La qualità artistica di un’opera nella disciplina dei beni culturali ed il rischio paventato dalla giurisprudenza recente di “vincolare tutto per non tutelare nulla”

Stefano Villamena

Prof. ord. di diritto amministrativo dell’Università degli Studi di Macerata

Il saggio si sofferma su alcuni profili applicativi della dichiarazione di interesse culturale di un’opera d’arte, con un’analisi della giurisprudenza recente in tema.

The paper focuses on the declaration of cultural interest, analyzing some cases on the topic.

Sommario: 1. – Premessa. 2. – Dichiarazione d’interesse culturale di un’opera d’arte: profili applicativi. 3. – Esigenza di una compiuta motivazione che giustifichi la limitazione amministrativa.

1. Dalla prospettiva del diritto amministrativo l’arte evoca subito la tutela di un valore culturale primario riconducibile, come tale, alla protezione accordata dall’art. 9 della Costituzione. Questa previsione recita: «La Repubblica promuove lo sviluppo della cultura e la ricerca scientifica e tecnica. Tutela il paesaggio e il patrimonio storico e artistico della Nazione».

Promozione e tutela rappresentano pertanto gli strumenti essenziali in direzione del valore «patrimonio storico e artistico».

Come è noto, l’art. 9 Cost. è stato oggetto di una recente riforma costituzionale che però non muta lo scenario sul punto di nostro interesse, incentrandosi principalmente sul rafforzamento della tutela ambientale nonché sull’introduzione di un valore nuovo (di rilievo costituzionale) come quello relativo alla tutela degli animali[1].

In questa sede si vuole affrontare il profilo riguardante la disciplina amministrativa di un bene avente qualità artistica, della cosa d’interesse artistico o, meglio ancora, dell’opera d’arte da tutelarsi come tale.

Nel senso indicato il provvedimento legislativo principale cui guardare è certamente il d.lgs. n. 42/2004, noto come codice Urbani. È a partire da questo che si possono cogliere le sfaccettate manifestazioni delle “cose” che presentano interesse artistico, come tali da tutelare[2].

A questo proposito, l’art. 3 del codice Urbani precisa che la tutela indicata consiste nella disciplina «delle attività dirette (…) ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale» ed inoltre a «garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione».

Individuazione del bene e conseguente azione di tutela sullo stesso rappresentano pertanto i due passaggi fondamentali dettati dal legislatore nazionale. Questi passaggi, specie per i beni appartenenti ai privati, sono assicurati per il tramite di un tipico procedimento amministrativo che può concludersi con la dichiarazione d’interesse culturale, volta ad accertare esattamente la sussistenza dell’interesse culturale nella cosa che ne forma oggetto[3].

Il sacrificio dell’interesse del proprietario del bene, giustificato dal maggiore valore riconosciuto all’interesse pubblico alla conservazione del bene, può imporsi solo in ragione dell’espressa dichiarazione di interesse culturale che pone il vincolo, ossia del momento in cui si concretizza il confronto tra i diversi interessi. In questo ambito il ruolo della P.A. risulta evidentemente fondamentale dovendo questa valutare, anche secondo la logica del principio di proporzionalità[4], la compatibilità dell’attività del privato rispetto al valore culturale protetto dal vincolo[5].

Come è facilmente intuibile tutto ciò necessità di un’adeguata attività conoscitiva senza la quale si rischierebbe di tutelare beni che non godono di un effettivo interesse culturale così come al contrario di non tutelare beni che invece meriterebbero tale forma di tutela.

Non è un caso, allora, se i conflitti in tema sono frequenti. L’esplicazione della relativa tutela conduce infatti con frequenza all’approvazione di provvedimenti conformativi dei diritti dei privati proprietari dei beni artistici che limitano fortemente le relative facoltà di godimento del bene.

