originale venga utilizzata abusivamente senza alcuna modifica, sia quando la stessa venga modificata dal contraffattore) ma rispettando il diritto di paternità dell’opera; si ha plagio quando si verifica l’illegittima appropriazione della paternità dell’opera e dei suoi elementi creativi. In tali ipotesi, sussiste la violazione sia del diritto morale d’autore che del diritto di utilizzazione economica; si ha invece plagio-contraffazione quando l’opera viene riprodotta illecitamente ed attribuita ad un soggetto diverso dal suo autore».

La contraffazione viene inoltre distinta dalla riproduzione abusiva in senso stretto, da un lato, e dall’elaborazione creativa non consentita, dall’altro. La riproduzione abusiva è caratterizzata dalla copia integrale dell’opera; nell’elaborazione creativa – pur connotata da un’originale elaborazione dell’opera e da un apporto creativo meritevole di autonoma protezione ex art. 4 L.d.A. – è comunque riconoscibile l’apporto creativo proprio dell’opera originaria[76].

Chiarito ciò in via generale e tornando alla vicenda in esame, i giudici milanesi, una volta accertata la fattispecie di illegittimo sfruttamento economico dell’immagine, hanno provveduto ad irrogare le sanzioni alle convenute, disponendo in primo luogo, la condanna al risarcimento del danno.

Il Tribunale, come sovente avviene in questa materia, non specifica la voce di danno patrimoniale risarcita (se danno emergente o lucro cessante), ma, dal momento che si avvale espressamente del criterio del prezzo del consenso, previsto per il calcolo del mancato guadagno (v. infra), implicitamente omette di pronunciarsi sulle eventuali perdite subite.

In dottrina e giurisprudenza tendenzialmente si esclude la configurabilità di un danno emergente derivante dalla lesione del diritto d’autore, in ragione della natura immateriale del bene tutelato: «la contraffazione non incide direttamente, danneggiandolo, sul bene oggetto del diritto (l’invenzione, il marchio o l’opera protetta da diritto d’autore), per cui non si potrebbe in questa materia parlare di danno emergente[77]».

Questa interpretazione risulta coerente con la ricostruzione del danno emergente fatta propria dalla cd. teoria della differenza[78], mentre a conclusioni diverse giunge la teoria del danno normativo, per la quale il pregiudizio scaturisce dalla lesione di un interesse ritenuto meritevole di tutela dall’ordinamento giuridico che produca conseguenze economicamente valutabile[79].

Secondo questa seconda opinione, il danno emergente nel settore della proprietà intellettuale è costituito dal pregiudizio di cui risente l’interesse giuridicamente protetto dall’esclusiva, e cioè da tutta quella gamma di ipotesi che va dall’interferenza ingiustificata sulle scelte di sfruttamento del bene (potere di disposizione) alla violazione dell’integrità delle decisioni dell’impresa titolare dell’esclusiva (potere di godimento)[80]. Tali ipotesi di danno emergente possono configurarsi non soltanto a seguito delle violazioni dell’esclusiva che comportino nuove spese[81], ma anche laddove la perdita di valore economico dell’opera sia scaturita dal pregiudizio che abbiano subito la reputazione e la qualità dell’opera stessa a causa della contraffazione[82].

L’art. 158 comma 2 LdA offre spunti interessanti con riguardo ai criteri di liquidazione del predetto danno: oltre al richiamo agli artt. 1223, 1226, 1227 e 2056 comma 2 c.c., la norma consente al giudice di tener conto, ai fini del lucro cessante, anche degli utili realizzati dal contraffattore in violazione del diritto. Il cd. criterio di retroversione degli utili[83] impedisce all’autore della violazione di conservare una parte dei benefici derivanti dalla propria attività illecita, anche nell’ipotesi in cui questi eccedano il danno effettivamente subito dal titolare. Questo metodo di calcolo, nell’ottica di un superamento della logica meramente compensativa del risarcimento del danno, si muove in una prospettiva sanzionatoria produttiva di effetti anche deterrenti in relazione alla commissione dell’illecito[84].

Nella vicenda in esame tuttavia tale criterio non viene preso in considerazione, visto che «l’attore ha suggerito quale metodo di liquidazione del danno il c.d. prezzo del consenso[85]» scelta condivisa dal giudice di Milano, anche per la mancata prova rigorosa dell’utile conseguito dalla convenuta quale conseguenza immediata e diretta dell’illecito.

Il prezzo del consenso si traduce, come chiarito dall’art. 158 comma 2 L.d.A., nel calcolo degli importi corrispettivi «che avrebbero dovuto essere riconosciuti, qualora l’autore della violazione avesse chiesto al titolare l’autorizzazione per l’utilizzazione del diritto». In forza di questo ragionamento ipotetico, il giudice è chiamato a ricostruire quale sarebbe stato il corrispettivo richiesto da parte del titolare del diritto laddove il contraffattore, invece di porre in essere un’attività illecita, avesse richiesto l’autorizzazione per l’utilizzazione economica dell’opera.

Sia il criterio della retroversione degli utili che quello del prezzo del consenso sono ascrivibili nella cornice di una liquidazione equitativa del danno ex art. 1226 c.c.; quanto al loro rapporto, la Cassazione ha di recente affermato che «la legge non esprime un precetto rigido di preferenza per i due criteri suggeriti; sebbene l’espressione utilizzata (“quanto meno”) lasci, in verità, intendere che quello del c.d. prezzo del consenso costituisce l’indicativa liquidazione di una soglia solo minima della liquidazione. I due criteri, dunque, si pongono come cerchi concentrici, avendo il legislatore indicato come il secondo sia quello che permette una liquidazione c.d. minimale, mentre il primo, dall’intrinseco significato anche sanzionatorio, permette di attribuire al danneggiato i vantaggi economici che l’autore del plagio abbia in concreto conseguito, certamente ricomprendenti anche l’eventuale “costo” riferibile all’acquisto dei diritti di sfruttamento economico dell’opera, ma ulteriormente implementati dai ricavi conseguiti dal plagiario sul mercato[86]».

Nel caso della violazione del diritto d’autore, il prezzo del consenso assume la forma della c.d. «royalty ragionevole», in quanto, come evidenziato dalla dottrina[87], occorre determinare il c.d. prezzo del consenso obbligato, cioè quel punto di caduta che, attraverso una ricostruzione sì ipotetica, ma logica e verosimile, determini il costo di una licenza obbligata dal giudice alle parti conflittuali; tale canone si traduce dunque in uno strumento per l’individuazione, a posteriori, di quello che sarebbe stato un ipotetico rapporto negoziale delle parti in causa, cioè come fonte integratrice di un accordo negoziale sul corretto uso del diritto comunque violato.

Il Tribunale di Milano nel 2016 ha ribadito che «per la quantificazione dei danni patrimoniali in favore del soggetto leso, il criterio da tenere in considerazione è quello del cd. prezzo del consenso, che consente al giudice di liquidare il danno in via forfettaria, sulla base dell’importo delle royalties che avrebbero dovuto essere corrisposte al titolare dei diritti[88]». Anche secondo il Tribunale di Torino, «il criterio del prezzo del consenso appare corretto per quantificare in via equitativa i danni da violazione del diritto d’autore, ma presuppone comunque l’allegazione e la prova di elementi idonei a quantificare correttamente tale prezzo[89]».

Il prezzo del consenso non può dunque, in tale caso, riferirsi alla semplice royalty di base, perché questa non sarebbe aderente alle finalità della norma, che mira all’accertamento dell’equivalente.

La maggiore difficoltà scaturente dall’uso di questo criterio deriva dalla scelta dei parametri da adoperare. Il Tribunale esamina in maniera puntuale la documentazione agli atti: inconferenti appaiono i contratti di sfruttamento economico (doc. 19 e 33) e la transazione (doc. 34) prodotti dal fotografo in giudizio. Il giudice dà atto dell’irrilevanza probatoria di entrambi i contratti, stante il difetto di sottoscrizione nell’uno e la presenza di un’immagine diversa da quella oggetto del giudizio nell’altro. Anche la transazione è parimenti inutile, perché, pur riferendosi allo stesso scatto fotografico, riguarda la violazione del diritto d’autore ad opera di un soggetto diverso, cioè una nota cantante statunitense. Il Tribunale rigetta anche il criterio proposto dalla convenuta Marras S.r.l. (tariffe medie praticate dall’associazione nazionale dei fotografi professionisti), sia per la mancata adesione all’associazione da parte dell’attore, sia per la fama ed il prestigio da questi ottenuti, in misura notevolmente superiore alla media.

Il prezzo del consenso viene allora condivisibilmente calcolato sulla base di un altro documento (doc. 9, non meglio descritto, e consistente probabilmente in una scrittura privata) fornito dalla convenuta, «dal quale si evince la disponibilità dell’attore a transigere la controversia insorta – e, quindi, a prestare il proprio consenso, seppure a posteriori e nei limiti dell’esiguo utilizzo dell’immagine da parte della convenuta – per l’importo complessivo di $ 17,500.00, pari a circa € 16.000,00».

Il Tribunale riconosce anche la componente non patrimoniale del danno sofferto dall’attore, che ritiene equitativamente pari ad € 9.000,00 «per non essere stato riconosciuto pubblicamente come l’autore dello scatto rappresentato sui capi d’abbigliamento» (v. p. 11 della sentenza), riconoscendo implicitamente la violazione del diritto morale d’autore ex art. 20 L.d.A., tutela che si traduce – come in questo caso – nel diritto di un soggetto ad essere riconosciuto come autore dell’opera, oltre al diritto di rivendicarne in qualunque momento la paternità contro eventuali atti di usurpazione e, in caso di opera anonima o sotto pseudonimo, di rivelarla[90].

Il Tribunale pronuncia altresì inibitoria[91] alle convenute dalle condotte di riproduzione, commercializzazione o diffusione della fotografia oggetto di causa in virtù dell’art. 163 comma 1 L.d.A. Manca invece, nonostante l’espressa richiesta attorea, la condanna alla distruzione degli esemplari dell’opera prodotti in modo illecito, che avrebbe consentito la rimozione degli effetti della violazione ed il ripristino dello status quo ante ex art. 158 comma 1 L.d.A. Da ultimo, in attuazione del disposto di cui all’art. 166 L.d.A., il giudice ordina alle convenute di procedere alla pubblicazione della sentenza.

6. Il Tribunale ha poi affrontato l’ulteriore questione della responsabilità in capo alla società convenuta Drexcode S.r.l., non quale autrice della condotta di illecito sfruttamento economico, imputata alla sola società Marras S.r.l., ma in qualità di distributore online dei capi realizzati dalla casa di moda. La difesa della convenuta, oltre ad aver evidenziato l’esiguo numero di beni da essa commercializzati (quattro capi di abbigliamento, di cui soltanto due venduti, uno dei due acquistato dall’attore appositamente ai fini del giudizio) ha ritenuto che nella propria condotta non fossero ravvisabili profili di colpevolezza, non avendo avuto modo, neppure tramite l’adozione di un comportamento improntato alla diligenza professionale, di accertare la lesione al diritto d’autore posta in essere dalla Antonio Marras S.r.l., nei confronti della quale ha comunque proposto domanda di manleva.

Vista la qualifica di distributore in capo alla Drexcode S.r.l., appare opportuno soffermarsi in generale sui profili di responsabilità di tale figura professionale[92].

La distribuzione è un fenomeno variegato, idoneo a comprendere un nutrito insieme di meccanismi volti a colmare le distanze tra produzione e consumo[93]. L’ipotesi di una vendita diretta dal produttore al consumatore è rara nella pratica, e a fortiori in un contesto come quello del presente giudizio, relativo a prodotti di alta moda, dove è ben poco probabile un contatto diretto tra stilista ed acquirente. Per ragioni di praticità dunque, il produttore preferisce rinunciare a provvedere in prima persona alla distribuzione per rivolgersi ad intermediari che svolgono, professionalmente, l’attività di collocazione dei beni nel mercato, realizzando il cd. canale lungo di distribuzione.

Dal punto di vista soggettivo, un primo profilo problematico attiene alla definizione di «distributore»; la Direttiva 2001/95/CE relativa alla sicurezza generale dei prodotti[94], all’art. 2 lett. f), qualifica come tale «qualsiasi operatore professionale della catena di commercializzazione, l’attività del quale non incide sulle caratteristiche di sicurezza dei prodotti». La Corte di Giustizia si è pronunciata in senso favorevole all’applicabilità al contratto di distribuzione della disciplina relativa alla prestazione di servizi, quando esso costituisca «un accordo quadro avente ad oggetto un obbligo di fornitura e di approvvigionamento concluso per il futuro da due operatori economici» e contenga «clausole contrattuali specifiche relative alla distribuzione da parte del concessionario della merce venduta dal concedente[95]».

Nella vicenda concreta tuttavia, è pacifica tra le parti la qualifica di distributore in capo alla convenuta Drexcode S.r.l, che per l’appunto riconosce la «propria qualità di distributore di soli quattro capi d’abbigliamento» (v. p. 6 della sentenza).

Un profilo peculiare è costituito invece dalla circostanza che la Drexcode S.r.l. si è avvalsa, nella sua attività di commercializzazione e distribuzione di abbigliamento di lusso, di una piattaforma online (v. p. 4). La nascita delle piattaforme online[96] è uno degli sviluppi economici e sociali più importanti degli ultimi anni, che ha generato un impatto dirompente sulle reti di distribuzione e di franchising.

