La tutela del marchio: il caso Chanel c. Huawei

La tutela del marchio: il caso Chanel c. Huawei

Ludovica Calzecchi Onesti

Dottoressa in Giurisprudenza

Trib. UE, Sez. V, 21 aprile 2021, causa T-44/20, rel. Mastroianni; Chanel; Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale; Huawei Technologies Co. Ltd.

Marchio dell’Unione europea – Procedimento di opposizione – Marchio figurativo dell’Unione europea – Marchio nazionale figurativo anteriore – Impedimenti alla registrazione – Assenza di rischio di confusione – Assenza di similitudine dei segni

La ratio giustificatrice del rifiuto di registrazione è il rischio che il pubblico possa ritenere che i beni o i servizi in questione provengano dalla stessa impresa o da imprese: tale pericolo di confusione deve essere valutato globalmente, in funzione della percezione che il pubblico interessato ha dei segni e dei beni o servizi in questione e tenendo conto di tutti i fattori pertinenti alle circostanze del caso, in particolare l’interdipendenza tra la somiglianza dei segni e quella dei beni o servizi contemplati. Nella valutazione della loro identità o della loro somiglianza, i marchi potenzialmente in conflitto devono essere comparati nella forma nella quale sono registrati e richiesti, indipendentemente da qualsiasi eventuale rotazione nel loro uso sul mercato.

L’articolo affronta il tema della tutela del marchio alla luce di una recente sentenza del Tribunale dell’Unione Europea in merito al rischio di confusione tra due marchi registrati. Dopo una breve panoramica della normativa vigente, vengono presentate le criticità relative all’attuale orientamento giurisprudenziale e alla sua inadeguatezza rispetto ai rischi di contraffazione diffusi oggi nel mercato digitale.

The article addresses with the issue of the protection of the trademark in the light of a recent judgment of the EU General Court about the risk of confusion between two registered trademarks. After a brief summary of the current legislation, the criticalities related to the current jurisprudential orientation and its inadequacy with respect to the risks of counterfeiting widespread today in the digital market are presented.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. La normativa nazionale del marchio registrato. – 3. Il rischio di confondibilità. – 4. La procedura di registrazione del marchio a livello sovranazionale. – 5. Il caso Chanel vs Huawei: l’opposizione alla registrazione del marchio cinese presso l’EUIPO. – 6. Il ricorso presso il Tribunale dell’UE. – 7. Conclusioni

1. La presente nota di commento si sofferma su una recente sentenza emessa dal Tribunale dell’Unione Europea, avente ad oggetto la controversia n.T-44/20 in materia di marchi registrati avanzata dalla casa di moda francese Chanel contro Huawei Technologies, società leader nella produzione e sviluppo nel settore delle telecomunicazioni, entrambe titolari di segni distintivi registrati presso l’EUIPO.

Nel 2017 la società francese del lusso ha presentato opposizione alla registrazione del nuovo logo della Huawei, al fine ad ottenere il riconoscimento dell’esclusività e dell’originalità del proprio marchio già precedentemente registrato in sede europea e nazionale. Si contestava infatti la presentazione ad opera della Huawei di un segno simile all’iconica “doppia C” che contraddistingue il brand Chanel a livello mondiale, tuttavia la relativa istanza non ha trovato l’accoglimento della Commissione di ricorso.

In seguito, contro tale provvedimento di rigetto è stata proposta impugnazione presso il Tribunale UE, la cui sentenza ha tuttavia confermato la decisone impugnata rigettando il ricorso promosso da Chanel, non avendo ravvisato pericolo di confusione tra i due segni nel pubblico consumatore.

2. Prima di passare all’esame del caso concreto è necessario premettere una breve analisi della disciplina della tutela del marchio registrato.

Il marchio viene definito come «il segno distintivo dei prodotti o dei servizi dell’impresa»[1], ad oggi considerato il principale strumento di identificazione circa l’origine commerciale di prodotti e servizi offerti da una determinata azienda, rispetto alla quale svolgono anche un ruolo di pubblicità, avviamento commerciale e posizionamento nel mercato di riferimento.

Esso viene disciplinato sia a livello nazionale, sia dall’ordinamento internazionale ed europeo, con particolare riguardo alla sua funzione distintiva nell’ambito della concorrenza e attrattiva della clientela.

La normativa di riferimento nazionale è quella dettata dagli artt. 2569-2574 cod.civ, nonché dal Codice della Proprietà Industriale di cui al D.Lgs. n. 30 del 10 Febbraio 2005 e successive modifiche in attuazione di accordi con la comunità europea ed internazionale.

Tale disciplina si occupa di regolamentare la registrazione del marchio: l’art. 2569 stabilisce infatti che «Chi ha registrato nelle forme stabilite dalla legge un nuovo marchio idoneo a distinguere prodotti o servizi ha diritto di valersene in modo esclusivo per i prodotti o servizi per i quali è stato registrato», fissando il cd. diritto di esclusività sull’utilizzo dello stesso.

Per poter godere di tale tutela giuridica, il marchio deve rispettare quattro requisiti di validità: liceità, verità, originalità e novità.

Sotto il profilo della liceità, esso non deve contenere segni contrari alla legge, all’ordine pubblico o al buon costume[2], stemmi o altri segni protetti da convenzioni internazionali senza l’autorizzazione dell’autorità competente[3], ovvero segni lesivi dell’altrui diritto di autore o di proprietà industriale[4].

Per quanto riguarda la verità, essa comporta il divieto di inserire nel marchio «segni idonei ad ingannare il pubblico, in particolare sulla provenienza geografica, sulla natura o sulla qualità dei prodotti o servizi»[5].

Inoltre, per assolvere alla sua funzione tipica, il marchio deve essere originale, ossia deve consentire l’individuazione del genus e species del prodotto sul mercato[6], al fine di impedire la formazione di monopoli su simboli che si riferiscono a qualità generiche dello stesso[7].

A riguardo, si distingue tra marchi forti, quando sono costituiti da parole, figure o altri segni che, essendo frutto di fantasia, di trasposizione metaforica o di altro originale accorgimento, non presentano, almeno immediatamente, alcuna aderenza concettuale con il prodotto da essi contraddistinto, potendo anche una parola comune essere collegata al prodotto con un accostamento di pura fantasia che le attribuisca efficacia individualizzante originale[8], mentre sono da ritenersi deboli i marchi che solo in parte siano di fantasia, come nel caso di nomi comuni, espressivi o individuativi, accompagnati da opportune trasformazioni morfologiche[9].

La distinzione fra i due tipi di marchio si riverbera sulla loro tutela, nel senso che, a differenza del marchio forte, in relazione al quale vanno considerate illegittime tutte le modificazioni, pur rilevanti ed originali, che ne lascino comunque sussistere l’identità sostanziale ovvero il nucleo ideologico espressivo costituente l’idea fondamentale in cui si riassume, caratterizzandola, la sua attitudine individualizzante, per il marchio debole sono sufficienti ad escluderne la confondibilità anche lievi modificazioni od aggiunte[10].

Di conseguenza il marchio “debole”, in quanto dotato di capacità distintiva limitata[11] e funzionale solo all’individuazione delle caratteristiche e finalità dei prodotti e servizi offerti[12], se da un lato si caratterizza per la sua potenzialità comunicativa immediata verso i consumatori, dall’altro è assistito da forme di tutela notevolmente ridotte.

Infine, il marchio deve rispettare il requisito della novità, differente rispetto alla capacità distintiva: a tal fine, il segno non deve creare rischio di confusione per il pubblico, consistente anche nel rischio di associazione tra due o più marchi in quanto simili sia da un punto di vista visivo/grafico, che dal punto di vista della commercializzazione di prodotti identici o affini.[13]

Il difetto dei requisiti sopra esposti è sanzionato con la nullità del marchio ex art. 25 c.p.i: in caso di difetto di novità, la nullità può essere sanata ove sia possibile dimostrare la buona fede del titolare e la tolleranza d’uso per almeno un lustro da parte del marchio concorrente, mentre nel caso di difetto di originalità la scriminante consiste nel provare che la capacità distintiva del marchio è stata acquistata prima della proposizione della domanda o eccezione di nullità (c.d. secondary meaning)[14].

D’altro canto, il rispetto dei quattro presupposti garantisce una tutela giuridica del marchio, che varia di intensità in base all’avvenuta registrazione o meno dello stesso all’Ufficio italiano brevetti e marchi istituito presso il Ministero delle attività produttive. Infatti, l’eventuale registrazione comporta il diritto di uso esclusivo su tutto il territorio nazionale a prescindere dall’effettiva diffusione dello stesso; ciò consente al suo titolare di impedire a terzi di «mettere in commercio, di importare o di esportare prodotti contrassegnati col proprio marchio, nonché di utilizzare lo stesso nella pubblicità, quando ciò possa determinare un rischio di confusione per il pubblico»[15].

3. Rilievo centrale riveste la questione della confondibilità del marchio: il rischio di confusione di cui tratta l’articolo 20 c.p.i. concerne, almeno in linea di principio, l’origine dei prodotti o servizi e non consiste in una mera confondibilità fra segni o fra prodotti, ma implica necessariamente una valutazione complessiva di tutti i fattori che contribuiscono a creare l’impressione generale del segno nel pubblico consumatore.

Tale considerazione è in linea con la funzione del marchio – che, come sopra esposto, è ancora prevalentemente di indicazione d’origine – e trova conferma nel fatto che la legge pone l’identità o somiglianza fra segni (e perciò anche la confondibilità fra segni) e la identità o affinità dei prodotti (quindi anche la confondibilità tra prodotti) su di un piano diverso di confondibilità cui si riferisce come elemento costitutivo della fattispecie parlando di «un rischio di confusione per il pubblico».

Si avrà dunque un comportamento vietato in quanto si possa ritenere che l’uso da parte del terzo di un segno eguale o simile per prodotti uguali o affini possa indurre il pubblico a ritenere che i suoi prodotti provengano in realtà dall’impresa del titolare del segno[16].

