Sandro Nardi
Professore associato di diritto privato dell’ Università degli Studi di Foggia
Trib. Firenze, 11 aprile 2022, Pres. Governatori rel. – Ministero della Cultura – Studi d’ Arte Cave – Michelangelo s.r.l.
Beni culturali – utilizzo immagine a scopi commerciali – svilimento bene culturale – volgarizzazione opera d’ arte – pericolo di danno irreversibile – danno immateriale al bene culturale
L’ utilizzo dell’ immagine del David nel sito di una impresa commerciale, che persegue indubbiamente scopi di lucro, è idoneo a svilire l’ immagine del bene culturale facendolo scadere ad elemento distintivo delle qualità della impresa che, attraverso il suo uso promuove la propria immagine, con uso indiscutibilmente commerciale, che potrebbe indurre terzi a ritenere siffatto libero utilizzo lecito o tollerato. È ammissibile la tutela d’ urgenza in quanto la volgarizzazione dell’ opera d’ arte e culturale e la riproduzione senza il preliminare vaglio ad opera delle autorità preposte con riferimento alla compatibilità tra l’ uso e il valore culturale dell’ opera, crea il pericolo di un danno irreversibile per tutti quegli usi che l’ autorità preposta dovesse giudicare incompatibile, inibendola. Infatti poiché il danno all’ immagine dell’ opera pubblica è un danno anche immateriale al bene culturale per il suo valore collettivo, già sopra richiamato e che di seguito si viene ad approfondire, tale valore subirebbe un irreversibile pregiudizio nelle more della definizione della causa di merito.
Beni culturali – Diritto all’ immagine dei beni culturali – riproduzione non autorizzata – diritto all’ immagine del bene culturale – tutelabilità
Sussiste nel nostro ordinamento giuridico un pieno ed effettivo diritto all’ immagine dei beni culturali ricavabile dagli articoli 107 e 108 del d.lgs. n. 42 del 2004, la cui ratio delinea saldamente la tutela di un aspetto di carattere anche non patrimoniale attinente alla riproduzione del bene culturale. L’ utilizzo o la riproduzione non autorizzati da parte di terzi di un bene culturale, a qualsivoglia fine, possono comportare la lesione del diritto all’ immagine del bene stesso tutelabile in sede giudiziaria.
Artt. 107, 108 d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42; art. 9 Cost.
Nella pronuncia in commento, il Tribunale di Firenze accoglie una richiesta di inibitoria avanzata dal Ministero della Cultura nei confronti di una società che utilizzava l’ immagine del David di Michelangelo a fini commerciali e senza autorizzazione dell’ autorità compente. Il provvedimento offre, dunque, l’ occasione per soffermarsi sulla questione della tutela dell’ immagine dei beni culturali e sull’ utilizzabilità degli stessi a fini commerciali.
In the case examined by the Court of Florence, the Italian Ministry of Culture asked the Court to inhibit the use of Michelangelo’ s David for advertising purposes. This judgment gives the opportunity to examine the issue of the protection of the cultural heritage and of its use for economic reasons.
Sommario: 1. L’ utilizzo dell’ immagine dell’ opera d’ arte per finalità commerciali. – 2. L’ immagine del bene culturale come bene in sé. – 3. Il bene culturale tra diritti di privativa, diritto di proprietà e beni comuni. – 4. L’ immagine del bene culturale e la sua tutela costituzionale. – 5. Il danno all’ immagine del bene culturale. Analogie con il danno ambientale.
1. Il tribunale di Firenze, con una recente ordinanza, ha accolto una richiesta di inibitoria avanzata dal Ministero della Cultura nei confronti di una Società che utilizzava l’ immagine del David di Michelangelo a fini commerciali, senza autorizzazione dell’ autorità competente[1]. Secondo il giudice fiorentino, invero, l’ utilizzo dell’ immagine del David nel sito di una impresa commerciale, che persegua evidentemente scopi di lucro, è idoneo a svilire l’ immagine del bene culturale, che finisce per scadere a elemento distintivo delle qualità dell’ impresa stessa. La volgarizzazione dell’ opera d’ arte e la sua riproduzione senza il preliminare vaglio dell’ autorità preposte con riferimento alla compatibilità tra l’ uso e il valore culturale dell’ opera crea il pericolo di un danno irreversibile per tutti quegli usi che l’ autorità competente dovesse giudicare incompatibili. Infatti, poiché il danno all’ immagine dell’ opera pubblica è un danno anche immateriale del bene culturale per il suo valore collettivo, tale valore subirebbe un irreversibile pregiudizio. È effettivamente comune l’ esperienza di acquistare gadget o oggetti, anche di non particolare pregio, che riproducono opere d’ arte, simbolo di una nazione, di una città o più semplicemente di uno specifico luogo turistico, quanto meno al fine di portarsi a casa il ricordo della visita.
È altrettanto frequente vedere la riproduzione dell’ immagine di un’ opera d’ arte in oggetti di uso comune e quotidiano, o anche in capi di abbigliamento. È, a tale riguardo, recente il caso noto alla cronaca e relativo all’ azione giudiziaria intentata dagli Uffizi di Firenze ai danni dello stilista Jean Paul Gaultier, “reo” di aver impiegato senza autorizzazione l’ immagine della Venere di Botticelli, stampata nei capi di abbigliamento della propria casa di moda.
