Alessandra Dignani
Dottoranda di ricerca dell’Università degli Studi di Macerata
Il contributo indaga le modalità di utilizzo della blockchain come forme di rafforzamento della tutela giuridica degli autori e, premessi brevi cenni sulla circolazione degli NFTs rappresentativi di opere artistiche, prende in considerazione la possibilità di servirsi di questa nuova tecnologia per l’istituzione di un registro pubblico universale del diritto d’autore, come immaginato dal Parlamento europeo e dal Consiglio nella nota Risoluzione del Parlamento del 3 ottobre 2018 sulle Tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione. Si analizza poi il suo utilizzo, unitamente a smart contract e NFTs, per tenere traccia dell’andamento delle opere e compensare quel “value gap”, riconosciuto nella Direttiva (UE) 2019/790, che obbliga gli autori ad assoggettarsi agli equilibri di mercato imposti da chi, come gli intermediari culturali, gode di una maggior forza economica.
The contribution examines the ways in which blockchain technology can be utilized to enhance the legal protection of authors. After providing a brief overview of the circulation of NFTs representing artistic works, it explores the potential of using this emerging technology to establish a universal public copyright registry, as envisioned by the European Parliament and the Council in the landmark Resolution of the European Parliament of October 3, 2018, on Distributed Ledger Technologies and Blockchain: Building Trust With Disintermediation. The paper further analyzes the use of blockchain, along with smart contracts and NFTs, to monitor the movement of works and address the “value gap” identified in Directive (EU) 2019/790, which requires authors to conform to market dynamics imposed by entities, such as cultural intermediaries, that possess superior economic power.
Sommario: 1. Introduzione.- 2. L’acquisto del diritto d’autore. – 3. La blockchain come registro universale del diritto d’autore. – 4. NFTs, circolazione delle opere artistiche e principio di esaurimento. – 5. Il problema del “value gap” nella Direttiva (UE) 2019/790.- 6. Il principio della remunerazione adeguata e proporzionata. – 7. Il ricorso all’esecuzione degli smart contract in blockchain per l’applicazione del principio di fair remuneration.- 8. Considerazioni conclusive tra potenziale innovativo della blockchain ed esigenze di cautela.
1. Il valore complessivo del mercato artistico globale ha raggiunto nel 2024 una cifra di circa 65 miliardi di dollari, ma resta fortemente condizionato da incertezze che compromettono la sicurezza delle transazioni. Queste difficoltà sono ulteriormente aggravate dall’assenza di normative organiche e dettagliate, tanto a livello nazionale quanto internazionale. Uno dei problemi principali che colpiscono il settore culturale riguarda l’autenticità e la tracciabilità delle opere, elementi che risultano spesso difficili da verificare, specialmente quando si tratta di creazioni storiche o di acquisizioni effettuate senza un’adeguata documentazione.
A tal proposito, l’articolo 64 del Codice dei beni culturali, che riprende quanto sancito dall’articolo 2 della legge 20 novembre 1971, n. 1062, stabilisce che chiunque svolga attività di vendita al pubblico, esposizione per fini commerciali o intermediazione per la compravendita di opere artistiche, come dipinti, sculture, incisioni o manufatti di valore storico o archeologico, è obbligato a fornire all’acquirente documenti che certifichino l’autenticità o, laddove ciò non sia possibile, una probabile attribuzione e la provenienza dell’opera. In assenza di tali documenti, il venditore è tenuto a redigere una dichiarazione con tutte le informazioni disponibili.
Ad alimentare questa precaria situazione contribuisce il difetto di una previsione sul soggetto designato a procedere all’autenticazione; l’unico riferimento è contenuto all’art. 103 della Legge sulla protezione del diritto d’autore (L. 633/41), che stabilisce che l’iscrizione dell’opera in apposito registro da parte dell’autore della stessa fonda una presunzione legale sulla paternità sull’autenticità della stessa. Anche la giurisprudenza non è concorde su chi debba esercitare il diritto di autentica di un’opera d’arte ed agire in giudizio per il suo riconoscimento: secondo alcuni, il diritto di autenticare un’opera d’arte dovrebbe spettare unicamente all’artista o ai suoi eredi, poiché sono considerati gli unici con l’autorità necessaria per garantire l’autenticità e salvaguardarne il valore. Al contrario, altri ritengono che questo diritto possa essere riconosciuto anche a soggetti diversi, come collezionisti o proprietari dell’opera, che abbiano un interesse legale nel preservare e proteggere il valore del proprio investimento[1].
Anche il fenomeno della contraffazione altera il regolare andamento del mercato dell’arte, compromettendo tanto il senso di fiducia degli acquirenti quanto le possibilità di guadagno dell’artista[2]. A ciò si aggiungano la poca trasparenza delle operazioni artistiche, con informazioni su prezzi e passaggi di proprietà spesso incomplete[3], le difficoltà cui gli autori vanno incontro qualora vogliano entrare a conoscenza dei successivi scambi della loro opera nel mercato secondario, e la debolezza contrattuale di questi rispetto agli operatori culturali, con cui sono costantemente tenuti ad interfacciarsi[4].
Le tecnologie moderne possono costituire un’opportunità di ricerca di nuove forme di tutela a favore tanto degli autori quanto dei compratori. D’altronde, già negli anni ’70 si era tentato di far ricorso alle innovazioni della tecnologia per la realizzazione di un sistema che consenta di incrementare la sicurezza e l’affidabilità degli scambi nel settore artistico: si riporta l’esempio della Bolaffi di Torino, che tentò di sviluppare un progetto volto alla creazione di un sistema di registrazione delle opere capace di monitorare ogni loro movimento attraverso l’archiviazione di fotografie e dati dettagliati. Dopo la Bolaffi, sono stati in molti a cercare di sfruttare le nuove tecnologie per trovare soluzioni innovative a problemi che perdurano da decenni. Arrivando ai giorni nostri, si è iniziato a considerare con sempre maggiore interesse l’uso della tecnologia blockchain, una possibile risposta rivoluzionaria per garantire la tracciabilità, l’autenticità e la sicurezza delle opere d’arte[5].
2. Le opere che derivano dalla creazione intellettuale dell’autore, prodotto del suo ingegno, sono considerate beni immateriali. Tuttavia, affinché possano essere percepite e apprezzate dai terzi tramite i loro sensi, è necessario che si concretizzino su di un supporto materiale, che viene definito corpus mechanicum: queste opere, pur essendo intangibili nella loro essenza, richiedono una manifestazione fisica per diventare fruibili e riconoscibili[6]. Emerge così la questione relativa alla posizione giuridica dell’autore in relazione sia alla sua creazione intellettuale che al supporto materiale su cui essa è espressa. In altre parole, si pone il problema di come riconoscere e tutelare i diritti dell’autore riguardo alla sua opera, tenendo conto del legame tra l’idea originaria e la cosa materiale che la veicola.
Per comprendere il legame tra il corpus mysticum, ovvero l’opera in sé, e il corpus mechanicum, che rappresenta il suo supporto materiale, è utile fare riferimento alle caratteristiche attribuite da autorevole dottrina all’opera dell’ingegno come bene immateriale[7]: questa viene concepita come una creazione che nasce da un processo di elaborazione del pensiero individuale, fissata in un preciso momento del suo sviluppo all’interno di una dimensione oggettiva. Grazie all’atto creativo che la genera, l’opera acquisisce caratteri di originaria obiettività. La trasformazione della semplice idea in un formato comprensibile a soggetti diversi dall’autore è il presupposto logico e giuridico fondamentale per il riconoscimento di una tutela, poiché solo attraverso questo processo quanto prima è solo frutto del pensiero dell’autore diviene un bene che merita protezione[8]. Il bene immateriale e il suo supporto fisico non si fondono, ma il primo supera e trascende. Il corpus mysticum non si modifica né si adatta alle alterazioni che interessano il corpus mechanicum. Secondo una concezione che, forse, appare ormai superata nell’era digitale, il bene immateriale è eterno e non soggetto a danni, mentre il supporto materiale si piega ai mutamenti dovuti al suo uso ripetuto nel tempo[9].
Poiché tale bene immateriale, proprio perché astratto, è idoneo a circolare su più supporti diversi nello stesso momento, il diretto godimento[10] e la possibilità di un uso esclusivo del bene dipendono da quanto determinato dalla legge disciplina[11], non potendosi applicare integralmente le norme inerenti ai beni materiali.
Il diritto d’autore regola la tutela delle opere dell’ingegno, e la sua disciplina nel nostro ordinamento è principalmente stabilita dalla cosiddetta Legge 22 aprile 1941, n. 633, che disciplina il diritto d’autore e i diritti ad esso collegati. Inoltre, alcune disposizioni sono contenute negli articoli 2575-2583 del Codice Civile. Anche se il diritto d’autore non è esplicitamente menzionato nella Costituzione, la sua importanza e la legittimità della sua esclusività sono state riconosciute dalla Corte Costituzionale in diverse decisioni fondamentali. In queste sentenze, la protezione giuridica del diritto d’autore è stata considerata essenziale per favorire il pieno sviluppo della persona e per garantire la libertà di espressione, in conformità agli articoli 3 e 21 della Costituzione. Inoltre, essa risulta strettamente legata alla tutela dei beni culturali e all’iniziativa economica[12].
Il diritto d’autore si acquista a titolo originario per il semplice fatto della creazione dell’opera, attraverso la concretizzazione dell’idea su un supporto materiale, indipendentemente dalla sua eventuale divulgazione. La materializzazione della creazione è indispensabile, poiché la legge non tutela le idee in sé, ma richiede che queste assumano una forma espressiva “sufficientemente compiuta” per beneficiare della protezione giuridica[13]. La realizzazione dell’opera è condizione necessaria ma non sufficiente della tutela giuridica. La creazione deve essere originale, esperienza irripetibile della creatività del suo autore[14], e manifestarne la personalità[15] riuscendo ad esprimere il suo contenuto di “fatti, conoscenze e sentimenti”[16]. Tale tutela giuridica si estende anche alle creazioni derivanti dall’opera originaria, sia che siano state realizzate direttamente dall’autore, sia che la loro produzione sia avvenuta su licenza concessa da questi a terzi[17]. Il diritto sul corpus mysticum resta prerogativa del suo creatore, mentre il diritto di proprietà o di godimento relativo al corpus mechanicum è riconosciuto al titolare della cosa materiale, che può disporne in base alla natura del proprio diritto. Se l’artista realizza un quadro e successivamente lo vende, conserverà le prerogative connesse al diritto d’autore. Tuttavia, non essendo più proprietario della tela, non avrà alcun potere decisionale sul se, sul quanto o sul come di eventuali ulteriori trasferimenti (art. 2577, comma 2 c.c. e art. 20 LDA).
La legge italiana non prevede formalità costitutive, ma l’opera va iscritta nell’ apposito Registro pubblico generale delle opere protette, istituito, ai sensi dell’art. 103 della L. aut., presso la Presidenza del Consiglio dei Ministri[18]. La registrazione ha solo funzione di pubblicità-notizia[19]. Un atto, quindi, che ha il fine unico di una presunzione in ordine tanto all’esistenza dell’opera quanto alla paternità della stessa, riconosciuta a chi, nel registro, ne viene indicato come l’autore[20].
Al titolare del diritto d’autore sono riconosciute diverse forme di tutela, tra cui: la possibilità di avviare un’azione per accertare la titolarità del diritto d’autore, ottenere l’inibizione di una violazione in corso o imminente, richiedere la rimozione o distruzione degli effetti della violazione, e domandare il risarcimento dei danni subiti (come previsto dagli artt. 156 e seguenti della Legge sul diritto d’autore). Chi intraprende un’azione legale ha l’onere di dimostrare sia la titolarità dei diritti che si intendono far valere, sia l’effettiva violazione, oltre a fornire prova dell’entità del danno subito[21] e del rapporto di causa-effetto tra la violazione e il danno stesso[22]. La competenza territoriale per le controversie in materia di diritto d’autore è determinata dal luogo in cui si è verificato l’evento dannoso originario, escludendo eventuali danni successivi, anche se connessi, come stabilito dall’art. 5, punto 3, della Convenzione di Bruxelles[23].
3. Nella Risoluzione del Parlamento Europeo del 3 ottobre 2018 sulle tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione’ si sottolineava che la DLT potrebbe favorire una maggiore titolarità e libertà creativa per gli artisti, grazie a un registro pubblico aperto che permetta di identificare chiaramente la proprietà e i diritti d’autore[24]. Su una blockchain sarebbe possibile registrare tutte le informazioni relative all’autore e alla pubblicazione delle opere; l’inserimento dei dati nella catena di blocchi garantirebbe la loro conservazione permanente, mantenendone l’integrità e impedendone qualsiasi alterazione.
Come già osservato, la legge non richiede formalità particolari per la costituzione del diritto d’autore; tuttavia, si è evidenziato che le opere tutelate da tale diritto sono annotate in registri specifici con funzione di pubblicità notizia. La mancanza di formalità per la costituzione del diritto, tuttavia, comporta frequentemente difficoltà nell’accertamento della paternità dell’opera e nella determinazione della proprietà del corpus mechanicum. Inoltre, anche l’inserimento dell’opera nei registri tradizionali non impedisce che essa venga utilizzata in modo da violare il diritto d’autore, poiché questi registri hanno generalmente una portata limitata a livello nazionale. Un rapporto del 2010 della World Intellectual Property Organization[25] evidenzia, infatti, i deludenti risultati ottenuti dai tentativi di creare banche dati universali delle opere dell’ingegno.
Queste considerazioni hanno portato alcuni a suggerire che i registri basati su blockchain potrebbero validamente sostituire i tradizionali registri pubblici per la protezione del diritto d’autore. Sebbene questa proposta sembri, a livello teorico, una soluzione adeguata alla limitazione territoriale dei registri tradizionali, emergono tuttavia alcune questioni relative all’efficacia giuridica di tali registrazioni e alla loro compatibilità con la tecnologia in questione. Le principali problematiche riguardano la possibilità di riconoscere la validità legale di una registrazione effettuata su blockchain, una questione che potrebbe non porsi affatto in alcuni stati che abbiano già introdotto normative specifiche.
Nell’ordinamento italiano, la situazione è notevolmente diversa: l’efficacia della pubblicità-notizia derivante dalle iscrizioni nel Registro delle opere è legata proprio al carattere pubblico di tale registro, il che consente di ottenere una prova spendibile in giudizio riguardo l’esistenza di una determinata opera, la sua pubblicazione e, in particolare, la sua paternità. Affinché un registro basato su blockchain possa beneficiare degli stessi effetti previsti dall’art. 103, co. 5[26], della Legge sul diritto d’autore, dovrebbe, naturalmente, fare riferimento alla medesima autorità che gestisce il registro tradizionale[27].
La questione si pone principalmente per la necessità di attribuire la paternità dell’opera, poiché una semplice iscrizione in qualsiasi registro su blockchain non risulta sufficiente. Per quanto riguarda la pubblicazione e, in particolare, l’esistenza dell’opera stessa, l’art. 8-ter, co. 3, del d.l. 135/2018, che afferma che “la memorizzazione di un documento informatico attraverso l’uso di tecnologie basate su registri distribuiti produce gli effetti giuridici della validazione temporale elettronica di cui all’articolo 41 del regolamento (UE) n. 910/2014 del Parlamento Europeo e del Consiglio, del 23 luglio 2014[28]“, potrebbe suggerire una soluzione positiva, ma che potrebbe comunque non essere sufficiente. Nella realtà off-chain, infatti, l’autore (o presunto tale) che desideri registrare la sua opera sarà necessariamente tenuto a identificarsi e a fornire le sue generalità[29], affinché possa validamente procedere al deposito nel registro.