Conseguentemente si deduce che la tutela del diritto di esclusiva che contraddistingue l’uso del marchio registrato ha carattere reale e la sua violazione va riconosciuta in via assoluta in ogni riproduzione abusiva del marchio stesso, indipendentemente dall’elemento soggettivo (colpa o dolo) della parte che ha usato lo stesso senza esserne autorizzata.

Inoltre, gli effetti della registrazione del marchio non sono limitati al genere di prodotti o merci indicati nel brevetto stesso, ma la giurisprudenza di legittimità ha ampliato l’ambito di tutela anche a tutti i prodotti affini, aventi cioè il connotato comune dell’idoneità a soddisfare gli stessi bisogni o natura intrinseca tale da potersi presentare alla clientela come ricollegabili alla medesima fonte produttiva delle cose per le quali il marchio è registrato.[17]

In questo contesto si inserisce il dibattito relativo al confronto strutturale e funzionale tra l’azione di contraffazione e l’azione di concorrenza sleale: l’impostazione tradizionale della dottrina[18] ritiene che, mentre nell’ipotesi di violazione di un marchio registrato (soppressione, usurpazione, imitazione o alterazione) il titolare di esso ha a disposizione la specifica azione di contraffazione (di natura reale), il semplice utente di fatto può giovarsi solo dell’azione di concorrenza sleale (di natura personale), fondata sulla trasgressione del divieto di usare segni distintivi confondibili con quelli legittimamente usati da altri (ex art. 2598, n. 1 c.c.)[19]

Questa distinzione poggia sull’orientamento giurisprudenziale[20] pressoché unanime che contrappone il carattere reale della prima a quello personale della seconda: si ritiene infatti che mentre l’azione di contraffazione si fonda esclusivamente sulla confondibilità tra segni prescindendo dall’effettiva confusione tra fonti d’origine (cd. confondibilità in astratto), quella di concorrenza sleale necessita anche della confondibilità fra beni, presupponendo un rischio concreto di inganno circa la provenienza dei prodotti o servizi (cd. confondibilità in concreto).[21]

D’altro canto tale argomentazione è stata di recente superata da una nuova impostazione in dottrina[22] volta a criticare la differenziazione tra carattere reale dell’azione di contraffazione e carattere personale dell’azione di concorrenza sleale, sulla scorta di una effettiva mancanza di riferimenti normativi in tal senso. In particolare, secondo tale interpretazione (che ha trovato riconoscimento anche nell’ambito della giurisprudenza europea[23]), il giudizio di confondibilità nell’ambito della tutela del marchio non andrebbe in nessun caso condotto in astratto – ossia sulla base delle sole indicazioni contenute nella relativa registrazione, prescindendo dalle modalità con le quali il segno è effettivamente usato sul mercato – ma sempre in concreto, tenendo conto della possibilità che possa crearsi un effettivo rischio di confusione per il pubblico quanto all’origine imprenditoriale dei prodotti[24].

In altre parole, la dottrina[25] si mostra attualmente incline a comparare il marchio registrato con il marchio di fatto per quanto concerne il trattamento sostanziale e processuale di quest’ultimo, che pertanto gode della medesima tutela prevista in caso di violazione del diritto d’uso esclusivo del segno registrato ad opera di soggetti terzi. Di conseguenza, oltre alla tutela ex artt. 2598, 2599 e 2600 cod.civ., il titolare di marchio di fatto potrà poi ottenere la declaratoria di nullità del marchio posteriore (art. 122 c.p.i.), l’applicazione di misure cautelari come la descrizione e sequestro (artt. 129 e 130 c.p.i.) , l’inibitoria di qualsiasi violazione imminente del suo diritto di esclusività (art. 131 cp.i), nonché avvalersi di strumenti d’urgenza ex art. 700 c.p.c. ovvero di tutti gli altri provvedimenti sanzionatori speciali previsti agli artt. da 124 a 127 c.p.i.

4. A livello europeo, la tutela dei marchi è subordinata alla registrazione degli stessi presso l’European Union Intellectual Property Office (EUIPO) con sede ad Alicante: tale registrazione genera un c.d. Marchio dell’Unione Europea (MUE), che ha validità su tutto il territorio UE, senza possibilità di limitarne la portata a singoli stati membri[26].

La procedura di registrazione è disciplinata dal Regolamento n. 2017/1001 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 14 giugno 2017 sul marchio dell’Unione Europea, definito all’articolo 4 come ogni tipo di segno, parola, disegno, colore, forma o suono che sia adatto a «distinguere i prodotti o i servizi di un’impresa da quelli di altre imprese ed essere rappresentati nel registro dei marchi dell’Unione Europea («registro») in modo da consentire alle autorità competenti e al pubblico di determinare in modo chiaro e preciso l’oggetto della protezione garantita al loro titolare».

Oltre a questi presupposti, vengono indicate nelle disposizioni successive una serie di circostanze che ne impediscono la registrazione, come l’assenza del carattere distintivo, di originalità o di novità, la contrarietà all’ordine pubblico e al buon costume, nonché la mancanza di autorizzazioni competenti, in quanto l’irregolarità del marchio alla luce della disciplina dello Stato membro di appartenenza costituisce una condizione di improcedibilità nella registrazione presso l’EUIPO.

Verificata la sussistenza di tutti i requisiti di validità e l’assenza ragioni impeditive alla registrazione, la domanda può essere depositata presso l’EUIPO: essa deve contenere – oltre alla richiesta di registrazione – le indicazioni che permettano di identificare il richiedente, nonché una rappresentazione del marchio e l’elenco dei prodotti o dei servizi per i quali si richiede la registrazione, individuati secondo il sistema stabilito dall’accordo di Nizza sulla classificazione internazionale dei prodotti e dei servizi ai fini della registrazione dei marchi, del 15 giugno 1957[27].

La domanda viene sottoposta ad un primo vaglio di ammissibilità al fine di valutare la presenza di condizioni impeditive e ove sussistenti la Commissione incaricata concede un periodo di due mesi per sanare le relative irregolarità ovvero respinge la domanda. Ove invece non vengano sollevate obiezioni, la stessa viene pubblicata in modo tale che entro tre mesi tutte le persone fisiche o giuridiche, nonché i gruppi o organismi che rappresentano fabbricanti, produttori, prestatori di servizi, commercianti o consumatori possono indirizzare all’Ufficio osservazioni scritte, specificando i motivi per i quali il marchio dovrebbe essere escluso d’ufficio dalla registrazione[28].

Se la domanda soddisfa i requisiti di validità e non è stata presentata opposizione – ovvero se gli eventuali procedimenti di opposizione instaurati si siano definitivamente estinti per effetto di ritiro, rigetto o altra circostanza – il marchio viene registrato e l’EIUPO rilascia il relativo certificato di registrazione. Si ottiene in questo modo un marchio dell’Unione europea valido per dieci anni, che può essere rinnovato indefinitamente per periodi di ulteriori dieci anni.

Infine, il massimo livello di tutela del marchio si ottiene con l’estensione internazionale del marchio nazionale o europeo attraverso l’ufficio WIPO (World Intellectual Property Office), una delle agenzie specializzate delle Nazioni Unite con sede a Ginevra (Svizzera), creata nel 1967 al fine promuovere la protezione della proprietà intellettuale nel mondo.

Per i Paesi che hanno aderito al Sistema di Madrid è infatti possibile richiedere lo sviluppo di un marchio registrato a livello nazionale o di un Marchio UE (MUE), presentando la relativa istanza presso l’ufficio in cui è stato effettuato il primo deposito: nel primo caso, attraverso l’ufficio marchi e brevetti di competenza, mentre nella seconda ipotesi bisogna rivolgersi all’EUIPO. [29]

L’estensione può essere domandata in qualsiasi momento e per i primi cinque anni di vita, il marchio internazionale segue le sorti di quello che è stato esteso: difatti, se per qualsiasi motivo il marchio nazionale cessa di esistere, automaticamente cessa anche quello internazionale corrispondente; al termine di tale periodo, il marchio internazionale diventa indipendente.

La procedura prevede che al momento del deposito della domanda di registrazione di marchio, l’azienda deve indicare i Paesi di interesse che poi saranno citati nel Certificato di Registrazione (anche se è possibile, successivamente al rilascio di tale Certificato, estendere la tutela territoriale della registrazione internazionale, negli altri Stati aderenti al Sistema, mediante il deposito di una estensione territoriale). La designazione di ogni singolo Paese, gode di piena autonomia ed ha efficacia equivalente a quella di una registrazione nazionale.[30]

Nel momento del deposito della domanda, l’Organizzazione Mondiale della Proprietà Intellettuale (OMPI) svolge un primo esame formale di ammissibilità: qualora non vengano rilevate divergenze rispetto alle normative nazionali in ciascuno dei Paesi designati, si procede alla registrazione e da quel momento il marchio gode di notevoli vantaggi: tra questi, se il marchio internazionale viene annullato in un Paese specifico, l’invalidità è limitata a quel Paese ed il marchio rimane in vigore negli altri (a differenza di quanto accade con il marchio comunitario).

5. La controversia oggetto del presente commento è incentrata sulla valutazione circa la somiglianza tra il marchio europeo registrato da Huawei Technologies, raffigurante due “U” intrecciate tra loro in verticale, e il logo iconico di Chanel, avente invece ad oggetto due “C” capovolte intersecate, alla luce del diritto di esclusività d’uso che deriva dalla registrazione degli stessi presso l’EUIPO.

La vicenda processuale inizia nel 2017, quando la smart company cinese procede al deposito di una domanda di marchio figurativo europeo consistente in una “H” stilizzata, composta da due curve simmetriche e disposta all’interno di un cerchio. Il settore di riferimento in cui si colloca la gamma di prodotti e servizi offerti dall’azienda è quello informatico e tecnologico, pertanto riferibile alla categoria n. 9 della Classificazione di Nizza[31].

A seguito di tale richiesta di registrazione, la società Chanel, nel dicembre 2017, proponeva opposizione alla quarta Commissione di Ricorso dell’EUIPO, riscontrando una discreta somiglianza tra i suoi loghi registrati e quello oggetto di richiesta da parte del brand cinese.