Ci si deve dunque chiedere se ed entro quali limiti un’ opera d’ arte, o meglio la sua immagine, possa effettivamente essere utilizzata al punto da soddisfare il capriccio di un turista o di un semplice consumatore e, soprattutto, se ciò possa essere consentito a beneficio di imprese che speculano sull’ immagine del bene culturale[2].
Volendo anticipare l’ intuibile risposta negativa, dobbiamo anche sin d’ ora precisare che i limiti alla riproduzione del bene artistico cambiano a seconda del fatto che il bene stesso sia soggetto a diritti di proprietà intellettuale, ovvero al comune diritto di proprietà, fermi in ogni caso, come vedremo, i principi, ormai assodati, in tema di beni comuni.
2. In ogni caso, quel che sembra potersi ipotizzare sta in ciò, che l’ immagine riproduttiva del bene culturale è dotata di un valore in sé che diversamente non avrebbe. Il carattere culturale del bene è, infatti, capace di ricondurre l’ immagine che lo rappresenta a un insieme di valori, proprio di un determinato popolo, del quale ne costituisce l’ identità o comunque ne sottolinea dei profili identitari. Il patrimonio culturale è, in questo senso, espressione di una nazione[3]. Non a caso, l’ art. 9 della nostra Costituzione, tra i compiti della Repubblica, prevede quello di tutelare il patrimonio storico e artistico della Nazione, che è invero concetto più ampio di quello di Stato, includendo l’ idea di popolo, di tradizioni. In questo contesto, si inserisce anche il controllo sulle immagini, sulle riproduzioni dei beni che compongono tale patrimonio.
È certamente pacifico che sul bene culturale possa vantare tutti i diritti il rispettivo proprietario e, ove costui subisca un danno conseguente alla volgarizzazione del bene stesso per effetto di un uso improprio della sua immagine, sarà senz’ altro legittimato ad agire per il relativo risarcimento. È altrettanto pacifico che ciò spetti tanto alla persona fisica quanto alla persona giuridica[4], pur se nel rispetto del criterio della compatibilità. Invero, «i soggetti diversi dalla persona fisica potranno vantare la titolarità delle situazioni della persona soltanto nei limiti in cui tali prerogative risultino strettamente necessarie al perseguimento degli scopi ai quali è indirizzata la loro vita istituzionale»[5].
Ora, il Tribunale di Firenze, con la pronuncia sopra richiamata, evidenzia giustamente che il fine promozionale della cultura coincide con quello ultimo di preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio (art. 1 del “Cod. beni culturali”). Tanto ciò è vero che l’ eventuale concessione d’ uso individuale dei beni culturali è subordinata, ex art. 106 del Codice, alla garanzia della conservazione e della fruizione pubblica del bene, nonché all’ assicurazione sulla compatibilità della destinazione d’ uso con il carattere storico-artistico del bene medesimo. Lo stesso Giudice aggiunge che «la fruizione pubblica va dunque interpretata come un processo di conoscenza, qualificata e compiuta, di un oggetto, di una realtà che diventa parte e patrimonio della cultura singola e collettiva, mentre non costituisce pubblica fruizione qualsiasi mera occasione di pubblicità per il bene culturale»[6]. Ora, si tratta, a nostro avviso, di un principio che riteniamo possa valere, con le precisazioni del caso e secondo una lettura costituzionalmente orientata, anche con riguardo alle immagini riproduttive di beni pubblici che non siano consegnati alle amministrazioni pubbliche, essendo invece liberamente visibili al pubblico e, dunque, annoverabili tra i beni comuni.
3. Effettivamente, come sopra anticipato, l’ immagine che riproduca il bene artistico è soggetta ad una disciplina specifica a seconda se il bene sia un bene sul quale esistano diritti di proprietà intellettuale, o se invece segua semplicemente la disciplina del diritto di proprietà e, con riguardo a quest’ ultima ipotesi, se si tratti di un bene sottratto alla libera vista oppure no[7].
Si pensi, con riguardo al primo caso, all’ Auditorium “Parco della Musica” il cui progetto architettonico è di Renzo Piano, in capo al quale risiede la titolarità dei relativi diritti di privativa e il conseguente potere di autorizzarne la riproduzione, in qualsiasi forma o modo[8].
Ove invece sul bene artistico non insista alcun diritto di proprietà intellettuale, perché mai sorto o perché scaduto sì che l’ opera è divenuta di pubblico dominio, la disciplina da invocare dovrebbe essere quella generale in materia di proprietà, che consentirebbe, infatti, di ascrivere in capo al dominus della res anche il diritto della sua riproduzione e l’ eventuale conseguente sfruttamento economico di essa[9], fermo tuttavia il valore intergenerazionale al quale riconduce l’ opera d’ arte e che non può essere oggetto di proprietà privata, finendo dunque per appartenere a tutti[10].