Se il registro delle opere d’autore on-chain fosse istituito dalla pubblica autorità, la scelta della tipologia di blockchain avrebbe implicazioni significative. Se si dovesse optare per una rete permissionless, il registro, una volta creato, uscirebbe dal controllo pubblico per entrare nei meccanismi di governance distribuita stabiliti dai progettisti e implementatori del protocollo di rete. In tal caso, la pubblica autorità non sarebbe in grado di obbligare gli utenti che desiderano registrare il proprio diritto d’autore a rivelare la propria identità[30].
Una possibile soluzione potrebbe consistere nell’adozione di sistemi ibridi, in particolare blockchain public permissionless, dove accanto a un registro pubblico, accessibile a chiunque, ve ne sia un altro, privato, che si occupa di verificare e validare prima le transazioni. Questo registro privato potrebbe successivamente archiviare il blocco nella blockchain sottostante, rendendolo pubblico per la consultazione generale. In alternativa, si potrebbe pensare a una piattaforma privata e centralizzata costruita su un’infrastruttura blockchain public e permissionless, utilizzando quest’ultima come un “imbuto” o gateway obbligatorio per la registrazione dell’opera. Questo approccio consentirebbe agli autori di mantenere la privacy delle proprie informazioni personali, limitando la visibilità a quelle essenziali per l’approvazione delle operazioni, integrando tecnologie di Self Sovereign Identity laddove previsto.
Se implementato correttamente, un sistema del genere potrebbe tracciare automaticamente tutte le operazioni giuridiche legate a un’opera protetta dal diritto d’autore, dalla prima alienazione ai successivi trasferimenti di proprietà, fino al trasferimento dei diritti di utilizzazione economica e alla concessione di licenze, senza la necessità di ulteriori adempimenti formali o registrazioni successive.
In questo contesto, la blockchain potrebbe rivelarsi vantaggiosa per la dimostrazione della proprietà di un’opera artistica, poiché permetterebbe di tracciare in modo permanente e verificabile la sua provenienza. Tuttavia, questo solleva un problema legato alla possibilità di esperire l’azione di rivendica, poiché il rischio di un acquisto a non domino del bene (ossia, l’acquisto di un bene da una persona che non ha il diritto di trasferirne la proprietà) persiste, anche se il bene proviene da una fonte illecita.
A tal riguardo, la giurisprudenza spesso impone al presunto proprietario una vera e propria probatio diabolica, poiché “la domanda di restituzione di un bene già oggetto di furto, svolta nei confronti del soggetto che si trova nel possesso di esso, introduce un’azione di rivendica e non di restituzione, con i conseguenti oneri probatori a carico del rivendicante. Ne consegue che, ove la domanda abbia ad oggetto un bene mobile (…), l’attore non può limitarsi a dimostrarne il possesso – che può derivare anche da rapporti non traslativi della proprietà – all’epoca del furto, occorrendo, al contrario, che ne alleghi e provi, a tale momento, l’avvenuto acquisto della titolarità, ex art. 1153 c.c. e, dunque, oltre al possesso di buona fede, l’esistenza di un titolo astrattamente idoneo al relativo trasferimento”[31].
In effetti, si potrebbe configurare l’acquisto a non domino di un’opera d’arte che non sia stata riconosciuta come bene culturale ai sensi dell’art. 13 del Codice dei beni culturali e del paesaggio, quindi non soggetta alla relativa disciplina. Se l’acquirente è in buona fede, ha un valido titolo di acquisto e il possesso dell’opera è stato trasferito materialmente, l’acquisto del diritto avverrebbe immediatamente. Non sarebbe necessario attendere un periodo di possesso pubblico, e non si presenterebbero i problemi legati all’acquisto di beni illeciti, come nel caso di beni dichiarati patrimonio culturale.
L’art. 1153 c.c. stabilisce che, ai fini dell’acquisto a non domino, l’acquirente deve essere in buona fede al momento della consegna dell’opera. La buona fede viene valutata dal giudice anche sulla base della persona che ha concluso la transazione, delle sue conoscenze specifiche e delle circostanze in cui l’acquisto è avvenuto[32]. Poiché la circolazione di beni di provenienza illecita nel mercato dell’arte è un fenomeno purtroppo diffuso, chi desidera tutelarsi da eventuali contestazioni sulla sua buona fede deve prestare attenzione e raccogliere tutte le informazioni necessarie sulla provenienza dell’opera.
Se si prefigurasse la possibilità di certificare la proprietà di un’opera tramite la blockchain, i controlli da parte dell’acquirente, che sarebbero poi alla base della verifica giudiziale dell’acquisto a non domino ai sensi dell’art. 1153 c.c., dovrebbero includere anche una consultazione del registro distribuito. Se la situazione proprietaria fosse effettivamente registrata nella blockchain, sarebbe impossibile sostenere la buona fede dell’acquirente al momento dell’acquisto, come previsto dall’art. 1147 c.c. In altre parole, la visibilità e l’accessibilità delle informazioni sulla provenienza e sul possesso dell’opera attraverso la blockchain impedirebbero all’acquirente di sostenere che non fosse a conoscenza della sua eventuale provenienza illecita o di situazioni di incertezza sul titolo di proprietà[33].
4. Si è osservato che gli NFTs[34] riconnessi alle opere artistiche sono in grado di riportare un fattore di scarsità -digitale- nel mercato dell’arte[35]. Le riflessioni che seguono partono da un’argomentazione avanzata da una certa dottrina secondo cui un NFT, in ragione della relazione esclusiva che verrebbe a configurarsi tra il token ed il suo titolare[36], potrebbe assolvere “una funzione ancillare di garanzia di provenienza e di autenticità dell’opera”[37].
La creazione dell’NFT, realizzata tramite il procedimento di minting dell’opera artistica, può essere considerata come un atto di esercizio del diritto d’autore e, in particolare, del diritto di distribuzione dell’opera[38], il quale trova i suoi riferimenti normativi all’art. 2 della direttiva UE 2011/29 (Infosoc), che prevede che “ gli Stati membri riconoscono ai soggetti sotto elencati il diritto esclusivo di autorizzare o vietare la riproduzione diretta o indiretta, temporanea o permanente, in qualunque modo o forma, in tutto o in parte: a) agli autori, per quanto riguarda le loro opere” e, nell’ordinamento italiano, all’art 13 L. aut., per cui questo è “il diritto esclusivo di riprodurre ha per oggetto la moltiplicazione in copie diretta o indiretta, temporanea o permanente, in tutto o in parte dell’opera, in qualunque modo o forma (…)”. Perciò, affinché l’atto di creazione dell’NFT e il suo caricamento nel cloud siano validi, è necessario che sia stato effettuato dall’autore dell’opera, che spesso è anche l’autore originale creatore dell’opera in formato digitale, o da un altro soggetto a cui l’autore ha delegato esplicitamente il diritto di agire, in virtù di un accordo negoziale valido.
Una volta che l’NFT è caricato nel cloud e registrato sulla blockchain, sarà in modo chiaro e definitivo associato a un determinato utente. Tuttavia, questa connessione non offre garanzie sulla paternità o sull’autenticità dell’opera, ma indica solo che l’NFT proviene da un account specifico e che rimane all’interno del wallet di quel particolare utente. Pertanto, piuttosto che considerare l’NFT come un certificato dell’opera d’arte, dovrebbe essere visto come una prova della sua provenienza. Quando un acquirente compra un’opera d’arte, cerca un documento che attesti, in virtù della provenienza e delle informazioni in esso contenute, che il bene è autentico, proviene da un determinato artista e è passato in proprietà a un specifico acquirente, confermando così il valore economico dell’opera stessa.
Riflettendo sulla possibilità di attribuire all’NFT la funzione di certificare l’autenticità e la paternità dell’opera, bisogna chiedersi, analogamente a quanto fatto per la registrazione del diritto d’autore su blockchain, quanto possa essere affidabile tale attestazione. Anche se si è suggerito che “agganciare” un NFT a un’opera d’arte possa risolvere il problema di garantire l’unicità e la certificazione dell’opera in modo chiaro e inalterabile, ciò presenta delle difficoltà, in particolare quando si tratta di tokenizzare un’opera esistente nella realtà, senza il coinvolgimento di un esperto che possa verificare l’attendibilità delle informazioni contenute nell’NFT. Senza adeguati controlli, è possibile che le informazioni nel token siano corrette riguardo l’utente che le ha caricate e immutabili da altri, ma potrebbero anche risultare parzialmente errate o completamente false, causando il fenomeno del garbage in, garbage out.
Un esempio celebre è la vicenda dell’opera “Free Comb with Pagoda” di Jean-Michel Basquiat. Nel 2021, il gruppo Daystrom aveva annunciato la vendita dell’opera e del relativo NFT sulla piattaforma OpenSea, dicendo che l’acquisto dell’NFT avrebbe conferito il diritto di “decostruire” l’opera originale. Secondo gli organizzatori dell’asta, insieme all’opera fisica, l’NFT avrebbe trasferito tutti i diritti d’autore, inclusa la possibilità di distruggere l’opera. Tuttavia, l’Archivio Basquiat è intervenuto immediatamente, sottolineando che nessun diritto d’autore sull’opera era stato ceduto a Daystrom. Di conseguenza, l’NFT è stato rimosso dalla vendita e quest’ultima è stata annullata. Se la vendita fosse continuata, chi avesse acquistato l’NFT avrebbe avuto un titolo che non gli dava il diritto di trasferire i diritti d’autore, e l’immutabilità della blockchain non avrebbe potuto cristallizzare la pretesa dell’acquirente[39].
Infatti, sebbene il funzionamento della blockchain garantisca con certezza il trasferimento del token da un wallet A ad un wallet B in ogni passaggio successivo, non fornisce alcuna certificazione riguardo al titolo di acquisto di chi per primo abbia registrato l’NFT sulla rete. La blockchain, infatti, è in grado di tracciare il flusso del token tra i vari wallets, ma non ha la capacità di attestare se chi ha registrato l’NFT inizialmente fosse legittimato a farlo o se avesse i diritti per trasferire tale opera. Pertanto, non essendo in grado di validare il titolo di proprietà o di acquisto del primo registrante, la blockchain si limita a documentare il trasferimento del token, senza garantire la legittimità di tale trasferimento.
Un caso meno problematico e parzialmente diverso si verifica quando un NFT, che circola sulla blockchain, è legato a un’opera di cryptoart, ovvero un’opera digitale nativa, per la quale è stato direttamente l’artista, identificato attraverso modalità verificate[40], a procedere alla sua tokenizzazione. Un esempio emblematico di ciò è Everydays: The First 5000 Days di Beeple[41]. Se è l’autore stesso a caricare l’NFT nella blockchain, e se il processo avviene in modo tale da non lasciare dubbi sulla sua identità online, l’acquirente potrà affidarsi con maggiore sicurezza alla provenienza del token e, in seguito, anche alla veridicità delle informazioni in esso contenute. Tuttavia, è importante precisare che l’NFT, inteso come tale, non costituisce una certificazione di autenticità dell’opera in sé, ma piuttosto attesta la posizione giuridica del suo titolare in relazione a essa, sotto la protezione delle normative sul diritto d’autore. L’artista, in quanto titolare di questi diritti, avrà la libertà di esercitare tutte le facoltà a lui riconosciute, tra cui la distribuzione dell’opera, la sua riproduzione, la creazione di opere derivate e la messa a disposizione del pubblico.
È opportuno ora precisare che anche la parziale modifica di un’opera per realizzarne una ulteriore c.d. “derivata” costituisce una forma di esercizio del diritto di riproduzione ex art. 13 L., e ciò vale anche per gli NFTs, sulla base della lettura, in combinato disposto, dell’ art. 18, co.2, L. aut., che recita: “il diritto esclusivo di elaborare comprende tutte le forme di modificazione, di elaborazione e di trasformazione dell’opera prevista nell’art. 4” e dell’art. 4, L. aut., per cui “senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria, sono altresì protette le elaborazioni di carattere creativo dell’opera stessa, quali (…) le modificazioni ed aggiunte che costituiscono un rifacimento sostanziale dell’opera originaria, gli adattamenti, le riduzioni, i compendi, le variazioni non costituenti opera originale”. Non è raro che, nel caso in cui un NFT venga venduto su un marketplace, i termini contrattuali includano il conferimento del diritto di riproduzione dell’opera e la previsione della possibilità per l’acquirente di utilizzarlo per creare opere derivate a scopi commerciali. Lo dimostrano i termini contrattuali dei Bored Ape Yatch Club (“BAYC”) dove, nella sezione “commercial use”, ove si legge che “subject to your continued compliance with these Terms, Yuga Labs LLC grants you an unlimited, worldwide license to use, copy, and display the purchased Art for the purpose of creating derivative works based upon the Art.”[42]
L’autore dell’opera (o colui che sia titolare del relativo diritto di utilizzazione), nel momento in cui crea un NFT effettua una messa a disposizione del pubblico, ai sensi dell’art. 3(2) della direttiva UE 2011/29, per cui “gli Stati membri riconoscono agli autori il diritto esclusivo di autorizzare o vietare qualsiasi comunicazione al pubblico, su filo o senza filo, delle loro opere, compresa la messa a disposizione del pubblico delle loro opere in maniera tale che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”, dell’art. 16 L. aut., per cui “il diritto esclusivo di comunicazione al pubblico su filo o senza filo dell’opera ha per oggetto l’impiego di uno dei mezzi di diffusione a distanza (…); comprende, inoltre, la messa a disposizione del pubblico dell’opera in maniera che ciascuno possa avervi accesso dal luogo e nel momento scelti individualmente”, nonché dell’art. 8 del World Copyright Treaty, che prevede che “Without prejudice to the provisions of Articles 11(1)(ii), 11bis(1)(i) and (ii), 11ter(1)(ii), 14(1)(ii) and 14bis(1) of the Berne Convention, authors of literary and artistic works shall enjoy the exclusive right of authorizing any communication to the public of their works, by wire or wireless means, including the making available to the public of their works in such a way that members of the public may access these works from a place and at a time individually chosen by them”.[43]Perché si possa configurare il carattere pubblico della comunicazione, è necessario che si raggiunga un profitto. Questo giustifica il diritto dell’autore di ricevere un compenso dall’utilizzatore, il quale, a sua volta, ha ottenuto un guadagno, sia esso diretto o indiretto[44].
L’ ‘NFT mintato e caricato nella blockchain dall’autore dell’opera, che rappresenta la proprietà del corpus mechanicumdell’opera, può essere trasferito a terzi[45]; l’atto di trasferimento del token, che integra una vendita[46], non trasferisce il diritto d’autore (inteso, nell’ordinamento italiano, nella sua sola accezione patrimoniale) a meno che ciò non fosse stato espressamente previsto nei termini contrattuali, ma solo la proprietà dell’opera stessa[47]. L’art. 13, co.2, L. aut. postula il principio di esaurimento del diritto di distribuzione nel caso “in cui la prima vendita o il primo atto di trasferimento della proprietà nella Comunità sia effettuato dal titolare del diritto o con il suo consenso”, la cui ratio risiede nelle necessità di tutela e di certezza delle transazioni riguardanti beni protetti da diritti esclusivi [48], E la cui applicazione riguarda la messa in commercio del supporto materiale dell’opera, senza estendersi ai diritti morali d’autore né ai diritti di utilizzazione economica.