L’articolo 46 del regolamento n. 2017/1001, infatti, prevede la possibilità di presentare opposizione alla registrazione di un nuovo marchio nel termine di tre mesi a decorrere dalla pubblicazione della relativa domanda. Tale facoltà è concessa i titolari di un marchio anteriore registrato, nonché a coloro che hanno depositato la domanda di registrazione in un momento antecedente, al licenziatario esclusivo del marchio anteriore e agli enti e associazioni non aventi finalità economiche. L’opposizione deve essere redatta per iscritto e motivata e si considera validamente presentata soltanto ad avvenuto pagamento della tassa d’opposizione.

Dal momento in cui viene depositata l’opposizione decorre il cd. cooling off period (di 2 mesi, prorogabile su richiesta) durante il quale è possibile, per le parti, tentare un accordo di conciliazione e, in caso di esito negativo, si aprirà la fase contenziosa del procedimento. Nel corso dell’esame dell’opposizione l’Ufficio invita le parti a presentare, ogniqualvolta risulti necessario ed entro un termine che esso stabilisce, le loro osservazioni su comunicazioni delle altre parti o dell’Ufficio stesso.

Ai fini dell’accoglimento dell’opposizione, il titolare di un marchio UE anteriore ha l’onere di dimostrare che lo stesso è stato oggetto di uso effettivo nell’Unione per i prodotti o i servizi per cui è stato registrato e sui quali si fonda l’opposizione, purché registrato da almeno cinque anni. In mancanza di tale prova, l’opposizione è respinta.[32]

Nel caso di specie, il marchio Chanel è garantito da una duplice tutela: quale marchio figurativo comunitario (n. 3977077 del 2013) raffigurante le 2 C intrecciate senza cerchio esterno per prodotti di cui alla classe n.9 di Nizza[33], e come marchio nazionale francese (n. 1334490 del 1985) relativamente ai suoi articoli di profumeria, cosmetica, abbigliamento e accessoristica, il cui logo è un cerchio contenente le 2 C sovrapposte[34].

Entrambi i segni distintivi sono stati oggetto di attenta analisi da parte della Commissione di ricorso dell’EUIPO, la quale con decisione del 28 novembre 2019 n. R1041/2019-4 rigettava l’opposizione, rilevando l’insussistenza di alcun rischio di confusione, da parte del pubblico di riferimento, in ragione della profonda diversità tra i due segni.

In motivazione, la Commissione precisava infatti che i marchi hanno visivamente un’impressione generale molto diversa, avendo una struttura dissimile ed essendo composti da elementi differenti, argomentando che il semplice fatto di essere composti entrambi da due elementi collegati tra loro non rende i segni simili, risultando piuttosto dissimili da un punto di vista visivo[35]. Di conseguenza, alla luce di tale posizione, la Commissione ha rigettato entrambi i motivi di ricorso.

Per quanto concerne l’opposizione fondata sull’articolo 8.1.b, ai fini dell’accoglimento sono richieste due condizioni: la somiglianza ovvero l’identità dei marchi, e la confondibilità in merito ai prodotti o servizi offerti dalle due imprese. Nel caso di specie, la mancanza del cerchio esterno al logo francese determina la sostanziale differenza dei due simboli, pertanto la contestazione della ricorrente appare già in prima analisi infruttuosa indipendentemente da un eventuale grado di somiglianza o addirittura dall’identità dei prodotti o servizi ovvero dalla notorietà o dal carattere distintivo accresciuto del marchio anteriore.[36]

D’altro canto, anche l’applicazione del l’articolo 8.5 del l’EUTMR è subordinata a diverse condizioni cumulative: in primo luogo, che il marchio anteriore risulti identico o simile al marchio contestato; in secondo luogo, che il marchio anteriore goda di notorietà nel territorio in cui è registrato; in terzo luogo, deve sussistere il rischio che l’uso del marchio contestato possa trarre indebitamente vantaggio o nuocere al carattere distintivo o alla notorietà del marchio anteriore; in quarto luogo, che l’uso del marchio posteriore non sia giustificato.

In concreto, l’opposizione del brand francese era fondata solamente sul fatto che il proprio logo e quello della Huawei presentavano entrambi due curve intersecate e contenute in un cerchio, ma tale elemento comune non è stato ritenuto sufficiente a rendere i marchi simili, né dal punto di vista visivo, né da quello concettuale, tenuto conto del suo carattere non distintivo. In mancanza delle condizioni sopraelencate, i marchi in conflitto sono considerati dissimili e, pertanto, anche il secondo motivo di opposizione non ha trovato accoglimento.

6. A seguito della pronuncia di rigetto della propria opposizione la società Chanel decide di adire il Tribunale Europeo di primo grado, chiedendo l’annullamento della decisione impugnata nella parte in cui ha considerato che i segni confliggenti, nella posizione in cui sono depositati, non sono simili.

La sezione quinta del Tribunale, con sentenza del 21 Aprile 2021, riesaminando la valutazione della Commissione di ricorso sulla somiglianza e sul rischio di confusione tra i due marchi, ha sposato la linea perseguita dall’EUIPO, rigettando il ricorso presentato dalla maison francese.

In merito alla violazione dell’articolo 8 comma 5, la ricorrente lamentava che la Commissione di ricorso aveva erroneamente escluso qualsiasi possibilità di prendere in considerazione il marchio richiesto in un orientamento diverso da quello in cui era stato depositato, per l’erroneo motivo che i marchi devono essere confrontati così come registrati. Secondo i legali di Chanel, infatti, i due marchi sono complessivamente simili a un grado medio-basso quando sono visti nell’orientamento in cui sono applicati, mentre risultano paragonabili ad un grado medio-alto quando vengono ruotati di 90 gradi. A questo proposito, sostenevano che è ammissibile tener conto del diverso orientamento di uno dei segni al fine di valutare la percezione complessiva che ne risulta quando il marchio è apposto sui prodotti sul mercato.

Sulla somiglianza concettuale dei due loghi, il Tribunale ha statuito che entrambi sono composti da un cerchio contenente un’immagine riferita a lettere stilizzate, ribadendo tuttavia che il semplice fatto di avere la forma geometrica di un cerchio non può renderli concettualmente simili.

È interessante a riguardo porre l’attenzione sul raffronto tra i due marchi effettuato dalla Corte, secondo cui le differenze visive tra il marchio Chanel e quello Huawei risultano chiaramente, in primo luogo, dalla forma più arrotondata delle curve del primo rispetto all’immagine della lettera nell’altro; in secondo luogo, dalla diversa stilizzazione di tali curve e della loro disposizione, orizzontalmente nel primo e verticalmente nel secondo; in terzo luogo, dall’orientamento dell’ellisse centrale – risultante dall’intersezione di tali curve – verticale nel primo e orizzontale nel secondo; infine in quarto luogo dallo spessore maggiore della linea di tali curve nel primo rispetto alla linea delle curve nel secondo.

Da una valutazione globale si osserva che i marchi in questione appaiono visivamente diversi, nonostante la presenza in ciascuno di essi di due curve intrecciate all’interno di un cerchio nero, unico elemento geometrico comune.[37]

Difatti, l’elemento che prima facie giustifica tale posizione è lo stesso orientamento dei segni: a riguardo appare condivisibile la posizione del Tribunale in base alla quale il confronto tra gli stessi può essere effettuato solo sulla base delle forme e degli orientamenti così come indicati nella domanda di registrazione, poiché tali elementi influiscono in modo diretto sulla portata della loro protezione[38]. La ratio sottesa a tale ragionamento è evidentemente quella di evitare qualsiasi possibilità incertezza o dubbio nel corso dell’apprezzamento in merito il reale rischio di confusione tra i due marchi, il quale deve basarsi su fattori oggettivi.

Nel secondo capo del ricorso, inerente al rischio ex art. 8.1.b del Regolamento 2017/1001 di confusione tra i marchi che potrebbe ingenerarsi nel pubblico acquirente, Chanel rileva poi che – data l’assenza di possibili confronti fonetici e concettuali – esistono comunque evidenti somiglianze visive tra il marchio richiesto e il marchio anteriore. A tal proposito, vengono contestate le conclusioni della Commissione di ricorso secondo cui i due marchi producono di fatto un’impressione generale molto diversa.

La ricorrente è risultata soccombente anche su questo punto: la Corte, riprendendo le argomentazioni già esposte, ha escluso qualsiasi somiglianza visiva tra i due loghi, argomentando come sebbene i segni in questione presentino caratteristiche comuni – vale a dire due curve nere intrecciate che si intersecano in un’immagine speculare rovesciata e un’ellisse centrale risultante da tale intersezione – non sono del tutto assimilabili, posto che quello già registrato dalla Chanel non presenta nemmeno il cerchio (a differenza di quello storico nazionale), circostanza che quindi esclude ogni possibilità di confusione sia visiva che concettuale nel pubblico acquirente.

Sul punto, il Tribunale riprende l’orientamento ormai consolidato della Corte di Giustizia Europea (CGUE), secondo cui per individuare correttamente le caratteristiche essenziali di un segno occorre far riferimento alla realtà dell’uso del segno sul mercato.[39]

È pacifico che ai fini di una corretta valutazione sul rischio confusivo è necessario determinare se sussista identità o somiglianza tra i prodotti, nonché tenere conto di tutti i fattori caratterizzanti il rapporto tra la loro natura, la loro destinazione e la loro concorrenzialità. Questi presupposti sono cumulativi: di conseguenza deve essere escluso qualsiasi rischio di confusione se non esiste prima di tutto somiglianza tra i rispettivi prodotti o servizi offerti, in quanto altri elementi (seppur rilevanti) non possono comunque compensare tale dissomiglianza.

In definitiva, il Tribunale dell’UE ha quindi escluso qualsiasi rischio di confusione tra le due società, considerando anche l’ampia diversità tra i prodotti Huawei e quelli Chanel, determinando pertanto il rigetto del ricorso promosso da quest’ultima che potrà eventualmente impugnare tale sentenza di fronte alla Corte di Giustizia UE.

