Poesia e diritto

(a margine di un recente libro su Jacob Grimm)

Enrico Damiani

Professore ordinario di diritto privato dell’Università degli Studi di Macerata 

Il presente contributo prende le mosse dalla recente traduzione di un saggio di Jacob Grimm del 1816 dal titolo Von der Poesie im Recht, “La poesia nel diritto” a cura di Luigi Garofalo e Francesco Valagussa, al fine di esaminare il rapporto tra poesia e diritto. 

This paper builds on the recent translation of an 1816 essay by Jacob Grimm entitled Von der Poesie im Recht, “Poetry in Law,” edited by Luigi Garofalo and Francesco Valagussa, in order to examine the relationship between poetry and law.

Sommario: 1. Premessa. – 2. La poesia nel diritto: gli elementi linguistici. – 3. La poesia nel diritto e il suo richiamo storico all’identità della nazione. Una possibile applicazione attualizzata del concetto.

1. Premessa

Di recente l’editore Marsilio ha pubblicato la traduzione di un saggio di Jacob Grimm del 1816 dal titolo Von der Poesie im Recht, “La poesia nel diritto” a cura di Luigi Garofalo e Francesco Valagussa con un pregevole contributo dell’amico e collega Valerio Pescatore[1].

Jacob Grimm è noto per aver curato, con il fratello Wilhelm, la raccolta di favole che erano tramandate, di norma oralmente, in Germania e in Europa nel corso dei secoli, ma in realtà la sua ricerca si è mossa in maniera approfondita in più ambiti delle scienze sociali tra i quali si annoverano: “la lingua, la mitologia, la religione, la poesia, la saga e goni forma di narrazione dalle origini antiche, il diritto”[2]. Grimm si laureò in giurisprudenza presso l’Università di Morpurgo, particolarmente affascinato dalle lezioni tenute sulla metodologia giuridica da un giovane professore Friedrich Carl von Savigny, che influenzò in lui una particolare tendenza ad approcciarsi alla ricerca con un approccio diacronico. Il Maestro, infatti, suggeriva di tener conto delle origini storiche del diritto, per procedere ad una costruzione sistematica che non partisse dalla configurazione di principi prestabiliti, come invece erano soliti fare i giusnaturalisti, ma deducendo dalle fonti, principalmente quelle romanistiche, il ruolo centrale che la legge doveva rivestire nell’ambito di una ricostruzione sistematica del fenomeno giuridico.

            Sono evidenti sia le assonanze che le dissonanze tra la concezione del diritto di Grimm e quella del suo Maestro. Quest’ultimo, infatti, era interessato “al solo passato giuridico del popolo tedesco”[3] mentre il primo non limitava la propria analisi storica al solo fenomeno giuridico ma prestava attenzione ad ogni profilo relativo alle scienze umanistiche che attenesse in generale agli interessi del popolo.

            In un suo lavoro in cui Savigny tratta delle origini del diritto positivo[4], l’insigne autore aveva evidenziato come il diritto, la lingua, gli usi e l’organizzazione di un popolo sono concetti tra loro collegati in maniera indissolubile e accomunati da un unico sentimento[5]. Il diritto, quantomeno quello più antico, non è frutto di un arbitrio del legislatore, ma si fonda sui sentimenti e sulle tendenze intellettuali dei popoli, sulla loro moralità e sulla loro fede. Pare quindi evidente l’adesione di Grimm al metodo e alle teorie, almeno iniziali, espresse dal Savigny quale fondatore della cd. Scuola storica del diritto, e ne costituisce una testimonianza la visione storicistica che impronta il contributo che stiamo analizzando sinteticamente del nostro autore: il diritto è “un prodotto della storia, del popolo nella sua spontaneità creatrice, come la sua poesia e come quella poesia involontaria che è il suo linguaggio”. A tal riguardo non è mancato, poi, l’accostamento di Grimm alle idee di Giambattista Vico[6].