Già nel contesto della sua strategia per il mercato unico digitale del 2015https://www.bbmpartners.com/news/Piattaforme-online-nell-Unione-Europea-nuove-regole-e-impatto-sui-produttori-e-sui-franchisors – _ftn2, la Commissione Europea si è mostrata consapevole del ruolo crescente ricoperto dalle piattaforme online ed ha iniziato a prevedere la necessità di regolamentarne alcuni aspetti[97]. Secondo la Comunicazione della Commissione Europea sulle piattaforme online del 25 maggio 2016[98], tali strumenti possiedono importanti caratteristiche specifiche: esse, in particolare, «possono creare e formare nuovi mercati, fare concorrenza a quelli tradizionali e organizzare nuove forme di partecipazione o di esercizio di attività economiche (…); beneficiano degli “effetti di rete”, in virtù dei quali, generalmente, il valore del servizio aumenta con l’aumentare degli utenti;svolgono un ruolo chiave nella creazione di valore digitale (…) agevolando nuove iniziative imprenditoriali e creando nuove dipendenze strategiche».

Nella vicenda in esame – salvo un fugace riferimento all’attività di web merchandising[99] svolta dalla Drexcode nell’interesse della Marras (p. 11) – non viene indicato il tipo di contratto stipulato tra le società convenute (ad esempio, se si trattava di un accordo di distribuzione selettiva[100], come sovente avviene nei settori del lusso[101]).

Il Tribunale, senza soffermarsi sulla qualificazione del rapporto contrattuale, in quanto circostanza pacifica tra le parti, pone l’accento sull’accertata condotta colposa ascrivibile al distributore, per omesso controllo sull’attività posta in essere dalla casa di moda.

Tra i soggetti coinvolti a vario titolo nella diffusione del fenomeno contraffattivo, vanno infatti ricompresi non solo coloro che partecipano attivamente al processo produttivo, ma anche i rivenditori/distributori delle merci, che inseriscono materialmente i prodotti illecitamente realizzati nel mercato. Questo modello di «responsabilità diffusa» è ormai quasi unanimemente adottato in giurisprudenza, in tema sia di segni distintivi[102] che di concorrenza sleale confusoria[103].

Con specifico riguardo al settore del diritto d’autore, il tribunale milanese si dichiara consapevole dell’esistenza di un orientamento minoritario contrario al riconoscimento in capo al distributore di una responsabilità sia oggettiva sia colposa per omesso controllo[104]. Cionondimeno, esso mostra invece di aderire ad un diverso indirizzo, ravvisando un profilo di colpevolezza nella mancanza, da parte della Drexcode, del compimento delle verifiche necessarie circa la titolarità dei diritti di sfruttamento economico in capo alla casa di moda. La responsabilità della società distributrice non è ricostruita come oggettiva, ma come responsabilità colposa da omesso controllo, «sussistendo (…) evidenti profili di colpevolezza in capo al distributore quantomeno sub specie di culpa in vigilando» (p. 12).

Riconosciuta la responsabilità in capo alla società distributrice e condannandola in solido con la casa di moda, il tribunale si sofferma anche sui rapporti interni tra le due convenute, stante la domanda di manleva promossa da Drexcode nei confronti dell’Antonio Marras S.r.l.

Nell’ambito della proprietà industriale, in relazione alla responsabilità della rivenditrice, si riscontra una divergenza di opinioni. Una prima tesi, valorizzando l’autonomia della responsabilità del rivenditore/distributore rispetto a quella del produttore, giunge a negare il concorso nell’illecito di contraffazione e di concorrenza sleale e, di conseguenza, l’azione di regresso nei rapporti interni ai sensi dell’art. 2055 c.c[105].

La decisione in esame si colloca sulla linea opposta e riconosce il nesso di solidarietà tra la responsabilità del produttore e del distributore ex art. 2055 c.c. Tale condivisibile ricostruzione si fonda sulla constatazione che detti soggetti partecipano alla commissione di uno stesso illecito, cagionando un unico danno[106]. Considerato quindi che, com’è noto, il vincolo di solidarietà che lega i coautori del fatto dannoso fa sì che il danneggiato possa pretendere la totalità della prestazione anche da uno solo di essi, ne consegue che il titolare del diritto d’autore potrà rivolgersi per l’intero risarcimento a ciascuno dei soggetti responsabili[107]

La questione della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze che ne sono derivate, ovvero, in altre parole, della ripartizione interna delle singole responsabilità[108], può essere oggetto di esame da parte del giudice in caso di azione di regresso o di manleva[109], come effettivamente avvenuto nella vicenda esaminata, dove il giudice ha ritenuto fondata la domanda spiegata dalla distributrice.

Come sopra chiarito, l’unico profilo di colpa ravvisabile nella condotta della distributrice è l’omesso controllo sull’attività della casa di moda, senza che risulti provato un suo contributo attivo nel processo produttivo di realizzazione dei capi o nelle scelte dello stilista di utilizzo illegittimo dello scatto fotografico, né – a fortiori – l’esistenza di una qualche complicità tra produttore e distributore. Pertanto, in accoglimento della domanda di manleva, condivisibilmente il Tribunale ha condannato la Antonio Marras S.r.l. a rifondere alla Drexcode S.r.l. ogni somma eventualmente corrisposta all’attore.

Provvedimento

Omissis – 1. D.J.C., premesso di essere un fotografo professionista insignito di numerosi e prestigiosi riconoscimenti internazionali, nonché riconosciuto tra i più affermati fotografi naturalistici del pianeta, ha convenuto in giudizio le società ANTONIO MARRAS S.R.L. e DREXCODE S.R.L. per sentirle condannare, in solido tra loro, al risarcimento del danno patrimoniale e morale cagionato dall’illecito sfruttamento economico di uno scatto fotografico da egli realizzato.

Ha premesso l’attore che la predetta opera, raffigurante un lupo di colore marrone-grigio con il muso di colore più chiaro, che ulula su uno sfondo caratterizzato da diverse tonalità di blu, nero e grigio – con alcune parti leggermente più chiare e sfumate – ripreso nel corso di una nevicata, veniva utilizzata dalla convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L., senza alcun consenso del titolare, per la realizzazione della collezione moda donna Autunno/Inverno 2014-2015, mediante stampa dell’immagine naturalistica su alcuni capi della collezione, poi distribuiti e commercializzati nel mondo e su alcune piattaforme on-line d’abbigliamento di lusso, tra le quali quella gestita dall’altra convenuta DREXCODE S.R.L.

Ha precisato l’attore che la predetta immagine, contraddistinta da peculiare valore artistico e creativo, oltre a essere oggetto di specifica privativa autorale perché depositata presso lo U.S. Copyright Office (doc. 6 attore), è stata pubblicata nell’opera “Wolf: Legend, Enemy, Icon” di Rebecca L. Grambo edito dalla Firefly Books Ltd. Nel 2011 (docc. 2, 2a attore), nonché è apparsa in prestigiose riviste quali “National Geographic” e “Nikon LearneExplore” (docc. 3, 3a, 3b, 3c e 3d attore).

Per tali ragioni, affermato l’illecito sfruttamento economico dello scatto da parte di ANTONIO MARRAS S.R.L., l’attore ha domandato il risarcimento del danno patrimoniale stimato in € 188.000,00, oltre € 20.000,00 per danno morale, e, conseguentemente, ha chiesto emettersi ordine di distruzione di tutti i capi realizzati da ANTONIO MARRAS S.R.L. in violazione della privativa autorale, insistendo anche per la pubblicazione dell’emananda sentenza e per la condanna ex art. 96 c.p.c. di entrambe le convenute.

D.J.C. ha chiesto altresì la condanna in solido dell’altra convenuta DREXCODE S.R.L., quale distributore on-line dei capi realizzati da ANTONIO MARRAS S.R.L.

Con comparse di risposta ritualmente depositate, si sono costituite in giudizio entrambe le convenute, chiedendo l’integrale rigetto delle domande attoree perché ritenute infondate e temerarie.

Nello specifico, le convenute hanno congiuntamente rilevato come la fotografia stampata sui capi d’abbigliamento non sia quella scattata da D.J.C., ma altra immagine raffigurante un lupo ululante, peraltro priva di peculiare natura artistica, creativa o comunque distintiva.

Ha precisato inoltre la ANTONIO MARRAS S.R.L. di avere effettivamente, nel corso dell’attività di studio e progettazione della collezione donna 2014/2015, reperito sul web la fotografia scattata dall’attore (peraltro priva di indicazioni circa il titolare dello scatto e l’esistenza di privativa autorale), ma di non averla poi direttamente utilizzata, limitandosi a inserirla nel moodboard della collezione, quale fonte di ispirazione per la successiva creazione dei capi da parte dello stilista.

Entrambe le convenute hanno poi contestato che la fotografia oggetto di causa sia tutelabile quale opera creativa ai sensi degli artt. 1 e 2 l.d.a., potendosi semmai invocare la più restrittiva disciplina accordata dagli artt. 87 e ss. l.d.a. per gli scatti fotografici e precisando, inoltre, come l’immagine in questione sia stata comunque realizzata dall’attore nel lontano 1993 (doc. 23 attore). Osservano quindi le convenute che, poiché al momento della realizzazione dei capi d’abbigliamento (2014) era già scaduto il termine di tutela ventennale accordato dall’art. 90 l.d.a. per le rappresentazioni fotografiche, la domanda risarcitoria dell’attore sarebbe infondata per intervenuta decadenza dei diritti di privativa.

Quanto alla quantificazione del risarcimento preteso da D.J.C., le convenute evidenziano come l’importo richiesto dall’attore appaia esorbitante e sprovvisto di supporto probatorio, eccependo inoltre l’inesistenza di un apprezzabile danno morale.

DREXCODE S.R.L. ha infine evidenziato come, nella propria qualità di distributore di soli quattro capi d’abbigliamento (peraltro rimasti invenduti, ad eccezione di due capi, dei quali uno comprato dallo stesso attore ai soli fini del presente giudizio), non le possa essere rimproverato alcun profilo di colpevolezza, non avendo concretamente potuto – nemmeno adottando canoni di diligenza professionale – avere contezza alcuna dell’ipotetica lesione di eventuali privative autorali perpetrate da ANTONIO MARRAS S.R.L., verso la quale ha in ogni caso spiegato domanda di manleva.

All’udienza di prima comparizione della parti il Giudice Istruttore concedeva i termini di cui all’art. 183, VI co., c.p.c., cui seguiva il deposito delle memorie e la produzione di documenti.

Ritenuta la causa sufficientemente istruita, il Giudice invitava le parti alla precisazione delle conclusioni per l’udienza dell’11.09.2019, all’esito della quale rimetteva la causa per la decisione al Collegio, concessi alle parti i termini massimi di legge per il deposito degli scritti conclusionali.

2. La domanda di parte attrice è fondata e, pertanto, merita accoglimento nei limiti infra meglio precisati.

2.1. Invero, ritiene il Collegio che l’immagine stampata sul capo d’abbigliamento realizzato dalla convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L., ove è raffigurato un lupo ululante nel corso di una nevicata, coincida con lo scatto fotografico del quale l’attore assume la paternità.

Tale convincimento è suffragato innanzitutto dall’oggettiva sovrapponibilità tra l’immagine riprodotta sul lato sinistro dell’abito femminile realizzato dalla convenuta e lo scatto rivendicato dal fotografo, come fedelmente rappresentato nel doc. 26 di parte attrice, reperto non contestato dalle convenute.

Segnatamente, dall’attento esame della predetta immagine si percepisce chiaramente la perfetta coincidenza tra le due figure, e, in particolare, di alcuni loro elementi caratterizzanti, quali: la posizione del cranio del lupo, avente la medesima rotazione e inclinazione rispetto all’asse del corpo; le fauci del canide, che mostrano la medesima apertura e dalle quali spunta un canino avente uguale posizione e dimensione in entrambe le immagini; la perfetta sovrapponibilità dell’occhio del lupo; le identiche cromature, macchie e pieghe del pelo presente sul collo dell’animale.

Tali riscontri obiettivi assumono particolare significato anche alla luce della fotografia sub doc. 25 prodotta da parte attrice – anch’essa non contestata dalle convenute – nella quale è ritratto lo stilista Antonio Marras intento a studiare il mainboard della collezione, dove risulta ben visibile, tra le altre immagini, anche lo scatto in questione.

Nessun dubbio, quindi, vi può essere sull’utilizzo da parte della ANTONIO MARRAS S.R.L. dall’istantanea rivendicata dall’attore, come del resto confessato stragiudizialmente dalla stessa convenuta (docc. 21, 22 attore), avendo infatti la stessa dichiarato di avere reperito la predetta fotografia sul web e, in particolare, attraverso la consultazione del motore di ricerca Google.

Del tutto fuorviante è del resto il tentativo di parte attrice di offrire una diversa rappresentazione dell’immagine, proponendo nella comparsa di risposta (pag. 12) solamente l’ingrandimento del lato destro dell’abito (anziché il lato sinistro), dove l’animale risulta speculare rispetto a quello ritratto nella fotografia attribuita all’attore.

È del tutto evidente che la rotazione di 180° del muso dell’animale – riprodotto sul lato destro dell’abito e, quindi, con lo sguardo rivolta verso sinistra – non permette la perfetta sovrapponibilità dell’immagine – come, invece, risulta osservando il lato sinistro dell’abito – sebbene il lupo rappresentato sia sostanzialmente identico, ma rielaborato graficamente, in modo da provocarne la specularità rispetto a quello raffigurato sul lato sinistro del capo d’abbigliamento.

Ritiene peraltro il Collegio che il tentativo della convenuta di offrire una diversa rappresentazione della realtà, aggravando così l’onere di difesa dell’attrice, sia condotta contraria ai doveri di lealtà processuale e, come tale, sanzionabile ex art. 96 c.p.c., nei termini che nel seguito verranno meglio precisati.