7. Conclusioni

La vicenda processuale in esame tocca uno degli aspetti più controversi relativi alla tutela dei marchi, nonché oggetto della quasi totalità delle questioni di opposizione alla registrazione di nuovi segni presso l’EUIPO, ovvero l’esigenza per le aziende di tutelare l’originalità e la forza di mercato dei propri prodotti e servizi rispetto alla concorrenza.

In tale prospettiva, la possibilità che la dirigenza di Chanel scelga di presentare un ulteriore (ed ultimo) ricorso di fronte alla Corte di Giustizia dell’Unione Europea, seppur di accoglimento poco auspicabile in seguito a due pronunce contrarie, non è esclusa in via assoluta. La battaglia legale oggetto del presente elaborato è perfettamente in linea con la strategia di protezione del proprio brand che la maison sta portando avanti già da diversi anni[40] contro i sempre più diffusi fenomeni di contraffazione e rivendita non autorizzata.

L’azienda francese si è data sin dalla fondazione un profilo di lusso e prestigio, il quale oltre ad essere il punto di forza della sua brand identity, è ciò che ha permesso alla stessa di affermarsi sul mercato, puntando ad una clientela selezionata che si riconosce in questi valori e che ambisce a che la stessa mantenga tale profilo di esclusività, oggi sempre più minacciato dal proliferare di marchi simili i quali, sfruttando la notorietà del brand francese, ne ledono l’immagine.

Sulla scorta di questo ragionamento le azioni proposte da Chanel, pur nella loro debole fondatezza in punto di diritto nei confronti della società Huawei, stante anche l’oggettiva differenza tra i rispettivi prodotti, settori di mercato e loghi che è stata evidenziata dalle decisioni richiamate in precedenza, presentano anche indirettamente il fine di scoraggiare i competitors dal cercare di promuovere e registrare segni distintivi simili o associabili a quelli propri, in linea con la loro politica di forte protezione del brand.[41]

In dottrina si è evidenziato come, dalla lettura delle recenti pronunce sul tema[42], ad oggi il parametro di giudizio fin qui seguito dalle corti europee, tenendo conto delle normative in vigore e dello sviluppo giurisprudenziale pressoché costante, sia basato su una valutazione che tiene conto solamente del target del consumatore medio[43].

In realtà, sarebbe più opportuno dare rilievo anche ad aspetti ulteriori, relativi in particolare alla necessità sempre più forte delle aziende di tutelare la propria brand identity, l’originalità della stessa e come viene percepita dai consumatori. Questa lacuna giuridica risulta sempre più avvertita anche a causa della continua evoluzione del mercato digitale, in cui i rimedi tradizionali di tutela del marchio appaiono insufficienti e inadeguati, non offrendo una protezione completa all’imprenditore che veda violato il proprio segno distintivo ad opera delle politiche aziendali aggressive di terzi concorrenti.

Art. 8, par. 1, lett. b), Reg. (UE) 2017/1001; art. 8, par. 5, Reg. (UE) 2017/1001.

Provvedimento: On 26 September 2017, the intervener, Huawei Technologies Co. Ltd., filed an application for registration of an EU trade mark with the European Union Intellectual Property Office (EUIPO) pursuant to Council Regulation (EC) No 207/2009 of 26 February 2009 on the Community trade mark (OJ 2009 L 78, p. 1), as amended (replaced by Regulation (EU) 2017/1001 of the European Parliament and of the Council of 14 June 2017 on the European Union trade mark (OJ 2017 L 154, p. 1)).

Registration as a mark was sought for the following figurative sign:

The goods in respect of which registration was sought are in Class 9 of the Nice Agreement concerning the International Classification of Goods and Services for the Purposes of the Registration of Marks of 15 June 1957, as revised and amended, and correspond to the following description: ‘Computer hardware and computer software programs for the integration of text, audio, graphics, still images and moving pictures into an interactive delivery for multimedia applications; computer hardware and software used for the control of voice controlled information and communication devices; voice response equipment; voice recognition software; computer hardware and software for the remote control of electric lighting, temperature controlling apparatus and electronic products; downloadable software for managing mobile WIFI; mobile phones; USB modems; wireless modems; gateway in the nature of telecommunications and data networking hardware, namely, gateway routers in the nature of computer control hardware; modems; set-top boxes; computer terminals, namely, table multi-functional video terminals with accessing internet, making phone calls, viewing videos and playing games functions; mobile broadband accessing terminal devices and equipment, namely, modems for mobile broadband; network and telephone call routers; communication modules, namely, integrated circuit modules; PDA (personal digital assistant); batteries; battery chargers; computer mouse; earphones and headphones; software in the communication field, namely, computer software for managing, operating and maintaining video conferencing, computer software for data communications, computer software for use in database management and network management, computer software for use as a spreadsheet and word processing; computer equipment, namely, wireless cards, wireless adapters used to link computers to a telecommunications network; computer network adapters; computer programs, recorded; computer programs [downloadable software]; computer software applications, downloadable; computer operating programs, recorded; wireless headsets for mobile phone; wireless headsets for smart phone; digital set top boxes; Smartglasses; smartwatches; protective films adapted for computer screens; wearable activity trackers; covers for smartphones; cases for smartphones; protective films adapted for mobile phone screens; selfie sticks, handheld monopods; parts and fittings for all the aforesaid goods.’

The EU trade mark application was published in European Union Trade Marks Bulletin No 193/2017 of 11 October 2017.

On 28 December 2017, the applicant, Chanel, filed a notice of opposition pursuant to Article 41 of Regulation 2017/1001 to registration of the mark applied for in respect of the goods referred to in paragraph 3 above.

The opposition was based, first, on the ground set out in Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001 and on the earlier French figurative mark, filed on 24 January 2013 and registered on 17 May 2013 under No 3977077, covering, inter alia, goods in Class 9 corresponding, inter alia, to the following description: ‘Cameras, sunglasses, glasses; earphones and headphones; computer hardware’, reproduced below:

Second, it was based on the ground set out in Article 8(5) of Regulation 2017/1001 and on the French trade mark, filed on 11 December 1985, registered under No 1334490 and renewed until 11 December 2025 (‘the allegedly reputed mark’), covering, inter alia, goods in Classes 3, 14, 18 and 25 corresponding to the following description: ‘Perfumes, cosmetics, costume jewellery, leather goods, clothes’, reproduced below:

On 19 March 2019, the Opposition Division rejected the opposition in its entirety.

On 14 May 2019, the applicant filed a notice of appeal with EUIPO, pursuant to Articles 66 to 71 of Regulation 2017/1001, against the decision of the Opposition Division.

By decision of 28 November 2019 (‘the contested decision’), the Fourth Board of Appeal of EUIPO dismissed the appeal. In particular, it found that there was no likelihood of confusion on the part of the relevant public in relation to the earlier mark, within the meaning of Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001, and that the first of the conditions for the application of Article 8(5) of Regulation 2017/1001, namely that concerning the identity or similarity of the signs at issue, was not satisfied in the present case, given that the mark applied for was different from the allegedly reputed mark.

Forms of order sought

The applicant claims that the Court should:

as regards the opposition based on Article 8(5) of Regulation 2017/1001, annul the contested decision in so far as it states that the mark applied for is not similar to the allegedly reputed mark;

as regards the opposition based on Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001, annul the contested decision in so far as it states that the mark applied for is not similar to the earlier mark;

order EUIPO to pay the costs.

EUIPO contends that the Court should:

dismiss the action;

order the applicant to pay the costs.

The intervener claims that the Court should

dismiss the action;

order the applicant and EUIPO jointly and severally to pay the costs incurred by the intervener in connection with the present proceedings and the proceedings before EUIPO.

Law

Given the date on which the application for registration at issue was filed, namely 26 September 2017, which is decisive for the purposes of identifying the applicable substantive law, the facts of the case are governed by the substantive provisions of Regulation No 207/2009.

In support of the action, the applicant relies on two pleas in law. By its first plea, the applicant submits that the Board of Appeal made an error of assessment when it rejected the opposition in so far as it was based on Article 8(5) of Regulation No 207/2009 (now Article 8(5) of Regulation 2017/1001). By its second plea, the applicant submits that the Board of Appeal made an error of assessment when it rejected the opposition in so far as it was based on Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009 (now Article 8(1)(b) of Regulation 2017/1001).

The first plea, alleging infringement of Article 8(5) of Regulation No 207/2009

The applicant submits that registration of the mark applied for in respect of the goods referred to in paragraph 3 above should have been refused on the basis of Article 8(5) of Regulation No 207/2009, in so far as that mark is similar to the allegedly reputed mark.

Under Article 8(5) of Regulation No 207/2009, upon opposition by the proprietor of a registered earlier trade mark within the meaning of paragraph 2, the trade mark applied for is not to be registered where it is identical with, or similar to, an earlier trade mark, irrespective of whether the goods or services for which it is applied are identical with, similar to or not similar to those for which the earlier trade mark is registered, where, in the case of an earlier EU trade mark, the trade mark has a reputation in the European Union or, in the case of an earlier national trade mark, the trade mark has a reputation in the Member State concerned, and where the use without due cause of the trade mark applied for would take unfair advantage of, or be detrimental to, the distinctive character or the repute of the earlier trade mark.

For an earlier trade mark to be afforded the broader protection under Article 8(5) of Regulation No 207/2009, three conditions must be satisfied: (i) the marks at issue must be identical or similar; (ii) the earlier mark cited in opposition must have a reputation; and (iii) there must be a risk that the use without due cause of the trade mark applied for would take unfair advantage of, or be detrimental to, the distinctive character or the repute of the earlier trade mark. Those three conditions are cumulative and failure to satisfy one of them is sufficient to render that provision inapplicable (see judgment of 9 March 2012, Ella Valley Vineyards v OHIM – HFP (ELLA VALLEY VINEYARDS), T‑32/10, EU:T:2012:118, paragraph 18 and the case-law cited).