Diversi e variegati sono i casi portati all’attenzione del giudice amministrativo e, fra gli altri, merita subito indicare quello del dipinto intitolato «Ritratto di monaca» (attribuito a Carlo Cignani[6]) di cui si tratterà brevemente appresso quale ipotesi emblematica in tema.

Del resto, sulla stessa falsa riga – e tralasciando qui di considerare le vicende che hanno interessato gli «studi d’artista», anch’esse probabilmente riconducibili al tema di interesse per queste note – merita richiamare il caso avente ad oggetto il «dipinto ad olio su tela raffigurante “Erminia e Tancredi”» attribuito alla bottega del Guercino[7]; o, ancora, quello del «dipinto a olio su tela raffigurante “Figura femminile senza vestiti con elmo” attribuito a Lavinia Fontana[8]; così come il dipinto su scudo rappresentante «una “testa di Medusa”» attribuito a Caravaggio (opera identica all’esemplare conservato presso gli Uffici[9]); o l’olio su tela «“Ritratto di donna”» attribuito ad Amedeo Modigliani[10]; fino ad arrivare al «murale» realizzato da Escif (noto street-artist spagnolo[11]) ed agli altri dipinti di cui le pronunce non riportano né nome né autore, come ad esempio il «“dipinto senza cornice raffigurante -OMISSIS-». -OMISSIS-”[12]».

2. In questa sede non interessa diffondersi sulle singolarità di ciascuna delle fattispecie appena indicate. Invero l’elencazione è solo servita da “apripista” per palesare l’interesse della disciplina giuridica amministrativista per l’arte e per le relative opere.

L’attività conoscitiva alla base della relativa individuazione del bene fa però talvolta difetto all’amministrazione procedente. Infatti, seppure la latitudine della relativa valutazione risulti caratterizzata da una significativa ampiezza, ciò non vuol dire che la stessa sia insindacabile: soprattutto ove esistano criteri in grado di guidare (e per questa via imbrigliare) la relativa scelta, rendendola anche più facilmente verificabile ad un successivo giudizio non solo di natura giurisdizionale.

Come dimostra la vicenda processuale prescelta in questa sede come ipotesi emblematica tali criteri possono derivare anche dai c.d. autovincoli amministrativi. Ma è bene procedere con ordine. All’origine della vicenda decisa dal Tar Lazio nel 2021 a favore del ricorrente proprietario del bene vi era un provvedimento di rigetto dell’«attestato di libera circolazione» di un’opera d’arte da parte dell’Ufficio Esportazione del Ministero dei beni culturali (ora Ministero della cultura). Come anticipato si trattava del “Ritratto di monaca” attribuito al Cignani.

Fra i diversi motivi di censura allegati da parte ricorrente vi era quello – che coglie nel segno – concernente il mancato rispetto da parte dell’amministrazione di un autovincolo, che la stessa si era data relativamente ad una serie di criteri contenuti in apposite circolari ministeriali. Criteri, questi, come ricorda lo stesso giudice, la cui validità era stata confermata nel corso degli anni «in quanto atti di autovincolo che si impongono agli Uffici cui sono stati diramati (…) nel momento in cui devono stabilire l’interesse culturale di un oggetto».

Più in particolare si tratta di criteri che si riferiscono alle caratteristiche di «autenticità, originalità, conservazione, significatività, pregio intrinseco» di un’opera d’arte e che determinano «il valore culturale dell’oggetto esaminato» giustificando l’eventuale assoggettamento a vincolo. Anzi, a tale riguardo, il giudice si spinge fino a dire che i medesimi criteri godano di «valore “universale”» e, proprio per questo, «sono applicabili a nuove categorie di beni culturali, inclusi i beni immobili»[13].

Nella pronuncia si ricorda opportunamente che questa impostazione è legata all’insegnamento della Commissione Argan[14], la quale negli anni Settanta del secolo scorso approvò una Circolare con precise indicazioni in tema.

Dunque, da ultimo, i contenuti della stessa Circolare sono stati ripresi dal D.M. n. 537/2017 e costituiscono attualmente il parametro di riferimento fondamentale in tema. Insomma, una sorta di autovincolo amministrativo che si rinnova nel tempo.