Ove, poi, il bene artistico sia in consegna allo Stato o ad un ente pubblico[11], ma sottratto alla pubblica vista, non può che giocare un ruolo importante la c.d. funzione sociale della proprietà[12] che, nel caso di specie, va declinata nel dovere di soddisfacimento degli interessi che derivano propriamente dal carattere culturale del bene.
In tal caso, vale quanto previsto dal combinato disposto degli artt. 107 e 108 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (c.d. “Codice dei beni culturali”).
La prima norma, infatti, prevede espressamente che «[i]l Ministero, le Regioni e gli altri enti pubblici territoriali possono consentire la riproduzione nonché l’ uso strumentale e precario dei beni culturali che abbiano in consegna (…)». L’ art. 108, invece, così come modificato per effetto della legge 4 agosto 2017, n. 124 (legge annuale per il mercato e la concorrenza)[13], stabilisce che «[i] canoni di concessione ed i corrispettivi connessi alle riproduzioni di beni culturali sono determinati dall’ autorità che ha in consegna i beni tenendo anche conto: a) del carattere delle attività cui si riferiscono le concessioni d’ uso; b) dei mezzi e delle modalità di esecuzione delle riproduzioni; c) del tipo e del tempo di utilizzazione degli spazi e dei beni; d) dell’ uso e della destinazione delle riproduzioni, nonché dei benefici economici che ne derivano al richiedente. I canoni e i corrispettivi sono corrisposti, di regola, in via anticipata. Nessun canone è dovuto per le riproduzioni richieste o eseguite da privati per uso personale o per motivi di studio, ovvero da soggetti pubblici o privati per finalità di valorizzazione, purché attuate senza scopo di lucro. I richiedenti sono comunque tenuti al rimborso delle spese sostenute dall’ amministrazione concedente. Sono in ogni caso libere le seguenti attività, svolte senza scopo di lucro, per finalità di studio, ricerca, libera manifestazione del pensiero o espressione creativa, promozione della conoscenza del patrimonio culturale (…)».
Dunque, dal quadro normativo sopra esposto emerge chiaramente che la fruizione del patrimonio culturale per finalità di studio, di ricerca o comunque per attività prive dello scopo di lucro è certamente possibile e forse da incoraggiare. Al contrario, l’ eventuale sfruttamento dell’ immagine del bene culturale per finalità commerciali è subordinato a specifica autorizzazione dell’ amministrazione che lo ha in consegna, e in ogni caso al pagamento di un canone di concessione. La violazione di tale previsione determina un illecito dal quale origina il diritto al risarcimento del danno patrimoniale e, se del caso, anche non patrimoniale[14]. Ove, infine, il bene culturale sia liberamente visibile (si pensi al Colosseo, alla Fontana del Tritone o alla Fontana di Trevi), per esso deve comunque valere il regime dei c.d. beni comuni[15]. Ora, se i beni culturali in sé già devono includersi tra i beni comuni, che superano cioè il modello del qui e adesso tipico della proprietà privata[16], tanto più deve dirsi per quelli liberamente visibili. La loro riproduzione, dunque, a prescindere dallo scopo perseguito, si dovrebbe ritenere perfettamente libera e non vincolata ad alcuna autorizzazione preventiva, né al pagamento di qualsivoglia onere concessorio[17].
4. Una tale soluzione, peraltro, sembrerebbe possa essere rimeditata proprio in considerazione di quanto affermato dalla ordinanza del tribunale di Firenze, ormai più volte richiamata[18]. Invero, riteniamo che il principio di diritto dalla stessa formulato possa valere, con le precisazioni del caso, secondo una lettura costituzionalmente orientata, anche con riguardo alle immagini riproduttive di beni pubblici che non siano consegnati alle amministrazioni pubbliche, essendo invece liberamente visibili al pubblico. In altri termini, sembra si possa affermare che l’ immagine del bene culturale abbia in sé, proprio in quanto rievocativa di un insieme di valori riconducibili a un popolo, una sua autonoma rilevanza, tanto da potersi conseguentemente sostenere che l’ immagine è di per sé un bene ex art. 810 c.c. meritevole di tutela, non solo secondo le norme che disciplinano la privativa intellettuale o la proprietà in generale, ma anche secondo quelle di diretta derivazione costituzionale. È noto l’ insegnamento di Dante, che nel Convivio afferma che “il visibile è figura che deve traghettarci all’ invisibile”. Così, l’ immagine riproduttiva di un bene culturale è la manifestazione di molto altro, trascendente il bene stesso, che si pone come rappresentazione di una testimonianza del passato, anche a servizio di una prospettiva culturale futura. Il patrimonio culturale è dunque, in questo senso, il collante tra il passato e il futuro di una collettività. D’ altronde, la stessa Corte costituzionale ha avuto modo di affermare che i beni culturali sono «valori costituzionali primari» che non possono essere subordinati «ad altro valore costituzionalmente tutelato, ivi compresi quelli economici»[19]. La Costituzione tutela molto più che una res[20]; tutela un valore qual è quello culturale. Va da sé, dunque, che all’ uso dell’ immagine del bene culturale, proprio in quanto evocativo di un valore riconducibile a una Nazione, deve corrispondere una specifica tutela che deriva