In the present case, the Board of Appeal found that the mark applied for and the allegedly reputed mark were not similar. It observed that from a visual point of view the marks had a different structure and were composed of different elements. The mere presence, in each of the marks at issue, of two elements that are connected to each other does not render the marks similar even though they share the basic geometric shape of a circle surrounding those elements. Whilst a phonetic comparison of the marks at issue is impossible, those marks are also not similar from a conceptual point of view. Therefore, as the marks at issue were dissimilar, the Board of Appeal concluded that the first of the cumulative conditions referred to in paragraph 17 above had not been satisfied, so that the opposition filed by the applicant pursuant to Article 8(5) of Regulation No 207/2009 had to be rejected on that ground alone; the Board of Appeal finding that it was not necessary to further examine the other conditions for the application of that provision.

According to the applicant, the mark applied for and the allegedly reputed mark are similar overall to an average degree, or even to an average to low degree when they are viewed in the orientation in which they are applied for and to an average to high degree when the mark applied for is rotated by 90 degrees. In that regard, the applicant submits that the Board of Appeal erroneously ruled out as a matter of principle any possibility of taking into account the mark applied for in an orientation other than that in which it had been filed on the incorrect ground that trade marks should always be compared as applied for and registered. The applicant claims that it is permissible, by contrast, to take account of the different orientation of one of the signs if it corresponds to the perception which, irrespective of the intentions of its proprietor, the public may have of it when the mark is affixed to goods on the market.

From a visual point of view, the applicant submits that the comparison of the mark applied for and the allegedly reputed mark, in the orientation in which they were applied for, does not exclude certain similarities, so that those marks may be regarded as displaying similarities. According to the applicant, when the mark applied for is rotated by 90 degrees, the allegedly reputed mark and the mark applied for are, at the very least, visually similar to an average degree. From a phonetic point of view, the applicant submits that the Board of Appeal was right to find that a phonetic comparison of the marks at issue was impossible, since they could not be pronounced. From a conceptual point of view, according to the applicant, the Board of Appeal erred in finding that the marks at issue were dissimilar. The applicant maintains that since the signs have no meaning and do not convey any concept, the Board of Appeal should have found that there was no need to carry out a conceptual comparison.

EUIPO and the intervener dispute the applicant’s arguments.

It should be recalled that, according to the case-law, in order to satisfy the condition that the signs at issue must be identical or similar, laid down by Article 8(5) of Regulation No 207/2009, it is not necessary to prove that there exists, on the part of the relevant section of the public, a likelihood of confusion between the earlier mark with an alleged reputation and the mark applied for. It is sufficient for the degree of similarity between those marks to have the effect that the relevant section of the public establishes a link between them (see, to that effect, judgment of 9 March 2012, ELLA VALLEY VINEYARDS, T‑32/10, EU:T:2012:118, paragraph 37).

The assessment of the visual, phonetic and conceptual similarity of the signs at issue must be based on the overall impression generated by the signs, bearing in mind, in particular, their distinctive and dominant elements. Moreover, it is apparent from the case-law that two marks are similar where, from the point of view of the relevant public, they are at least partially identical as regards one or more relevant aspects (see, to that effect, judgment of 27 October 2016, Spa Monopole v EUIPO – YTL Hotels & Properties (SPA VILLAGE), T‑625/15, not published, EU:T:2016:631, paragraph 35 and the case-law cited).

As a preliminary point, it should be noted that, as stated in paragraph 20 of the contested decision, and as EUIPO and the intervener submit, when assessing whether they are identical or similar, the signs must be compared in the form in which they are protected, that is to say, as they were registered or as they appear in the application for registration. The actual or potential use of registered marks in another form is irrelevant when comparing the signs (see judgment of 20 April 2018, Mitrakos v EUIPO – Belasco Baquedano (YAMAS), T‑15/17, not published, EU:T:2018:198, paragraph 34 and the case-law cited).

The orientation of signs, as set out in the application for registration, may have an impact on the scope of their protection and, consequently, contrary to what the applicant claims, in order to avoid any uncertainty and doubt, the comparison between the signs can be carried out only on the basis of the shapes and orientations in which those signs are registered or applied for.

The case-law relied on by the applicant cannot call such a finding into question.

In the judgment of 19 September 2018, Volkswagen v EUIPO – Paalupaikka (MAIN AUTO WHEELS) (T‑623/16, not published, EU:T:2018:561), upheld by the Court of Justice on appeal (order of 21 May 2019, Volkswagen v EUIPO, C‑744/18 P, not published, EU:C:2019:437, paragraphs 9 and 10), the General Court expressly stated that it was necessary to compare the mark applied for with the earlier mark as they were registered (judgment of 19 September 2018, MAIN AUTO WHEELS, T‑623/16, not published, EU:T:2018:561, paragraph 45), and it was only for the sake of completeness that it took account of the representation of the mark applied for positioned back-to-front on the goods that it covered.

In the judgment of 29 November 2018, Louis Vuitton Malletier v EUIPO – Bee-Fee Group (LV POWER ENERGY DRINK) (T‑372/17, not published, EU:T:2018:851), the Court merely noted that there was no need to give undue importance to the respective sizes of the elements of marks which are not registered in a given size, but which will vary according to the object to which they are affixed (judgment of 29 November 2018, LV POWER ENERGY DRINK, T‑372/17, not published, EU:T:2018:851, paragraph 79), without changing the orientation of any of those marks when comparing them.

As regards the judgments of 6 March 2014, Pi-Design and Others v Yoshida Metal Industry (C‑337/12 P to C‑340/12 P, not published, EU:C:2014:129), and of 10 November 2016, Simba Toys v EUIPO (C‑30/15 P, EU:C:2016:849), the Court of Justice indeed held that elements relevant to identifying appropriately the essential characteristics of a sign and elements other than the representation as applied for or registered may be taken into account if those elements correspond to the reality of use of the sign on the market. However, that case-law falls within the scope of the assessment of legal criteria other than the one at issue here, in so far as they concern absolute grounds for refusal or revocation, and is therefore not relevant in the context of the examination of the present relative ground for refusal.

Similarly, the judgment of 18 July 2017, Chanel v EUIPO – Jing Zhou and Golden Rose 999 (Ornament) (T‑57/16, EU:T:2017:517), in the field of Community designs, proceeds from the application of criteria other than those applicable for the purposes of the comparison of signs under Article 8(5) of Regulation No 207/2009. In any event, although the rotation of designs had been taken into account by the General Court, it was nevertheless a surplus examination criterion.

Thus, for the reasons set out in paragraphs 24 to 30 above, it is necessary to compare the allegedly reputed mark in the form in which it was registered and the mark applied for in the form in which it was applied for, irrespective of any possible rotation in their use on the market.

In the present case, as regards the visual comparison of the marks at issue, it should be noted that the mark applied for is a figurative sign consisting of a circle containing two curves resembling the image of two black letters ‘u’ positioned vertically and as an inverted mirror image, which cross and intersect to form a central element constituting a horizontal ellipse. The allegedly reputed mark is also a figurative sign consisting of a circle containing two curves resembling the image of two black letters ‘c’ positioned horizontally and as an inverted mirror image, which cross and intersect to form a central element constituting a vertical ellipse.

The marks at issue thus share certain characteristics, namely a black circle, two interlaced curves, which the circle surrounds, also black, intersecting in an inverted mirror image, and a central ellipse, resulting from the intersection of the curves.

The visual differences between the marks at issue result, first, from the more rounded shape of the curves, resembling the image of two letters ‘c’ in the allegedly reputed mark, as compared with the image of the letter ‘h’ in the mark applied for, second, from the different stylisation of those curves and their arrangement, horizontally in the allegedly reputed mark and vertically in the mark applied for, third, the orientation of the central ellipse, resulting from the intersection of those curves, vertical in the allegedly reputed mark and horizontal in the mark applied for and, fourth, the greater thickness of the line of those curves in the allegedly reputed mark as compared with the line of the curves in the mark applied for, as well as the line forming the circle of the mark applied for as compared with that of the allegedly reputed mark.

Furthermore, although the intersection of the interlaced curves of the mark applied for is visible, in that the line is interrupted in the places where those curves cross, the same is not true of the allegedly reputed mark. It can also be noted that the distance between the line forming the circle and the ends of the curves in each of the marks at issue, namely the points where those curves begin and end, differs.

Thus, it should be noted that, assessed globally, the marks at issue are visually different, despite the presence in each of them of two interlaced curves within a black circle, the latter being, moreover, a common geometric element (see, to that effect, judgments of 12 September 2007, Cain Cellars v OHIM (Device of a pentagon), T‑304/05, not published, EU:T:2007:271, paragraph 22 and the case-law cited, and of 20 March 2019, Grammer v EUIPO (Representation of a shape), T‑762/17, not published, EU:T:2019:171, paragraph 19).

As regards the phonetic comparison of the marks at issue, the parties do not dispute the Board of Appeal’s finding that an analysis of any similarity cannot be carried out since those marks will not be pronounced.

As regards the conceptual similarity of the marks at issue, it should be noted that the mark applied for and the allegedly reputed mark are composed of a circle containing an image referring to stylised letters. The Board of Appeal found that the mere fact that they have the geometric shape of a circle cannot make them conceptually similar.

It should be noted that although the initials of the founder of the applicant company should be detected in the image referring to the stylised letters of the allegedly reputed mark, it is the stylised letter ‘h’ or the two interlaced letters ‘u’ that could be perceived in the image referring to a stylised letter of the mark applied for, so that the marks at issue are conceptually different.

In view of the considerations set out in paragraphs 31 to 39 above, it must be held that the mark applied for and the allegedly reputed mark are different.

It follows that, as noted by the Board of Appeal, the first of the conditions laid down in Article 8(5) of Regulation No 207/2009 and referred to in paragraph 17 above is not satisfied, so that the first plea in law must be rejected.

The second plea, alleging infringement of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009

The applicant submits, in essence, that registration of the mark applied for in respect of the goods referred to in paragraph 3 above should have been refused on the basis of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009.