In questa sede non è necessario scendere nel merito specifico di tali criteri, qui occorre solo ricordare che lo stesso organo giudicante li definisce «molto articolati» e soprattutto che, in applicazione degli stessi, anche «un errore di datazione o di attribuzione dell’opera» non è di per sè sufficiente ad invalidare la valutazione della sua importanza storico-artistica. Infatti, anche l’incertezza in merito all’attribuzione di un’opera ad un determinato «Maestro» rappresenta solo ed esclusivamente uno dei parametri utili a stabilire se questa possa essere qualificata bene di particolare interesse culturale. Ne deriva che, anche la scoperta di un eventuale errore, «non è una condizione ostativa all’apposizione (o mantenimento) del vincolo», sempre che questa possa essere ritenuta meritevole di tutela in considerazione del suo «notevole grado di “pregio intrinseco”».

3. Sul piano strettamente giuridico il tema centrale in questa sede è certamente quello della necessità (o meno) dell’amministrazione dei beni culturali di attenersi ai criteri summenzionati allorchè formula un giudizio valutativo a fondamento del provvedimento di vincolo.

Su questo punto occorre un rapido approfondimento sul tema degli autovincoli e ciò specialmente in questo ambito caratterizzato da ampi margini di discrezionalità tecnica.

Infatti, la discrezionalità amministrativa, inclusa quella tecnica, ossia quella che non si svolge attraverso una “ponderazione di interessi”, bensì attraverso un’analisi dei fatti in cui rileva l’applicazione di criteri e di parametri tecnico-scientifici[15], può subire talvolta un processo di progressiva riduzione fino al punto di un suo completo esaurimento[16]. Trattasi di un fenomeno ben conosciuto nel diritto amministrativo, la cui principale ipotesi è costituita esattamente dai più volti menzionati autovincoli amministrativi, ossia di quei limiti che la stessa amministrazione interessata si (im)pone rispetto al dipanarsi della propria azione.

In sostanza, gli autovincoli rappresentano prescrizioni poste in vista della successiva spendita di potere: tramite questi un’attività amministrativa in astratto discrezionale diventa in concreto più limitata.

Coglie bene la portata dell’autovincolo una recente pronuncia secondo cui lo stesso «si traduce nell’individuazione anticipata di criteri e modalità in modo da evitare che la complessità e la rilevanza degli interessi da valutare nella fase decisionale, complice l’ampia e impregiudicata discrezionalità, possa in concreto favorire l’utilizzo di criteri decisionali non imparziali»[17].

È in fondo il necessario rispetto del principio d’imparzialità, in uno con l’esigenza di evitare una valutazione troppo soggettiva da parte dell’autorità amministrativa, che determina e legittima il ricorso all’istituto de qua.

Ciò significa, soprattutto in termini motivazionali, che nelle relazioni tecniche che accompagnano l’affissione di un vincolo su una cosa d’interesse artistico – come ad esempio un’opera d’arte – siano adeguatamente indicate le ragioni che spiegano perché nello specifico oggetto esaminato possono ravvisarsi le caratteristiche qualitative per ritenere soddisfatti i criteri espressi nella forma dell’autovincolo. Senza però trascurare che, in tale ambito specifico, l’onere motivazionale muta a seconda che si tratti di giudizi valutativi su opere d’arte contemporanea, in cui è più accentuata l’opinabilità del giudizio soprattutto a causa delle diverse interpretazioni fornite dalla comunità di esperti, ovvero che si tratti di riconosciuti capolavori realizzati da noti Maestri, il cui pregio intrinseco è suscettibile di immediato apprezzamento anche da parte dell’uomo comune[18].