Sulla scorta del materiale istruttorio sopra raccolto deve quindi affermarsi l’identità tra l’immagine utilizzata da ANTONIO MARRAS S.R.L. e la fotografia rivendicata dall’attore.

2.2 Quanto alla paternità dello scatto in capo a D.J.C., seppure la circostanza non sia stata specificatamente contestata dalle convenute, è stata comunque prodotta dall’attore idonea documentazione diretta a provare la titolarità dei diritti di sfruttamento economico dell’immagine, in particolare il certificato di protezione autorale concesso dalla U.S. Copyright Office (doc. 6 attore), così come la pubblicazione dello scatto in una monografia nella quale si dà atto della titolarità dell’immagine in capo a D.J.C. (docc. 2, 2a attore).

3. Accertata la paternità dell’immagine e la sua riproduzione, in assenza di consenso, sugli abiti realizzati dalla società ANTONIO MARRAS S.R.L. e commercializzati (anche) dall’altra convenuta DREXCODE S.R.L., resta da qualificare l’oggetto del diritto affermato da parte attrice.

Segnatamente, l’attore assume che la predetta immagine debba godere della privativa autorale concessa dall’art. 2, n. 7, l.d.a.; di contro, le convenute deducono che lo scatto vada qualificato come ‘fotografia semplice’, soggetto alla più restrittiva disciplina di cui agli artt. 87 e ss. l.d.a.

3.1. Ritiene il Collegio che la qualificazione dell’attore sia maggiormente convincente rispetto alle prospettazioni delle parti convenute.

Ed invero, è innanzitutto opportuno evidenziare come il discrimine tra ‘opera protetta’ e ‘semplice fotografia’, secondo le elaborazioni suggerite da attenta dottrina e condivise dalla prevalente giurisprudenza di merito e legittimità, alla quale questo Tribunale intende dare seguito, sia incentrata, per quanto attiene agli scatti protetti ex art. 2, n. 7, l.d.a. nella capacità creativa dell’autore, vale a dire nella sua impronta personale, nella scelta e studio del soggetto da rappresentare (Cass. Civ. 21 gennaio 2000, n. 8425), così come nel momento esecutivo di realizzazione e rielaborazione dello scatto, tali da suscitare suggestioni che trascendono il comune aspetto della realtà rappresentata (Trib. Roma, Sez. Spec. Impresa, 2 maggio 2011; App. Milano, 7 novembre 2000), laddove, invece, la ‘fotografia semplice’ tutelata dagli artt. 87 e ss. l.d.a. è una mera rappresentazione della realtà, ancorché mediante tecniche fotografiche particolarmente raffinate o complesse (Trib. Milano, 17 aprile 2008; Trib. Milano, 21 ottobre 2004).

E tale gradiente di creatività, sulla scorta delle indicazioni offerte anche dalla giurisprudenza sovranazionale (CGUE, 1 dicembre 2011, C145/10), deve essere valutato sulla base dell’effettivo potenziale suggestivo, tale da riflettere la personalità dell’autore quale espressione delle sue libere scelte creative di realizzazione del ritratto, sorrette da un’apprezzabile capacità artistica che travalichi la semplice cronaca fotografica, a prescindere dall’elevata qualità grafica dello scatto (ancora sul punto, Trib. Milano, 9 novembre 2000).

3.1. Orbene, nel caso di specie, l’attore ha innanzitutto dedotto in giudizio come la scelta del soggetto da rappresentare (nello specifico, un lupo nel suo ambiente naturale), sia stata frutto di studio e d’attenta analisi del campo fotografico.

Il professionista ha altresì colto l’animale mentre lo stesso era intento a ululare – indice sintomatico di una precisa volontà creativa – scegliendo di rappresentarlo in primo piano, attraverso una sapiente sfocatura dell’ambiente circostante, esaltando così l’espressione del soggetto rappresentato, pur facendo emergere i fiocchi di neve che, copiosamente, cadevano nell’ambiente circostante ed evocando, in questo modo, peculiari suggestioni nell’osservatore tali da travalicare la mera rappresentazione grafica dell’animale. È altresì evidente un sapiente uso del chiaroscuro e l’utilizzo, con finalità creative, dei giochi di luce e ombre distinguibili sullo sfondo blu dell’immagine e, soprattutto, dal contrasto generato tra i fiocchi di neve rispetto alla cromatura del pelo del lupo.

Avvalorano inoltre la natura artistica della fotografia sia lo specifico riconoscimento autorale in territorio statunitense (doc. 6 attore), sia la sua collocazione all’interno di un’opera monografica alla quale è stata data dignità di pubblicazione e stampa (docc. 2, 2a attore), nonché la sostanziale identità, sul piano della qualità creativa, della predetta immagine rispetto ad altre rappresentazioni naturalistiche scattate dallo stesso D.J.C. apparse su prestigiose riviste di settore, quali “National Geographic” e “Nikon LearneExplore” (docc. 3, 3a, 3b, 3c e 3d attore).

Infine, è significativo, in punto di qualificazione dei diritti connessi all’immagine, che essa sia stata particolarmente apprezzata dagli operatori commerciali, a riprova dell’oggettiva e intrinseca capacità di evocare particolari suggestioni nei consumatori (docc. 33 e 34 attore). Anche il noto motore di ricerca Google pone la fotografia oggetto di causa tra le prime immagini associate alla stringa “holwing wolf” o “lupo ululante” (cfr. docc. 22 – 24 attore).

Ritiene, quindi, il Tribunale che la fotografica rivendicata da D.J.C. debba essere qualificata come ‘opera protetta’ ai sensi dell’art. 2, n. 7, l.d.a., cui consegue il diritto dell’autore a disporre dei diritti di sfruttamento economico ex art. 12 l.d.a.

4. Il comprovato utilizzo da parte di ANTONIO MARRAS S.R.L., a fini commerciali, della fotografia scattata dall’attore, mediante la sua collocazione su un capo di abbigliamento inserito nella collezione donna Autunno/Inverno 2014/2015, in assenza di autorizzazione alcuna da parte dell’autore, costituisce aperta violazione delle privative autorali, cui consegue il diritto del fotografo ad ottenere il risarcimento del danno.

4.1. Non coglie peraltro nel segno l’eccezione sollevata dall’ANTONIO MARRAS S.R.L., anche nella fase stragiudiziale (docc. 21, 22 attore), circa la presunta legittimità dell’utilizzo dello scatto, essendo lo stesso reperibile sul motore di ricerca Google.

Ed invero, fermo restando che, in calce all’esito della ricerca, è esposto da parte della stessa Google specifico avviso secondo il quale le immagini raffigurate potrebbero “essere oggetto di copyright” (doc. 21 attore), la mera disponibilità sul web di una fotografia non costituisce certamente presunzione di assenza di privative autorali, gravando semmai sull’internauta l’onere di accertare l’esistenza, o meno, di diritti in capo a soggetti terzi.

Del resto, è proprio tale affermazione della convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L. a evidenziarne specifici profili di colpa, avendo la stessa, con disinvoltura, utilizzato l’immagine senza accertarsi che la stessa fosse priva di protezione autorale, tenuto anche in considerazione il contesto professionale nel quale è avvenuto l’indebito sfruttamento.

Ed infatti, appartiene al bagaglio nozionistico del medio professionista, in particolar modo se operatore del c.d. fashion business, il noto principio secondo il quale l’utilizzo di una fotografia senza richiedere la liberatoria dell’autore o senza comunque sincerarsi che l’immagine sia di libera riproduzione costituisce, pacificamente, ipotesi di contraffazione (Trib. Milano, 1.03.2004).

5. All’accertamento dell’illegittimo sfruttamento economico dell’immagine, consegue la condanna al risarcimento del danno cagionato all’attrice.

5.1. L’attore ha suggerito quale metodo di liquidazione del danno il c.d. ‘prezzo del consenso’ (Cass. Civ., 30 gennaio 2020, n. 2278; Trib. Torino, 27 febbraio 2019; App. Roma 29 aprile 2017, n. 2833; Trib. Milano, 7 novembre 2013), criterio che appare sicuramente condivisibile, anche in considerazione dell’assenza, nel caso di specie, di prova rigorosa circa l’utile conseguito dalla convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L. che sia conseguenza immediata e diretta dello sfruttamento economico dell’immagine indebitamente da quest’ultima utilizzata.

Al fine di accertare quale sarebbe stato il giusto ‘prezzo del consenso’, appare dirimente il doc. 9 prodotto dalla convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L. dal quale si evince la disponibilità dell’attore a transigere la controversia insorta – e, quindi, a prestare il proprio consenso, seppure a posteriori e nei limiti dell’esiguo utilizzo dell’immagine da parte della convenuta – per l’importo complessivo di $ 17,500.00, pari a circa € 16.000,00.

5.2. Poco convincente è, invece, il tentativo dell’attore di dimostrare un diverso giusto ‘prezzo del consenso’, sulla scorta dei contratti di sfruttamento economico e di una transazione dallo stesso prodotte in giudizio.

In particolare, quanto al doc. 19 attoreo, che indica quale valore di sfruttamento economico l’importo di $ 117.000,00, coglie nel segno l’eccezione delle convenute, le quali hanno osservato come il documento sia privo di sottoscrizione e, quindi, destituito di significato probatorio.

Quanto al doc. 33 prodotto dall’attrice, è evidente come lo stesso attenga allo sfruttamento economico di altra immagine e, comunque, diffusa con modalità maggiormente massive rispetto all’uso concretamente fattone dalle convenute (cfr docc. 5 – 6 DREXCODE S.R.L.).

Poco significativa è, infine, la transazione prodotta sub doc. 34 dalla parte attrice.

Sebbene oggetto di tale contratto siano effettivamente i diritti di sfruttamento economico dell’immagine di cui alla presente controversia, è comunque evidente come i valori economici ivi espressi ($ 90,392.40) siano compensativi dell’indebito utilizzo dell’immagine su materiale discografico e su capi d’abbigliamento (in particolare T-Shirt¸ che evidentemente rappresenta un mercato ben minore di quello connesso alla vendita del materiale discografico) destinati alla promozione e al merchandising dell’attività artistica di una notissima attrice e cantante statunitense. Da tali attività è conseguita un’ampia diffusione dello scatto fotografico, per nulla paragonabile alla condotta mantenuta dalla convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L., i cui effetti lesivi sono da ritenersi sicuramente più contenuti in termini di illecita divulgazione dell’opera.

5.3. Parimenti inconferente è il criterio di liquidazione suggerito dalla convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L. che vorrebbe parametrare il prezzo del consenso alle tariffe medie praticate dall’Associazione Nazionale dei Fotografi Professionisti.

Sul punto, basti osservare che l’attore, di nazionalità statunitense, non risulta avere aderito alla predetta associazione di categoria e, in ogni caso, la fama e il prestigio internazionale documentati in corso di causa (docc. 3, 3a, 3b, 3c e 3d attore) non consentono di equiparare il valore delle opere di D.J.C. a quelle di un qualsiasi operatore professionale del settore.

5.4. Ne consegue, quindi, che in assenza di altri parametri maggiormente tranquillizzanti, devono essere valorizzati gli stessi intendimenti dell’attore, espressi per il tramite di un proprio rappresentante nella fase stragiudiziale, consacrati in prova documentale, e che indicano espressamente il ‘prezzo del consenso’ nell’importo di € 16.000,00 ($ 17,500.00, doc. 9 – ANTONIO MARRAS S.R.L.).

5.5. A tale importo deve aggiungersi la componente non patrimoniale, come domandato dall’attore.

Ed invero, accertato che le modalità di rappresentazione e diffusione dell’opera, ancorché illecite, non siano state in alcun modo lesive o denigratorie per l’autore dello scatto, tenuto anche in considerazione che lo stesso ha documentato di essere aduso a concedere il diritto di riproduzione delle proprie fotografie nel settore della moda e del fashion business in generale (cfr. docc. 33 e 34), ritiene il Tribunale che l’unica lesione morale meritevole di ristoro è quella sofferta da D.J.C. per non essere stato riconosciuto pubblicamente come l’autore dello scatto rappresentato sui capi d’abbigliamento.

Aderendo quindi agli ordinari canoni di responsabilità civile, informati a un criterio compensativo, il Tribunale, secondo prudente apprezzamento e avvalendosi dei poteri equitativi di cui al combinato disposto degli artt. 158 l.d.a., 2056 c.c. e 1226 c.c. ritiene equo riconoscere all’attore un ristoro non patrimoniale pari all’importo di € 9.000,00.

5.6. Deve, in definitiva, riconoscersi a titolo di risarcimento del danno da liquidarsi in favore di parte attrice l’importo complessivo di € 25.000,00, di cui € 16.000,00 a titolo di danno patrimoniale ed € 9.000,00 a titolo di danno non patrimoniale.

6. Quanto alla responsabilità dell’altra convenuta DREXCODE S.R.L., quest’ultima ha innanzitutto dedotto l’assenza di profili di colpa nella causazione del danno, per essersi la stessa limitata all’attività di web merchandising dell’abito in questione, realizzato interamente da ANTONIO MARRAS S.R.L.

Ha osservato altresì la difesa di DREXCODE S.R.L. come l’assenza di specifici sistemi pubblicitari delle privative autorali impediscano al distributore, in concreto, qualsiasi potere di vigilanza, anche adottando canoni di elevata diligenza, così da poter scongiurare la lesione dei diritti di sfruttamento economico in capo a terzi ex art. 12 l.d.a.

6.1. Orbene, non ignora il Collegio che un certo orientamento giurisprudenziale tende a escludere la responsabilità del distributore della merce contraffatta laddove quest’ultimo non abbia potuto, in concreto, esercitare alcuna attività di controllo sull’attività del produttore (Trib. Milano, 25.6.1998; Trib. Roma, 28.3.1995).