According to Article 8(l)(b) of Regulation No 207/2009, upon opposition by the proprietor of an earlier trade mark, the trade mark applied for must not be registered if because of its identity with, or similarity to, an earlier trade mark and the identity or similarity of the goods or services covered by the trade marks, there exists a likelihood of confusion on the part of the public in the territory in which the earlier trade mark is protected. The likelihood of confusion includes the likelihood of association with the earlier trade mark.

According to settled case-law, the risk that the public may believe that the goods or services in question come from the same undertaking or from economically linked undertakings constitutes a likelihood of confusion. According to the same line of case-law, the likelihood of confusion must be assessed globally, according to the relevant public’s perception of the signs and goods or services in question and taking into account all factors relevant to the circumstances of the case, in particular the interdependence between the similarity of the signs and that of the goods or services covered (see judgment of 9 July 2003, Laboratorios RTB v OHIM – Giorgio Beverly Hills (GIORGIO BEVERLY HILLS), T‑162/01, EU:T:2003:199, paragraphs 30 to 33 and the case-law cited).

In the present case, the Board of Appeal found that the mark applied for and the allegedly reputed mark were not similar. It found that the first consisted of two interlocking u-shaped elements in a vertical position surrounded by the basic geometrical shape of a circle. The second was also purely figurative and consisted of two bold, black interrupted circles, placed mirror-like and overlapping in a horizontal position. According to the Board of Appeal, visually, the marks at issue produced a very different overall impression, in so far as they had a different structure and were composed of different elements. The mere fact that each of the marks is composed of two connected elements does not make them similar. Phonetically, in so far as the marks at issue will not be pronounced, it was impossible, according to the Board of Appeal, to make a comparison. Since the marks had no concept in common they were not similar from a conceptual point of view. The Board of Appeal concluded that, overall, the marks at issue were dissimilar for the purposes of applying Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009 and that there was no need to further examine the other conditions for the application of that provision.

According to the applicant, in the first place, the mark applied for and the earlier mark are similar to an average degree, or even to an average to low degree, when they are viewed in the orientation in which they were applied for, and to at least an average degree when the mark applied for is rotated by 90 degrees. The applicant refers, in the latter regard, to the observations set out in paragraph 19 above. In the second place, the applicant submits that, in the absence of any possible phonetic and conceptual comparisons, there are visual similarities between the mark applied for and the earlier mark which lead to the conclusion that the marks at issue are similar overall. To that end, the applicant disputes the Board of Appeal’s findings that the mark applied for and the earlier mark produce a very different overall impression.

EUIPO and the intervener dispute the applicant’s arguments.

As a preliminary point, it should be noted that, as stated in paragraph 20 of the contested decision, and as EUIPO and the intervener submit, and for the reasons set out in paragraphs 24 to 30 above, it is necessary to compare the earlier mark in the form in which it was registered and the mark applied for in the form in which it was applied for, irrespective of any possible rotation in their use on the market.

As regards the visual comparison of the marks at issue, the earlier mark is a figurative sign consisting of two curves resembling the image of two black letters ‘c’ positioned horizontally and as an inverted mirror image, which cross and intersect to form a central element constituting a vertical ellipse.

The circle, present exclusively in the mark applied for, surrounds the curves contained in its centre and gives that mark a specific arrangement and proportions which are not present in the earlier mark. Even though the marks at issue share characteristics, namely two black interlaced curves intersecting in an inverted mirror image, a central ellipse resulting from the intersection of the curves, the absence of a circle in the earlier mark and a consequent arrangement rules out any visual similarity.

As regards the phonetic and conceptual comparison of the marks at issue, the considerations set out in paragraphs 37 and 38 above are also intended to apply in that context.

It follows that the Board of Appeal was correct in finding that the marks were dissimilar overall and that, accordingly, the opposition had to be rejected on the basis of Article 8(1)(b) of Regulation No 207/2009. In so far as the signs at issue are not similar, the other relevant factors for the global assessment of the likelihood of confusion cannot under any circumstances offset and make up for that dissimilarity and therefore there is no need to examine them (judgments of 12 October 2004, Vedial v OHIM, C‑106/03 P, EU:C:2004:611, paragraph 54; of 11 December 2008, Gateway v OHIM, C‑57/08 P, not published, EU:C:2008:718, paragraphs 56 and 57; and of 24 March 2011, Ferrero v OHIM, C‑552/09 P, EU:C:2011:177, paragraphs 65, 66 and 68).

Consequently, the second plea in law must be rejected and, accordingly, the action must be dismissed in its entirety.

Costs

Under Article 134(1) of the Rules of Procedure of the General Court, the unsuccessful party is to be ordered to pay the costs if they have been applied for in the successful party’s pleadings.

Since the applicant has been unsuccessful, it must be ordered to pay the costs, in accordance with the forms of order sought by EUIPO and the intervener.

In addition, in so far as the intervener must be regarded as having applied for the applicant to be ordered to pay the costs incurred in the course of the proceedings before the Opposition Division and the Board of Appeal, it should be borne in mind that, under Article 190(2) of the Rules of Procedure, costs necessarily incurred by the parties for the purposes of the proceedings before the Board of Appeal are to be regarded as recoverable costs. However, that does not apply to costs incurred for the purposes of the proceedings before the Opposition Division. Accordingly, the intervener’s claim in respect of the costs relating to the proceedings before the Opposition Division, which do not constitute recoverable costs, is in any event inadmissible. As regards the intervener’s claim for costs of the proceedings before the Board of Appeal, it is sufficient to note that, since the present judgment dismisses the action brought against the contested decision, it is the operative part of the contested decision which continues to determine the costs in question (see, to that effect, judgment of 28 February 2019, Lotte v EUIPO – Générale Biscuit-Glico France (PEPERO original), T‑459/18, not published, EU:T:2019:119, paragraph 194).

On those grounds, the General Court (Fifth Chamber) hereby:

Dismisses the action;

Orders Chanel to pay the costs.

  1. G.F Campobasso, Diritto Commerciale, vol. 1, VII ed., Torino, p. 172.

    Sul tema v. anche M. Ricolfi, Trattato dei marchi. Diritto europeo e nazionale, Torino, 2015, p.1 ss; G. Sena, Il diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario, Milano, 2007, passim; AA.VV., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2020, p. 65 ss.; P. Autieri, voce Segni distintivi dell’impresa, in Enciclopedia Giuridica Treccani, Vol. XXVIII, Roma. 1991., p. 1-4; A. Vanzetti, voce Marchio, in Enciclopedia Giuridica Treccani, vol. XXII, Roma, 1988, p. 1 ss.

  2. Così come fissato dall’art. 14 lett. a c.p.i

  3. Cfr. art. 10 c.p.i.

  4. Cfr. art. 14 comma 1 lett. c. c.p.i.

  5. Cfr. art. 14 comma 1 lett. b c.p.i.

  6. Il requisito della capacità distintiva garantisce che il marchio sia idoneo a contraddistinguere un prodotto come proveniente da un determinato imprenditore agli occhi del pubblico consumatore. Questo legame è sottolineato anche dalla dottrina: A. Vanzetti, V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, VI ed., Milano, 2003, p. 175; N. Abriani, G. Cottino, M. Ricolfi, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, Padova, 2001, p. 83; C.E. Mayr, Segni distintivi e design in L. C. Ubertazzi Commentario Breve alle leggi su proprietà Intellettuale e concorrenza, IV edizione, Padova, 2019, p. 23; vedi inoltre C. Galli, Il marchio come segno e la capacità distintiva nella prospettiva del diritto comunitario, in Il diritto industriale, 2008, p.2, secondo cui in generale, il requisito della capacita distintiva garantisce che il marchio sia «lo strumento fondamentale della comunicazione d’impresa, poiché viene impiegato (e valorizzato) non soltanto per informare il pubblico della provenienza dei prodotti o servizi per cui è utilizzato da una determinata impresa […], ma anche come simbolo di tutte le altre componenti del “messaggio” che il pubblico ricollega, appunto attraverso il marchio, ai prodotti o ai servizi per i quali esso viene utilizzato».

  7. A riguardo, l’art. 13 c.p.i configura come privi di capacità distintiva «le denominazioni generiche del prodotto o del servizio o la loro figura generica, le indicazioni meramente descrittive dei caratteri essenziali, delle prestazioni e della provenienza geografica del prodotto ovvero i segni divenuti di uso comune nel linguaggio corrente».

  8. Cass., 22 novembre 1976 n. 4384, in Foro it., Rep. 1978, n. 23.

  9. In dottrina, con riferimento alla distinzione tra marchio forte e marchio debole si vedano, per tutti, T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960 p. 443 nonché N. Abriani, G.. Cottino, M. Ricolfi, Diritto Industriale, in Trattato di Diritto Commerciale, Padova, 2001, p. 43.

    In giurisprudenza, Cass., 27 febbraio 2004 n. 3984; Cass., 18 febbraio 2000 n. 1820, in Giur.It, 2001, p. 89; Cass., 25 settembre 1998 n 9617, in Giur. It, 1999, p. 1228 e in Riv. Dir. Ind., 1999, p. 227; Cass., 23 febbraio 1998 n. 1929, in Giur.It, 1999, p. 1237 e in Giust. Civ., 1998, I, p. 1915; Cass., 26 giugno 1996 n. 5924 in Mass. Giur. it.

  10. Si tratta di un orientamento consolidato della Corte, come da ultimo Cass., 14 maggio 2020 n. 8942, in Studium Juris, 2021, p. 82; Cass., 11 aprile 2019 n. 10205, Giur. It., 2020, 4, 873, con nota di A. Romagnolo, G. Carro, La rilevanza della forza del marchio nel conflitto tra segni semplici e complessi; Cass., 18 giugno 2018 n. 15927; Cass., 10 novembre 2015 n. 22953.