La Corte di Giustizia nel caso “Tom Kabinet”[49], ha stabilito che il principio di esaurimento del diritto di distribuzione, che di solito si applica all’originale dell’opera o alle copie legittimamente acquistate da altri, non trova applicazione nel contesto digitale[50]; le collecting olandesi NUV e GAU, attive nel settore editoriale, avevano intrapreso un’azione legale contro Tom Kabinet, una casa editrice che gestisce un sito web dedicato al commercio di libri elettronici di seconda mano. Sulle piattaforme, gli utenti, previa iscrizione e pagamento di una quota, possono acquistare e-book venduti direttamente da Tom Kabinet o donati da altri utenti. Secondo le ricorrenti, ciò costituiva una violazione reiterata del diritto d’autore. La Corte di Giustizia, chiamata a decidere se l’attività di Tom Kabinet di distribuzione di e-book tramite download permanente rientrasse nell’ambito di applicazione del diritto d’autore, ha stabilito che la condotta della resistente doveva essere considerata come un esercizio del diritto di comunicazione al pubblico. Pertanto, per tale attività era necessaria l’autorizzazione degli autori, e non semplicemente un atto di distribuzione, poiché “le copie digitali dematerializzate, diversamente dai libri su un supporto tangibile, non si deteriorano con l’uso, con la conseguenza che le copie di seconda mano costituiscono perfetti sostituti delle copie nuove. Inoltre, gli scambi di tali copie non richiedono né sforzi né costi aggiuntivi, sicché il mercato parallelo di seconda mano rischierebbe di incidere sugli stessi interessi dei titolari di ricevere un adeguato compenso per le loro opere in maniera assai più significativa del mercato di seconda mano di oggetti tangibili”[51]. Secondo una certa dottrina, il principio di diritto enunciato dalla Corte nel caso Tom Kabinet non dovrebbe applicarsi nel caso in cui la vendita successiva riguardi un NFT che rappresenta la proprietà di un’opera. In questo contesto, l’NFT dovrebbe essere trattato come un “oggetto tangibile” a causa della sua infungibilità, che consente di distinguere in modo chiaro e inequivocabile l’originale dell’opera dalla sua versione riprodotta e mintata (cioè digitalmente registrata). Di conseguenza, si escluderebbe la possibilità di concorrenza sleale, poiché l’NFT, come bene unico e non intercambiabile, non potrebbe essere confuso con altre copie o riproduzioni dell’opera.[52]
5. Nel Considerando 72 della Direttiva (UE) 2019/790 sul Digital Single Market[53], attuata nell’ordinamento italiano con il d. lgs. 177/2021, si riconosce come “Gli autori e gli artisti (interpreti o esecutori) si trovano tendenzialmente in una posizione contrattuale più debole quando concedono una licenza o trasferiscono i loro diritti, anche attraverso le proprie società, ai fini dello sfruttamento in cambio di una remunerazione, e tali persone fisiche necessitano della protezione prevista dalla presente direttiva per poter beneficiare appieno dei diritti, armonizzati a norma del diritto dell’Unione”[54].
Per questa ragione il legislatore europeo ha introdotto[55], nel titolo IV, capo III, denominato “Equa remunerazione di autori e artisti (interpreti o esecutori) nei contratti di sfruttamento”, gli artt-18-23[56], che postulano l’obbligo per gli Stati Membri dell’Unione Europea di adeguare le loro legislazioni nazionali, pur nel rispetto del principio di libertà contrattuale e della realizzazione di “un giusto equilibrio tra diritti e interessi”[57], introducendo misure a protezione degli autori che, concedendo licenze o stipulando contratti di concessione, attribuiscono l’esercizio dei loro diritti esclusivi di utilizzazione economica dell’opera a soggetti terzi affinché questi la sfruttino.
La Direttiva, che rappresenta il primo[58] vero intervento normativo armonizzante[59] in materia di diritto secondario d’autore[60], altro non fa che fissare standard minimi di tutela sulla base di un principio di proporzionalità, conferendo ai singoli Stati ampio margine di azione[61] per fissare soglie di protezione più elevate[62].
Queste disposizioni, di concerto con le altre enunciate dalla Direttiva, muovono dalla consapevolezza che “I rapidi sviluppi tecnologici continuano a trasformare il modo in cui le opere e altri materiali sono creati, prodotti, distribuiti e sfruttati, mentre emergono costantemente nuovi modelli di business e nuovi attori”[63] e che “vi è ancora incertezza giuridica quanto a taluni utilizzi, anche transfrontalieri, delle opere e altri materiali in ambiente digitale, sia per i titolari dei diritti che per gli utilizzatori”[64], e concorrono all’obiettivo di “garantire il buon funzionamento[65] e l’equità del mercato per il diritto d’autore”[66]. Infatti, se è vero che la cultura e la diffusione di informazioni trovano massimo spazio nella dimensione digitale, e che l’accesso al sapere va comunque garantito[67], è anche vero che l’art. 1, co.1, della L. aut. Protegge le opere dell’ingegno di carattere creativo “qualunque ne sia il modo o la forma di espressione”, estendendo la portata della norma anche al web e imponendo un’osservanza delle regole e dei principi posti a tutela dei diritti personali e patrimoniali dell’autore. Eppure, è impossibile non notare con la dematerializzazione del corpus mechanicumdell’opera, rendendo il materiale creativo facilmente e diffusamente reperibile, abbia compromesso, riducendola, la piena efficacia della protezione autoriale, frutto dell’operosità giuridica di menti appartenenti ad un’epoca nella quale non vi era modo di immaginare che il supporto della creazione intellettuale potesse, un giorno, svincolarsi dal suo carattere corporale. D’altronde, l’esigenza di riadattare normative altrimenti obsolescenti si avvertita sin dagli inizi del millennio: si pensi al Considerando 5 della Direttiva 2001/29, che recita “Lo sviluppo tecnologico ha moltiplicato e diversificato i vettori della creazione, della produzione e dello sfruttamento. Anche se non sono necessari nuovi concetti in materia di protezione della proprietà intellettuale, si dovrebbe adattare e integrare le normative attuali sul diritto d’autore e sui diritti connessi per rispondere adeguatamente alle realtà economiche, quali le nuove forme di sfruttamento”.
L’intervento correttivo del legislatore si è reso ancor più necessario alla luce dell’ incrementale diffusione del problematico fenomeno del value gap che, a causa della posizione di debolezza strutturale degli artisti e degli autori[68]nella contrattazione con le imprese culturali[69] per l’attribuzione dei diritti e la determinazione delle modalità di sfruttamento delle opere, indebolisce significativamente la portata dell’istituto del diritto d’autore[70], determinando altresì pregiudizi per quanto concerne l’esercizio della professione artistica, che diviene così sempre più insostenibile, con conseguenze negative tanto per la produzione autoriale, quanto per la libertà di espressione[71]. Esso consiste nel mancato riconoscimento agli autori di una parte consistente dell’aumento di valore che alcuni intermediari, attraverso le loro piattaforme, apportano alla filiera creativa dei contenuti distribuiti[72]. In rimedio, la Direttiva prevede così obblighi di trasparenza a rafforzamento della posizione negoziale dei titolari dei diritti (autori e artisti) così da poter essere adeguatamente remunerati per lo sfruttamento online dei loro contenuti da parte delle piattaforme. I titolari di queste, onde evitare di incorrere nella violazione delle norme della Direttiva, dovranno fare il possibile per ottenere un’autorizzazione; adoperarsi con ogni mezzo per assicurare che non siano resi disponibili contenuti non autorizzati; dopo la ricezione di un avviso, agire tempestivamente per rimuovere i contenuti non autorizzati; spendersi al massimo delle loro capacità per impedire un ulteriore caricamento.
Il value gap, che aveva visto gli albori quando ancora il mercato delle opere autoriali e artistiche si attestava esclusivamente entro un quadro analogico, rischia di essere acuito a causa dei rapidi mutamenti dovuti all’innovazione tecnologica[73], che rimodella i rapporti di forza tra autori e imprese[74], e con le quali è divenuto possibile immaginare nuove forme di impiego dei materiali protetti[75].
Le radici del problema in esame erano sin dalle origini individuate nell’asimmetria informativa[76] che caratterizza il mercato secondario, penalizzante per gli autori[77] che intendano ottenere una remunerazione adeguata[78], e nella prima proposta di Direttiva si proponevano rimedi specifici quali un obbligo di trasparenza, un meccanismo di adeguamento contrattuale e una procedura alternativa e calibrata di risoluzione delle controversie (agli originari artt. 14, 15 e 16)[79].
La Direttiva, nella sua versione finale, si rivolge[80] a ad autori[81] e artisti[82] che abbiano compiuto atti di disposizione di tutti o alcuni dei loro diritti esclusivi di utilizzazione economica (cedendoli o concedendoli in licenza) a favore di un terzo intermediario[83], normalmente un’impresa cultura[84], le quali appaiono più idonee a diffondere le opere sul mercato ed a raggiungere il pubblico, poiché in possesso di maggiori risorse e competenze[85]. La relazione tra le due parti contrattuale è descritta come “uno scambio cooperativo tra portatori di professionalità ed aspirazioni complementari” nella quale, pur tendendo ambedue alla diffusione dell’opera e alla massimizzazione degli introiti, i primi servono ai secondi perché essi soli hanno l’estro visionario di trasformare una forma della realtà in un’espressione artistica, mentre i secondi sono necessari ai primi poiché gli unici nella disponibilità di strumenti che convertano l’afflato artistico, fattosi materia[86], in beni e/o servizi da allocare sul mercato.
Solo nel caso della cessione i diritti vengono effettivamente trasferiti[87], mentre l’ottenimento di una licenza autorizza il licenziatario al compimento di atti ben determinati, senza che egli acquisti alcun diritto di utilizzazione.
Si è già riportato il contenuto del Considerando 72, nella parte in cui prevede che gli autori e gli artisti possano agire per il tramite di loro società[88], come nel caso di una band musicale, di un collettivo artistico, di una compagnia teatrale, di uno studio di produzione audiovisiva, di un gruppo di danza. La tutela accordata dalla Direttiva va estesa anche a questa ipotesi, giacché la costituzione in società non comporta automaticamente il conseguimento di una posizione contrattuale di maggior forza[89].
6. L’art. 18, co.1, della Direttiva 790/2019[90], che introduce una norma a tutela degli autori e degli artisti, determinando una conseguente riduzione dell’autonomia negoziale degli altri soggetti coinvolti[91], prevede il diritto dei creativi che concedono in licenza o trasferiscono i loro diritti di utilizzazione economica di ricevere una retribuzione che sia a) giusta e b) proporzionata[92]. Questa remunerazione dovrebbe rappresentare il risultato di un processo compensativo che, pur tutelando maggiormente gli autori, non comprometta in modo eccessivo e arbitrario la posizione degli intermediari[93], intendendo evitare che il raggiungimento di un maggiore equilibrio porti al paradossale effetto contrario, creando una nuova disuguaglianza, questa volta a danno degli intermediari.
Per quanto riguarda la nozione di adeguatezza e proporzionalità della retribuzione, poiché non spetta al legislatore nazionale stabilire il significato di tali termini, in base ai principi ripetutamente espressi dalla giurisprudenza delle Corti Europee, si deve ritenere che l’interpretazione debba essere uniforme per tutti gli Stati membri. Tale interpretazione deve essere effettuata esaminando il testo della legge alla luce delle intenzioni del legislatore e del contesto socioeconomico in cui essa si inserisce[94].
La scelta del termine “remunerazione” invece di “compenso” non è casuale: mentre “compenso” si riferisce all’indennità che viene pagata per compensare il danno derivante dall’uso di un’opera, in base a un’eccezione al diritto esclusivo[95], “remunerazione” implica che l’accordo negoziale tra il creatore e l’impresa culturale per la cessione dei diritti o la concessione della licenza si sia focalizzato anche sulla determinazione dell’importo specifico da corrispondere come pagamento per tale transazione.
L’uso della parola “proporzionata” a descrizione del quantum della retribuzione va compreso con riguardo alle previsioni del Considerando 73, per cui “La remunerazione degli autori e degli artisti (interpreti o esecutori) dovrebbe essere adeguata e proporzionata al valore economico effettivo o potenziale dei diritti concessi in licenza o trasferiti, tenendo conto del contributo dell’autore o dell’artista (interprete o esecutore) all’opera o altri materiali nel suo complesso come pure di tutte le altre circostanze del caso, tra cui le pratiche di mercato o lo sfruttamento effettivo dell’opera. Un pagamento forfettario può costituire una remunerazione proporzionata, ma non dovrebbe rappresentare la norma”[96]. Pertanto, non spetta agli Stati l’obbligo di stabilire che la retribuzione debba essere semplicemente adeguata alla prestazione, né che, al contrario, la proporzione menzionata debba essere sempre calcolata matematicamente in base ai ricavi ottenuti. Tuttavia, questa seconda opzione sembra, a parere di chi scrive, la più idonea a garantire che la retribuzione sia veramente adeguata[97], a maggior ragione quando i diritti vengono concessi a tempo indeterminato[98], limitando la possibilità della retribuzione forfettaria[99] ai casi in cui sia impossibile determinare la base di calcolo o effettuare i necessari controlli[100]. A questo proposito, anche il legislatore italiano, all’art. 130 della L. aut., ha previsto che “Il compenso spettante all’autore è costituito da una partecipazione, calcolata, salvo patto in contrario, in base ad una percentuale sul prezzo di copertina degli esemplari venduti.”[101]
La remunerazione deve essere adeguata[102], sì da consentire che il funzionamento del mercato della creatività sia altresì sostenibile per gli autori e gli artisti[103]. La nozione di adeguatezza resa nella Direttiva 790/2019 è volutamente ampia[104], ed elegge a parametri definitori il valore economico effettivo o potenziale dei diritti concessi in licenza o trasferiti, il contributo dell’autore o dell’artista, le pratiche di mercato[105] e lo sfruttamento effettivo dell’opera[106]. In fase di attuazione della Direttiva 790/2019, il legislatore italiano ha individuato un parametro per recepire il principio di adeguatezza e proporzionalità della remunerazione, prendendo in considerazione sia il valore dei diritti concessi in licenza o trasferiti, sia i ricavi effettivamente generati dallo sfruttamento delle opere in questione.
Strumentali all’attuazione di questo principio sono le regole operative previste dagli articoli successivi, che sono formulate in modo da rispettare la necessità di flessibilità nella scelta dei mezzi da parte degli Stati membri[107]. Questi ultimi sono tenuti, tuttavia, a conformare le proprie legislazioni in modo inderogabile al meccanismo di adeguamento contrattuale stabilito dall’art. 20, dal quale le imprese culturali non possono in alcun modo sottrarsi. Tale meccanismo si realizza attraverso il rispetto degli obblighi di trasparenza stabiliti dall’art. 19, che impongono alle parti coinvolte di garantire una comunicazione chiara e accessibile sulle condizioni di sfruttamento economico delle opere.
L’articolo 20 è stato pensato dal legislatore europeo come uno strumento obbligatorio di compensazione per tutti gli Stati membri, che rappresenta il punto di avvio per un rafforzamento della protezione dei diritti degli autori[108], in grado di risolvere le distorsioni che potrebbero influire sugli interessi stabiliti inizialmente dalle parti tramite un contratto di lunga durata per la cessione o concessione in licenza dei diritti di utilizzo. Questo succede quando l’estensione temporale degli effetti del contratto offre poche opportunità di rinegoziare i termini con le controparti o con gli aventi causa, nonostante l’incremento significativo del valore economico dei diritti[109]. In questo modo si riduce la necessità di avviare un contenzioso, sebbene l’articolo 21 preveda disposizioni in merito, stabilendo che i legislatori nazionali possano introdurre la possibilità di ricorrere a procedure alternative di risoluzione delle controversie su base volontaria, che possano essere avviate anche dagli organismi rappresentativi di autori e artisti[110].