da una applicazione diretta dell’ art. 9 Cost. La tutela del patrimonio artistico, in altri termini, non potrà che avere anche una sua specifica declinazione in termini di controllo sulla riproduzione delle immagini che di tale patrimonio eventualmente si faccia. Si potrebbe, per certi versi, azzardare ad un paragone con quanto accade con riguardo agli edifici che, nonostante la loro originaria destinazione, non possono tuttavia più in alcun modo essere adibiti al culto divino, per i quali è previsto, tutt’ al più, un usum profanum non sordidum (can. 1222 del Cod. dir. can.). Ora, a maggior ragione, l’ immagine del bene culturale, che a differenza dell’ edificio adibito al culto divino, non può certamente perdere il proprio carattere (culturale appunto), non può essere strumentale a finalità indecorose. E, verosimilmente, lo sarebbe se fosse utilizzata per scopi commerciali e non fosse, invece, la mera espressione della creatività artistica e del messaggio proprio di chi la usa[21]. E lo sarebbe anche se l’ immagine fosse utilizzata per finalità che possano, in qualche modo, cancellare o affievolire la memoria o la tradizione cui il bene culturale rinvia. 5. Le considerazioni appena svolte ci inducono ad una analogia tra i beni culturali e l’ ambiente, non a caso contemplati nel medesimo art. 9 Cost. Anche l’ ambiente, in effetti, costituisce un valore collettivo, la cui lesione determina, indubbiamente, una serie di responsabilità, anche di natura civile. Il principio per cui “chi inquina paga” proprio della tutela dell’ ambiente potrebbe essere forse declinato nella specifica versione secondo cui “chi deturpa paga” con riguardo ai beni culturali. In ragione di tale principio, invero, si spiega, ad esempio, la norma ex art. 160 del Codice dei beni culturali, secondo cui «[s]e per effetto della violazione degli obblighi di protezione e conservazione (..) il bene culturale subisce un danno, il Ministero ordina al responsabile l’ esecuzione a sue spese delle opere necessarie alla reintegrazione»[22]. Dunque, al pari di quanto accade in tema di danno ambientale[23], anche nel caso di danno al patrimonio culturale la legittimazione attiva sembra doversi individuare in capo al Ministero. Le persone fisiche o gli enti che dovessero in qualche modo sentirsi colpiti dal danno al patrimonio culturale, e dunque alla propria identità secondo quanto sopra esposto, o che vantino un interesse tale da legittimare la partecipazione al procedimento relativo all’ adozione di misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino, non possono far altro che sollecitare l’ intervento statale. In questo senso, e specificamente in ragione della potenziale lesione dell’ identità culturale, si potrebbe dunque ipotizzare che il meccanismo di tutela dell’ immagine del bene culturale sia analogo a quello che opera per la tutela dei diritti della personalità, nella specie di quello, appunto, a non veder travisati i propri valori, le proprie tradizioni, la propria cultura, che, data la natura collettiva, devono essere tutelati per il tramite del Ministero competente.
Provvedimento:
1. Con reclamo ex art. 669 terdecies c.p.c. depositato in data 17.02.2022, il Ministero della Cultura, già Ministero per i beni e le attività culturali e per il turismo, ha chiesto, in riforma dell’ ordinanza resa dal Tribunale di Firenze nel procedimento RG n. 2992/2021 in data 31.01.2022: di accertare e dichiarare l’ utilizzo non autorizzato da parte della società (…) s.r.l. ai fini commerciali delle immagini riproducenti il (…); di inibire a (…) s.r.l. l’ utilizzo ai fini commerciali dell’ immagine del (…) in qualunque forma e/o strumento, anche informatico sui propri siti internet e su tutti gli altri siti e social di sua competenza; di ordinare a (…) s.r.l. la rimozione delle immagini riproducenti il (…) o parti di esso, pubblicate all’ interno dei siti della società; di ordinare a (…) s.r.l. il ritiro dal commercio e la distruzione di tutti gli strumenti utilizzati per produrre e/o commercializzare l’ immagine del (…), sia presso la società convenuta che presso terzi che li detengano e/o ne facciano commercio e/o ne abbiano, comunque, la disponibilità; nonché inibire ogni utilizzo futuro della statua o delle statue del (…) realizzate dalla società (…) s.r.l.; di condannare (…) s.r.l. al pagamento di una penale, da quantificare nella misura di Euro 10.000,00 o nella diversa misura ritenuta di giustizia, per ogni giorno di ritardo nell’ esecuzione del provvedimento cautelare, o anche per il caso di eventuale ripresa dell’ utilizzo abusivo dopo la sospensione dell’ attività illecita per ordine del giudice; di disporre la pubblicazione della sentenza ai sensi dell’ art. 120 c.p.c., a cura e spese delle società convenute, per esteso, a caratteri doppi del normale, per tre volte, anche non consecutive, su due quotidiani a diffusione nazionale, su due quotidiani a diffusione locale e su due periodici a carattere nazionale, anche nelle loro versioni online, nonché sul sito internet, su youtube e sulla pagine Instagram della società (…) s.r.l., stabilendo altresì il termine per l’ inserzione, scaduto il quale potrà procedervi la parte a favore della quale è stata disposta, con diritto di ripetere le spese dalle obbligate. Con vittoria di spese.