Nel caso oggetto della presente analisi, il diniego della c.d. licenza di esportazione di un bene artistico viene annullato dal giudice amministrativo sulla base di un motivo assorbente, che oltretutto bene rappresenta un metodo da seguire anche in prospettiva futura ben oltre la specificità del caso indicato. Così, il medesimo giudice ha stabilito che l’amministrazione aveva rispettato solo formalmente l’autovincolo sopraindicato, limitandosi invero «a rassicurare» circa l’utilizzo dei criteri indicati nella formulazione del relativo giudizio sul valore storico-artistico del dipinto, ma, nella sostanza, senza soddisfare compiutamente l’onere motivazionale.

E in effetti, la relazione di accompagnamento risultava «di tenore prevalentemente descrittivo», incentrata cioè «su aspetti “estrinseci» quali quelli attinenti «all’attribuzione, alla datazione, all’identificazione del soggetto rappresentato, alla provenienza ed correlazione con altre opere del medesimo autore», giungendo «solo nelle due righe finali ad un giudizio piuttosto generico per quanto riguarda la rappresentatività dell’opera[19]», affidato cioè ad aggettivazioni «che potrebbero valere per qualunque soggetto di qualunque autore», ma soprattutto «totalmente assiomatico per quanto riguarda la rarità dell’opera stessa».

Secondo il giudice quest’ultimo parametro (ossia: rarità) doveva assumere invece «un valore fondamentale» per stabilire se assoggettare a vincolo di tutela un’opera di proprietà di un privato, poiché se non si seguisse questa strada si correrebbe il rischio di «“vincolare tutto per non tutelare nulla”».

Per questa via viene dunque evidenziato il rilievo che assume una motivazione che supporti adeguatamente le ragioni a fondamento di un «vincolo» incidente sulle libertà del privato proprietario dell’opera.

Nella relazione tecnica che fonda e accompagna ogni provvedimento del genere indicato servirà esplicitare, con riferimento al caso concreto e non in termini generali e astratti, «le caratteristiche di pregio, rappresentatività e rarità dell’oggetto esaminato», che sole possono giustificare la sottoposizione di questo ad un regime vincolistico.

In definitiva, nel settore riconducibile alla disciplina amministrativa della proprietà di cose di interesse artistico è molto sentita l’esigenza di un’adeguata motivazione utile anche a modulare l’intervento della P.A.. Certo, come è stato evidenziato anche di recente dalla medesima giurisprudenza amministrativa, l’obbligo di motivazione del provvedimento può ritenersi assolto anche in presenza di una «motivazione succinta», ma, nondimeno, la motivazione deve costantemente essere in grado di «disvelare» puntualmente e nel merito «l’iter logico e procedimentale seguito dall’Amministrazione nell’addivenire al provvedimento finale[20]».

  1. In particolare, il comma aggiunto attraverso la riforma costituzionale recita che la Repubblica: «Tutela l’ambiente, la biodiversità e gli ecosistemi, anche nell’interesse delle future generazioni. La legge dello Stato disciplina i modi e le forme di tutela degli animali». Sul tema vedi F. De Leonardis, La transizione ecologica come modello di sviluppo di sistema: spunti sul ruolo delle amministrazioni, in Dir. amm., 2021, pag. 779 e ss. e, da ultimo, F. Fracchia, L’ambiente nell’art. 9 della Costituzione: un approccio in “negativo”, in Dir. econ., 2022, p. 15 ss. Come è noto la riforma indicata ha modificato anche l’art. 41 Cost. nel senso che l’iniziativa economica privata non può svolgersi in danno della salute e dell’ambiente.

  2. Oltre alle varie analisi “articolo per articolo” contenute nei diversi commentari in tema, fra tutti quello di M. A. Sandulli (a cura di), Codice dei beni culturali e del paesaggio, Milano, 2019, vedi sul punto specifico M. A. Cabiddu, Diritto alla bellezza, in Riv. web AIC, 2020, fasc. 4, pag. 367 e ss.; C. Gabbani, “Bene iudicat qui bene distinguit”: la nozione di “interesse artistico” nella legislazione dei beni culturali, in Riv. giur. urb., 2019, pag. 689 e ss.; Id., Le cose d’interesse artistico nel codice dei beni culturali e del paesaggio, in Riv. web Aedon, 2017; G. Fares, La prelazione artistica nel codice dei beni culturali, in Studium iuris, 2006, pag. 142 e ss. e V. Sessa, L’opera d’arte e la sua riproduzione, in Foro amm., 2000, pag. 2041 e ss.