Di grande significatività, sia ai fini della caratterizzazione del nuovo livello europeo di protezione degli autori e degli artisti, sia per l’introduzione dell’uso della tecnologia blockchain in tale ambito [111], è l’obbligo di trasparenza stabilito dall’art. 19, strettamente complementare all’esercizio del diritto previsto dall’art. 20[112]. A tal fine, infatti, il creativo, considerato la parte contrattuale più debole, deve poter ricevere un flusso costante e aggiornato di informazioni pertinenti e complete, almeno con cadenza annuale, relative allo “sfruttamento delle loro opere ed esecuzioni da parte di coloro ai quali hanno concesso in licenza o trasferito i diritti oppure da parte degli aventi causa, in particolare per quanto riguarda le modalità di sfruttamento, tutti i proventi generati e la remunerazione dovuta”[113]. In caso di contratti di sublicenza e su richiesta del soggetto interessato, dovranno altresì essere messe a disposizione “informazioni supplementari da parte dei sublicenziatari (inclusa l’identità degli stessi) qualora la loro prima controparte contrattuale non detenga tutte le informazioni necessarie”[114]. Si tratta di un contenuto di protezione minimo, destinato a garantire una trasparenza adeguata per il creativo, che consente una visibilità e un controllo sulle modalità di utilizzo dei diritti concessi[115], derogabile dai legislatori nazionali “in ragione delle specificità di ciascun settore”[116] o se, in considerazione del reale contributo dell’autore alla realizzazione dell’opera ed alla sua esecuzione, il contributo di questi non sia particolarmente significativo[117], a meno che questi non fornisca la prova del bisogno di tali informazioni per poter pienamente esercitare il diritto all’adeguamento contrattuale ex art. 20[118].
Si è notato[119] che un’efficace strategia per l’attuazione ex ante del principio di remunerazione adeguata e proporzionata, come previsto dall’art. 18, potrebbe consistere nella contrattazione collettiva tra gli organismi di rappresentanza degli autori e degli artisti e gli intermediari. Tale approccio avrebbe il vantaggio di portare alla stipula di contratti equi, che rispecchiano pienamente le esigenze di entrambe le parti, con una significativa riduzione dei costi di transazione[120]. Tuttavia, questa pratica ha finora ricevuto scarso riscontro nella prassi, a causa della reciproca diffidenza tra i soggetti coinvolti. Per poter prendere piede, dovrebbe essere oggetto di un’imposizione da parte del legislatore nazionale[121].
7. L’approccio delineato per garantire un’effettiva applicazione del principio di equa remunerazione si fonda sull’idea che la disponibilità di informazioni accurate e rilevanti consenta all’autore di ottenere una compensazione adeguata e proporzionata[122]. A tal fine, si rivela particolarmente utile il ricorso alle cosiddette “smart disclosure”, ossia modalità che permettono di rendere le informazioni fruibili in maniera elettronica e automatizzata. Questa pratica si caratterizza per la semplicità e immediatezza di accesso ai dati, generalmente forniti in formati standardizzati e digitali, così da assicurare una trasmissione uniforme e facilmente interpretabile.
Si cominciano a intravedere i possibili utilizzi della blockchain per consentire la corretta remunerazione agli autori, soprattutto grazie alla possibilità di mantenere un flusso continuo e aggiornato di informazioni sugli utilizzi delle opere. Come già sottolineato in precedenza, un’infrastruttura di rete basata sulla blockchain permette di replicare istantaneamente le informazioni inserite in un blocco, che poi vengono validate e distribuite in ogni registro tenuto dai nodi della rete. Questo meccanismo potrebbe offrire una soluzione efficace per monitorare e tracciare l’uso delle opere in tempo reale, garantendo trasparenza e correttezza nei pagamenti verso i creativi. La blockchain ha il potenziale per supportare i creativi nella gestione dei diritti economici relativi alle loro opere. Come già evidenziato, gli autori solitamente non possiedono né le competenze professionali né le risorse economiche necessarie per gestire in modo autonomo e su larga scala i loro diritti. A questo provvedono intermediari come le collecting societies e le imprese culturali, con cui gli autori stipulano contratti di concessione dei diritti o licenze e attribuiscono il permesso di vendere, distribuire, riprodurre l’opera, lasciando loro il compito di gestire tutti gli aspetti economici legati all’opera.
Per prima cosa, occorre valutare la possibilità di creare un contratto di licenza tramite un linguaggio informatico, utilizzando uno smart contract. Dal punto di vista tecnico, il processo si sviluppa attraverso vari passaggi: lo smart contract viene scritto in un linguaggio di programmazione specifico e, grazie alla sua natura immutabile, deve già includere tutte le variabili e funzioni necessarie, come i termini della licenza, gli importi da versare, le modalità di pagamento delle royalties, la durata del contratto (con opzioni di rinnovo o di disdetta, come una funzione kill), le condizioni per l’attivazione del contratto tramite il trigger if-then, e l’eventuale utilizzo di un oracolo per connettere informazioni esterne alla blockchain. Dopo aver completato la redazione, lo smart contract viene integrato in un blocco, che, una volta validato, si unisce alla rete. Questo approccio garantisce che i pagamenti avvengano in tempo reale e senza possibilità di inadempimento, riducendo i costi legati alle transazioni e limitando la necessità di un intermediario.
Portando il ragionamento a un livello superiore, l’autore potrebbe gestire i suoi diritti in modo indipendente, senza dipendere da terzi, semplicemente caricando un token sulla blockchain che rappresenta l’opera e collegandogli uno smart contract. In questo modo, l’autore stabilisce condizioni d’uso e compensi, rendendo il contratto accessibile a più utenti. Questo permetterebbe una gestione semplificata dei diritti di licenza e l’automazione dei pagamenti in criptovaluta, che verrebbero accreditati direttamente nel suo portafoglio digitale ogni volta che un utente acquista il diritto di utilizzo dell’opera.
Oltre ai benefici economici che l’uso degli smart contract può portare all’autore per l’automatizzazione dei contratti di licenza, dal punto di vista giuridico sorgono due principali criticità[123]. La prima riguarda l’applicazione della legge sui contratti di licenza, che deve essere determinata secondo quanto stabilito dal Regolamento Roma I[124] e in conformità con l’articolo 57 della Legge 218/1995[125], il quale rinvia alla Convenzione di Roma del 1980[126]. Questa convenzione prevede che il criterio di collegamento prevalente sia quello della lex contractus[127], ossia la legge dello Stato in cui si trova la parte obbligata alla prestazione principale del contratto, al momento della sua conclusione. Nel caso specifico di un contratto di licenza, tale parte è il licenziante, che si impegna a garantire al licenziatario il diritto di usufruire del bene licenziato secondo le condizioni concordate, in linea con le clausole contrattuali stabilite[128].
La seconda problematica riguarda l’assenza di una forma scritta ad probationem per gli smart legal contract. In ambo i casi, le difficoltà derivano dall’adattamento del modello informatico alle tradizionali categorie giuridiche, in particolare per quanto riguarda l’identificazione del licenziante[129]. Infatti, come già sottolineato, l’autore potrebbe caricare la sua opera sulla blockchain restando anonimo o utilizzando uno pseudonimo. Pertanto, per garantire la protezione giuridica e usufruire dei diritti riconosciuti dalla legge, l’autore dovrebbe preferire l’utilizzo di una blockchain permissioned (privata) o, in alternativa, di un modello ibrido che combini i vantaggi delle blockchain permissioned e permissionless[130]. Tuttavia, tale problema giuridico sorgerebbe solo quando le parti intendano stipulare un contratto di licenza direttamente tramite smart contract. Se, invece, lo smart contract fosse utilizzato solo per dare esecuzione a un contratto già concluso off-chain tra soggetti di cui l’identità è già nota, non sorgerebbero problematiche legali.
Nei paragrafi precedenti è stato messo in evidenza che l’intervento del legislatore europeo con la direttiva 790/2019 nasce dalla necessità di contrastare le problematiche derivanti dalla posizione di svantaggio contrattuale degli autori e dalla scarsità di informazioni sullo sfruttamento dei diritti ceduti a intermediari. La normativa ha cercato di affrontare queste difficoltà introducendo misure come l’obbligo per gli intermediari di fornire informazioni adeguate ai creativi, il meccanismo di compensazione post-operativa e la possibilità di ricorrere a una risoluzione alternativa delle controversie (ADR). Nonostante questi provvedimenti, che sono sicuramente positivi, la loro formulazione ampia e poco dettagliata, insieme alla dipendenza da parametri di calcolo legati al mercato e dall’aggiornamento costante dei dati, non riesce a garantire completamente l’eliminazione di squilibri contrattuali o l’adeguatezza delle royalties che gli autori ricevono[131].
Il ricorso alla tecnologia blockchain potrebbe, in teoria, risolvere il problema della gestione dei diritti d’autore eliminando la necessità di intermediari, permettendo agli autori di esercitare direttamente i loro diritti. Oltre alla possibilità di trasferire la proprietà dell’opera o di costituire diritti reali su di essa tramite il processo di minting e la generazione di NFT non-fungible tokens, si contempla l’idea che sia l’autore stesso a gestire i propri diritti economici in maniera autonoma. Ciò è possibile grazie alla distribuzione e decentralizzazione della rete, che elimina le difficoltà tradizionali nell’interfacciarsi con i tanti attori del mercato dei contenuti creativi.
Immaginiamo, ad esempio, che un artista voglia ricevere un compenso ogni volta che qualcuno visualizzi la sua opera, o ottenere royalties in caso di riproduzione, distribuzione, esibizione o vendita dell’opera stessa. Tradizionalmente, soprattutto nella distribuzione su larga scala, l’autore non avrebbe né il tempo né le risorse per gestire ogni interazione con gli utenti finali. Di solito si affida a una collecting society o a un’impresa culturale per la gestione dei diritti di riproduzione e distribuzione, ricevendo una percentuale di royalties che talvolta solleva dubbi riguardo alla sua adeguatezza.
Con l’uso della blockchain, questo sistema potrebbe subire un cambiamento radicale. L’artista potrebbe tokenizzare la sua opera, generando un NFT da esporre in un marketplace. Ad ogni NFT verrebbe associato uno smart contract che regolamenta la fruizione dell’opera. Ogni volta che un utente decidesse di visualizzare il contenuto, sottoscriverebbe lo smart contract, completando l’acquisto. Il processo di esecuzione del contratto attiverebbe il trasferimento dell’NFT nel wallet dell’acquirente, che pagherebbe l’autore in criptovaluta, senza la necessità di intermediari. L’autore avrebbe così la possibilità di esercitare direttamente e personalmente i propri diritti, raccogliendo i compensi che ha precedentemente stabilito per ogni transazione anche se questi fossero minimi, poiché l’eliminazione dei costi transazionali, che in altri casi renderebbero sconveniente il pagamento, consentirebbe che la remunerazione resti comunque conveniente[132]. C’è un ulteriore vantaggio: l’NFT non sarebbe solo rappresentativo del bene, ma anche di uno o più diritti economici legati a tale bene. Lo smart contract, quindi, potrebbe fungere da contratto giuridico-informatico per la concessione di questi diritti, autorizzando l’acquirente a rivendere il token. Grazie alla registrazione del token sulla blockchain, al relativo smart contract e alla possibilità di monitorare ogni transazione tramite un explorer, l’autore originale potrebbe ricevere automaticamente e immediatamente le royalties per ogni successivo trasferimento del token. In questo modo, se il primo acquirente vendesse l’NFT al secondo, quest’ultimo continuerebbe a possedere il diritto di utilizzo associato al token, che rimarrebbe un diritto inerente al corpus mysticum, consentendo così all’autore di continuare a ricevere compensi[133]. Poiché l’autore avrebbe accesso a tutte le informazioni riguardanti i successivi trasferimenti dell’NFT, potrebbe adattare la royalty inizialmente stabilita nello smart contract all’eventuale aumento del valore del token. Tuttavia, è importante sottolineare che uno smart contract di questo tipo comporterebbe una complessità maggiore, sia nella sua redazione che nella sua esecuzione corretta. Per implementarlo sarebbe necessario ricorrere all’utilizzo di oracoli, che sono sì in grado di acquisire e riferire dati esterni alla blockchain, ma con un aumento del rischio di errori.
8. Nelle sezioni precedenti si è esaminato come la tecnologia blockchain possa supportare gli autori e gli artisti nell’esercizio dei loro diritti. Questi ultimi, che già prima dell’era digitale affrontavano le conseguenze negative del plagio delle loro opere e subivano il predominio contrattuale ed economico degli intermediari e degli operatori del settore artistico, si trovano oggi ancor più vulnerabili nell’era tecnologica, che ha portato a cambiamenti radicali nei processi di produzione, distribuzione e fruizione delle opere protette[134]. Le radici delle fonti del diritto d’autore, sia nazionali che internazionali, risalgono a un’epoca che, in ragione dei rapidi progressi tecnologici degli ultimi decenni, appare più distante di quanto effettivamente sia. La possibilità di smaterializzare il corpus mechanicum di un’opera, sostituendolo con una sua riproduzione digitale, ha modificato la base su cui poggiava la protezione dei diritti d’autore, originariamente fondata sulla tangibilità del bene. Questo ha spinto i giuristi a interrogarsi sull’efficacia dei tradizionali modelli di tutela e sulla necessità di svilupparne di nuovi. In risposta a questi problemi, molti hanno visto nella tecnologia blockchain una potenziale soluzione. Da registro decentralizzato, capace di estendere la pubblicità-notizia del deposito dell’opera oltre i confini nazionali, a strumento per certificare l’autenticità delle opere, la loro provenienza, il controllo sui passaggi di proprietà e la gestione della circolazione frammentata dei diritti patrimoniali, la blockchain è stata considerata come il nuovo paradigma per restituire il controllo delle opere protette a coloro che sono i protagonisti di questa industria altamente lucrativa: i creativi.
Ogni soluzione proposta, tuttavia, comporta dei rischi giuridici legati a possibili ostacoli normativi. Già si è discusso delle limitazioni delle certificazioni su blockchain e delle difficoltà che sorgono quando si cerca di consentire agli autori di percepire direttamente le royalties e di esercitare pienamente il loro diritto di seguito, poiché ciò dipende dalla definizione di un’adeguata architettura informatica. Inoltre, è fondamentale porsi la questione su cosa accadrebbe qualora la suddivisione e distribuzione dei diritti economici, tokenizzati attraverso la blockchain, avvenissero senza considerare la necessaria flessibilità e complementarietà di tali diritti e delle relative facoltà[135], per cui alcune potrebbero non essere state trasferite, ma continuerebbero a costituire un presupposto imprescindibile per l’esercizio delle altre. In tal senso, è fondamentale garantire che la tokenizzazione e la distribuzione dei diritti siano strutturate in modo da preservare questa interdipendenza tra le diverse facoltà di utilizzo, evitando che l’assegnazione parziale o frammentata dei diritti possa compromettere l’integrità complessiva dell’opera e dei suoi diritti patrimoniali.
Un altro aspetto importante riguarda la modalità con cui rappresentare in modo crittografico l’insieme delle posizioni giuridiche soggettive connesse al diritto d’autore, ma che sono spettanti a soggetti diversi dal titolare principale del diritto. Si tratta di una questione complessa, che implica la gestione e il riconoscimento di diritti come quelli degli artisti interpretativi ed esecutori, dei produttori di fonogrammi, dei produttori di opere cinematografiche e delle emittenti. Ciascuno di questi soggetti ha specifici diritti, come quelli di autorizzazione, di controllo sulla riproduzione e di supervisione sulla distribuzione, oltre ai diritti di sfruttamento commerciale legati alla propria attività.