2. In data 01.04.2022 si è costituita la società (…), in persona del suo legale rappresentante pro-tempore, (…) chiedendo: nel rito, di dichiarare sia per la fase cautelare che per quella successiva di merito a cognizione piena la propria incompetenza territoriale in favore alternativamente del Tribunale di Massa o del Tribunale di Roma; in via cautelare: respingere tutte le istanze cautelari ex adverso avanzate difettando sia il fumus boni iuris che il periculum in mora; nel merito nella fase a cognizione piena: respingere tutte le domande avanzate da parte attrice in quanto infondate in fatto ed in diritto, oltre che nulle per indeterminatezza del petitum, prescritte e comunque non provate; nella ipotesi denegata e non creduta che la domanda attrice in relazione alla campagna (…) possa trovare accoglimento totale o parziale, salvo in ogni caso gravame sul punto, accertare e dichiarare il concorso di (…) nella causazione di eventuali danni nella misura minima e marginale che sarà ritenuta congrua e di giustizia,
ritenendola del tutto estranea alla attività di merchandising e/o all’ allestimento
di show-room proprie della co-convenuta (…) spa; nella ipotesi che permangano dubbi in merito alla lettura degli artt. 106, 107 e 108 c.b.c. “a) voglia rimettere alla Corte di Giustizia dell’ Unione Europea la seguente questione pregiudiziale: “E’ compatibile con il diritto dell’ Unione Europea, e in particolare con la Direttiva 2006/116/CE concernente la durata di protezione del diritto d’ autore e di alcuni diritti connessi, una disciplina nazionale che regolamenti l’ uso delle opere artistiche classificate come beni culturali custoditi dalla pubblica amministrazione e che riconosca un diritto esclusivo di utilizzazione economica sulla riproduzione, in qualsiasi forma e modo, di tali opere artistiche contro sfruttamenti economici non autorizzati, senza limiti temporali e in ogni caso
oltre i termini della protezione del diritto d’ autore ?” b) Voglia rimettere alla Corte Costituzionale la questione di legittimità costituzionale degli art. 106 -107 e 108 CBC nella parte in cui impongono sostanzialmente una imposta al contribuente in violazione del diritto di libertà economica privata tutelato dall’ art 41 della Costituzione nonché in misura fissa tale da violare il principio di capacità contributiva del contribuente e di progressività della tassazione tutelati dall’ art. 53 della Costituzione. Si è riportata alle istanze istruttorie di cui alla comparsa. La società costituita ha eccepito l’ incompetenza territoriale deducendo che il presunto illecito si sarebbe compiuto a Carrara e stante il fatto che la prospettazione della domanda attorea in forza della quale si sarebbe radicata la competenza presso il foro di Firenze troverebbe un limite invalicabile in una prospettazione dei fatti artificiosa, ictu oculi infondata e finalizzata a sottrarre la controversia al giudice precostituito per legge.
Si è costituita (…) S.p.A. dichiarandosi estranea al reclamo promosso dal Ministero, non essendovi domande cautelari proposte nei propri confronti e ha riservato le proprie difese alla fase di merito.
3. Preliminarmente deve essere rigettata l’ eccezione di incompetenza territoriale, condividendosi integralmente le ampie e articolate motivazioni al riguardo già spese dal dott. (…) con l’ ordinanza del 31.1.2022 e 2.2.2022, laddove ha rilevato che il luogo in cui il danno si è prodotto è Firenze – luogo nel quale il bene culturale è custodito, con un notorio intenso legame tra l’ opera e la storia del territorio, bene del quale è consegnataria la Galleria dell’ Accademia di Firenze, alla quale deve essere chiesta l’ autorizzazione per la riproduzione e l’ uso, con incasso dei corrispettivi relativi – e pertanto il Tribunale di Firenze è il foro competente ai sensi dell’ art. 20 c.p.c.
4. Parimenti il Tribunale ritiene infondata l’ eccezione di difetto di legittimazione attiva del Ministero della Cultura, sulla quale parimenti rinvia alla motivazione del dott. (…) delle medesime ordinanze sopra richiamate, nelle quali il Giudice ha dato appropriatamente conto del quadro normativo in relazione al quale il Ministero ha correttamente agito, con la difesa dell’ Avvocatura di Stato.
5. Con il reclamo il Ministero contesta la valutazione di assenza del requisito del periculum in mora, effettuata in seno all’ ordinanza del Dott. (…), il quale ha ritenuto che, con riferimento al dedotto utilizzo abusivo dell’ immagine del (…) a fini pubblicitari sul sito (…), l’ azione cautelare risulterebbe essere stata proposta quattro anni dopo la condotta assunta come abusiva ed illecita, di tal chè non sarebbe ravvisabile un pericolo di pregiudizio imminente ed irreparabile a fronte di una situazione che perdura stabilmente da svariati anni.