Tuttavia, nel caso di specie, DREXCODE S.R.L. non ha dato alcuna dimostrazione di avere ottenuto, da parte dell’ANTONIO MARRAS S.R.L., specifica attestazione circa la piena titolarità dei diritti di sfruttamento commerciale dei capi d’abbigliamento e delle immagini sugli stessi riprodotte, sussistendo pertanto evidenti profili di colpevolezza in capo al distributore, quantomeno sub specie di culpa in vigilando, rispetto all’attività posta in essere dalla casa di moda.

Ritiene pertanto il Collegio di doversi conformare, nel caso di specie, al consolidato orientamento pretorio secondo il quale il distributore di merce contraffatta è chiamato a rispondere, in solido con il produttore secondo lo schema di cui all’art. 2055 c.c., dell’attività da quest’ultimo posta in essere, concorrendo sul piano causale alla commissione dell’illecito e all’aggravamento dello stesso (Trib. Milano, 1 luglio 2004), fatta salva la possibilità di agire in manleva per avere confidato nella liceità del comportamento altrui (Trib. Milano, 30 giugno 2004).

7. Ed infatti, con riguardo al rapporto interno tra il produttore ANTONIO MARRAS S.R.L. e la convenuta DREXCODE S.R.L., appare fondata la domanda di manleva spiegata da quest’ultima nei confronti della casa di moda.

Invero, sulla scorta degli elementi istruttori risulta provato – e non contestato né dall’attrice, né dall’altra convenuta – come il distributore non abbia contribuito in alcun modo nel processo produttivo di realizzazione dei capi, né tantomeno nelle scelte dello stilista di posizionare illegittimamente lo scatto fotografico sugli abiti poi presentati al pubblico e successivamente compravenduti.

DREXCODE S.R.L. ha pertanto diritto di essere manlevata e tenuta indenne dal pregiudizio derivante dall’accertamento dei profili di responsabilità imputabili alla società ANTONIO MARRAS S.R.L., nonché dalle conseguenze patrimoniali connesse alle obbligazioni risarcitorie come sopra liquidate.

8. All’accertamento della sussistenza dell’attività di contraffazione, consegue, oltre all’inibitoria dalla prosecuzione delle attività illecite, l’ordine di pubblicazione della presente sentenza, quale strumento di riparazione del danno per il pregiudizio sofferto dall’attrice, nei termini indicati in dispositivo.

9. Le spese di lite seguono il principio della soccombenza e sono liquidate, come da dispositivo, secondo i parametri medi, tenuto conto dell’importo effettivamente liquidato a titolo di risarcimento del danno.

ANTONIO MARRAS S.R.L., oltre a essere tenuta a manlevare l’altra convenuta DREXCODE S.R.L., deve essere altresì condannata alla refusione, in favore di quest’ultima, delle spese di lite sostenuta da quest’ultima per essere stata coinvolta nel presente giudizio.

10. Deve infine trovare accoglimento la domanda proposta dall’attrice, ai sensi dell’art. 96 c.p.c., sebbene nei confronti della sola ANTONIO MARRAS S.R.L.

Ed invero, come sopra evidenziato, quest’ultima, travalicando i limiti della semplice allegazione difensiva, ha affermato fatti palesatisi contrari a verità, quale, ad esempio, la pervicace negazione di avere utilizzato lo scatto fotografico realizzato dall’attore, anche attraverso la riproduzione, nei propri atti giudiziari (cfr., in particolare, comparsa di risposta, pag. 12) di immagini fuorvianti e, comunque, finalizzate a confondere il Tribunale.

Tale condotta risulta ancor più meritevole di sanzione processuale, se si considera che l’attore, in scritto stragiudiziale (doc. 9, prodotto dalla stessa convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L.), aveva dimostrato un chiaro intendimento conciliativo prima della proposizione della domanda giudiziale, finalizzato a dirimere la presente controversia previa corresponsione in suo favore dell’importo di $ 17,500.00 (pari a circa € 16.000,00), somma inferiore rispetto a quella riconosciuta dal Collegio all’esito del giudizio.

Sussistono pertanto sufficienti elementi idonei a dimostrare la colpa grave della convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L. nel resistere in giudizio, alla quale consegue la condanna della stessa ai sensi dell’art. 96, I co., c.p.c., come peraltro specificamente richiesto dall’attrice.

Il danno può essere liquidato, secondo il criterio più volte espresso da questo Tribunale, in un importo pari alle spese processuali liquidate in favore della parte vittoriosa, con l’effetto, pertanto, di comportare per la parte soccombente una condanna in duplum alle spese di lite.

PQM

il Tribunale, definitivamente pronunciando:

1. Accertato che la convenuta ANTONIO MARRAS S.R.L. ha illegittimamente riprodotto su un capo d’abbigliamento inserito nella propria collezione donna Autunno/Inverno 2014/2015, che DREXCODE S.R.L. ha successivamente distribuito, l’opera fotografica di proprietà dell’attore D.J.C. raffigurante un lupo di colore marrone-grigio con il muso di colore più chiaro, che ulula su uno sfondo caratterizzato da diverse tonalità di blu, nero e grigio – con alcune parti leggermente più chiare e sfumate – ripreso nel corso di una nevicata, inibisce alle convenute l’ulteriore riproduzione, commercializzazione o diffusione sotto qualsiasi forma della fotografia oggetto di causa;

2. Condanna ANTONIO MARRAS S.R.L. e DREXCODE S.R.L., in solido tra loro, al risarcimento del danno in favore dell’attore D.J.C., che liquida definitivamente nell’importo omnicomprensivo di € 25.000,00, già rivalutato, oltre interessi al saggio legale da calcolarsi dalla data di pubblicazione della presente sentenza all’effettivo soddisfo;

3. Dispone la pubblicazione del dispositivo della presente sentenza a cura e a spese delle parti convenute, per una volta ed a caratteri doppi del normale, sul periodico Vanity Fair entro il termine di trenta giorni dalla notificazione in forma esecutiva della presente sentenza, autorizzando sin d’ora parte attrice a procedere direttamente a tale pubblicazione in luogo delle convenute ove queste ultime non avessero provveduto entro il termine imposto, con ripetizione delle relative spese sulla base di fattura;

4. Condanna le convenute, in solido tra loro, al pagamento delle spese processuali in favore dell’attrice, che liquida nell’importo di € 1.545,00 per spese borsuali ed € 6.000,00 per compensi professionali, maggiorati del 15% per spese generali, CPA ed IVA, se dovuta.

5. In accoglimento della domanda di manleva avanzata dalla convenuta DREXCODE S.R.L., condanna ANTONIO MARRAS S.R.L. a rifondere a DREXCODE S.R.L. ogni somma che la stessa fosse costretta a pagare sulla base dei capi 2, 3 e 4 del presente dispositivo;

6. Condanna ANTONIO MARRAS S.R.L. al pagamento delle spese processuali in favore di DREXCODE S.R.L., che liquida nell’importo di € 4.835,00 per compensi professionali, maggiorati del 15% per spese generali, CPA ed IVA, se dovuta;

7. Condanna ANTONIO MARRAS S.R.L., ai sensi dell’art. 96, I co., c.p.c. a corrispondere all’attore D.J.C. la somma di € 6.000,00, oltre interessi legali dalla pubblicazione della presente sentenza all’effettivo soddisfo, a titolo di responsabilità processuale aggravata.

Così è deciso in Milano, nella camera di consiglio del 12 dicembre 2019.

  1. Mentre il plagio consiste nella falsa attribuzione della paternità di un’opera altrui, la contraffazione si traduce nell’illecito sfruttamento della stessa per trarne utilità economiche pur senza usurparne la proprietà intellettuale. Sulla distinzione tra plagio e contraffazione, v. amplius, paragrafo 5.

  2. Cfr. Cass., 21 giugno 2000, n. 8425, in Foro it., 2001, p. 2631; App. Milano, 7 novembre 2000, in Giur. merito, 2001, p. 115; Trib. Roma, Sez. Spec. Impresa, 2 maggio 2011, in Giur. merito, 2011, p. 925. Di contro, la «fotografia semplice» tutelata dagli artt. 87 e ss. l.d.a. è una mera rappresentazione della realtà, ancorché mediante tecniche fotografiche particolarmente raffinate o complesse (Trib. Milano, 21 ottobre 2004, in Giustizia a Milano, 2004, p. 83; Trib. Milano, 17 aprile 2008, ivi, 2008, p. 46).

  3. Trib. Catania, 11 settembre 2001, in Ann. It. dir. aut., 2002, p. 852 e in Foro it., 2002, p. 1236 ss. Per il Tribunale «tanto una fruizione istintiva del fotogramma che una sua più attenta valutazione tecnica sotto il profilo tanto analitico che sintetico» hanno giustificato un giudizio positivo circa il carattere creativo del fotogramma: «l’attimo fotografato coglie un significativo momento della celebrazione cittadina della santa protettrice che viene così offerta non secondo modalità meramente documentarie dell’evento in sé, ma ricorrendo a un linguaggio connotativo nel quale il dato fattuale viene riproposto e rivissuto dall’autore del fotogramma stesso, cristallizzando un attimo particolare della festa in una composizione certamente creativa di prospetti, di luci, di ombre e di colori peculiari e non banali che condensano la specificità al contempo sacra e profana di detto avvenimento».

  4. In ambito dottrinale erano sorte diverse teorie. Secondo una prima tesi, la tutelabilità della fotografia doveva essere negata sia per l’assenza di un esplicito riferimento normativo, sia perché il fotografo si sarebbe limitato a riprodurre un mero scorcio del mondo esterno mediante l’uso di un processo chimico-meccanico: così, P. Crugnola, Evoluzione della tutela giuridica delle fotografie nel diritto italiano e nel diritto internazionale. Cenni di legislazione comparata, in Dir. aut., 1979, p. 928; Pret. Milano, 18 gennaio 1937, in Foro Lomb., 1937, p. 634. In una prospettiva diametralmente opposta invece, tutte le fotografie andavano tutelate come opere dell’ingegno: così, E. Piola Caselli, Del diritto d’autore, Napoli, 1907, p. 393. Secondo un’opinione intermedia, meritevoli di tutela erano le sole fotografie dotate di valore artistico; in senso contrario, tuttavia v. N. Stolfi, Il diritto d’autore, Milano, p. 238.

  5. Cfr L.C. Ubertazzi, La protezione delle fotografie in Italia, in Dir. Aut., 1998, p. 50; R. Pardolesi, Sul diritto d’autore in tema di fotografia. Nota a Cass., 26 marzo 1984, n. 1988, in Foro it., 1984, p. 939, rileva che la legge del 1925 «superando d’un balzo i dubbi agitati per l’addietro, aveva inserito le fotografie nell’elenco delle opere protette», indipendentemente dal «(difficile) riscontro della loro creatività».

  6. Sulla durata della protezione, v. F. Foà, Diritto d’autore, in Enc. it., IV, Roma, 1930, p. 866.

  7. Sull’opportunità della scelta, v. L. Sordelli, Opera fotografica e diritti connessi, in Dir. aut., 1949, p. 232 ss: Id., Fotografia, in Enc. Dir., XVIII, Milano, 1969, p. 54. In giurisprudenza, v. Trib. Milano, 19 gennaio 1970, in Giur. it., 1970, p.316, ed in Dir. aut., 1969, p. 528, ivi con nota di M. Fabiani, La protezione delle fotografie nella legislazione nazionale e nella Convenzione di Berna. Secondo altri invece, il riferimento ai soli diritti connessi aveva provocato un declassamento della tutela rispetto alla legge del 1925: così P. Scrosoppi, Tutte le norme di legge sulla fotografia, Trieste, 1956, p. 13; G. Jarach, Manuale del diritto d’autore, Milano, 1968, p. 129; S. Loi, Fotografie e diritto d’autore, in Dir. Aut., 1977, p. 29; D.R. Peretti-Griva, La fotografia nella nuova legge sui diritti d’autore, in Riv. dir. comm., 1942, p. 169, osserva che la deminutio capitis nominalistica era in effetti meno grave di quello che appariva.

  8. Cass., 22 febbraio 1949, n. 231 in Foro pad., 1949, p. 519 e App. Venezia, 17 aprile 1966, in Rep. Giust Civ., 1966, 43.

  9. C.E. Mezzetti, Il caso Painer: una rivoluzione copernicana per la tutela della fotografia in Italia?, in Giur. it., 2012, p. 2564.

  10. Secondo P. Auteri, Commento al d.p.r. 8 gennaio 1979, n. 19, sub. art. 1, in Nuove leggi civ. comm., 1980, p. 154, si era verificato un paradosso: la disciplina delle fotografie, nell’ordinamento italiano, aveva subito un’evoluzione «in un certo senso opposta» rispetto a quella convenzionale ed internazionale. La questione era stata affrontata anche dalla Corte Costituzionale, con sentenza 15 marzo 1972, n. 48, in Foro it., 1972, p. 860, a seguito di incidente di legittimità costituzionale sollevato dal Trib. Milano, 19 gennaio 1970, in Dir. aut., 1970, p. 532. La Corte con una pronuncia non esente da critiche, ha escluso l’illegittimità costituzionale degli artt. 87-92 della L.d.A. per violazione del principio di uguaglianza ex art. 3 Cost, finendo di fatto per «glissare» la questione, così R. Pardolesi Sul diritto d’autore, cit., p. 940. La questione rimase dunque aperta, come dimostrato dalla successiva pronuncia di merito del Trib. Milano, 14 dicembre 1972, in Foro it., 1973, p. 1963, con nota adesiva di G. Montella, Convenzione di Unione di Berna sul diritto d’autore e diritto interno degli Stati unionisti, in Riv. dir. ind., 1973, 53.