Nel contesto della blockchain, questo ensemble di diritti potrebbe essere rappresentato da un sistema di token che attribuisca in modo trasparente e tracciabile la quota di ciascun soggetto coinvolto nella creazione, produzione, e distribuzione dell’opera. Ogni parte potrebbe essere associata a un “token” specifico, che rappresenta non solo il diritto economico, ma anche il diritto a ricevere le relative royalties. Attraverso l’utilizzo di smart contract, sarebbe possibile programmare la distribuzione automatica delle royalties ogni volta che un’opera viene riprodotta, distribuita o sfruttata, assicurando che ciascun soggetto coinvolto riceva la sua parte in modo diretto e senza necessità di intermediari[136]. Ma come potrebbe essere garantita la protezione per gli altri soggetti coinvolti, se l’autore avesse agito in modo autonomo per registrare e gestire i propri diritti attraverso la blockchain, utilizzando NFT per rappresentare tali diritti e smart contractsper garantirne l’esecuzione automatica? Non sarebbe possibile aggiungere, in un secondo momento, una clausola che tuteli questi soggetti, né basarsi semplicemente su un accordo off-chain, poiché ciò creerebbe una disparità inaccettabile. Inoltre, cosa accadrebbe se l’autore avesse concesso più volte la stessa licenza esclusiva, sia sulla blockchain che in ambito off-chain? Quale contratto dovrebbe prevalere e quale perdere di validità?
Ulteriormente, e più in generale, come si può garantire l’applicazione della garanzia per vizi prevista dall’art. 1490 c.c. se il contenuto dell’NFT venduto non corrispondesse a quanto indicato nel contratto? Come proteggere il pieno esercizio della proprietà di un’opera acquistata tramite NFT, se quest’ultima fosse poi rimossa dal cloud da parte del gestore della piattaforma, riducendo il token a una sequenza di numeri senza valore? E infine, come affrontare le ripetute violazioni del diritto d’autore da parte di chi, non essendo titolare del diritto, crea una copia dell’opera, ne genera un NFT in una rete permissionless, rendendolo difficile da identificare, e riceve compensi ogni volta che viene violato il diritto d’autore grazie a uno smart contract?
La realtà è che non esiste una soluzione univoca a tutte queste problematiche. Il corretto esercizio e la tutela del diritto d’autore saranno possibili solo in ambienti che, pur essendo distribuiti, siano (semi) controllati. Non si possono ottenere gli stessi risultati in una blockchain public e permissionless. Per garantire la legalità, sarà necessario operare all’interno di un contesto in cui le norme giuridiche, che sono le unità fondamentali del sistema del diritto[137], possano effettivamente esercitare la loro forza precettiva e non restare semplici enunciati teorici. In conclusione, la blockchain non rappresenta una “soluzione universale” per tutti i problemi del settore dell’arte[138], ma piuttosto uno strumento efficace ed ambivalente, che potrà proteggere gli autori da chi tenta di abusare dei loro diritti solo se utilizzata correttamente e con la giusta strategia.
[1]V. Trib. Roma, 15 maggio 2017, (in Foro italiano, 2017, I, p. 3772); C. App. Milano, 11 dicembre 2002, (in Foro italiano, 2003, voce Consulente tecnico, n. 14, e in Diritto industriale, 2003, p. 577), con nota di G. Frezza, Arte e diritto tra autenticazione ed accertamento, Napoli, 2019 che, nella ricerca dell’adeguata tutela da riconoscere all’acquirente di un’opera successivamente riconosciuta come falsa, richiama P. Perlingieri, Il “giusto rimedio” nel diritto civile, in Il giusto processo civile, 2011, p. 1 ss. e G. Perlingieri, Profili applicativi della ragionevolezza nel diritto civile, Napoli, 2015, p. 4 ss. Ancora sulla ricerca di rimedi, v. R. Calvo, In tema di errore sull’autenticità dell’opera d’arte, nota a Cass., 2 febbraio 1988, n. 985, in I contratti, 1988, p. 441. Ha chiarito che, nell’ambito di un procedimento di cognizione, l’azione di mero accertamento deve mirare alla protezione di un diritto già esistente di fronte a un rischio concreto e non può essere utilizzata per comprovare una semplice situazione di fatto – con conseguente inammissibilità di un’azione di accertamento che, in via principale, abbia come obiettivo la dimostrazione della paternità di un’opera- Cass., 30 ottobre 2017, n. 28821 in Foro italiano, 2018, I, 1, c. 167 (commenta l’orientamento dei giudici di legittimità G. Frezza, op. cit., p. 81 e 82); ancora, sulle pronunce testé richiamate, si rinvia a E. Damiani, Questioni in tema di diritto della circolazione di opere d’arte: i casi de Chirico, in Rivista di diritto delle arti e dello spettacolo, fasc. 02/2020, p. 93.
[2] V. L. Zamparo, È falso! Il tema della falsificazione delle opere d’arte in The Journal of Cultural Heritage Crime, 8 luglio 2022, disponibile all’indirizzo: https://www.journalchc.com/2022/07/08/e-falso-il-tema-della-falsificazione-delle-opere-darte/#:~:text=Inoltre%2C%20i%20dati%20forniti%20dal,circa%20570%20milioni%20di%20beni, che riporta alcuni dati significativi nel descrivere l’effettiva portata del problema: nella relazione sull’ Attività operativa 2021 del Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale è emerso che in Italia, nel decennio precedente, sono state denunciate 671 persone per illecita esportazione illecita e 2320 per contraffazione di opere d’arte, con conseguente sequestro di oggetti che, se trafficati illecitamente, avrebbero comportato al mercato dell’arte un danno economico superiore ai 5 miliardi di euro.
[3] Sul problema della poca trasparenza nella condivisione di informazioni, pregiudizievole tanto per l’acquirente quanto per l’artista che voglia esercitare pienamente i propri diritti si rinvia a M. Bertani, Impresa culturale e diritti esclusivi, Milano, 2000, p. 464.
[4] Il divario economico, noto come “value gap,” che separa gli artisti dalle industrie culturali, è diventato un problema centrale, tanto da spingere il legislatore europeo a intervenire con la Direttiva 790/2019. Tale direttiva si prefigge di riequilibrare le dinamiche del mercato, stabilendo regole volte a garantire agli autori e agli interpreti una remunerazione proporzionata e adeguata all’utilizzo delle loro opere. Nel Considerando (72) della Direttiva 790/2019 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019, relativa alla disciplina del diritto d’autore e dei diritti connessi nel mercato digitale, si evidenzia che gli autori e gli artisti spesso si trovano in una posizione contrattuale sfavorevole quando cedono o concedono in licenza i propri diritti per lo sfruttamento economico delle opere. Questa condizione rende necessaria una tutela specifica per garantire loro una corretta valorizzazione economica dei diritti armonizzati nell’ambito dell’Unione Europea. Tuttavia, la protezione non si applica nei casi in cui il contraente sia un utente finale che utilizza l’opera per fini non commerciali, come avviene in alcune tipologie di contratti lavorativi.
[5] Si menziona, tra i molti, il progetto Monnalisa, frutto della collaborazione tra la Fondazione del Notariato e IBM, e la creazione del Certificato Digitale delle opere d’arte da parte dell’azienda svizzera ArtID. Quest’ultimo rappresenta un “riferimento eccezionale per tutti i possessori delle opere”, garantendo “una totale trasparenza”. Il sistema di ArtID consente di archiviare digitalmente le informazioni e le immagini delle opere, corredate dal certificato digitale creato direttamente dall’artista. Grazie alla tecnologia blockchain, queste informazioni sono protette contro qualsiasi modifica, ma possono essere condivise e aggiornate. Inoltre, il certificato digitale tutela l’artista da eventuali falsificazioni. Come dichiarato da Stefano Vablais, fondatore di ArtID, la blockchain garantisce una sicurezza senza precedenti per l’autenticità delle opere (Ansa, ArtID lancia token per certificare opere, 31 ottobre 2018, consultabile all’indirizzo https://www.ansa.it/industry_4_0/notizie/news/2018/10/31/artid-lancia-token-per-certificare-opere_361718c5-9265-4c49-be41-f7a1908f4798.html). Anche la start-up milanese Art Rights ha sviluppato il “passaporto dell’opera d’arte”, un sistema innovativo per convalidare l’autenticità, la provenienza e la due diligence delle opere tramite la validazione delle informazioni da parte di professionisti. La piattaforma, che assicura completa privacy, sicurezza e valenza legale, utilizza tecnologie avanzate come la blockchain per garantire la validità delle informazioni tramite time stamping. Inoltre, si avvale di una rete neurale di intelligenza artificiale per la verifica dell’autenticità, l’analisi di mercato e la gestione delle collezioni, offrendo anche un servizio di ArtConcierge in collaborazione con i principali attori del mercato. Andrea Concas, fondatore e CEO di Art Rights, ha sottolineato come queste tecnologie contribuiscano a dare maggiore fiducia al mercato dell’arte.
[6] A. Torrente, P. Schlesinger, Manuale di diritto privato, XXVI, Milano, 2023, p. 190.
[7] M. Are, Beni immateriali in Enciclopedia del diritto, V, Banca- Can, Milano, 1959, p. 250 ss.
[8] P. Greco, I diritti sui beni immateriali, Torino, 1948, p. 5.
[9] M. Are, cit., p. 253: “Il pensiero, così esternato e fissato, si contrappone alla materia, la supera e (…) tende all’eternità”.
[10] T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e dei beni immateriali, Milano, 1957, p. 246; M. Are, cit., p. 256, per cui ogni creazione intellettuale acquisisce valore economico solo quando viene concretizzata, ovvero quando diventa accessibile attraverso un supporto materiale, regolato da una disciplina separata. L’esclusiva del titolare del diritto sul bene immateriale influisce direttamente sulla realizzazione di tale supporto. È grazie a questa esclusiva che si genera, seppur indirettamente, il valore economico del bene immateriale, creando così una possibilità di guadagno.
[11] A. Gambaro, Ontologia dei beni e jus excludendi in www.comparazionedirittocivile.it, p. 9 ss.
[12] Le pronunce cui si fa riferimento sono la 108/1995, la 25/1968 e la 65/1972; in dottrina v. V. M. De Sanctis, Il diritto di autore. Del diritto di autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche. Artt. 2575-2583 in F. Busnelli (a cura di) Commentario al codice civile, Milano, 2012, p. 101.
[13] V. M. De Sanctis, cit. p. 39-41.
[14] Sul punto, a più riprese, è tornato il giudice di legittimità: v. Cass., 8 novembre 2022, n. 32871; Cass., 27 luglio 2021, n. 21564; Cass., 15 giugno 2022, n. 19335; Cass., 29 maggio 2020, n. 10300.
[15] P. Auteri, in AA.VV., Diritto industriale, Torino, 2023, p. 500.
[16]V. M. De Sanctis, cit. p. 42; P. Greco, P. Vercellone, I diritti sulle opere dell’ingegno, Torino,1974, p. 36.
[17]P. Greco, P. Vercellone, cit. p. 37: “il carattere creativo, insito nella elaborazione, è la discriminazione fra opere protette e non protette, che quando conservano un importante collegamento con l’opera originale, saranno pur sempre opere derivate per le quali ai sensi dell’art. 18 L. aut. è necessario, per essere utilizzate e pubblicate, il consenso dell’autore dell’opera originale”,
[18] Per completezza, si segnala che le opere cinematografiche e audiovisive e i programmi per elaboratore devono essere iscritti presso specifici registri separati, rispettivamente il Registro pubblico delle opere cinematografiche e audiovisive istituito, dal 2016, presso il Ministero della cultura, ed il Registro detenuto dalla Società Italiana degli Autori e degli Editori (S.I.A.E).
[19]Cass. civ., 19 maggio 2016, n. 10333.
[20] L’assenza di formalità costitutive è stata tradizionalmente spiegata come una scelta dettata dalla necessità di evitare forme di censura. In passato, infatti, un esame preventivo del contenuto dell’opera avrebbe potuto consentire di vietarne la pubblicazione, giustificando tale veto con la necessità di tutelare l’ordine costituito, a seconda dei casi percepito come esigenza dello Stato o del Sovrano.
[21] Cass. 14 marzo 2001 n. 3072.
[22] Cass. 8 luglio 1998 n. 6674; App. Milano 23 gennaio 2001.
[23] App. Milano 16 luglio 1999.
[24] Risoluzione del Parlamento europeo del 3 ottobre 2018 sulle tecnologie di registro distribuito e blockchain: creare fiducia attraverso la disintermediazione (2017/2772(RSP)) DLT, decentramento e applicazioni, n. 22, consultabile all’indirizzo: https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52018IP0373.
[25] WIPO, WIPO summary of the responses to the questionnaire for survey on copyright registration and deposit systems, 2010.
[26] Art. 103, co.5, L. aut.: “La registrazione fa fede, sino a prova contraria della esistenza dell’opera e del fatto della sua pubblicazione. Gli autori e i produttori indicati nel registro sono reputati, sino a prova contraria, autori o produttori delle opere che sono loro attribuite. Per le opere cinematografiche la presunzione si applica alle annotazioni del registro indicato nel secondo comma”.
[27] E. Bufano, Blockchain e mercato delle opere di interesse artistico: piattaforme, nuovi beni e vecchie regole in Aedon, n. 2, 2021, p. 103, consultabile all’indirizzo https://aedon.mulino.it/archivio/2021/2/bufano.htm#5 sostiene che “Diversamente opinando, verrebbe a consentirsi una notarizzazione per mezzo di sistemi posti nel controllo esclusivo dell’impresa proprietaria della piattaforma” e che a pag. 106 aggiunge “Un ulteriore aspetto da notare nel funzionamento di queste piattaforme – e si tratta di una peculiarità di blockchain – è la disintermediazione dovuta al fatto che l’utente liberamente confeziona il record destinato ad essere certificato nei blocchi dal concorso dei nodi, senza che particolari enti pubblici o privati, expertise di settore, pubblici ufficiali, intervengano ad asseverare quanto introdotto nel registro.”
[28] Il regolamento (UE) n. 910/2014 all’art. 41, co.1, dispone quanto segue: “Alla validazione temporanea elettronica non possono essere negati gli effetti giuridici e l’ammissibilità come prova in procedimenti giudiziali per il solo motivo della sua forma elettronica o perché non soddisfa i requisiti della validazione temporanea elettronica qualificata” e al co.2 prosegue: “Una validazione temporale elettronica qualificata gode della presunzione di accuratezza della data e dell’ora che indica e di integrità dei dati ai quali tale data e ora sono associate.” In dottrina, v. F. Faini, Blockchain e diritto: la “catena del valore” tra documenti informatici, smart contracts e data protection, in Responsabilità civile e previdenza, 2020, 1, pag. 297, spec. 304 ss.
[29] Nonostante la modulistica per la registrazione preveda la possibilità di utilizzare uno pseudonimo, le generalità del richiedente devono comunque essere fornite in conformità con l’art. 31 del R.D. 18 maggio 1942, n. 1369 – Regolamento per l’esecuzione della L. 22 aprile 1941, n. 633, per la protezione del diritto d’autore e di altri diritti connessi al suo esercizio (r.e.).
[30] Fatto che contribuisce al fenomeno del c.d. “blockchain air gap”, che descrive la potenziale difformità tra il dato rappresentato in blockchain e la realtà sottostante. In ordine alla veridicità del dato, si intuisca la differenza circa la sua attendibilità a seconda che sia stato caricato da un utente identificatosi o da uno che abbia preferito rimanere nello pseudoanonimato.