  11. Cfr., L. C. Ubertazzi Commentario Breve alle leggi su proprietà Intellettuale e concorrenza, IV edizione, Padova, 2019, p. 292

  12. Cfr. C. Manfredi, Il rafforzamento del marchio debole, in Il diritto Industriale, 2009, p. 552 e ss.

  13. Cfr. art 12 c.p.i.

  14. Sull’argomento, si veda il puntuale contributo di M. Biondetti, Il “secondary meaning” nella disciplina italiana dei marchi d’impresa, in Il dir. Ind, 2001, I, p. 329-337; L. Sordelli, Marchio e secondary meaning, Milano, 1979, passim; G.Olivieri, Il ‘”secondary meaning“, in Aa.Vv., Commento tematico alla legge marchi, Torino, 1998, p. 201 ss; G. Guglielmetti, Il secondary meaning e l’opportunità di una sua (limitata) tutela in sede di riforma della legge italiana marchi, in Riv. Dir. ind., 1973, I, p. 39 ss.

  15. Cfr. art. 20 comma 2 c.p.i.

  16. Vedi A. Vanzetti- V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, VI ed., Milano, 2003, p. 231.

  17. Vedi Cass., 17 dicembre 1987 n. 9404 in Il Foro Italiano, 1988, p. 2643 ss., la quale ha precisato che «ai fini della tutela del marchio l’appartenenza o non dei prodotti ad una stessa classe merceologica è del tutto irrilevante. Ciò che conta è la reale confondibilità dei prodotti stessi, la cui valutazione è rimessa al giudice di merito».

    Più di recente la Cassazione, con ordinanza del 12 maggio 2021 n. 12566, in Dir. & giust., 2021, p. 6 ss., con nota di V. Iaia, Il raggio di protezione industriale del marchio debole nell’esame del rischio confusorio, ha riepilogato la propria giurisprudenza costante in base alla quale «l’apprezzamento del giudice del merito sulla confondibilità fra segni distintivi similari deve essere compiuto non in via analitica, attraverso il solo esame particolareggiato e la separata considerazione di ogni singolo elemento, ma in via globale e sintetica (Cass., 6 aprile 2018 n. 8577, in Giur. It., 2020, 11, 2433, nota a sentenza di G. Sicchiero, Contratto, rinegoziazione, adeguamento – buona fede integrativa o poteri equitativi del giudice ex art. 1374 c.c.?; Cass., 28 gennaio 2010 n. 1906 in Giurisprudenza Italiana n. 5/2010; Cass., 7 marzo 2008 n. 6193 in Giurisprudenza Italiana n. 12/2008, con nota di S. Sciacca, Contraffazione di marchio e confondibilità tra opere editoriali); tale accertamento va condotto con riguardo all’insieme degli elementi salienti grafici e visivi, mediante una valutazione di impressione, che prescinde dalla possibilità di un attento esame comparativo e che va condotta in riferimento alla normale diligenza e avvedutezza del pubblico dei consumatori di quel genere di prodotti, dovendo il raffronto essere tra il marchio che il consumatore guarda ed il mero ricordo dell’altro. Il predetto giudizio deve essere motivato e corredato dall’indicazione, concisa e sintetica, delle ragioni che lo hanno orientato e degli elementi che attirano primariamente l’attenzione del fruitore».

  18. Cfr. V. Mangini, Il marchio non registrato, Padova, 1964, p. 81 ss.; E. Bonasi Benucci, Tutela del marchio non registrato, in Riv. Dir. Ind., 1957, I, p. 165 ss,; e M. Ammendola, Considerazioni sulla tutela concorrenziale del cd. «diritto» sul marchio non registrato, in Riv. Dir. Ind., 1977, I, p. 340 ss.

  19. Cfr. V. Mangini, op. cit., p. 87.

  20. In questo senso v. Cass., 29 luglio 1963, n. 2130, in Giust. Civ., 1963, I, p. 2004; Cass., 7 maggio 1963, n. 1109, ivi, 1963, I, p. 1543; Cass., 25 maggio 1965, n. 1033, in Giust. Civ. Mass., 1965, I, p. 540; Cass., 18 ottobre 1966, n. 2514, in Riv. Dir. Ind., 1967, II, p. 165; App. Milano, 22 settembre 1972, in GADI, 169/1; App. Milano 22 maggio 1973, ivi, 333/5; Trib. Torino 8 giugno 1974, ivi, 568/5; Trib. Torino 22 luglio 1974, ivi, 603/4; App. Roma 9 giugno 1975, ivi, 906/1; Trib. Napoli 31 marzo 1979, ivi, 1178/3; Trib. Roma 31 agosto 1979, ivi, 1209/6-7; Trib. Torino 17 ottobre 1983, ivi, 1691/7; App. Bologna 20 marzo 1984, ivi, 1758/4; Cass., 18 ottobre 1985, n. 5131, ivi, 1848/2; Cass., 22 febbraio 1986, n. 1080, ivi, 1985/1-2-4; App. Bari, 4 dicembre 1986, ivi, 2090/4; Trib. Torino 11 giugno 1987, ivi, 2258/7: Trib. Milano 15 ottobre 1987, ivi, 2203/2; Trib. Roma 15 novembre 1988, ivi, 2350/4; App. Torino 10 ottobre 1991, ivi, 2706/4; Trib. Udine 31 maggio 1993, in Riv. Dir. Ind., 1995, II, p. 3 ss.; App. Milano, 11 luglio 1995, in GADI, 3429/1; App. Milano, 28 ottobre 1997, in Riv. Dir. Ind., 1998, II, p. 128; Cass. 25 settembre 1998, n. 9617, in GADI, 3736; Cass. 19 maggio 1999, n. 4841, ivi, 1999, 3874/2; Cass., 17 giugno 1999, n. 13592, in Riv. Dir. Ind., 2001, II, p. 85; Trib. Milano, 30 dicembre 1999, ivi, 2001, II, p. 265; Trib. Bologna, 21 luglio 2000, in GADI, 4230/4; Trib. Milano 7 ottobre 2002, ivi, 4523/2; Trib. Torino 20 dicembre 2002, ivi, 4537/2.

  21. Sulla distinzione tra confondibilità in astratto e confondibilità in concreto v. G. Sena, Il diritto dei marchi. Marchio nazionale e marchio comunitario, Milano, 2007, p. 53 ss., e id., Confondibilità in astratto e in concreto, in Il Dir. Ind., 2007, I, p. 58 ss. Secondo tale dottrina, l’elemento che fonda il giudizio di confondibilità in concreto riguarda l’esistenza di una situazione di effettiva confusione o di un concreto pericolo di confusione nel pubblico consumatore; sicché, nell’ipotesi in cui l’uso del segno avviene in presenza di altri elementi (cd. disclaimers), che escludano il rischio di confusione di cui sopra, non si realizza alcuna violazione del marchio. Viceversa, il giudizio di confondibilità in astratto ha ad oggetto il segno in sé, come risultante dalla documentazione relativa alla sua registrazione: in tale circostanza, il pericolo di confusione costituisce una presunzione assoluta e non rilevano in alcun modo le concrete modalità di uso effettivo del marchio.

    Sulla stessa scia di pensiero si colloca il contributo di E. Bonasi Benucci (op. cit., p. 181) il quale, puntualizzando alcune delle differenze più evidenti tra le due azioni, chiarisce che «per la concorrenza sleale almeno l’idoneità a danneggiare deve sussistere, mentre tale requisito non è presupposto dell’azione di contraffazione», aggiungendo che «il risarcimento del danno nella concorrenza sleale è condizionato alla colpa […], il che non pare possa affermarsi nell’ipotesi della contraffazione […] in cui il risarcimento dovrebbe discendere automaticamente dal fatto puro e semplice della illecita adozione. Per contro, «l’azione di concorrenza sleale esige che attraverso la confondibilità dei segni si giunga ad una confondibilità dei prodotti nella quale poi è insito quel pericolo di danno che consente il ricorso alla tutela; mentre nella contraffazione basta il mero fatto dell’illecita adozione del segno, a prescindere da una confondibilità dei prodotti».

  22. In particolare M. Ricolfi, I segni distintivi. Diritto interno e comunitario, Torino, 1999, p. 122; G. Ghidini, Della concorrenza sleale, Milano, 1991, p. 135 ss.; e A. Vanzetti, V. Di Cataldo, Manuale di diritto industriale, Milano, 2012, p. 45 ss., i quali non condividono la tesi in base alla quale la confondibilità dei prodotti costituisca presupposto per l’esperibilità dell’azione di cui all’art. 2598 c.c., essendo sufficiente anche una mera confondibilità tra le relative attività produttive delle aziende in conflitto. Inoltre, lo stesso dettato dell’art. 2598 c.c. («Ferme restando le disposizioni che concernono la tutela dei segni distintivi») chiarisce inequivocabilmente la possibile cumulabilità delle due azioni, al ricorrere delle condizioni previste dalla normativa in materia.

  23. Cfr. Corte di Giustizia, 22 giugno 2000, C-425/1998, Adidas vs Marca Mode in Il diritto industriale n. 1/2001 con nota di P. Montuschi, Nuova decisione della corte di giustizia ce sul rischio di associazione (commento a corte di giustizia ce 22 giugno 2000, n. C-425/98) e Corte di Giustizia, 11 novembre 1997, C-251/1995, Sabel vs Puma in Il diritto industriale n. 4/2001, nota di S. Sandri Marchio comunitario e combinazioni di parole (commento a corte di giustizia ce 20 settembre 2001, n. 383/99).

  24. Così A. Vanzetti, V. Di Cataldo, op. cit., p. 243 ss., e A. Vanzetti, Osservazioni sulla tutela dei segni distintivi nel codice della proprietà industriale, in Rivista di diritto industriale, anno 2006, volume 55, fascicolo 1, p. 5 ss, il quale parla di un vero e proprio “tabù” anche giurisprudenziale in ordine alla contrapposizione tra carattere reale dell’azione di contraffazione e natura personale dell’azione di concorrenza sleale.