  11. Cass., 16 aprile 1975, n. 1440, in Dir. Aut., 1975, p. 346.

  12. G. Galtieri, La ratifica della convenzione di Berna nell’atto di Parigi e l’adeguamento della legislazione italiana, in Dir. aut., 1979, p. 911. Per le prime applicazioni in giurisprudenza, v. Trib. Milano, 4 febbraio 1982, in Rep. Foro it., 1982, p. 331 e Pret. Milano, 8 luglio 1982, in Dir. aut., 1982, p. 436.

  13. Sia di merito, come la sentenza del Tribunale di Milano dopo la sentenza della Corte Costituzionale (Trib. Milano, 14 dicembre 1972, cit., p. 1963), sia di legittimità: Cass., 16 aprile 1975, n. 1440, cit., p. 346; v. P. Auteri, Commento al d.p.r., cit., p. 157, dove si constata che la Cassazione, sia pure in forma di obiter dictum, aveva affermato che quando la fotografia assurgesse a vera e propria opera d’arte, la tutela rientrava nell’ambito del diritto d’autore. L’autore notava in chiave critica come tale affermazione fosse inconciliabile con il dato normativo; successivamente alla novella ma in relazione a fatti anteriori ad essa, v. anche Cass., 26 marzo 1984, n. 1988, in Foro it., 1984, p. 937. Sulla probabilità che proprio la giurisprudenza abbia contribuito a rendere i tempi maturi per l’intervento normativo, v. P. Auteri, o.l.c.

  14. Direttiva 93/98/CEE del Consiglio del 29 ottobre 1993, concernente l’armonizzazione della durata della protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi, in G.U.U.E. del 24.11.93, L 290/9, p. 9. La direttiva 93/98 è stata abrogata dalla direttiva 2006/116/CE del Parlamento europeo e del Consiglio del 12 dicembre 2006, concernente la durata di protezione del diritto d’autore e di alcuni diritti connessi, in G.U. del 27.12.2006, L 372/12, p. 12, anche se nella sostanza essa contiene le medesime disposizioni.

  15. Sebbene la legge, parlando di fotografie di mera documentazione, faccia riferimento anche a immagini di «oggetti», le fotografie di oggetti possono in realtà costituire sia semplice fotografia sia opera fotografica. Secondo la giurisprudenza infatti «non è da escludere in linea di principio che fotografie di oggetti materiali presentino elementi di perfezione tecnica o addirittura di intuizione artistica che vadano oltre la tutela dei diritti connessi e presentino un carattere di creatività tale da renderle tutelabili come opere dell’ingegno; non basta dunque affermare che la fotografia riproduca un oggetto materiale per giustificare l’applicazione dell’art. 87 co. 2 L.d.A.»: così, Cass., 21 giugno 2000, n. 8425, cit., p. 2631. Così, ad esempio, è stato affermato che «è dotata di sufficiente creatività la fotografia in cui l’impronta di personalità dell’autore traspare da più di un elemento, quali la scelta e la disposizione degli oggetti da riprodurre, il loro accostamento, la selezione delle luci e delle fonti di luce, il dosaggio dei toni chiari e dei toni scuri»: così, App. Milano, 5 novembre 1993, in Dir. ind. 1994, p. 967.

  16. R. Mongillo, Proprietà intellettuale ed opera fotografica, Napoli, 2018, p. 63; sul compito ritenuto «assai gravoso» rimesso all’interprete, v. S. Ricchiuto, La riproduzione del ritratto fotografico di personaggio noto, in Dir. aut., 2005, p. 382.

  17. Sul ruolo delle misure tecnologiche a protezione dell’opera, v. P. Frassi, Riflessioni sul diritto d’autore. Problemi e prospettive nel mondo digitale, in Riv. dir. ind., 2002, p. 620 ss.

  18. La Cassazione non è chiara nel fornire indicazioni sul concetto di esemplare della fotografia su cui devono essere apposte tali indicazioni: v. le differenti posizioni assunte in Cass., 2 giugno 1999, n. 5630, in Dir. Ind., 2000. P. 76; Cass. 18 marzo 2005, n. 5969, in Riv. dir. ind., 2006, p. 3, con nota di E. Callegari, Diritto d’autore e compenso del fotografo. In senso contrario, in sede di merito, v. Trib. Roma, 20 febbraio 1990, in Ann. it. dir. aut., 1991, 372-389, con nota di O. Grandinetti, Da un caso trascurato ad un problema ancora controverso: esiste un autonomo diritto di paternità sulle fotografie oggetto di diritti connessi al diritto d’autore?

  19. Secondo la giurisprudenza – come vedremo anche di seguito – si è in presenza dell’elemento soggettivo della mala fede quanto il riproduttore conosce, o può conoscere secondo l’ordinaria diligenza, il titolare dei diritti patrimoniali esclusivi sulla fotografia. Così ad esempio Cass. 18 marzo 2005, n. 5969, cit., p. 3.

  20. A. Prediali Kindler, sub. Artt. 90, in L.C. Ubertazzi, Commentario breve alle leggi su proprietà intellettuale e concorrenza, Padova, 2019, p. 45 ss.

  21. Secondo un orientamento più rigoroso, le fotografie non creative non beneficerebbero in nessun modo dei diritti morali d’autore, ad esempio: Trib. Milano, Sez. spec. Impresa, 7 novembre 2016, n. 12188, in www.giurisprudenzadelleimprese.it: «A prescindere da ogni altra questione, appare comunque dirimente la circostanza che, nel caso in esame, non è in astratto ipotizzabile la lesione del diritto morale in capo ad An. Mi., in quanto le fotografie di cui si controverte non possono ritenersi opere d’arte, ma fotografie semplici raffiguranti persone, elementi o fatti della vita naturale o sociale, conformemente a quanto previsto dall’articolo 87 della legge sul diritto d’autore». V. anche Trib. Milano, 16 agosto 2017, n.8722, in Redazione Giuffrè, 2017. In dottrina, V. De Sanctis, Autore (diritti connessi), in Enc. dir., IV, Milano, 1959, p. 431. In base a un altro orientamento invece anche l’autore di una semplice fotografia gode del diritto morale, quantomeno sotto il profilo del diritto alla paternità. Così., in giurisprudenza: App. Milano, 7 novembre 2000, in Ann. it. dir. aut., 2001, p. 789, Trib. Milano, 16 marzo 1995, ivi, 1996, p. 388; Trib. Roma, Sez. spec. Impresa, 1 giugno 2015, n. 12076, in Redazione Giuffrè, 2015; Trib. Milano, 17 aprile 2008, in Riv. dir. ind., 2010, p. 210, con nota di A. Avanzi, Osservazioni in tema di opera fotografica e fotografia, p. 216, dove si precisa che «la giurisprudenza riconosce al titolare di diritti connessi soltanto il diritto morale di attribuzione della paternità dell’opera, argomentando sul disposto dell’art. 90 legge autore». In dottrina, sulla tutela della paternità, è imprescindibile il richiamo a. T. Ascarelli, Teoria, Milano, 1960, p. 741.

  22. Art. 70 comma 1-bis. L.d.A.: «È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro. Con decreto del Ministro per i beni e le attività culturali, sentiti il Ministro della pubblica istruzione e il Ministro dell’università e della ricerca, previo parere delle Commissioni parlamentari competenti, sono definiti i limiti all’uso didattico o scientifico di cui al presente comma». Trattasi di comma aggiunto dall’art. 1, comma 335, L. 28 dicembre 2015, n. 208, a decorrere dal 1° gennaio 2016.

  23. Cass., 23 gennaio 1969, n. 175, in Giust. Civ., 1969, p. 603; commentata da E. favara, La creatività come requisito dell’opera d’ingegno protetta, in Dir. aut., 1969, pp. 399-404; Cass., 5 luglio 1990, n. 7077, in Giur. It., 1991, pp. 47 con nota di M. Ricolfi, Il criterio della scindibilità e l’opera “bidimensionale” dell’arte applicata all’industria.

  24. E. Ulmer, Urheber und Verlagsrecht, Springer, 1960, p. 423; H. Desbois, Le droit d’auteur, Paris, 1950, p. 81. L’opera è stata poi aggiornata a seguito dell’entrata in vigore della L. 11 maggio 1957, Code moderne de la propriété littéraire et artistique: H. Desbois, Le droit d’auteur en France, 2 ed, Paris, 1966. Si veda il commento a tale opera di G. Lyon-Caen, Recension critique a H. Desbois, Le droit d’auteur en France, 2 ed, in Revue Internationale de droit comparé, 1967, pp. 305 e 306. V anche M. Kummer, Das urheberrechlitch schutzbare Werk, Stampli, pp. 207 ss e A. Troller, Immaterialguterrecht, Helbing e Lichenthan, 1968, che sostiene che la creatività della fotografia può riscontrarsi solo nella cd. «forma interna».

  25. P. Auteri, Commento al d.p.r., cit., p. 158, secondo cui l’immagine fotografica sarebbe il risultato diretto di un processo tecnico meramente riproduttivo, poiché con lo scatto l’apparecchio riprodurrebbe fedelmente tutto ciò che si trova nel campo dell’obiettivo.

  26. Trib. Catania, 11 settembre 2001, cit., p. 1236: «La prevalenza del profilo artistico e creativo sull’aspetto prettamente tecnico, da cui discende la tutelabilità dell’opera fotografica come opera dell’ingegno, emerge quando l’attimo fotografato coglie il momento significativo di un evento, ricorrendo ad un linguaggio connotativo che crea una composizione di prospetti, luci, ombre e colori del tutto peculiari».

  27. Così secondo risalente giurisprudenza: Pret. Saluzzo, 13 ottobre 1993, in Dir. aut., 1994, p. 484, in cui una fotografia riproducente un’opera d’arte architettonica era stata considerata priva del carattere creativo a causa della necessaria fedeltà nella rappresentazione dell’oggetto raffigurato; Trib. Roma, 20 febbraio 1990, cit., p. 379, con nota di O. Grandinetti, Da un caso trascurato, cit., p. 392: la pronuncia in esame era relativa a foto di colonnine di alabastro del XIV-XV secolo.

  28. D.R. Peretti-Griva, La fotografia, cit., p. 170 secondo il quale non è necessario, per individuare l’intervento creativo, che la cosa fotografata debba essere composta in tutto o in parte dal fotografo. Anzi, si constata che il soggetto può essere trovato nella natura «o in una perfettamente sincera figurazione, e può riscontrarsi, per altro, in quella riproduzione la vera creazione squisitamente apprezzata dall’occhio del fotografo come da quello del pittore, per la precisa armonica inquadratura, la quale concentra ciò che è interessante dal lato estetico o dal lato ideologico, e scarta il superfluo, per il felice seno di prospettiva dovuto alla voluta correlazione dei piani con l’apertura del diaframma, per la scelta delle talora lungamente attese luci, o violente o tenui, per le non meno felici alternative studiate di ombre, per la ricerca e l’accentuazione – dovuta al tecnicismo della modalità di presa, di sviluppo del negativo, di stampa del positivo – di una impressione spirituale od estetica del soggetto che non sarebbe stato né visto né sentito da un altro che si fosse trovato ad operare nelle stesse condizioni».

  29. D.R. Peretti-Griva, o.l.c.; O. Grandinetti. Da un caso trascurato, cit., p. 376 si esprime in termini di rivoluzione copernicana circa lo spostamento di rilievo dall’oggetto al risultato ottenuto attraverso la prestazione del fotografo, soluzione reputata più compatibile con l’intero sistema di tutela delle opere dell’ingegno.

  30. Cass. 28 novembre 2011, n. 25173, in Foro it. 2012, p. 74: «Va osservato a tale proposito che la creatività, nell’ambito di tali opere dell’ingegno, non è costituita dall’idea in sé ma dalla forma della sua espressione, ovvero dalla sua soggettività, di modo che la stessa idea può essere alla base di diverse opere che sono o possono essere diverse per la creatività soggettiva che ciascuno degli autori spende, e che in quanto tale rileva per l’ottenimento della protezione. In altri termini, a titolo di esempio, è ben possibile che opere pittoriche ritraggano lo stesso soggetto, ma le diverse modalità con cui questo viene ritratto rendono ciascuna opera frutto della creatività individuale di ciascun artista per cui ognuna è suscettibile di autonoma protezione».

  31. Cass., 12 marzo 2004, n. 5089, in Foro it., 2004, p. 2441, con nota di M. L. Cadoni, La proteggibilità della riproduzione fotografica di un’opera d’arte quale opera fotografica, in Riv. giur. sarda, 2006, pp. 4-9, così massimata: «La fotografia che non si limita alla mera riproduzione di un dipinto, in quanto ne costituisce una rielaborazione, possedendo sufficienti requisiti di creatività, gode della piena tutela offerta dalla legge del diritto d’autore alle opere dell’ingegno».

  32. F. Serpieri, Il carattere creativo delle opere fotografiche, in Riv. dir. ind., 2002, p. 147, ove rileva che alcuni risultati interpretativi considerati adeguati per alcune categorie di opere si sono rivelati insoddisfacenti per le fotografie, e rinvia a P. Frassi, Creazioni utili e diritto d’autore, Milano, 1997, p. 82 ss.

  33. V. De Sanctis, La protezione delle opere dell’ingegno, Milano, 1999, p. 18; A. Savini, L’immagine e la fotografia nella disciplina giuridica, Padova, 1989, p. 125 e M. Clemente, Tutela della fotografia e dell’opera fotografica, in Dir. inf., 1993, p. 644. Mentre per le altre opere dell’ingegno il semplice fatto di essere esistenti costituisce la prova dell’originalità creativa dell’artista, nel caso delle fotografie l’inscindibile legame con la realtà impone una valutazione del requisito caso per caso.