Va premesso che il Giudice di prime cure ha accuratamente ricostruito le impostazioni giurisprudenziali che ravvisano il periculum in re ipsa, sull’ assunto che la contraffazione crei sempre un pericolo attuale tendenzialmente irreversibile e perché i danni sono difficilmente quantificabili e risarcibili all’ esito del procedimento ordinario. Pur condividendosi in linea astratta l’ impostazione del giudice sul rilievo che possa assumere (a ben vedere soprattutto in tema di tutela del diritto d’ autore) il lungo protrarsi della situazione della cui lesività si controverta, per denegare il riconoscimento del periculum e di una protratta tolleranza nel tempo ad opera della parte lesa, tuttavia il Tribunale ritiene di dissentire al riguardo in punto di fatto. In primo luogo non può che convenirsi con il reclamante circa l’ assenza in atti di elementi per ritenere che il Ministero monitorasse i siti di (…) srl, e di come risulti pressocchè impossibile un costante monitoraggio del web, considerato che la ricerca della stringa “(…) Michelangelo” nei principali motori di ricerca produce complessivamente 38.990.000 di risultati (circostanza non contestata e ragionevolmente intuibile).
In tale quadro, risulta piuttosto come nel 2018 venne all’ attenzione del Ministero la campagna pubblicitaria (…) intrapresa da (…) spa – apparsa sui principali media italiani – realizzata con l’ utilizzo di un clone del (…). Attraverso la ricerca nel web indirizzata ad accertare il proprietario della statua in marmo ed altri possibili utilizzi della statua ad uso pubblicitari, e dunque commerciali, il proprietario era stato individuato in (…) srl, e rinvenuto sul sito (…) della società un video che mostrava il montaggio della statua in Piazza (…) (come da report del 29.10.2018 e del 9.11.2018, All. 2 e 5 al ricorso ex art. 700. c.p.c. ).
Il Ministero aveva quindi proposto prontamente un ricorso cautelare proposto ex art. 700 c.p.c. in data 10.11.2018, chiedendo, tra l’ altro, di accertare e dichiarare l’ utilizzo non autorizzato a fini commerciali dell’ immagine del (…) da parte della Società (…) S.r.l. e della Società (…) S.p.A. e di inibire alla Società (…) S.p.A. ed alla società (…) S.r.l. in Italia e su tutto il territorio europeo, l’ utilizzo a fini
commerciali della immagine del (…) o di parti di esso, in qualunque forma e/o strumento, anche informatico sui propri siti internet e su tutti gli altri siti e social
di loro competenza. Opportunamente il Ministero ha documentato come, nel costituirsi in quel giudizio (…) aveva invocato la propria estraneità alle contestate violazioni e perfetta buona fede esponendo e dichiarando:
“In data 29.11.2018 la Società resistente, vista la lettura data ai fatti per cui è causa dal Ministero ricorrente e pur ritenendone la assoluta infondatezza, già ha provveduto fin dal 29.11.2018 a far eliminare dalla propria pagina (…), unica piattaforma informatica su cui essa abbia un proprio sito, il video già visibile sulla piattaforma (…) all’ url “(…)/(…) – (…), realizzato da (…) ritraente la copia del (…) a Milano Piazza (…) del quale il ricorrente al punto e) delle sue Conclusioni ha chiesto la rimozione: la circostanza è comprovata dalla Attestazione/report in data 29.11.2018 della Società “Informatica in Azienda” corrente in Bologna (se ne veda in particolare la pg.6 di 8), la cui certificazione ha validità legale ai sensi del regolamento Europeo UE 910/2014 in esso richiamato, che si allega unitamente al relativo supporto informatico con annessa firma digitale
SUL FUMUS BONI IURIS
Pur consapevoli del principio “ignorantia legis non excusat” preme sottolineare che la Società esponente in merito alla riproduzione ed utilizzo del (…) ha sempre agito in buona fede senza alcun fine di lucro e certamente senza dolo alcuno, spinta unicamente da motivazioni volte alla promozione culturale dell’ arte scultorea e dell’ opera stessa.
La società esponente si impegna espressamente a conservare la riproduzione del (…) all’ interno del proprio Atelier quale strumento didattico per la formazione degli scultori ed a non consentirne l’ utilizzo che le sia richiesto per qualsivoglia ulteriore evento, se non previa richiesta ed autorizzazione da parte della Galleria della Accademia.
La già avvenuta rimozione dalla propria pagina (…) del video ritraente il (…) a Milano Piazza (…) impone di ritenere attendibile il rispetto di tale impegno…”. L’ odierna reclamata, dunque, in detta sede aveva riconosciuto espressamente i fatti, la configurabilità giuridica della violazione (contestando l’ elemento soggettivo in specie sotto il profilo di assenza di intenti commerciali) e non solo aveva documentato di aver proceduto alla rimozione delle immagini del (…) dall’ unico sito che dichiarava di possedere, ma aveva altresì assunto l’ impegno “a conservare la riproduzione del (…) all’ interno del proprio Atelier quale strumento didattico per la formazione degli scultori” – uso certamente lecito e non lesivo del valore culturale del bene – e soprattutto “a non consentirne l’ utilizzo che le sia richiesto per qualsivoglia ulteriore evento, se non previa richiesta ed autorizzazione da parte della Galleria della Accademia”, così riconoscendo i diritti della Galleria.