 Nel 1829 Grimm è professore di antichità giuridiche (Rechtsaltertümer) nell’Università di Gottingen nonché di grammatica e letteratura tedesca, il che dimostra i suoi poliedrici interessi scientifici e nel 1840 viene chiamato all’Università di Berlino dove insegnerà anche Mitologia, oltre alla disciplina di antichità giuridiche[7]

2. La poesia nel diritto: gli elementi linguistici

            Dopo un breve preambolo, Grimm esordisce scrivendo che “Non è difficile credere che il diritto e la poesia siano sorti insieme nello stesso alveo”, “L’origine si basa, per entrambi, su due elementi essenziali: la meraviglia e l’integrità della fede”[8]. Con il primo termine Grimm intendeva “la lontananza da cui sorgono per ogni popolo gli albori delle proprie leggi e dei propri poemi”, mentre la fede “non è altro che il tramite della meraviglia mediante cui essa si vincola a noi, ciò che la rende nostra, come un’eredità innata che i nostri genitori hanno portato con sé da tempo immemorabile”. “Si può collocare l’origine o l’uso della legge, come pure dell’epica, in una mescolanza inseparabile di materia terrena e celeste”. Specifica Grimm che “i cantori gestivano quel bene comune costituito dai carmi e i giudici presiedevano la funzione e l’officio dei diritti”. 

            È evidente quanto sia attuale il pensiero del giurista tedesco: il riferimento al concetto di “bene comune”, infatti evoca gli studi recenti[9] che hanno individuato la specificità di tali beni, che non formano oggetto né della proprietà privata, né della proprietà dello Stato, ma costituiscono diritti inalienabili dei popoli. Tutti ne possono godere e nessuno può escludere gli altri dalla possibilità di goderne, essi non possono essere privatizzati o sottoposti a restrizioni.

            Di recente, in una prospettiva che ha indagato il rapporto tra diritto e scienze umanistiche, la poesia è stata intesa come “l’arte di qualsivoglia forma artistica e il ritmo, che la pervade, è stato inteso come particolare idea di forma che nella cultura greca si specificava con l’idea del movimento[10].

Per Grimm la affinità tra diritto e poesia è comprovata anche “dalla struttura e dall’essenza della lingua”: “I giudici sono chiamati «trovatori», perché trovano il verdetto, così come «trovatori» sono chiamati i poeti”, “i carmi si dividono in Gesätze, ossia strofe”, “Diritto e legge (Gesetz) significano ciò che è fermo, dritto”. I poemi e le leggi si dividono in sezioni[11]. Anche il riferimento al mito fornisce elementi che suffragano l’accostamento del diritto alla poesia: come la Parca che recide il filo dell’esistenza umana tagliandolo in due così “ogni sentenza giudiziaria è una divisione, una separazione del giusto da ciò che è ingiusto”. Grimm procede la sua indagine ricorrendo a degli esempi che dovrebbero provare la “dimensione poetica del diritto antico”: la metrica, l’allitterazione, la tautologia sia di singole parole che di intere frasi. Notevole, è stato fatto notare[12], il ricorso a dei simboli: il martello, le pelli e la verga, utilizzati per l’acquisto di terreni; la spada e il fuso, utensili maschili e femminili che evocano i negozi posti in essere dagli uomini e dalle donne; lo scudo, il mantello e il velo, adatti a coprire che richiamano l’idea di appropriazione; l’anello che rappresenta sia l’investitura feudale che il matrimonio; la chiave, simbolo che richiama, quale sineddoche, la casa e in genere la proprietà immobiliare ….

La lingua, è stato fatto notare[13] rappresenta l’eredità di ogni popolo ed abbraccia ogni cosa e si può apprezzare non solo singolarmente ma nella dimensione sovraindividuale. 

3. La poesia nel diritto e il suo richiamo storico all’identità della nazione. Una possibile applicazione attualizzata del concetto.

Tale concezione, nota V. Pescatore[14], è anche strettamente collegata al trascorrere del tempo e si estrinseca in quel fenomeno che viene denominato “identità culturale” e che, nella versione attualizzata, inteso come diritto della personalità, può rappresentare un campo di indagine per verificarne la suscettibilità ad essere interpretato in una prospettiva “collettiva”: può l’identità nazionale formare oggetto di tutela?

La dottrina da ultimo menzionata propone di richiamare l’art. 1 del Codice dei beni culturali e del paesaggio approvato con il D. Lgs. N. 42 del 22 gennaio 2004 il quale prevede quale principio che in attuazione dell’art. 9 della Costituzione la Repubblica tuteli e valorizzi il patrimonio culturale al fine di preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio e a promuovere lo sviluppo della cultura, partendo da un recente caso sottoposto al giudizio del Tribunale di Firenze che, con sentenza del 20 aprile 2023, ha ritenuto fondata la richiesta di risarcimento dei danni formulata dal Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo contro una casa editrice che aveva pubblicato sulla copertina di una rivista, senza autorizzazione ed anzi contro il parere della Galleria dell’Accademia di Firenze, l’immagine del David di Michelangelo, accostata, “a quella di un modello, così svilendo, offuscando, mortificando e umiliando l’alto valore simbolico e identitario dell’opera d’arte e asservendo la stessa a finalità pubblicitarie e di promozione editoriale”. 