  34. Trib. Bari, 22 luglio 2010, in www.giurisprudenzabarese.it.: «Le fotografie non possono rientrare nell’ambito del concetto di “opera fotografica” rilevante ai sensi del disposto di cui all’art. 2 n. 7 l. 633/41 e godere della relativa tutela ivi prevista. Ciò in quanto, con tutta evidenza, non si verte in tema di opere dell’ingegno, trattandosi di mera riproduzione fedele e pedissequa della realtà, in alcun modo soggettivamente e personalmente reinterpretata».

  35. Si esprime in termini di elevato gradiente artistico, Trib. Roma, 22 settembre 2004, in Dir. aut., 2005, p. 378; è richiesto l’apporto di una creatività particolare in. Cass., 4 luglio 1992, n. 8186, in Ann. it. dir. aut., 1992, p. 562; Cass., 21 giugno 2000, n. 8425, p. 2631; App. Milano, 10 ottobre 2003, in Foro pad., 2004, p. 130; Trib. Milano, 24 settembre 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Milano, 30 maggio 2017, in www.marchiebrevettiweb.it.

  36. Così Trib. Torino, Sez. Spec. Impresa, 1 giugno 2012, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, che nega la tutela autoriale a fotografie di paesaggio perché «non appaiono presentare una speciale ed originale rielaborazione fantasiosa dei suddetti elementi paesaggistico architettonici»; analogamente, Trib. Bari, 8 aprile 2013, in Giur. mer., 2013, p. 431 ritiene che le fotografie di due barche a vela «non sembrano esprimere creatività o comunque un quid pluris rispetto all’oggettività del fatto». App. Milano, 20 maggio 2013, non qualifica come opere d’arte gli scatti di alcune automobili da corsa perché «puntano sempre ad una riproduzione oggettiva e formale del soggetto, senza introdurre quel quid pluris tipico di una reinterpretazione originale», in Giur. ann. dir. ind., 2016, p. 392.

  37. F. Serpieri, Il carattere creativo, cit., p. 147; V. De Sanctis, La protezione delle opere dell’ingegno, cit., p. 18; D.R. Peretti-Griva, La fotografia, cit., p. 172, per il quale «se il tecnico della legge seguisse talora il fotografo nelle sue peregrinazioni, nelle sue attese, nei suoi ritorni, nelle sue prove di inquadratura, con variazioni minime e pressoché inafferrabili dal profano, nella ricerca provocatrice di un significativo e ben composto movimento, attraverso ostacoli superati talvolta con agilità personali, si darebbe allora cosciente carico del come possa prevalentemente agire sul risultato conclusivo la personalità dell’operatore e si risparmierebbe il mortificante commento (…) sulla magnifica precisione dei dettagli che pare costituisca il maggior pregio del lavoro»; rileva tuttavia P. Auteri, in Commento al d.p.r., cit., p. 162 come in alcune occasioni tuttavia «la scelta di una certa realtà e la sua efficace riproduzione possa assumere un significato che trascenda la realtà raffigurata e possa quindi dar vita ad un risultato creativo».

  38. R. Mongillo, Proprietà intellettuale ed opera fotografica, Napoli, 2018, p. 121. V. amplius, P. Vercellone, La protezione delle fotografie nel diritto comparato, in Dir. aut., 1956, p. 162 il quale osserva che «da un’immagine, da qualcosa cioè che fisicamente non esiste ma è solo sensazione, si passa dunque, attraverso l’opera del fotografo, ad una realtà fenomenica, l’immagine si cristallizza, si materializza nella lastra», sicché «non è più immagine ma realtà concreta».

  39. Trib. Catania, 11 settembre 2001, cit., p. 1236; C. Angelini, Fotografia ed opera fotografica, in Contr. impr., p. 277 secondo cui l’elemento rivelatore della creatività risiede nella «personalità della visione» del fotografo, che consente a chi osservi la fotografia di riconoscere il carattere distintivo dell’autore nelle varie immagini.

  40. L’insoddisfazione sull’impostazione dell’art. 87 L.d.A. è diffusa: v. O. Grandinetti, Da un caso trascurato, cit., p. 374 ss. dove sottolinea che nel primo e nel secondo comma dell’art. 87 sono presenti elencazioni di oggetti sulle quali sembrava inizialmente basata la distinzione tra mere fotografie (persone, oggetti, elementi o fatti della vita naturale e sociale, comprese le riproduzioni di opere dell’arte figurativa) e fotografie non protette (le fotografie di scritti, documenti, carte d’affari, oggetti materiali, disegni tecnici e prodotti simili); S. Loi, La protezione dell’opera fotografica, in Dir. aut., 1979, p. 695, precisa che all’art. 87 è prevista un’elencazione tipologica di contenuti, «del resto indicativa e non tassativa»; e che invece «ciò che vale per affermare la natura creativa dell’opera, qualunque sia la categoria a cui appartiene, è soltanto il modo con cui è stata espressa»; F. Serpieri, Il carattere creativo, cit., p. 150, dove si sottolinea che soprattutto il riferimento agli oggetti materiali appare oscuro e immotivato, nel senso che quand’anche fosse possibile una definizione, non si comprenderebbe il motivo per cui una fotografia di tali oggetti dovrebbe determinare a priori l’esclusione della tutela di cui agli art. 87 o anche della piena tutela delle opere dell’ingegno.

  41. P. Auteri, Commentario al d.p.r., cit., p. 162.

  42. I riferimenti al contenuto artistico della fotografia per giustificarne la tutela autoriale ricorrono sia in sede di legittimità che di merito: Cass., 16 aprile 1975, n. 1440, cit., p. 346; Cass., 26 marzo 1984, cit., p. 937; Cass., 4 luglio 1992, n. 8186, cit., p. 562; Trib. Bari, 3 marzo 2016, in www.filodiritto.it; Trib. Milano, 15 settembre 2015, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, dove si legge testualmente: «La conclusione è pertanto nel senso che si tratti di foto artistiche».

  43. Nel caso dell’industrial design, invece, il requisito del valore artistico è espressamente richiesto: v. M. Fabiani, Rivoluzione nella protezione dell’arte applicata e del disegno industriale, in Dir. aut., 2001, p. 185; M. Panucci, La nuova disciplina italiana dell’«industrial design», in Dir. ind., 2001, p. 313.

  44. Trib. Firenze, 16 febbraio 1994, in Ann. it. dir. aut., 1995, n. 318; Pret. Torino, 27 maggio 1996, in Ann. it. dir. aut., n. 463; Pret. Catania, 11 febbraio 1992, in Dir. aut., 1992, p. 395.

  45. Esemplare la vicenda decisa dalla Corte d’appello di Milano nel caso delle fotografie realizzate da Domenico Dabbrescia per il volume Fiume, omaggio alla Polinesia. Il giudice milanese ha ritenuto che nei ritratti di Fiume (…) non si va oltre un’ottima rappresentazione della situazione del momento e della presenza dell’artista in quella situazione mancando quel salto creativo idoneo ad aggiungere un apporto di immaginazione alla semplice riproduzione del soggetto; così App. Milano, 10 ottobre 2003, cit., p. 132.

  46. Pret. Saluzzo, 13 ottobre 1993, cit., p. 484.

  47. Cfr. C. Galli, Fotografie, proprietà delle opere e titolarità dei diritti d’autore e diritti sull’immagine: i possibili conflitti, in G. Bianchino (a cura di), Di chi sono le immagini nel mondo delle immagini?, Milano, 2013, p. 17 ss.

  48. La giurisprudenza italiana non ha sempre seguito l’insegnamento della Corte di Giustizia. Il che risulta piuttosto sorprendente, visto che una sentenza interpretativa della Corte di Giustizia non costituisce semplicemente un autorevole precedente giurisprudenziale; al contrario, «qualsiasi sentenza [della Corte di Giustizia] che applica e/o interpreta una norma comunitaria ha indubbiamente carattere di sentenza dichiarativa del diritto comunitario, nel senso che la Corte di Giustizia, come interprete qualificato di questo diritto, ne precisa autoritariamente il significato con le proprie sentenze e, per tal via, ne determina, in definitiva, l’ampiezza e il contenuto delle possibilità applicative»; così, Corte Cost., 11 luglio 1989, n. 389, Provincia Autonoma di Bolzano, in Foro It., 1991, I, 1076). E’ altresì principio consolidato che i giudici nazionali devono conformarsi a “una giurisprudenza costante della Corte che risolva il punto di diritto litigioso, anche in mancanza di una stretta identità tra le materie del contendere” (Corte Giust., 6 ottobre 1982, C-250/81, Srl CILFIT e Lanificio di Gavardo SpA contro Ministero della sanità, in www.eur-lex.europa.eu). Cfr in dottrina P. Mengozzi, Istituzioni di Diritto comunitario e dell’Unione Europea, Padova, 2003, p. 240 e G. Tesauro, Diritto dell’Unione Europea, 2010, p. 349 ed ivi riferimenti giurisprudenziali.

  49. Corte Giust., 1 dicembre 2010, c. 145/10, Eva Maria Painer c. Standard Verlags GmbH, in Racc., 2011, p. 1 ss, ed in Eur. intellet. prop. rev., 2012, p. 290 ss con nota di Yin Harn Lee, Photographs and the standard of originality in Europe.

  50. In tema di eccezione legata alla pubblica sicurezza, v. Yin Harn Lee, Photographs, cit., p. 292, il quale sottolinea che «the ruling of the CJEU strikes the appropriate balance between permitting the authorities to make use of copyright images for urgent public security reasons and preventing the media, particularly the more sensationalist press, from invoking the public security exception based on its own whims».

  51. Corte Giust. 16 luglio 2009, c-5/08, Infopaq International, in Racc., p. 6569, spec. par. 35.

  52. Cass., 13 novembre 2015, n. 23292, in Dir. Ind., p. 530, con nota di A. Fittante, Il valore artistico dell’industrial design: l’arresto della Cassazione; conforme, Cass. 23 marzo 2017, in Mass. Giust. civ., 2017. In sede di merito, v. Trib. Torino, 24 maggio 2017 e Trib. Milano 2017, entrambe in www.giurisprudenzadelleimprese.it. Nella pronuncia del 2015 si osserva che parte della dottrina e della giurisprudenza avevano ritenuto che l’accertamento del valore artistico potesse essere fondato sull’idoneità a suscitare emozioni estetiche. E che «parimenti di spiccato carattere soggettivo, ancorché ancorato ad un criterio comparativo, è l’altro tipo di valutazione, imperniato sull’accertamento della maggiore creatività o originalità elle forme rispetto a quelle normalmente riscontrabili nei prodotti similari presenti sul mercato». In tali valutazioni si riscontrano delle componenti necessariamente soggettive; le rilevanti diversità di valutazione che possono essere svolte dai vari soggetti sul valore artistico della stessa opera di disegno industriale rendono quindi necessaria l’individuazione di altri parametri, quali: il riconoscimento ricevuto negli ambienti culturali d istituzionali; l’esposizione dell’opera in mostre o musei; la pubblicazione in riviste specializzate; la partecipazione a manifestazioni artistiche; l’attribuzione di premi; gli articoli di critici di esperti di settore.

  53. C.E. Mezzetti, La bambina e il lupo: qualche nota sull’autorialità nella fotografia, Giur. it., 2021, p. 911: «Certo, il tralatizio riferimento all’“artisticità”, alla “capacità di suggestionare”, rimane. Ma sembrano effetti inerziali della precedente giurisprudenza. La vera ratio decidendi qui si incentra esplicitamente (…) sui criteri dettati dalla Corte di Giustizia nel caso Painer (…). E trae argomenti a sostegno della valutazione di autorialità dal vasto riconoscimento culturale di cui gode l’opera di Cox».

  54. P. Auteri, Commento al d.p.r., cit., p. 158: «(…) la funzione riproduttiva del processo fotografico si accompagna quasi sempre alla scelta e alla combinazione di molteplici elementi, sufficienti a dar luogo ad una rappresentazione individuale della realtà (…) o alla sua apparenza».

  55. V. p. 8 della sentenza in esame, in cui testualmente si richiede «un’apprezzabile capacità artistica che travalichi la semplice cronaca fotografica, a prescindere dall’elevata qualità grafica dello scatto» e si rinvia al precedente Trib. Milano, 9 novembre 2000, in Ann. it. dir. aut., 2002, p. 831.

  56. Trib. Milano, Sez. Spec. Impresa, 25 luglio 2017, in Foro it., 2017, p. 3488.

  57. Per l’esistenza di una mera tecnica di realizzazione v. Trib. Roma, 22 settembre 2004, cit., p. 378. L’intervento dell’apparecchio nella fase finale e decisiva per lo scatto dell’immagine impedirebbe di stabilire con sicurezza se il risultato, «in ipotesi dotato di una certa individualità», sia dovuto alla unicità della realtà fotografata e al mestiere dell’operatore oppure alla concezione del fotografo; così P. Auteri, Commento al d.p.r., cit., p. 158.

  58. Cioè a rappresentazioni che si differenziano nettamente dalle mere riproduzioni dello stesso soggetto pur ottenibili con l’utilizzo di una buona tecnica fotografica: P. Auteri, o. l. c.; A. Arienzo, Fotografia, in Noviss. dig. it., VII, Torino, 1961, p. 612, in cui si dà atto che la semplificazione ed il perfezionamento del procedimento tecnico hanno permesso che si dedicassero alla fotografia anche coloro che, pur non avendo particolari conoscenze tecniche, possedevano tuttavia sensibilità artistica. La tecnica, in questo senso, «ha messo a disposizione degli autori i mezzi più idonei per trasfondere nell’opera, senza nulla aggiungere alla realtà riprodotta, l’originale modo di interpretare il soggetto». In giurisprudenza: Trib. Bari, 3 marzo 2016, cit., e Trib. Milano, 7 novembre 2016, cit.