  25. Cfr. T. Ascarelli, La teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1960, p. 321 ss.; F. Ferrara jr., Teoria giuridica dell’azienda, Milano, 1982., p. 269 ss.; P. Greco, Sui beni immateriali, Torino, 1948, p. 86 ss.; M. Casanova, Le imprese commerciali, Torino, 1955, p. 434 ss.; G. Guglielmetti, Considerazioni in tema di marchio di fatto, in Riv. Dir. Ind., 1953, II., p. 327 ss. Questi autori sono accomunati dalla teoria che la registrazione di un marchio non costituisce un presupposto del diritto assoluto di esclusiva, ma solamente un elemento rafforzativo che rende più sicura ed efficace la tutela del medesimo, considerando anche la maggiore certezza probatoria e tutti gli altri vantaggi processuali ottenuti grazie alla registrazione.

    [Contra vedi G. Ferri, Manuale di diritto commerciale, VII ed., Torino, 1988., p. 81].

  26. In merito al cd. principio di unitarietà dei marchi europei si veda R. Arista, A. Bono, Problemi di territorialità del diritto dei marchi, in G. Cassano, B. Tassone, Diritto industriale e diritto d’autore nell’era digitale, Milano, 2022, p. 401 ss., ove si afferma che «È opportuno promuovere un armonioso sviluppo delle attività economiche nell’intera Unione e un’espansione continua ed equilibrata mediante il completamento e il buon funzionamento di un mercato interno che offra condizioni analoghe a quelle di un mercato nazionale. […] Onde perseguire tali obiettivi dell’Unione, risulta necessario prevedere un regime dell’Unione dei marchi che conferisca alle imprese il diritto di acquisire, secondo una procedura unica, marchi UE che godano di una protezione uniforme e producano i loro effetti sull’intero territorio dell’Unione».

  27. Cfr. Artt. 31 ss del Regolamento (UE) 2017/1001.

  28. Cfr. Art 45 del Regolamento (UE) 2017/1001.

  29. Si veda sull’argomento U. Patroni Griffi, Manuale di Diritto Commerciale Internazionale, Torino, 2012, pp. 377 ss;

  30. Cfr. M. Manelli. L’internazionalizzazione d’impresa, Milano, 2017, p. 308 ss.

  31. La classificazione di Nizza è un elenco istituito durante la Conferenza diplomatica di Nizza il 15 giugno 1957 che descrive la natura di prodotti e servizi in termini generali, allo scopo di classificare i marchi registrati in maniera univocamente riconosciuta ed accettata a livello internazionale.

    Consultabile presso http://euipo.europa.eu/ec2/classheadings.

  32. Cfr. art. 47 del Regolamento (UE) 2017/1001.

  33. Infatti, il primo motivo di ricorso della Chanel si fonda sulla disposizione di cui all’art. 8 comma 1 lett. b del richiamato Regolamento, ove si prevede l’impossibilità di registrare un marchio «a causa dell’identità o della somiglianza di detto marchio col marchio anteriore e dell’identità o somiglianza dei prodotti o servizi per i quali i due marchi sono stati richiesti, sussiste un rischio di confusione per il pubblico del territorio nel quale il marchio anteriore è tutelato; il rischio di confusione comprende il rischio di associazione con il marchio anteriore».

  34. In questo caso, il secondo motivo di opposizione si fonda invece sulla violazione dell’art. 8 comma 5 del medesimo Regolamento, in quanto «la registrazione del marchio depositato è altresì esclusa se il marchio è identico o simile al marchio anteriore, a prescindere dal fatto che i prodotti o i servizi per i quali si chiede la registrazione siano identici, simili o non simili a quelli per i quali è registrato il marchio anteriore, qualora, nel caso di un marchio UE anteriore, quest’ultimo sia il marchio che gode di notorietà nell’Unione o, nel caso di un marchio nazionale anteriore, quest’ultimo sia un marchio che gode di notorietà nello Stato membro in questione e l’uso senza giusto motivo del marchio depositato possa trarre indebito vantaggio dal carattere distintivo o dalla notorietà del marchio anteriore o recare pregiudizio agli stessi».

  35. Al punto n.17 della decisione si legge infatti che: Visually, the marks give a very different overall impression having a different structure and being composed of different elements. The mere fact that each of the marks is composed of two elements that are connected to each other does not render the marks similar; they are dissimilar from a visual point of view.

  36. La Commissione in tal senso richiama diversi precedenti, tra i quali la sentenza del 07 maggio 2009, T 185/07, CK TiMiKinderjoghurt, EU:C:2011:177, § 65-68, in Eur Lex; sentenza del 23 gennaio 2014, C 558/12 P, Western Gold, EU:C:2014:22, § 50, in Eur Lex.

  37. Si veda in tal senso i precedenti richiamati nella pronuncia: sentenza del 12 settembre 2007, Cain Cellars contro OHIM, T‑304/05, EU:T:2007:271, paragrafo 22 in Eur Lex, del 20 March 2019, Grammer contro EUIPO, T‑762/17, EU:T:2019:171, paragrafo 19, in Eur Lex.

  38. Lo stesso principio era già stato ribadito nella sentenza del 19 settembre 2018, Volkswagen v EUIPO – Paalupaikka, T-623/16, EU:T:2018:561 in Eur Lex, confermata dalla Corte di Giustizia in appello con ordinanza del 21 maggio 2019, Volkswagen contro EUIPO, C-744/18 P, EU:C:2019:437, punti 9 e 10, in Eur Lex – nella quale il Tribunale ha espressamente affermato la necessità di confrontare il marchio richiesto con il marchio anteriore in quanto registrato, ribadendo al paragrafo 45 che «occorre confrontare il marchio antecedente nella forma in cui è stato registrato e il marchio richiesto nella forma in cui è stato richiesto, indipendentemente da qualsiasi possibile rotazione nel loro utilizzo sul mercato».

  39. V. sentenze del 12 ottobre 2004, Vedial contro UAMI, C-106/03 P, UE:C:2004:611, punto 54; dell’11 dicembre 2008 in Giur. It., 2007, 6, 1425 con nota a sentenza di C. Sappa, Marchio nazionale e comunitario: questioni in tema di confondibilità e di tutela; Gateway contro UAMI, C-57/08 P, UE:C:2008:718, punti 56 e 57 in Eur Lex; del 24 marzo 2011, Ferrero contro UAMI, C-552/09 P, UE:C:2011, punti 65, 66 e 68 in Giur. It., 2016, 2, 386, con nota a sentenza di E. Tonello, Marchio di forma – quella tavoletta sono io! storia di wafer, cioccolato e marchi tridimensionali.

  40. V. Sentenza del Tribunale dell’Unione Europea del 16 giugno 2021 (consultabile in https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=242952&pageIndex=0&doclang=FR&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=427835) relativa alla Causa T-196/20 avviata sempre dalla Chanel contro l’EUIPO in merito ad una pronuncia circa la somiglianza del proprio marchio rispetto a quello registrato dalla Innovative Cosmetic Concepts (INCOCO). Anche in questo caso l’impedimento alla registrazione era relativo al rischio di confusione ex Articolo 8, paragrafo 1, lettera b), del regolamento (UE) 2017/1001, tuttavia non rilevato dall’organismo: la Corte, al contrario, ha accolto il ricorso dell’azienda francese, riconoscendo l’elevato carattere distintivo del suo segno e annullando il provvedimento dell’EUIPO.

    Caso analogo è quello avente ad oggetto il ricorso proposto dalla Chanel contro il provvedimento EUIPO relativo all’opposizione della maison alla registrazione del logo “a doppia S” dell’azienda
    italiana di gioielli Golden Rose 999 Srl di proprietà di Li Jing Zhou. Nella sentenza (consultabile in https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?text=&docid=192882&pageIndex=0&doclang=it&mode=lst&dir=&occ=first&part=1&cid=425556) il Tribunale dell’Unione Europea ha formalmente annullato la decisione iniziale dell’Ufficio dell’Unione Europea per la proprietà intellettuale, rilevando la somiglianza tra il logo precedente e quello richiesto.

  41. In una nota legale della maison si legge infatti che: «La lotta alla contraffazione è una delle principali missioni di CHANEL. Dedichiamo ingenti risorse finanziarie e umane al fine di contrastare la produzione di merci contraffatte in tutto il mondo. CHANEL usa diversi mezzi per difendere i suoi diritti di proprietà intellettuale (quali copyright, marchi e diritti sui design), tra cui intraprendere azioni legali contro i contraffattori, collaborare con le autorità locali e partecipare a campagne di informazione per garantire che i consumatori comprendano i rischi che corrono acquistando articoli contraffatti. Combattere la contraffazione significa molto più che proteggere l’immagine del nostro marchio. Vuol dire anche proteggere la nostra creatività, il nostro savoir-faire e la qualità dei nostri articoli, nonché contribuire a proteggere i consumatori».
    V. https://www.chanel.com/it/anti-counterfeit/ .

  42. Tra le molte pronunce della CGCE: sentenza del 6 marzo 2014 nei casi riuniti n. C‑337/12 P e C‑340/12 P, Pi-Design e altri contro Yoshida Metal Industry EU:C:2014:129 in EurLex; sentenza del 10 novembre 2016 nella causa C‑30/15 P, Simba Toys EU:C:2016: 849 in EurLex.

  43. Sul punto F. Massa, Il principio di unitarietà dei segni distintivi in internet in G. Cassano, B. Tassone, Diritto industriale e diritto d’autore nell’era digitale, Milano, 2022, spec. p. 403 dove si riporta il caso “Sabel”, sentenza del 11 novembre 1997, nella causa C-251/95, in cui la Corte di Giustizia statuisce come «rischio di confusione sussiste […], allorché il pubblico può sbagliare quanto all’origine dei prodotti o dei servizi» offerti dalle imprese coinvolte nell’uso dei segni. E ancora nel caso “Canon” (sentenza del 29 settembre 1998, nella causa C-39/97) si consolida l’orientamento secondo il quale «l’esistenza di un tale rischio (di confusione, ndr) è esclusa se non risulta che il pubblico possa credere che i prodotti o servizi provengano dalla stessa impresa o, eventualmente, da imprese economicamente legate tra loro».

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