Gli articoli 107 e 108 del Codice dei beni culturali e del paesaggio in attuazione dei primi due commi dell’art. 9 della Costituzione secondo cui la tutela del patrimonio storico-artistico è finalizzata alla “promozione della cultura” dei consociati ben si prestano a fornire una adeguata tutela. 

Per il Tribunale di Firenze i beni culturali, intesi come “testimonianze aventi valore di civiltà”, come “testimonianze aventi valore identitario per la Nazione”, sono destinati ad essere fruibili da parte dell’intera collettività, in forme che portino allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza, da parte del pubblico, del patrimonio storico e artistico della Nazione. 

Chi è interessato all’uso dell’immagine deve normalmente richiedere l’autorizzazione per la riproduzione. I casi nei quali l’utilizzazione dell’immagine dei beni culturali è libera sono espressamente previsti dall’art.108, comma 3 bis, e non concernono lo sfruttamento dell’immagine per scopo di lucro. Il Tribunale ha ritenuto inconciliabile la riproduzione dell’immagine del David per scopi lucrativi con il decoro del bene inteso come espressione della “testimonianza del divenire umano nella storia”. 

Il bene culturale, secondo il Tribunale, incorpora e nel contempo, mediante la sua immagine, esprime un valore ideale di testimonianza identitaria della cultura della Nazione e un valore economico per la capacità attrattiva che esso è idoneo ad esercitare rispetto ai beni o ai servizi cui sia associato.

            La dottrina citata[15] giustamente sottolinea come sia evidente in tali affermazioni del Tribunale fiorentino l’emergere di tracce di quella “lontana concezione del giuridico, che emerge da La poesia nel diritto di Grimm”.

 Anche il riferimento operato da Grimm al concetto di “bene comune” come meglio sopra evidenziato, costituisce un elemento rivelatore della peculiare sensibilità del giurista ottocentesco che ha saputo precorrere i tempi con un atteggiamento anticonformista e moderno.


[1] L. Garofalo – F. Valagussa (a cura di), Jacob Grimm. La poesia nel diritto, Venezia, 2024, nel quale alle p. 87 ss. è riportato integralmente, nella traduzione italiana, il saggio di Grimm. 

[2] L. Garofalo, Il diritto nell’unità delle scienze dello spirito. Una mappa per il lettore di Jacob Grimm, in Jacob GrimmLa poesia nel diritto, cit., p. 7.

[3] L. Garofalo, op. cit., p. 10.

[4] F. C. von Savigny, La vocazione del nostro secolo per la legislazione e la giurisprudenza, trad. it., Verona, 1857, p. 97 ss.

[5] V. Pescatore, Origine del diritto e identità culturale in Jacob Grimm, in Jacob Grimm. La poesia nel diritto, cit., p. 177.

[6] V. Pescatore, op. cit., p. 180; B. Croce, La filosofia di Giambattista Vico, Bari, 1922, p. 256.

[7] G. Marini, Jacob Grimm, Napoli, 1972, p. 14 ss.; L. Garofalo, op. cit., p. 12.

[8] J. Grimm. La poesia nel diritto, nella traduzione a cura di F. Valagussa, op. cit., p. 89.

[9] Per tutti si veda S. Rodotà, I beni Comuni. L’inaspettata rinascita degli usi collettivi, Napoli, 2018.

[10] M.P. Mittica, Diritto e letteratura e Law and Humanities. Elementi per un’estetica giuridica, Torino, 2024, p. 83 ss..

[11] J. Grimm. La poesia nel diritto, nella traduzione a cura di F. Valagussa, op. cit., p. 92 ss.

[12] V. Pescatore, op. cit., p. 175.

[13] G. Moretti, Heidelberg romantica: romanticismo tedesco e nichilismo europeo, Brescia, 2013, p. 99.

[14] V. Pescatore, op. cit., p. 191.

[15] V. Pescatore, op. cit., p. 194.

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