  59. Cass. 13 novembre 2015, n. 23292, cit., p. 532.

  60. Rispettivamente, p. 7 e p. 9 della sentenza in commento: «Nessun dubbio, quindi, vi può essere sull’utilizzo da parte della Antonio Marras S.r.l. dell’istantanea rivendicata dall’attore, come del resto confessato stragiudizialmente dalla stessa convenuta (…) avendo infatti la stessa dichiarato di avere reperito la predetta fotografia sul web e, in particolare, attraverso la consultazione del motore di ricerca Google»; «Non coglie peraltro nel segno l’eccezione sollevata dalla Antonio Marras S.r.l., anche nella fase stragiudiziale (…) circa la presunta legittimità dell’utilizzo dello scatto, essendo lo stesso reperibile sul motore di ricerca Google».

  61. Sebbene nel linguaggio comune copyright e diritto d’autore siano considerati sinonimi, in realtà i concetti sono solo affini, ma non identici. Il copyright, di matrice anglosassone, riguarda esclusivamente la parte economica del diritto d’autore e si estrinseca nel diritto dell’autore a non vedere riprodotta indebitamente la propria copia: esso si pone come diritto esclusivo di copia riservato all’autore o ai terzi cui tale diritto sia stato ceduto, dal momento che è nato in un contesto in cui, a seguito dell’invenzione della stampa, appariva necessario regolamentare il “right to copy“; esso si acquista solamente con il deposito dell’opera,, come accade in Italia per la registrazione di un marchio o la richiesta di un brevetto. Il diritto d’autore al contrario protegge l’opera sin dalla sua creazione, a prescindere dalla pubblicazione; esso inoltre fornisce una tutela più ampia, comprensiva anche dell’aspetto morale, costituito dalla possibilità di rivendicare la paternità dell’opera. Per approfondimenti sul tema, sia consentito il rinvio a S. Stokes, Art and copyright, Oxford, 2021; P. Mezei, D. Hajdù, Luis Javier Capote-Pérez e J. Qin, Comparative digital copyright law, Lake Mary 2020; L. Moscati, Diritti d’autore: storia e comparazione nei sistemi di civil law e di common law, Milano, 2020.

  62. Per approfondimenti sulla diligenza richiesta al professionista di cui al comma citato, si vedano, ex multis, A. Di Majo, Responsabilità contrattuale, in Dig. disc. priv., Sez. civ., Torino, 1998, XVII, p. 49; F. Cafaggi, Responsabilità del professionista, ivi, XVII, pp. 137-225; S. Rodotà, Diligenza (Diritto civile), in Enc. dir., Milano, XII, 1962, pp. 539-546.

  63. Trib. Milano, 1 marzo 2004, in Giur. milanese, 2004, p. 229.

  64. In argomento, C. Galli, Il diritto d’autore e la tutela della proprietà industriale sulla rete Internet, in C. Perlingieri, L. Ruggeri (a cura di) Internet e diritto civile, Napoli, 2015, pp. 171-191; A. Papa, Il diritto d’autore nell’era digitale, 2019, spec. pp. 175-176.

  65. Trib. Roma, 1 giugno 2015, n. 12076, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.

  66. Trib. Roma, 1 giugno 2015, n. 12076, cit., p. 12: «Assumono difatti che, in base alle condizioni generali di contratto, accettate dagli utenti all’atto dell’iscrizione, la pubblicazione sul social network comporterebbe il trasferimento in capo alla società proprietaria di Facebook di tutti i diritti di proprietà intellettuale sui contenuti ivi pubblicati».

  67. Trib. Roma, 1 giugno 2015, n. 12076, cit., p. 13: «L’art. 17 delle condizioni di licenza di Facebook va interpretato nel senso che la «possibilità di utilizzo delle informazioni pubblicate con impostazione “Pubblica” sul social network non costituisce licenza generalizzata di utilizzo e di sfruttamento dei contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale in favore di qualunque terzo che accede alla pagina Facebook. Quindi, la prevista libertà di utilizzo dei contenuti pubblicati dagli utenti con l’impostazione “Pubblica” riguarda esclusivamente le informazioni e non i contenuti coperti da diritti di proprietà intellettuale degli utenti, rispetto ai quali l’unica licenza è quella non esclusiva e trasferibile concessa a Facebook».

  68. Tribunale Roma 11 marzo 2021, n.4361, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.

  69. Si riportano le porzioni citate nel testo: «2. Accertare e dichiarare che Antonio Marras S.r.l. e Drexcode S.r.l. hanno violato il diritto morale d’autore nonché i diritti di sfruttamento economico sull’Opera fotografica di titolarità di D.J.C»; «5. All’accertamento dell’illegittimo sfruttamento economico dell’immagine, consegue la condanna al risarcimento del danno cagionato all’attrice»; «5.5. A tale importo deve aggiungersi la componente non patrimoniale, come domandato dall’attore».

  70. Sul diritto d’autore inteso non come potere di utilizzazione economica dell’opera, ma come situazione personale tendente alla paternità e all’integrità dell’opera, v. T. Ascarelli, Teoria, cit., p. 298; P. Perlingieri, I diritti del singolo quale appartenente al gruppo familiare, in Rass. dir. civ., 1982, p. 72 ss, e Id., La persona e i suoi diritti, Napoli, 2005, p. 425 ss e spec. p. 443; Id., Il diritto civile nella legalità costituzionale secondo il sistema italo-europeo delle fonti, Napoli, 2020, p. 796; sulla disciplina del diritto d’autore funzionalizzata alla tutela della personalità dell’autore, v. F. Prosperi, Natura e limiti della tutela offerta dal diritto d’autore nella legislazione vigente, in Rass. dir. civ., 1986, p. 77.

  71. P. Spada, Introduzione, in P. Auteri, G. Floridia, V.M. Mangini et al., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2016, p. 52 ss; P. Galli, sub. art. 12, in L.C. Ubertazzi, Diritto d’autore, cit., p. 45 ss; A. Musso, Proprietà intellettuale, in Ann. Enc. dir., 2008, p. 895.

  72. Vedi nota 1.

  73. Sulla distinzione tra plagio e contraffazione, v. G. Colangelo, Diritto comparato della proprietà intellettuale, Bologna, 2011, p. 47; B.M. Gutierrez, La tutela del diritto di autore, Milano, 2008, p. 15; M. Fabiani, Diritto d’autore e diritti degli artisti interpreti o esecutori, Milano, 2004, p. 259.

  74. Cfr: T. Andrioli, Il plagio: un’originalità non variata, in Dir. aut., 2002, p. 255 ss; A. Sirotti Gaudenzi, Opere dell’ingegno e diritti di proprietà industriale, in Id., (a cura di), Proprietà intellettuale e diritto della concorrenza, I, Milano, 2008, p. 23.

  75. Trib. Milano, 4 luglio 2017, n. 7480, disponibile su www.marchiebrevettiweb.it.

  76. Cass. 27 ottobre 2005, n. 20925, in Foro it., 2006, p. 2081: «Entrambe le fattispecie [di contraffazione ed elaborazione creativa non consentita] possono essere lesive del diritto di autore e, in particolare, anche la seconda fattispecie dà luogo ad un illecito quando essa determina un pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, considerato che l’autore ha il diritto esclusivo di elaborazione della sua opera (art. 18 l. 633/1941), con la conseguenza che l’elaborazione di un terzo può ritenersi lecita soltanto se realizzata con il consenso dell’autore dell’opera originaria e se questa viene citata nelle forme d’uso”. Con riguardo alla distinzione tra le due ipotesi, la pronuncia in esame chiarisce che “contraffazione con marginali differenze ed elaborazione creativa presentano entrambe differenze rispetto all’opera originaria, ma nella seconda tali differenze hanno carattere creativo, ancorché non ideativo e minimo. Sulla base di tali principi, la distinzione tra contraffazione ed elaborazione creativa è rimessa ad un apprezzamento di fatto del giudice di merito, le cui conclusioni possono essere sindacate in sede di legittimità soltanto per vizio della motivazione (Cass. 10 marzo 1994, n. 2345)». Sembra adoperare indifferentemente i due concetti una recente pronuncia del Tribunale di Bologna, Sez. spec. Impresa, 11 febbraio 2021, n.310, in Redazione Giuffrè, 2021, secondo la quale «il plagio si ravvisa, secondo la terminologia utilizzata dalla giurisprudenza più recente, laddove l’opera derivata sia priva, in sintesi, di un cosiddetto “scarto semantico”, idoneo a conferirle, rispetto all’altra, un proprio e diverso significato artistico, in quanto abbia mutuato dall’opera plagiata il cd. nucleo individualizzante o creativo (cfr. Cass. 2015, n. 3340); in sostanza, é necessario che l’autore del plagio si sia appropriato degli elementi creativi dell’opera altrui, ricalcando in modo pedissequo quanto da altri ideato ed espresso (Cass 2015, n. 11464). La indagine sulla esistenza o meno della contraffazione deve svolgersi raffrontando essenzialmente le forme, per verificare se vi sia una riproduzione, integrale o parziale, delle medesime forme, senza una elaborazione originale, ovvero se, pur in presenza di una ripresa di elementi compositivi preesistenti, la opera successiva costituisca una unità espressiva autonoma, in cui tali elementi siano rielaborati ed inclusi così da perdere la loro originaria connotazione, e divenire qualcosa di diverso».

  77. G. Sena, Le invenzioni e i modelli industriali, Milano, 1990, p. 479.

  78. «Precisamente si tratterebbe di verificare l’ammontare del patrimonio del danneggiato in un dato momento storico con l’ammontare che il patrimonio avrebbe avuto se non si fosse verificato il fatto illecito», F. Busnelli, e S. Patti, Danno e responsabilità civile, Torino, 1997, pag. 12.

  79. F. Busnelli e S. Patti, o.c., p. 15; grazie a questa teoria si registra un aumento considerevole dei casi di danno risarcibile, oltre alla tendenza a risarcire il danno in ogni caso privilegiando l’interesse del danneggiato rispetto a quello del soggetto chiamato a rispondere in base ad uno dei vari criteri di collegamento.

  80. Così P. Frassi, I danni patrimoniali. Dal lucro cessante al danno emergente, in Ann. it. dir. aut., 2000, pp. 99-100.

  81. Come invece sostiene A. Plaia, La violazione della proprietà intellettuale fra risarcimento e restituzione, in AA. VV., Il risarcimento del danno da illecito concorrenziale e da lesione della proprietà intellettuale, Milano, 2004, p .282.

  82. Così P. Frassi, o.l.c., ma critico P. Auteri, in Il risarcimento del danno da lesione del diritto d’autore, in Il risarcimento, cit., p. 299, dove sostiene «se è vero che si tratta di danno emergente dovrebbe essere possibile poter procedere ad una comparazione tra il valore del patrimonio precedente alla violazione ed il valore del patrimonio conseguente alla stessa, operazione di valutazione estremamente difficile e di esito in ogni caso incerto».

  83. P. Pardolesi, Riflessioni in tema di retroversione degli utili, in Riv. dir. priv., 2014, pp. 217-236; Id., Di là dalla funzione compensativa: la retroversione degli utili in difetto di prova del mancato e dell’elemento psicologico, in Il Foro it., 2021, pp. 3085-3092; I. Garaci, La reversione degli utili fra tecniche risarcitorie e restitutorie, in Riv. dir. ind., 2017, pp. 313-338; F. Chrisam, Danno derivante dalla lesione del diritto d’autore sull’opera originaria e reversione degli utili, in Dir. ind., 2015, pp. 559 ss.

  84. Da ultimo, v. Cass., 29 luglio 2021, n. n.21832, in Foro it., 2021, p. 3072 in tema di proprietà industriale, e Cass., 29 luglio 2021, n. 21833, ivi, p. 3519, in tema di diritto d’autore, dov’è contenuta l’importante precisazione secondo la quale «il principio della retroversione degli utili è un mero strumento per pervenire alla determinazione equitativa del danno, non per attribuire in modo acritico e matematico tutti i proventi riscossi. Ai sensi dell’art. 158, comma 2, L. aut., invero, la considerazione degli utili realizzati in violazione del diritto deve fermarsi al limite dato, il quale è costituito dalla percentuale dei guadagni eziologicamente derivata dall’operata contraffazione».

  85. Cass., 30 gennaio 2020, n. 2278, in Redazione Giuffrè, 2020; Trib. Torino, 27 febbraio 2019; App. Roma 29 aprile 2017, n. 2833; Trib. Milano, 7 novembre 2013; Trib. Torino, 18 maggio 2017, tutte in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. Roma, 2 ottobre 2019, n.18727, in Ann. it. dir. aut., 2020, p. 795, con nota di P. Sammarco, Sui criteri per la quantificazione del danno da sfruttamento non autorizzato di opere audiovisive, in Dir. inf., 2020, p. 99 ss.

  86. Cass., 29 luglio 2021, n. 21833, cit., p. 3521.

  87. R. Moro Visconti. La valutazione economica del diritto d’autore (copyright), in Dir. ind., 2019, 6, pp. 580-589; D. Boschi, Il c.d. prezzo del consenso tra risarcimento del danno e restituzione dell’arricchimento, in Danno e resp., 2008, pp. 1233-1240.

  88. Trib. Milano, 5 ottobre 2016, in Dir. inf., 2016, p. 720, con nota di P. Sammarco, Brevi note sull’impiego non autorizzato di contenuti audiovisivi all’interno di un portale informativo, in Dir. inf., 2016, pp. 728-733.