[31]Cass. 4 febbraio 2021, n. 2612, in Italgiure. In dottrina v. E. Bufano, cit., p. 103.
[32] V. Cass. 14 settembre 1999, n. 9782, in Mass. Giust. civ., 1999, p. 1968, per cui “la buona fede rilevante, ai sensi dell’art. 1153 c.c., per l’acquisto a non domino della proprietà di beni mobili, deve ricorrere in capo all’acquirente al momento dell’acquisto (mala fides superveniens non nocet) e la relativa presunzione di sussistenza, può essere vinta in concreto anche tramite presunzioni semplici, le quali siano gravi, precise e concordanti e forniscano, in via indiretta (com’è normale, trattandosi di accertare l’esistenza o meno di uno stato psicologico), il convincimento della esistenza in capo all’acquirente del ragionevole sospetto di una situazione di illegittima provenienza del bene. Gli elementi sui quali si possono fondare dette presunzioni possono essere costituiti (oltre che da circostanze coeve) anche da circostanze estrinseche precedenti all’acquisto. (Nel caso di specie, riguardante l’acquisto del dipinto “Natura morta con pesci” di De Chirico, avvenuto durante un’asta da Sotheby’s dopo che l’opera era stata rubata dalla casa della proprietaria, la Corte di Cassazione ha ritenuto corretta la decisione del giudice di merito che, basandosi su presunzioni, ha concluso che l’acquirente fosse in una condizione di sospetto circa la legittima provenienza del dipinto, escludendo quindi la sua buona fede. La Corte ha argomentato che, essendo l’acquirente un gallerista ed esperto d’arte, con una profonda conoscenza delle opere di De Chirico — comprovata da varie circostanze come la sua collezione di opere dell’artista, la scrittura della prefazione di una mostra a lui dedicata, e una lettera ricevuta direttamente da De Chirico — avrebbe potuto verificare se il dipinto fosse tra quelli al centro delle indagini penali legate al furto)”.
[33] Cass. 20 gennaio 2017, n. 1593, in Italgiure, di cui si riporta la massima: “La buona fede che rileva, ex art. 1153 c.c., ai fini dell’acquisto della proprietà di beni mobili “a non domino”, corrisponde a quella di cui all’art. 1147 c.c., sicché, ai sensi del comma 2 di quest’ultima norma, essa non è invocabile da chi compie l’acquisto ignorando di ledere l’altrui diritto per colpa grave, che ricorre quando quell’ignoranza sia dipesa dall’omesso impiego, da parte dell’acquirente, di quel minimo di diligenza, proprio anche delle persone scarsamente avvedute, che gli avrebbe permesso di percepire l’idoneità dell’acquisto a determinare la lesione dell’altrui diritto, poiché “non intelligere quod omnes intellegunt” costituisce un errore inescusabile, incompatibile con il concetto stesso di buona fede. Nella specie, la S.C. ha escluso la buona fede nell’acquisto di dipinti antichi di provenienza illecita da parte di un professionista del settore che, non usando la dovuta prudenza, si era accontentato della dichiarazione mendace del venditore di aver acquistato i beni ad un’asta fallimentare, senza chiedere il verbale di aggiudicazione delle opere, nonostante il loro elevatissimo valore”.
[34] Per una più dettagliata disamina dei profili giuridici riconnessi alla creazione e alla circolazione di NFTs v. G. Vulpiani, Non-Fungible Tokens: An Italian Private Law Perspective in The Italian Law Journal, 1, 2023, consultabile all’indirizzo https://theitalianlawjournal.it/data/uploads/9-italj-1-2023/363-vulpiani.pdf.
[35] E. Bufano, cit., che richiama R. O’Dwyer, Limited edition: Producing artificial scarcity for digital art on the blockchain and its implications for cultural industries, in Convergence: The International Journal of Research into New Media, 2020, Vol. 26(4) 874-894.
[36] L. Marchegiani, Non Fungible Tokens e diritto d’autore in Rassegna di diritto della moda e delle arti, fasc.1, 2023, p. 42; G. Frezza, Arte e diritto tra autenticazione ed accertamento, Napoli, 2019, p. 44, p. 64, secondo il quale la dichiarazione di autenticazione può essere considerata come una dichiarazione tecnica fatta da un esperto, il quale, se dovesse agire con negligenza, potrebbe essere ritenuto responsabile per il mancato adempimento; Id., op. cit., p. 132, evidenzia il bisogno di fornire all’acquirente la dichiarazione di autenticità è cruciale, in quanto tale dichiarazione gli consente di disporre di tutte le informazioni necessarie per compiere l’acquisto in modo pienamente consapevole e volontario. Questi elementi contribuiscono significativamente a rafforzare il principio di sicurezza nella circolazione delle opere, garantendo maggiore fiducia e trasparenza nelle transazioni. Sulla “prestazione di sicurezza” v. E. Damiani, Contratto di assicurazione e prestazione di sicurezza, Milano, 2008, spec. p. 145 e ss.; sulla facoltà di autentica spettante all’autore quale atto di esercizio del diritto morale v. A. Barenghi, L’attribuzione di opere d’arte. Vero o falso? in Il Corriere Giuridico, fas. 08-09, 2019, p. 1093-1106.
[37] A. Guaccero, G. Sandrelli, Non-Fungible Tokens (NFTs), in Banca borsa, titoli di credito, 2022, p. 863.
[38] La creazione di un NFT da parte di una persona diversa dall’autore o dal titolare del diritto di riproduzione configura una violazione dell’articolo 13 della Legge sul diritto d’autore. Secondo la dottrina, come evidenziato da
V. M. De Sanctis, cit., p. 348, tutte le operazioni digitali non autorizzate dal titolare dei diritti possono costituire violazioni. In particolare, la traduzione di un’opera da formato analogico a digitale potrebbe violare il diritto esclusivo di trascrizione (art. 14 L. aut.), il diritto esclusivo di elaborazione (art. 18 L. aut.) e il diritto morale all’integrità dell’opera (art. 20 L. aut.). Le attività online e offline sono legittime solo se autorizzate dai titolari tramite licenze come quelle Creative Commons o copyleft, che consentono di registrare, scambiare, scaricare o modificare liberamente le opere, a seconda del tipo di licenza. Per quanto riguarda le violazioni online, la difficoltà risiede nell’identificare i responsabili e nel determinare la legge applicabile. La tutela del diritto d’autore è stata modificata dal D.Lgs. 140/2006, che ha introdotto la responsabilità degli intermediari i cui servizi sono utilizzati per violare il diritto d’autore. In particolare, un intermediario che non rispetta le norme del D.Lgs. 70/2003, per attività di mera trasmissione (art. 14), memorizzazione temporanea (art. 15), e hosting (art. 16), può essere considerato responsabile se l’attività avviene a scopo di lucro. Per i fornitori di hosting, la responsabilità sorge se l’intermediario è consapevole dell’illegalità dell’attività o dell’informazione, ma anche in assenza di tale consapevolezza, se la illiceità risulta evidente. È possibile intraprendere un’azione inibitoria contro le violazioni, ma chi agisce deve dimostrare di avere il diritto legittimo all’azione e provare la violazione, l’entità del danno e il nesso causale tra danno e violazione del diritto d’autore (Cass. 14 marzo 2001 n. 3072; Cass. 8 luglio 1998 n. 6674; App. Milano 23 gennaio 2001.
[39] Nel caso specifico, ciò che sarebbe stato alienato è il diritto di distruggere l’opera d’arte, un aspetto che rientra nel diritto morale d’autore. In base all’ordinamento italiano, tale diritto è inalienabile. Negli ordinamenti di common law esiste la possibilità di trasferire tale diritto, se previsto dalla legislazione locale. Nella vicenda in questione, la fondazione che ha cercato di vendere tale diritto ha sede a New York e pertanto è soggetta alla normativa statunitense, che consente l’alienazione del diritto di distruzione dell’opera. Tuttavia, è importante sottolineare che, nonostante la possibilità prevista dalla legge, nella realtà dei fatti il trasferimento di tale diritto non è avvenuto.
[40] Questo scenario potrebbe verificarsi, ad esempio, se si riuscisse a sviluppare una blockchain che funzioni come registro del diritto d’autore, simile a quello previsto dall’art. 103 della Legge sul diritto d’autore. Tuttavia, una soluzione più realistica e attuale potrebbe essere che siano gli stessi marketplace di vendita di NFT ad adottare misure specifiche per verificare l’identità del creatore del token e la sua legittimazione rispetto all’opera associata. In tal caso, potrebbero essere implementate procedure di Know Your Customer (KYC), oppure si potrebbero utilizzare firme digitali verificate, integrare strumenti di identità decentralizzata nelle piattaforme, stipulare partnership con enti certificatori di terze parti, o ancora adottare tecniche di fingerprinting digitale per creare un’impronta unica dell’opera. Tali misure contribuirebbero ad accrescere la trasparenza e l’affidabilità della registrazione e dello scambio delle opere d’arte digitali attraverso gli NFT.
[41] AGI, Un’opera “digitale” è stata venduta all’asta per 69,3 milioni di dollari, 2021 consultabile all’indirizzo https://www.agi.it/cultura/news/2021-03-12/opera-digitale-beeple-venduta-asta-69-milioni-dollari-11736373/. La cryptoart sta raggiungendo traguardi impressionanti; il progetto “The Next Rembrandt” ne rappresenta un esempio visionario, esplorando le potenzialità delle tecnologie digitali nella creazione artistica. Collaborando con Microsoft, ING, l’Università Tecnica di Delft e altri, è stato sviluppato un algoritmo di deep learning per analizzare le opere di Rembrandt e generare un nuovo dipinto ispirato al suo stile. Questo esperimento ha comportato una raccolta massiva di dati dalle opere originali del maestro olandese, sfruttando tecniche avanzate come la scansione 3D per studiare minuziosamente i dettagli visivi. Il risultato finale è un quadro che riflette i tratti distintivi delle opere di Rembrandt, come l’età, il genere e l’abbigliamento del soggetto ritratto.
Tuttavia, “The Next Rembrandt” solleva questioni giuridiche complesse riguardo alla paternità e al diritto d’autore dell’opera. Se l’intelligenza artificiale e l’algoritmo sono stati gli strumenti creativi, la domanda diventa: a chi appartiene la paternità dell’opera? La dottrina esclude che il programmatore possa essere considerato l’autore, poiché il suo ruolo si limita a fornire le istruzioni per il funzionamento dell’algoritmo. Né può essere considerato autore colui che ha impartito le direttive al sistema, in quanto molte intelligenze artificiali operano con un grado di autonomia tale da rendere difficile identificare un individuo come creatore diretto. La soluzione più plausibile, pur non definitiva, sembra essere quella di attribuire la paternità all’utilizzatore del sistema, cioè a chi avvia la generazione dell’opera finale, e che spesso è anche il proprietario del sistema o il titolare della licenza d’uso. Questo caso evidenzia come le tecnologie emergenti stiano sfidando le definizioni tradizionali di creatività e autorialità, mettendo in evidenza la necessità di un intervento normativo per rispondere a queste nuove sfide. Il quadro giuridico attuale non è sufficientemente attrezzato per rispondere in modo uniforme, richiedendo un bilanciamento tra innovazione tecnologica e la stabilità delle leggi sul diritto d’autore. A tal riguardo, per approfondimenti, si può fare riferimento a G. Franceschelli, I, Artist. Opere d’arte e intelligenza artificiale. Il curioso caso del diritto d’autore(2019), p. 45 e p. 67-68; C. Cevenini, introduzione a G. Franceschelli, I, Artist. Opere d’arte e intelligenza artificiale. Il curioso caso del diritto d’autore (2019), p. 1 ss.; H. M. Bøhler, EU copyright protection of works created by artificial intelligence systems, University of Bergen (2017), p. 30.
[42] Ulteriori informazioni sui termini di licenza dei Bored Ape Yatch Club sono disponibili all’indirizzo: https://boredapeyachtclub.com/licenses/bayc.
[43] Testo integrale del Trattato, stipulato in ossequio al disposto dell’art. 2 della Convenzione di Berna, disponibile all’indirizzo: https://www.wipo.int/wipolex/en/text/295157
[44] Cfr. V. M. De Sanctis, cit., p. 150.
[45] Sul tema v. G. Frezza, P. Virgadamo, cit., p. 293, per cui “si tratta dell’ipotesi più delicata. L’NFT si presta, in tal caso, a essere titolo di proprietà di tale bene ma, al tempo stesso, oggetto di eventuale proprietà in quanto bene esso stesso”; Id., cit., p. 293 sul trasferimento di NFT che rappresenti la proprietà di un bene esistente in natura, dove si legge che “la capacità dei token di trasferire la proprietà di beni mobili non è in discussione per i contratti consensuali, mentre un problema potrebbe porsi per quelli reali (…) superabile qualificando il trasferimento del token nel wallet dell’acquirente quale traditio simbolica”.
[46] O, secondo alcuni, una permuta, non considerando la criptovaluta come una moneta avente corso legale; v. P. M. Gangi, Diritto dei non-fungible token (NFT). Disciplina generale, proprietà intellettuale, aspetti regolamentari, Torino, 2024, p. 108.
[47] Nulla impedisce che l’autore crei ulteriori NFTs, rappresentativi di tutti o alcuni i diritti patrimoniali d’autore, per poi alienarli.
[48] V. M. De Sanctis, cit., p. 158.
[49] Corte di Giustizia, 19.12.2019, C-263/18, Tom Kabinet, commentata P.M. Gangi, cit.,p. 81, che osserva che “solamente in presenza di una copia tangibile dell’opera, soggetta a deterioramento, è giustificato il principio di esaurimento il quale va a limitare il potere del titolare del diritto d’autore di controllare la rivendita del bene nel mercato secondario, mentre, nel caso dei beni digitali, tale limitazione andrebbe a incidere eccessivamente sugli interessi di chi detiene il diritto d’autore sull’opera poiché la copia di un bene digitale, in termini di circolazione del bene nel mercato, è sostanzialmente equivalente all’originale.”
[50] Sul mancato esaurimento del diritto di distribuzione nel caso di rivendita di licenze per l’utilizzo di softwares v., in dottrina, R. Restuccia, V. Zeno Zencovich, Il software nella dottrina e nella giurisprudenza. Con 40 decisioni di giudici italiani, Padova, 1990, p. 40; V. M. De Sanctis, p. 175: “si ritiene che gli artt. 64 ter e quater L. aut. riservino al titolare dei diritti il controllo sulle attività di riproduzione e di modifica del software ad eccezione di quelle che sono tipiche per l’uso del programma. Quindi, salvo che per queste finalità, non si avrebbe, per il software, l’esaurimento del diritto che sarebbe giustificato per altri generi di opere. Questo accade perché gli interessi dei titolari dei diritti sul software sono simili a quelli dei titolari dei brevetti per l’invenzione che riservano ai titolari l’attuazione dell’invenzione, contrariamente all’esaurimento del diritto”.
[51] La Corte richiama il Trattato WIPO sui fonogrammi ed alcuni precedenti giurisprudenziali, come le sentenze SGAE ( Corte di Giustizia, 07.12.2006, C-306/2005, SGAE, consultabile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/search.html?SUBDOM_INIT=ALL_ALL&DTS_SUBDOM=ALL_ALL&DTS_DOM=ALL&DN=62005C%3F0306&lang=it&type=advanced&qid=1729694200243)e Filmspeler (Corte di Giustizia, 26.04.2017, C-527/2015, Filmspeler, consultabile all’indirizzo https://curia.europa.eu/juris/document/document.jsf?docid=190142&doclang=IT)
[52] P. M. Gangi, cit., p. 81.