  3. Prevista dall’articolo 13 codice Urbani. Sul tema, da ultimo, A. Bartolini, Il bene culturale e le sue plurime concezioni, in Dir. amm., 2019, pag. 223 e ss. e, in chiave ancora più ampia e generale, Id., Beni culturali (diritto amministrativo), in Enc. dir. (Annali VI), 2013, pag. 93 e ss.

  4. Su cui sia consentito di rinviare per le coordinate generali a S. Villamena, Proporzionalità e “governo del territorio”. Tecniche di controllo nella giurisprudenza amministrativa recente, in Riv. giur. urb., 2015, pag. 634 e ss.

  5. Ex multis: TAR Lombardia, Milano, Sez. III, 8 luglio 2021, n. 1679.

  6. Tar Lazio, Sez. II-Quater, 18 gennaio 2021, n. 626.

  7. TAR Lazio, Roma, Sez. II-Quater, 29 maggio 2019, n. 6779

  8. TAR Liguria, Sez. II, 3 febbraio 2022, n. 89

  9. TAR Lazio, Roma, Sez. II-Quater, 29 maggio 2019, n. 6783

  10. TAR Lazio, Roma, Sez. II-Quater, 7 novembre 2017, n. 11101

  11. Cons. Stato, Sez. VI, 10 dicembre 2020, n. 7872

  12. TAR Lazio, Roma, Sez. II-Quater, 30 agosto 2021, n. 9410

  13. Sul punto vedi TAR Lazio, Sez. II-Quater, 5 giugno 2020, n. 5972.

  14. In particolare nella seduta del Consiglio Superiore delle Antichità e Belle Arti del 10 gennaio del 1974.

  15. Ne deriva che la discrezionalità tecnica potrà essere esercitata solo da chi possiede specifiche competenze, vale a dire quei saperi richiesti per stabilire sia il pregio artistico di un bene che il grado di preparazione di un candidato nell’ambito di un concorso, come altrettante premesse all’esercizio del potere discrezionale.

  16. Nondimeno esse costituiscono pur sempre espressione di ampia discrezionalità finalizzata a stabilire in concreto il valore storico di un bene. Nel caso specifico si trattava in particolare del “Casel di Versutta”, edificio sito in Casarsa della Delizia dove lo scrittore Pasolini e sua madre, nell’immediato dopoguerra, tenevano attività di volontariato scolastico a favore dei giovani del luogo e dove si svolgevano anche incontri letterari di valorizzazione della lingua friulana: vedi Cons. Stato, Sez. VI, 10 maggio 2021, n. 3663, che precisa altresì: «La relazione tecnico-scientifica descrive lo stato attuale dell’ambiente circostante per evidenziare come esso sia ancora connotato dal paesaggio agreste che, come tale, consente la migliore vista e la più idonea fruizione del bene. Nel contempo si evidenzia come i terreni oggetto del vincolo indiretto abbiano da secoli l’attuale destinazione agricola e che l’area ricade nell’area di pertinenza dalla roggia Versa, elementi questi che confermano le ragioni di opportunità della sua conservazione».

  17. Così, Tar Lazio, Sez. III-Quater, 15 dicembre 2020, n. 13550.

  18. Così ancora la pronuncia del Tar Lazio oggetto di commento.

  19. Ossia, “sottile e lirico realismo, nitidezza delle forme, l’essenzialità delle composizione, esiti di marcata modernità”.

  20. TAR Lazio, Roma, Sez. I, 24 dicembre 2021, n. 13453.

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