  89. Trib. Torino, 27 gennaio 2012, in Riv. dir. ind., 2013, p. 290 con nota di A. Avanzi, Cartine geografiche e violazione del diritto d’autore a mezzo “Internet”.

  90. A ciò si aggiungano: il diritto all’integrità dell’opera, ossia il diritto di opporsi a deformazioni o modificazioni dell’opera e a ogni altro atto a danno dell’opera stessa, che possano essere di pregiudizio all’onore o alla reputazione dell’opera stessa (art. 20); secondo alcuni autori, il diritto di inedito, cioè di scegliere se, quando, dove e in che modo divulgare la propria opera al pubblico o di scegliere di non divulgarla affatto (art. 24) e il diritto di ritiro dell’opera dal commercio per gravi ragioni morali (artt. 142 e 143). Cfr. S. Pugliatti, Sulla natura del diritto personale di autore, in Riv. dir. priv., 1933, p. 292 ss e Id., La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954, p. 346 e 349; T. Ascarelli, Teoria della concorrenza, cit., pp. 278, 339, 753 ss; P. Perlingieri, Il diritto civile, cit., p. 797.

  91. E. Rosati, Inibitoria o risarcimento?, in Ann. it. dir. aut., 2017, pp. 461-467. Frequenti sono i casi di concessione di inibitoria in fase cautelare ex art. 163 L.d.A. e 700 c.p.c.: Trib. Roma sez. spec. proprietà industriale ed intellettuale 7 giugno 2012; con nota di F. F., In tema di tutela inibitoria dei diritti d’autore, in Ann. it. dir. aut., 2013, pp. 837-842; Trib. Roma sez. spec. proprietà industriale ed intellettuale, 13 dicembre 2011, con nota di L. P., In tema di tutela inibitoria del diritto d’autore, ivi, pp. 704-707; Trib. Milano, 8 giugno 2017, in www.giurisprudenzadelleimprese.it.; Cass., 26 gennaio 2018, n. 2039, in Nuova giur. civ. comm., 2018, p. 987 ss.; Trib. Milano Sez. spec. Impresa, 25 luglio 2017, in www.giurisprudenzadelleimprese.it, con note di F. Di Marzio, “Is this the life we really want?” Sulla illecita riproduzione delle opere visuali, in www.giustiziacivile.com, 2018, pp. 7.; per la vicenda avente quale protagonista Indro Montanelli, v. Trib. Milano, 30 giugno 2007, n. 9054 e App., 14 aprile 2011, n. 1063, entrambe in www.giurisprudenzadelleimprese.it; per il noto caso Sanguinetti contro Fondazione La Biennale di Venezia, v. Trib. Venezia Sez. spec. Impresa, 7 novembre 2015, in Dir. ind., 2016, p. 331.

  92. E. Damiani, Profili della responsabilità del distributore, Pollenza, 2000, p. 3.

  93. Sulla distribuzione, in generale, si rinvia per un maggior approfondimento a: R. Pardolesi, I contratti di distribuzione, Milano, 1979; Id., Distribuzione (contratti di), in Dig. disc. priv., sez. comm., V, Torino, 1990. pp. 66 e ss., e Id., Contratti di distribuzione, in Enc. giur. Treccani, IX, Roma, 1988, pp. 1 e ss.; G. Santini, Il commercio, Bologna, 1979, pp. 72 e ss.; G. Vettori, Anomalie e tutele nei rapporti di distribuzione fra imprese, Milano, 1983; A. Baldassarri, I contratti di distribuzione, Padova, 1989.

  94. Direttiva 2001/95/CE del Parlamento europeo e del Consiglio, del 3 dicembre 2001, relativa alla sicurezza generale dei prodotti, in G.U. del 15.1.2002, L 11/4, p. 5.

  95. Corte Giust., c-9/12, 19 dicembre 2013, Corman-Collins SA contro La Maison du Whisky SA, in Racc., 2014, p. 117 par. 36, con nota di G.F. Simonini, Nuovi profili di valutazione del contratto di concessione di vendita, in Dir. ec., 2015, pp. 649-666. In termini analoghi: Corte Giust., c-196/15, 14 luglio 2016, Granarolo SpA contro Ambrosi Emmi France SA, in Racc., 2016, p. 7031, spec. par. 35: «Una siffatta qualificazione può trovare applicazione ad una relazione commerciale stabilita da tempo tra due operatori economici, qualora tale relazione si limiti ad accordi consecutivi, ciascuno avente ad oggetto la consegna e il ritiro di merce. Di contro, essa non corrisponde all’economia di un contratto di distribuzione tipico, caratterizzato da un accordo quadro avente ad oggetto un obbligo di fornitura e di approvvigionamento stipulato per il futuro da due operatori economici (v., per analogia, sentenza del 19 dicembre 2013, Corman-Collins, C‑9/12, EU:C:2013:860, punto 36)».

  96. In argomento, v. F. Ramella e C.Manzo, L’economia della collaborazione: le nuove piattaforme digitali della produzione e del consumo, Bologna, 2019, pp. 128-132; A. Quarta, Il ruolo delle piattaforme digitali nell’economia collaborativa, in Contr. Impr. Eur., 2017, pp. 554-571. Con specifico riguardo al diritto d’autore, v. S. Ercolani e G.R. Migliozzi (a cura di), Prove di resistenza del diritto d’autore: modelli di distribuzione delle opere sulle piattaforme digitali: incontro in memoria di Mario Fabiani, Roma, 2018, passim.

  97. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Strategia per il mercato unico digitale in Europa, COM(2015) 192 final, 6 maggio 2015, p. 12: «Le piattaforme online (motori di ricerca, media sociali, piattaforme di commercio elettronico, app store, siti di confronto prezzi, ecc.) acquisiscono sempre maggiore centralità nella vita sociale ed economica, permettendo ai consumatori di reperire informazioni online e alle imprese di sfruttare i vantaggi del commercio elettronico. Le potenzialità dell’Europa in quest’ambito sono notevoli, ma sono anche frenate da una frammentazione dei mercati che complica alle imprese il passaggio a una scala superiore».

  98. Comunicazione della Commissione al Parlamento Europeo, al Consiglio, al Comitato Economico e Sociale Europeo e al Comitato delle Regioni. Le piattaforme online e il mercato unico digitale. Opportunità e sfide per l’Europa, COM(2016) 288 final, 25 maggio 2016, pp. 2-3.

  99. Sul merchandising in generale, v. L. Colantuoni, Merchandising, in Contr., 2006, p. 425: «il merchandising è il contratto mediante il quale un imprenditore che ha portato all’affermazione originaria una certa entità concede l’uso di un proprio marchio, segno distintivo o figura, ad un altro imprenditore affinché ne promuova e ne contrassegni i prodotti in un campo diverso da quello inziale”; P. Bertozzi, Il merchandising: interazione tra marketing del distributore e del produttore nel punto vendita, Milano, 1993.

  100. Attraverso un contratto di distribuzione selettiva, un produttore stabilisce un rapporto preferenziale con un certo numero di punti vendita al dettaglio, selezionati sulla base di quelle caratteristiche che il produttore ritiene necessarie per la vendita ottimale dei suoi prodotti. Poiché lo scopo di una rete selettiva è che i prodotti siano venduti solo nei punti vendita selezionati, la costituzione di una tale rete, per sua stessa natura, implica che i membri della rete devono impegnarsi a non vendere i prodotti a rivenditori che non appartengono alla rete di distribuzione selettiva, ma solo agli utenti finali o ad altri membri della rete. Per una definizione di tali accordi, v. Regolamento (UE) n. 330/2010 della Commissione del 20 aprile 2010 relativo all’applicazione dell’articolo 101, paragrafo 3, del trattato sul funzionamento dell’Unione europea a categorie di accordi verticali e pratiche concordate in G.U. del 23.4.2010, L 102/1, specificamente all’art. 1 lett. e), secondo cui per «sistema di distribuzione selettiva si intende un sistema di distribuzione nel quale il fornitore si impegna a vendere i beni o servizi oggetto del contratto, direttamente o indirettamente, solo a distributori selezionati sulla base di criteri specificati e nel quale questi distributori si impegnano a non vendere tali beni o servizi a rivenditori non autorizzati nel territorio che il fornitore ha riservato a tale sistema». Trattasi di definizione letteralmente riproposta all’art. 1 lett. f) del progetto di revisione del regolamento, che scadrà il 31 maggio 2022, ed è attualmente in fase di revisione finale.

  101. In argomento, Vedi in particolare, il caso «Coty»: Corte Giust., C-230/16, 6 dicembre 2017, Coty Germany GmbH v. Parfümerie Akzente GmbH e la decisone «Guess» della Commissione Europea del 17 dicembre 2018 (Caso AT.40428), entrambe in www.curia.europa.eu; R. Pardolesi, Prodotti di lusso, distribuzione selettiva e piattaforma per l'”e-commerce”, in Il Foro it., 2018, pp. 11-18, T. Di Benedetto. Le regole della concorrenza e i sistemi di distribuzione selettiva nel settore dell’e-commerce, in www.giustiziacivile.com, 2018, pp. 13; M. A. Andreoletti e F. La Rocca, Considerazioni generali in tema di distribuzione selettiva, in Riv. dir. ind., 2018, pp. 314-330.

  102. «Della contraffazione del marchio risponde, oltre al fabbricante, anche il rivenditore dei prodotti recanti il marchio contraffatto» in questo senso, ex multis, Cass., 4 dicembre 1999, n. 13592, in Riv. dir. ind. 2001, p. 85; App. Bologna, 17 febbraio 2004, in Giur. ann. dir. ind., 2004, p. 1293; Trib. Catania, 13 novembre 2002; Trib. Monza, 31 luglio 2000, entrambe in www.giurisprudenzadelleimprese.it; App. Milano, 19 dicembre 1997, in Giur. mil., 1998, p. 81; App. Milano, 10 febbraio 1995, ivi, 1995, p. 119; Trib. Milano, 3 giugno 1993, ivi, 1993, p. 245; Trib. Roma, 27 settembre 1995, in Giur. ann. dir. ind., 1995, p. 1435; App. Salerno, 21 febbraio 1994, ivi, 1994, p. 109; Trib. Napoli, 11 aprile 1994, ivi, 1994, p. 322; Trib. Palermo, 30 maggio 1991, ivi, 1991, p. 2675; Trib. Salerno, 27 giugno 1990, ivi, 1990, p. 2551. In dottrina A. Vanzetti e V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2018, p. 555.

  103. «Ammesso, infatti, che ricorrano i presupposti sostanziali della disciplina di cui all’art. 2598 c.c., il rivenditore che offra in vendita prodotti recanti segni distintivi idonei a provocare confusione o costituenti imitazione servile dei prodotti commercializzati dal titolare del segno compie un’attività riconducibile all’art. 2598 n. 1 c.c.»: Trib. Campobasso, 13 marzo 2003, in Giur. mer., 2003, p. 455; Trib. Torino, 5 giugno 1993, in Giur. ann. dir. ind., 1993, p. 2974.

  104. Trib. Roma, 28 marzo 1995, in Foro it., 1996, p. 1877; Trib. Milano, 25 giugno 1998, ivi, 1999, p. 866: «La società distributrice di edizioni cinematografiche non ha l’obbligo di verificare se le pubblicazioni da essa distribuite siano lesive di diritti di terzi sotto il profilo del diritto d’autore, né incorre in responsabilità oggettiva per la diffusione abusiva di un’opera coperta dal diritto d’autore».

  105. In questo senso, Trib. Torino, 5 giugno 1993, in www.giurisprudenzadelleimprese.it; Trib. L’Aquila, 31 maggio 1989, in Giur. ann. dir. ind., 1989, p. 2486; Trib. Sanremo, 31 maggio 1979, ivi, 1979, p. 1198.

  106. In tema di marchio: v. Trib. Milano, 16 luglio 2011, in Giur. ann. dir. ind. 2011, p. 1230; App. Milano, 19 dicembre 1997, ivi, 1998, p. 118. In dottrina, cfr. M. Ricolfi, Il concorso nell’illecito di contraffazione di marchio, in V. Di Cataldo, V. Meli, R. Pennisi (a cura di), Impresa e mercato. Studi dedicati a Mario Libertini, I, Milano, 2015, p. 1205 ss.

  107. Ex multis, A. Gnani, La responsabilità solidale. Art. 2055, in Cod. civ. Comm. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2005, p. 179 ss.

  108. Cass., 13 maggio 2021, n. 12957, in Mass. Giust. civ., 2021: «In tema di responsabilità solidale, la regola di cui all’art. 2055, comma 1, c.c. trova applicazione nell’ipotesi in cui un medesimo danno sia conseguenza delle azioni od omissioni imputabili a più soggetti, anche tra loro indipendenti, ma insieme concorrenti nella sua produzione, mentre quella previsa dal secondo comma del medesimo articolo trova applicazione nei soli rapporti interni tra corresponsabili, operando una ripartizione che tiene conto delle rispettive quote di responsabilità».

  109. Trib. Milano, 24 aprile 2013, in Giur. ann. dir. ind., 2016, p. 321: «Il rivenditore di un prodotto contraddistinto da un marchio contraffatto risponde in solido con il produttore del danno provocato dalla rivendita da parte sua dei prodotti, assumendo rilievo la questione della gravità delle rispettive colpe e dell’entità delle conseguenze solo per il regresso». Conformi: Cass. 21 giugno 2013, n.15687, in Mass. Giust. civ., 2013; Cass., 21 settembre 2007, n.19492, in Arch. giur. circol. e sin., 2008, p. 227.

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