[53] Che “intende creare un quadro completo nel quale il materiale protetto dal diritto d’autore”, come riportato nel documento Domande e risposte sul voto del Parlamento europeo a favore di norme aggiornate adatte all’era digitale della Commissione Europea del 26 marzo 2016, disponibile online: https://ec.europa.eu/commission/presscorner/detail/it/memo_19_1849.
[54] Il Cons. (72) prosegue in questi termini: “Tale necessità di protezione non sussiste nei casi in cui la controparte contrattuale agisce in qualità di utente finale e non sfrutta l’opera o l’esecuzione in sé, il che potrebbe, ad esempio, verificarsi nel caso di alcuni contratti di lavoro.”
[55] Con intervento da taluni definito come espressivo di un sentimento normativo paternalistico, già manifestatosi nelle direttive 29/2005 sulle pratiche commerciali scorrette e 83/2011 sui diritti del consumatore. V. M. Bertani, Tra paternalismo ed autonomia negoziale: il nuovo assetto dei rapporti fra autore, artista ed impresa culturale nel digital single market in Orizzonti del Diritto Commerciale, fasc. 2, 2020, p. 461.
[56] Tra gli obiettivi della direttiva c’è la creazione di “norme più eque per un miglior funzionamento del mercato del diritto d’autore, che stimolerà la creazione di contenuti di elevata qualità: un nuovo diritto riconosciuto agli editori di giornali in relazione all’uso dei loro contenuti da parte dei prestatori di servizi online, un rafforzamento della posizione negoziale dei titolari dei diritti affinché possano essere remunerati per lo sfruttamento online dei loro contenuti da parte delle piattaforme di contenuti caricati dagli utenti, così come norme sulla trasparenza della remunerazione di autori e artisti interpreti o esecutori.” (v. il documento Domande e risposte sul voto del Parlamento europeo a favore di norme aggiornate adatte all’era digitale, cit.).
[57] Art. 18(2) Dir.
[58] L. Bently, M. Kretschmer, T. Dudenbostel, M. Calatrava, A. Radauer, Strengthening the Position of Press Publishers and Authors and Performers in the Copyright Directive, 2017, p. 43 ss. Per uno studio sui differenti approcci dei vari legislatori nazionali al tema del fair remuneration cfr. Id., Strengthening the Position of Press Publishers and Authors and Performers in the DSM Directive, Study commissioned by the JURI Committee of the European Parliament, 2017.
[59] In passato, si riteneva che “il grado di convergenza delle norme dei vari Stati membri relativamente ai contratti in materia di diritto d’autore appare sufficiente, di modo che non è necessario un intervento immediato a livello comunitario”; così la Commissione Europea, Gestione dei diritti d’autore e diritti connessi nel mercato interno, COM(2004) 261 definitivo, 2004, p. 15, ove però si aggiunge anche che “Sebbene in questa fase gli sviluppi nazionali non abbiano suscitato particolari preoccupazioni dal punto di vista del funzionamento del mercato interno, la Commissione tuttavia continuerà a monitorare la questione”; disponibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52004DC0261.
[60] Cons. 1 Dir.: “Il trattato sull’Unione europea (TUE) prevede l’instaurazione di un mercato interno e la creazione di un sistema che garantisca l’assenza di distorsioni della concorrenza in tale mercato. L’ulteriore armonizzazione delle legislazioni degli Stati membri relative al diritto d’autore e ai diritti connessi dovrebbe contribuire al raggiungimento di tali obiettivi.”, nonché art. 1(1): “La presente direttiva stabilisce norme volte ad armonizzare ulteriormente il quadro giuridico dell’Unione applicabile al diritto d’autore e ai diritti connessi nell’ambito del mercato interno, tenendo conto in particolare degli utilizzi digitali e transfrontalieri dei contenuti protetti. Stabilisce inoltre norme riguardanti le eccezioni e le limitazioni al diritto d’autore e ai diritti connessi, l’agevolazione nell’ottenimento delle licenze, nonché norme miranti a garantire il buon funzionamento del mercato per lo sfruttamento delle opere e altri materiali.”.
[61] Sebbene ciò debba comunque avvenire nel rispetto dei principi euro-unitari.
[62] Cons. 83 Dir. : “Poiché l’obiettivo della presente direttiva, segnatamente l’aggiornamento di alcuni aspetti del quadro giuridico dell’Unione relativo al diritto d’autore per tener conto degli sviluppi tecnologici e dei nuovi canali di distribuzione dei contenuti protetti nel mercato interno, non può essere conseguito in misura sufficiente dagli Stati membri ma, a motivo della portata, degli effetti e della dimensione transfrontaliera, può essere conseguito meglio a livello di Unione, quest’ultima può intervenire in base al principio di sussidiarietà sancito dall’articolo 5 TUE. La presente direttiva si limita a quanto è necessario per conseguire tale obiettivo in ottemperanza al principio di proporzionalità enunciato nello stesso articolo.”
[63] Considerando (3), primo periodo.
[64] Considerando (3), quarto periodo.
[65] Cfr. M. Bertani, op. ult. cit., p. 476: “Questo orientamento teleologico pone ragionevolmente una limitazione alla possibilità per i legislatori nazionali di garantire la posizione economica di autori ed artisti, impedendo l’adozione di meccanismi puramente solidaristici di hard paternalism, che calibrino ad esempio la remunerazione minima sulla sola misura dell’utilizzazione dell’opera e della performance, senza alcun collegamento con l’andamento del loro sfruttamento economico, né attenzione ai costi complessivi (anche burocratici) imposti all’utilizzatore: perché in tal caso la trasformazione ex lege del compenso aggiuntivo di autori ed artisti in un costo fisso accollerebbe d’imperio ogni rischio all’impresa culturale, con possibile disincentivazione dei suoi investimenti e conseguente pregiudizio per il dinamismo del mercato dei prodotti culturali.”
[66] Considerando (3), ottavo periodo.
[67] F. Tozzi, Value gap e diritti d’autore in A. Papa (a cura di) Il diritto d’autore nell’era digitale, Torino, 2019, p. 80.
[68] Sui fattori che determinano questa condizione di fragilità si rimanda all’analisi condotta da R. Watt, Copyright and Contract Law: Economic Theory of Copyright Contracts, in Journal of Intellectual Property Law, 18(1), 2010, p. 182.
[69] Come riferito nel già richiamato Cons. (72), primo periodo, della Dir. in esame.
[70] Il cui fulcro è proprio la tutela dei diritti personali e patrimoniali della persona dell’autore rispetto agli squilibri che possono verificarsi nell’attività negoziale.
[71] Cfr. Con gli studi condotti da L. Guibault, O. Salamanca S. van Gompel, Remuneration of authors of books and scientific journals, translators, journalists and visual artists for the use of their works, European Commission, 2016, disponibile all’ indirizzo: https://op.europa.eu/en/publication-detail/-/publication/7b565147-d895-11e6-ad7c-01aa75ed71a1/language-en; Id., Institute for Information Law (IViR), Remuneration of authors and performers for the use of their works and the fixations of their performances, European Commission, 2015 , disponibile all’indirizzo: https://www.ivir.nl/publicaties/download/1593.pdf.
[72] Si riporta quanto riferito nell’ Analisi dell’ impatto della regolamentazione (A.I.R.) svolta per la profilazione dello Schema di decreto legislativo, recante: Attuazione della direttiva (UE) Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio, del 17 aprile 2019, sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale e che modifica le direttive 96/9/CE e 2001/29/CE., p. 1, disponibile online: https://www.governo.it/sites/governo.it/files/DLGS_DIRETTIVA_2019_790_AIR.pdf.
[73] Per un’analisi delle direttive (Direttiva 2001/29/CE; direttiva 2001/84/CE; direttiva 2006/115/CE; direttiva 2006/116/CE) che, prima del 2019, si erano già occupate di value gap e fair remuneration si rinvia a Elgar Commentaries, EU Copyright Law (A Commentary), I. Stamatoudi e P. Torremans (Edited by), Edward Elgar Publishing limited, 2021.
[74] M. Bertani, cit., p. 457.
[75] V., ancora, M. Bertani, cit., p. 458, che scrive “In questo scenario l’opera (al pari della performance artistica) non nasce più per un fine circoscritto, sia esso la pubblicazione a stampa, la rappresentazione, l’esecuzione, la recitazione, la proiezione cinematografica, la trasmissione a distanza o l’esposizione. Piuttosto ha un destino imprevedibile, potenzialmente costellato da una serie infinita di trasformazioni di genere, formato, supporto, pubblico finale di destinazione.”
[76] Sull’esigenza, avvertita dagli autori, di un intervento normativo che, a livello comunitario, ponesse un freno alle conseguenze dell’asimmetria informativa v. Authors’ Group compost da ECSA, EFJ, EWC, FERA and FSE , Declaration towards a modern, more European copyright framework and the necessity of fair contracts for creator”; artisti del Fair terms for creators campaign, Paying Artist Campaign. Scrive al proposito M. Bertani, cit., p. 464 che “al momento della stipula del contratto di cessione o licenza essi di norma non sono in grado di conoscere nel dettaglio gli aspetti tecnici ed economici delle attività di sfruttamento e dei mercati di destinazione delle loro opere o performance”.
[77] V. Commissione Europea, Impact Assessment on the modernisation of EU copyright rules, Commission Staff Working Document, 301 final, pp. 173-175.
[78] Che invece dovrebbe essere garantita a fronte della prestazione di licenze o del trasferimento dei diritti. V., nella giurisprudenza europea, Judgment of 4 October 2011 in Football Association Premier League and Others (C-403 and C-429/08, EU:C:2011:631, paragraph 107-108); Judgment of 27 February 2014 in OSA and others (C-351/12, EU:C:2014:110, paragraph 23); Judgment of 20 October 1993, in Phil Collins and others (C-92/92, EU:C:1993:847, paragraphs 12, 21); Judgment of 18 March 1980, in Coditel and others, (C-62/79, EU:C:1980:84, paragraph 14).
[79] V. Commissione europea, Proposta di direttiva europea del Parlamento europeo e del Consiglio sul diritto d’autore nel mercato unico digitale, COM(2016) 593 final, 2016, reperibile all’indirizzo https://eur-lex.europa.eu/legal-content/IT/TXT/PDF/?uri=CELEX:52016PC0593.
[80] Sono esclusi dall’ambito applicativo della Direttiva a) gli autori di un programma per elaboratore, ex art. 23(2); b)gli autori e gli artisti la cui controparte contrattuale agisca come utente finale, ai sensi del Considerando 72; c) nel caso in cui l’autorizzazione sia stata concessa a titolo gratuito, come indicato nel Considerando 82.
[81] Il creatore di un’opera; v. WIPO, Guide to the Copyright and Related Rights Treaties Administered by WIPO and Glossary of Copyright and Related Rights Terms, WIPO Publication No. 891(E), 2003, p. 268.
[82] V. WIPO Performances and Phonograms Treaty (WPPT) , art. 2, lett.a) e Convenzione di Roma del 26 ottobre 1961 per la protezione degli artisti interpreti ed esecutori dei produttori di fonogrammi e degli organismi di radiodiffusione (cit.) art. 3, lett. a), per cui artisti sono “actors, singers, musicians, dancers, and other persons who act, sing, deliver, declaim, play in, interpret, or otherwise perform literary or artistic works or expressions of folklore”.
[83] Cons. 73 Dir: “La remunerazione degli autori e degli artisti (interpreti o esecutori) dovrebbe essere adeguata e proporzionata al valore economico effettivo o potenziale dei diritti concessi in licenza o trasferiti, tenendo conto del contributo dell’autore o dell’artista (interprete o esecutore) all’opera o altri materiali nel suo complesso come pure di tutte le altre circostanze del caso, tra cui le pratiche di mercato o lo sfruttamento effettivo dell’opera.”
[84] Sul dilagante ricorso alle industrie culturali da parte di autori e artisti per la diffusione del proprio lavoro v., ex multis, P. Auteri, G. Floridia, V. Mangini, G. Oliveri, M. Ricolfi, P. Spada, Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2005, 595 ss.; V. M. De Sanctis, M. Fabiani, I contratti di diritto d’autore, Milano, 2007.
[85] Naturalmente, l’artista non è obbligato a trasferire i propri diritti ad un intermediario, e vi sono casi in cui sono gli stessi creatori che si occupano anche degli aspetti patrimoniali del loro lavoro. Queste ipotesi, tuttavia, rimangono minoritarie.
[86] M. Bertani, cit., p. 457.
[87] Il trasferimento dei diritti in considerazione è atto di tutela e garanzia nei riguardi degli investimenti compiuti dall’intermediario per la promozione del prodotto creativo, come evidenzia M. Bertani, cit., p. 456, ove richiama peraltro R. Patterson, S.W. Lindberg, The Nature of Copyright, The University of Georgia Press, Athens-London, 1991, 19 ss.; U. Izzo, Alle origini del copyright e del diritto d’autore, Carocci, Roma, 2010, 11 ss.; L.C. Ubertazzi, I Savoia e gli autori, Giuffré, Milano, 2000, 13 ss.; nonché M. Bertani, Diritto d’autore europeo, Giappichelli, Torino, 2011, p. 2 ss.
[88] V. P. Fabbio, Il diritto del creativo ad una remunerazione adeguata e proporzionata nella Direttiva Digital Copyright, in AIDA, 2019, 28, p. 95.
[89] Così è stato stabilito peraltro in una sentenza della Corte Federale Tedesca, Bundesgerichtshof [BGH], 16 agosto 2012, caso I ZR 6/11, Kommunikationsdesigner.
[90] Recepito in Italia con l’introduzione di un secondo comma all’articolo 107 L. aut., prevede che “Gli autori, gli adattatori dei dialoghi, i direttori del doppiaggio e gli artisti interpreti e esecutori, inclusi i doppiatori, che concedono in licenza o trasferiscono i propri diritti esclusivi per lo sfruttamento delle loro opere o di altri materiali protetti hanno il diritto, direttamente o tramite gli organismi di gestione collettiva e le entità di gestione indipendenti di cui al decreto legislativo 15 marzo 2017 n. 35 cui abbiano conferito apposito mandato, a una remunerazione adeguata e proporzionata al valore dei diritti concessi in licenza o trasferiti, nonché commisurata ai ricavi che derivano dal loro sfruttamento, anche tenendo conto, in quanto pertinenti, della particolarità del settore di riferimento e dell’esistenza di accordi di contrattazione collettiva, fatto salvo il diritto al compenso previsto da altre disposizioni di legge, ivi incluse quelle di cui agli articoli 46-bis e 84. Sono nulle le pattuizioni contrarie a quanto previsto dal presente comma. È ammessa una remunerazione forfettaria per l’autore o l’artista quando il suo contributo all’opera o all’esecuzione ha carattere meramente accessorio e i costi delle operazioni di calcolo sono sproporzionati allo scopo”..”
[91] M. Bertani, cit., 471.