Proprio in virtù di tale condotta posta in essere attivamente e dell’ impegno ad omettere ogni ulteriore reiterazione il Tribunale con ordinanza del 2.1.2019, preso atto dell’ immediatezza con cui erano state rimosse dalla pagina social le immagini del (…) ad opera dell’ odierna reclamata, ritenendo tale impegno “senz’ altro credibile, in relazione alla buona fede della convenuta desumibile dal fatto che essa non risulta aver mai utilizzato la copia del monumento a fini di proprio lucro”, riteneva venuto meno il requisito del periculum in mora. Sennonchè, contrariamente a quanto (artatamente) dichiarato – in assenza di motivo di approfondimenti ad opera del Ministero a fronte del sopra riportato tenore delle difese, è del tutto plausibile ritenere che solo in occasione dell’ esercizio dell’ azione di merito nei confronti di (…) S.p.A. sia stato scoperto che in realtà (…) utilizzava abusivamente l’ immagine del (…) per pubblicizzare la propria attività commerciale sul sito (…) (le successive ricerche portarono all’ individuazione del sito ormai dismesso di studidarte.com). E’ ovvio che ove il Ministero ne avesse avuto precedente contezza e la (…) non avesse omesso ogni riferimento ad ulteriori utilizzi, tale conoscenza sarebbe stata spesa nel richiamato giudizio cautelare per ottenere quella tutela che apparve allora superflua a fronte di un’ acquiescenza pronta e spontanea alle richieste ministeriali, senza disconoscimento del fondamento giuridico delle stesse.
Tale quadro fattuale smentisce l’ assunto – astrattamente corretto – del giudice di prime cure circa l’ assenza del periculum in mora fondato sulla considerazione di una cosciente tolleranza protratta nel tempo della situazione che si prospetta come pregiudizievole, che sarebbe incompatibile con l’ urgenza.
Vero piuttosto – in punto di fatto, per quanto di rilievo nel presente procedimento – che il Ministero una volta avuta contezza della condotta, si è attivato in sede giudiziale – per il fatto diverso, prima non dedotto e non noto dell’ utilizzo dell’ immagine del (…) sui propri siti internet da parte dell’ odierna reclamata – proprio per evitare la stabilizzazione delle possibili conseguenze lesive della condotta.
Ritiene il Tribunale che l’ utilizzo dell’ immagine del (…) nel sito di una impresa commerciale, quale è la (…) s.r.l. che è una società a responsabilità limitata (visura CCIA doc. 17 da cui emerge che la società esercita la lavorazione artistica del marmo, pietre ed affini, lavori in mosaico e creazione di sculture), la quale in virtù della sua natura societaria persegue indubbiamente scopi di lucro, sia idoneo a svilire l’ immagine del bene culturale facendolo scadere ad elemento distintivo delle qualità della impresa che, attraverso il suo uso promuove la propria immagine, con uso indiscutibilmente commerciale, che potrebbe indurre terzi a ritenere siffatto libero utilizzo lecito o tollerato. Si evidenzia che essendovi un indubbio uso dell’ immagine del bene culturale, risulta irrilevante che si tratti – per la maggioranza delle immagini, per quanto dedotto, si noti e non per tutte – delle immagini della copia dell’ originale realizzata dalla reclamata, tanto più che ciò non è percepibile dal pubblico attenendo unicamente all’ essere volto lo sguardo della statua a destra invece che a sinistra con diverso orientamento della fionda.
Ben diversa cosa sarebbe stata e sarebbe il rispetto dell’ impegno che opportunamente l’ impresa aveva assunto nel precedente giudizio cautelare di conservare la riproduzione del (…) all’ interno del proprio Atelier quale strumento didattico per la formazione degli scultori ed a non consentirne l’ utilizzo che le sia richiesto per qualsivoglia ulteriore evento, se non previa richiesta ed autorizzazione da parte della Galleria della Accademia.
In definitiva il Tribunale ritiene ravvisabili i presupposti per la chiesta tutela in via d’ urgenza evidenziando che per quanto i profili economici possano sempre essere regolati monetariamente, e quindi senza urgenza, tuttavia la volgarizzazione dell’ opera d’ arte e culturale e la riproduzione senza il preliminare vaglio ad opera delle autorità preposte con riferimento alla compatibilità tra l’ uso e il valore culturale dell’ opera, crea il pericolo di un danno irreversibile per tutti quegli usi che l’ autorità preposta dovesse giudicare incompatibile, inibendola. Infatti poiché il danno all’ immagine dell’ opera pubblica è un danno anche immateriale al bene culturale per il suo valore collettivo, già sopra richiamato e che di seguito si viene ad approfondire, tale valore subirebbe un irreversibile pregiudizio nelle more della definizione della causa di merito.