[92] V. L. Ciliberti, Direttiva UE 2019/790 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale. Equa remunerazione di autori e artisti (interpreti o esecutori) nei contratti di sfruttamento (Capo III) – Il recepimento italiano in MediaLaws, 2022, per cui il principio è “inteso a garantire la congruità della remunerazione dei diritti dell’autore/artista, indipendentemente dal successo della relativa opera o esecuzione, quindi anche in una situazione “a regime”. Infatti, secondo questa norma, ferma restando la libertà contrattuale, gli autori e gli artisti hanno diritto di percepire una remunerazione adeguata e proporzionata ogni qualvolta essi cedano i propri diritti ad un terzo”. Il contributo è disponibile online all’indirizzo: https://www.medialaws.eu/direttiva-ue-2019-790-sul-diritto-dautore-e-sui-diritti-connessi-nel-mercato-unico-digitale-equa-remunerazione-di-autori-e-artisti-interpreti-o-esecutori-nei-contratti-di-sfruttamento-cap-2/#_ftnref25. In senso contrario, sebbene antecedentemente all’entrata in vigore della Direttiva 790/2019 e al suo recepimento nell’ordinamento italiano, una sentenza del Tribunale di Milano, Sezione Specializzata in materia di impresa, del 3 gennaio 2014, che statuisce che «La ratio del riconoscimento dell’equo compenso è quella di assicurare la partecipazione degli autori ai ricavi derivanti dalle varie forme di sfruttamento economico» e che «criterio vincolante per la debenza del compenso è la sua correlazione con l’utilizzazione dell’opera».
[93] L. Ciliberti, cit., per cui “Se ne ricava in conclusione che l’autore o artista sembrano invero legittimati a percepire non una remunerazione pari all’intero valore dei loro diritti, quanto piuttosto una porzione di esso e questa porzione dovrà essere ponderata (“adeguata”) in considerazione del contributo apportato da quell’autore o artista, ferma comunque restando la libertà contrattuale delle parti e la necessità di contemperare gli interessi in gioco”.
[94] Questo principio è stato enunciano in varie sentenze in tema di proprietà intellettuale della Corte di Giustizia dell’Unione Europea, tra cui Corte UE 17 marzo 2016 (Quinta Sezione), causa C-99/15, Christian Liffers c. Producciones Mandarina SL, Mediaset España Communicación SA, caso «Dos Patrias», EU:C:2016:173, par. 14; 29 luglio 2019 (Grande Sezione), causa C-516/17, Spiegel Online GmbH c. Volker Beck, caso «Spiegel Online/Beck», EU:C:2019:625, par. 62; 8 settembre 2020 (Grande Sezione), causa C-265/19, Recorded Artists Actors Performers Ltd c. Phonographic Performance (Ireland) Ltd, Minister for Jobs, Enterprise and Innovation, Ireland, Attorney General, caso «RRAP/PPI», non pubblicata, EU:C:2020:677, par. 46. A proposito di marchi, v. 22 giugno 2016 (Settima Sezione), causa C-280/15, Irina Nikolajeva c. Multi Protect OÜ, caso «HolzProf», EU:C:2016:467, par. 45; 29 gennaio 2020 (Quarta Sezione), causa C-371/18, Sky plc, Sky International AG e Sky UK Limited c. SkyKick UK Limited e SkyKick Inc., caso «SkyKick/Sky», EU:C:2020:45, par. 73. A proposito di disegni, invece: 8 Marzo 2018 (Seconda Sezione), causa C-395/16, Doceram GmbH c. CeramTec Gmbh, caso «perni di centraggio», EU:C:2018:172, par. 20.
[95] V. l’art. 5 Dir., che al co.1 riconosce agli Stati un’eccezione dei diritti previsti all’articolo 5, lettere a), b), d) ed e), e all’articolo 7, paragrafo 1, della direttiva 96/9/CE, agli articoli 2 e 3 della direttiva 2001/29/CE, all’articolo 4, paragrafo 1, della direttiva 2009/24/CE e all’articolo 15, paragrafo 1, per consentire l’utilizzo digitale di opere e altri materiali esclusivamente per finalità illustrativa ad uso didattico, e al co.4 prevede che tale compressione dei diritti richiamati possa avvenire a fronte della prestazione di un compenso previsto dai singoli Stati Membri.
[96] Che dovrebbe essere parametrata alla corresponsione delle royalties; v. A. Bura, L’equa remunerazione di autori ed artisti ed impatto sul diritto dei contratti in Lavagnini, S. (a cura di), Il diritto d’autore nel mercato unico digitale, Torino, 2022, p. 277 ss.
[97] V. European Copyright Society, Comment of the European Copyright Society Addressing Selected Aspects of the Implementation of Articles 18 to 22 of the Directive (EU) 2019/790 on Copyright in the Digital Single Market, cit. p. 14, per cui la formula esprime esclusivamente la necessità di garantire che la remunerazione aumenti proporzionalmente al crescere dei profitti realizzati dal licenziatario. In altre parole, l’ammontare della retribuzione dovrebbe essere legato in modo dinamico al successo economico che l’utilizzo dell’opera genera, assicurando che il creatore riceva una compensazione più alta in caso di guadagni superiori da parte di chi ha acquisito o licenziato i diritti d’uso.
[98] Data l’impossibilità di prevedere le variabili che, nel lungo periodo, possono influenzare la generazione di utili, emerge la difficoltà di stabilire in anticipo una remunerazione adeguata. Le fluttuazioni del mercato, i cambiamenti nelle preferenze dei consumatori, le dinamiche economiche e altri fattori imprevedibili rendono arduo determinare con precisione quanto sarà giusto e proporzionato come compenso per il creatore nel tempo. A. Bura, cit., ritiene che la previsione ex art. 130 L. aut. debba essere estesa, in conformità ai principi stabiliti dalla Direttiva 790/2019, a tutti i contratti di trasferimento dei diritti patrimoniali d’autore.
[99] Ammessa invece all’art. 107, co. 2, L. aut., che si è detto essere di recepimento della Direttiva 790/2019 e che recita “«E’ ammessa una remunerazione forfettaria per l’autore o l’artista quando il suo contributo all’opera o all’esecuzione ha carattere meramente accessorio e i costi delle operazioni di calcolo sono sproporzionati allo scopo”.
[100] L’art. 130, co.2, L. aut., prevede delle ipotesi di retribuzione forfettaria delineate però solo sul contratto di edizione: “Tuttavia il compenso può essere rappresentato da una somma a stralcio per le edizioni di: dizionari, enciclopedie, antologie, ed altre opere in collaborazione; traduzioni, articoli di giornali o di riviste; discorsi o conferenze; opere scientifiche; lavori di cartografia; opere musicali o drammatico-musicali; opere delle arti figurative.”
[101] Così in Francia (Art. L131-4 Code de la propriété intellectuelle ), in Spagna (Art. 46 Real Decreto Legislativo 1/1996 ) e in Grecia (Art. 32 Νόμος 2121/1993). Cfr. A. Lucas-Schloetter, European Copyright Contract Law: A Plea for Harmonisation, in IIC, 48(8), 2017, p. 898.
[102] A proposito del diritto degli autori di ricevere una remunerazione “appropriata”, v. sentenza della Corte UE del 27 febbraio 2014 (Quarta Sezione), OSA – Ochranný svaz autorský pro práva k dílům hudebním o.s. c. Léčebné lázně Mariánské Lázně a.s., causa C-351/12, EU:C:2014:110, par. 23.
[103] V. Direttiva 2001/29/CE, Considerando 10: “Per continuare la loro attività creativa e artistica, gli autori e gli interpreti o esecutori debbono ricevere un adeguato compenso per l’utilizzo delle loro opere”.
[104]La norma deve quindi esprimere la sua efficacia in modo concreto, come suggerito dal significato complessivo del considerando, che consente agli Stati di applicarla nel modo più opportuno, utilizzando anche strumenti come la “contrattazione collettiva e altri meccanismi”, purché questi siano conformi al diritto dell’Unione applicabile. Questo approccio lascia spazio a diverse modalità operative, permettendo agli Stati membri di adottare soluzioni che rispondano meglio alle specifiche esigenze del loro mercato culturale e artistico, sempre nel rispetto dei principi europei.
[105] Per quanto riguarda le tecniche di conoscibilità delle pratiche di mercato, si rinvia a P. Fabbio, cit., p. 108.
[106] Considerando 73 Dir.
[107] M. Bertani, cit., p. 474.
[108] Per la determinazione del quantum dell’adeguamento si rimanda alle considerazioni formulate da M. Bertani, cit., p. 485: “stabilire se la remunerazione originariamente pattuita sia proporzionata rispetto ai proventi/profitti così definiti, nonché quale sia la misura dell’integrazione spettante ad ogni singolo richiedente, impone un’ampia gamma di valutazioni in concreto, che dovranno essere affinate in fase applicativa anche alla luce di best practices ed usi negoziali già esistenti: sulla base dei quali occorrerà sviluppare criteri omogenei per determinare la percentuale minima di quei proventi che deve essere assicurata ad ogni tipologia di autore o artista, in ragione del loro ruolo e delle peculiarità del settore merceologico di destinazione dei rispettivi apporti professionali.”
[109] Così il Considerando 78 Dir.
[110] Commissione Europea, Impact Assessment on the modernization, (nt. 16), 188 ss.
[111] M. Bertani, cit., p. 500 intuisce, nella formulazione dell’art. 19, la necessità di imporre modelli informativi standardizzati alle imprese culturali, di cui la blockchain può rappresentare un esempio particolarmente virtuoso, se utilizzata secondo modalità appropriate.
[112] Come emerge da Commissione Europea, Impact Assessment on the modernization, (nt. 16), 174 ss., 188 ss.
[113] Art. 19 (1) Dir., ove si fa riferimento alle utilizzazioni primarie.
[114] Art. 19 (2) Dir., parentesi aggiunte, riguardanti le utilizzazioni secondarie.
[115] M. Bertani, cit., p. 498.
[116] Art. 19 (1) Dir.; cfr. considerando 77, secondo cui “Nel dare attuazione agli obblighi di trasparenza previsti dalla presente direttiva, gli Stati membri dovrebbero tener conto delle specificità dei vari settori di contenuti, ad esempio del settore della musica, del settore audiovisivo e del settore dell’editoria, e tutti i portatori di interessi dovrebbero partecipare alle decisioni relative a tali obblighi settoriali specifici.”
[117] Art. 19 (4) Dir.
[118] Eccependo al normale riparto dell’onere della prova.
[119] L. Guibault, O. Salamanca S. van Gompel, Institute for Information Law (IViR), Remuneration of authors and performers for the use of their works and the fixations of their performances, cit., p. 44-54.
[120]L. Guibault, O. Salamanca S. van Gompel, Institute for Information Law (IViR), op. ult.cit., p. 149-151.
[121] European Copyright Society, Comment of the European Copyright Society Addressing Selected Aspects of the Implementation of Articles 18 to 22 of the Directive (EU) 2019/790 on Copyright in the Digital Single Market, cit., p. 15
[122] F. Di Porto, N. Rangone, Cognitive-based regulation: new challenges for regulators ?, in Federalismi.it, n. 20/2013, p. 13, disponibile all’indirizzo: https://www.federalismi.it/nv14/articolo-documento.cfm?artid=23329; M. Bertani, cit., p. 500.
[123] Che espone anche A. Rainone, La disciplina della blockchain e le sue implicazioni pratico-applicative: il caso del diritto d’autore, disponibile online all’indirizzo https://www.studiotorta.com/wp-content/uploads/2023/01/Angelo-Rainone-Tesi.pdf, p. 182-183.
[124] Regolamento (CE) n. 593/2008 del Parlamento Europeo e del Consiglio del 17 giugno 2008 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali (Roma I).
[125] L. 31 maggio 1995, n. 218, di riforma del sistema italiano di diritto internazionale privato, art. 57: “Le obbligazioni contrattuali sono in ogni caso regolate dalla Convenzione di Roma del 19 giugno 1980 sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali, resa esecutiva con la legge 18 dicembre 1984, n. 975, senza pregiudizio delle altre convenzioni internazionali, in quanto applicabili.”
[126] Convenzione 80/934/CEE sulla legge applicabile alle obbligazioni contrattuali aperta alla firma a Roma il 19 giugno 1980.
[127] Per una spiegazione più approfondita sulla Convenzione di Roma e sulle regole relative alla determinazione della legge applicabile e all’individuazione della giurisdizione per risolvere le controversie derivanti dalle obbligazioni civili e commerciali, si rimanda a E. CANNIZZARO, Lex contractus e contratti interni in Nuova Giurisprudenza Civile Commentata, n. 11, 2013, pp. 585-590, disponibile al seguente link: https://www.cannizzaro-sapienza.eu/sites/default/files/pubblicazione_allegato/Lex%20contractus%20e%20contratti%20interni.PDF.
[128] Sulla complessa determinazione della legge applicabile v. C. Bomprezzi, Implications of Blockchain-Based, Smart Contracts on Contract Law, Baden-Baden, 2021, p. 220 ss.
[129] V. art. 20, co.1-bis, del Codice dell’Amministrazione Digitale sul meccanismo di identificazione informatica: “Il documento informatico soddisfa il requisito della forma scritta e ha l’efficacia prevista dall’articolo 2702 del Codice civile quando vi è apposta una firma digitale, un altro tipo di firma elettronica qualificata o una firma elettronica avanzata o, comunque, è formato, previa identificazione informatica del suo autore, attraverso un processo avente i requisiti fissati dall’AgID ai sensi dell’articolo 71, con modalità tali da garantire la sicurezza, integrità e immodificabilità del documento e, in maniera manifesta e inequivoca, la sua riconducibilità all’autore.”
[130] Per cui si rinvia a Basel Committee on Banking Supervision, Working Paper 44, Novel risks, mitigants and uncertainties with permissionless distributed ledger technologies, 2024.
[131] V. A. Rainone, cit., p. 196, per cui “I creators e le figure affini attualmente ricevono solo una piccola quota dallo sfruttamento economico delle loro opere, in quanto il ricavato viene ripartito in parti disuguali tra autori, artisti, produttori fonografici e/o editori musicali, e hanno meno voce in capitolo sul prezzo, la condivisione o la pubblicità delle loro opere creative. Ad esempio, su Spotify sono necessari 250 stream di canzoni affinché i titolari dei diritti ricevano possano percepire somme del valore di un dollaro. Tenendo conto del potere contrattuale di tali intermediari online, è difficile aspettarsi una distribuzione più equa delle entrate per gli autori in questo contesto.”
[132] M. O’ Dair, Z. Beaven, The networked record industry: how blockchain technology could transform the record industry, in 26 Strategic Change, n. 5, 2017, p. 471-480, accessibile a https://doi.org/10.1002/jsc.2147.
[133] Osserva L. Ciliberti, op. cit. che “Le nuove regole pongono anche un tema di loro impatto, a valle, sui consumatori dal momento che, prevalendo quantomeno astrattamente un modello basato su royalties, viene da chiedersi se la determinazione del “giusto prezzo” [rectius “compenso”] possa avere delle conseguenze sui modelli di business degli operatori al fine di evitare forme di elusione delle nuove regole o comunque di pregiudizio per gli autori ed i titolari di diritti connessi”.
[134] A. Cogo, I contratti di diritto d’autore nell’era digitale in Quaderni Aida, n. 20, Torino, 2010, p. 73.
[135] A. Rainone, cit., p. 188.
[136] Financo al punto di estendere la disciplina del diritto d’autore, come sostenuto da M. Bertani, Il contratto di edizione dalla lex mercatoria alla tipizzazione legale, in AIDA, 2009, p. 275.
[137] F. Galgano, Il diritto privato, Padova, 2022, p. 8.
[138] Nega che si possa parlare di “panacea di ogni male” E. Damiani, (riferendosi all’utilizzo di smart contracts in blockchain per la gestione e il trasferimento degli immobili) nell’intervista resa alla la rivista Diritto Mercato Tecnologia l’8 dicembre 2023, disponibile all’indirizzo: https://chatgpt.com/c/67197bbf-3428-8009-9e74-aec323626ce6.