Deve peraltro evidenziarsi che è irrilevante con riferimento all’ oggetto e scopo dell’ odierno reclamo che la società abbia esposto la propria riproduzione del (…) in eventi o manifestazioni culturali di alto livello a titolo gratuito (…), organizzate da istituzioni pubbliche. Deve infatti evidenziarsi come nelle predette circostanze (che non sono qui in alcun modo in contestazione) si è trattato di utilizzi in ambito non commerciale rispettosi del valore simbolico del bene, che non richiedono la speciale autorizzazione oggi in discussione, nelle quali è secondario il sicuro risvolto positivo in termini di immagine da parte dell’ impresa. Considerato inoltre come nel procedimento pregresso l’ impresa aveva assicurato di aver rimosso ogni immagine del (…) impegnandosi ad astenersi dal ripetere la condotta, è del tutto evidente come risulti inidoneo ad impedire l’ adozione del provvedimento la dichiarazione contenuta a pagina 11 della comparsa secondo la quale l’ impresa si starebbe attivando per rimuovere dal sito l’ unica fotografia che, a proprio dire, potrebbe forse essere riconducibile all’ originale del (…).
5. Superata la questione attinente al periculum, deve procedersi all’ esame del requisito del fumus boni iuris (assorbito nella pronuncia di prime cure dalla pronuncia sul periculum), ossia della sussistenza del diritto all’ immagine del bene culturale ai sensi degli artt. 107 e 108 del D.Lgs. 42/2004, riprendendo ed approfondendo taluni degli argomenti già sopra prospettati Sotto il profilo della interpretazione letterale, si ritiene che il concetto di “riproduzione” è riconducibile al significato più comune della nozione di immagine stessa: per “immagine” si intende non solo la forma esteriore degli oggetti corporei in quanto percepita attraverso il senso della vista, ma anche proprio la forma esteriore di un oggetto corporeo che rimane impressa su di un supporto, in una lastra o pellicola o carta fotografica, su di una memoria artificiale; la nozione di riproduzione, così, più propriamente evoca il ricorso ad un mezzo meccanico che consente la duplicazione.
Dal punto di vista della interpretazione teleologica, rileva la deroga all’ obbligo di autorizzazione in ricorrenza dei presupposti tassativi di cui all’ art. 108 co. 3-bis. La tassatività di tali ipotesi derogatorie va in primo luogo a confermare, a contrario, l’ esistenza in via generale nell’ ordinamento del diritto all’ immagine dei beni culturali, garantito attraverso il divieto generale di riprodurre il bene culturale in assenza di autorizzazione. Ulteriormente, la ratio delle fattispecie derogatorie è da individuarsi nella ritenuta compatibilità da parte del legislatore, in astratto, di determinate modalità di utilizzo delle immagini con le finalità ultime della tutela dei beni culturali. Grazie all’ elencazione dettagliata delle attività sottratte all’ obbligo di preventiva autorizzazione, emerge dunque l’ esistenza giuridica di un quid pluris, del tutto diverso dal mero sfruttamento economico della riproduzione del bene culturale, che anzi pone su un piano meramente accessorio l’ aspetto patrimoniale, giungendo fino alla sua esclusione nei casi individuati dall’ art. 108. Pertanto, è tale quid pluris il punto focale della tutela. Già sulla base del solo art. 108 co. 3-bis C.B.C., esso è individuabile nella destinazione funzionale dei beni culturali ad essere fruiti in modo culturalmente qualificato e gratuito da parte dell’ intera collettività, secondo modalità che portino allo sviluppo della cultura ed alla promozione della conoscenza, da parte del pubblico, del patrimonio storico e artistico della Nazione. La ratio delle disposizioni esaminate, pertanto, saldamente delinea la tutela di un aspetto di carattere anche non patrimoniale attinente alla riproduzione del bene culturale. Tali aspetti essenziali altro non possono configurare che il diritto all’ immagine del bene culturale. Già dall’ interpretazione teleologica delle singole norme in esame emerge dunque quanto risulta confermato dalla loro interpretazione sistematica, ovverosia che il perseguimento delle finalità ultime individuate dalla normativa di tutela dei beni culturali non può prescindere dalla tutela della loro immagine (ed, infatti, non ne prescinde). Ciò in quanto costituisce fine ultimo della tutela e valorizzazione del patrimonio culturale la sua pubblica fruizione, ai sensi dell’ art. 3 co. 1 C.B.C.: “1. La tutela consiste nell’ esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette, sulla base di un’ adeguata attività conoscitiva, ad individuare i beni costituenti il patrimonio culturale ed a garantirne la protezione e la conservazione per fini di pubblica fruizione.” e dell’ art. 6 co. 1 C.B.C.: “1. La valorizzazione consiste nell’ esercizio delle funzioni e nella disciplina delle attività dirette a promuovere la conoscenza del patrimonio culturale e ad assicurare le migliori condizioni di utilizzazione e fruizione pubblica del patrimonio stesso, anche da parte delle persone diversamente abili, al fine di promuovere lo sviluppo della cultura. (…)” (sottolineature nostre). Ai sensi dell’ art. 1 co. 2 C.B.C., il suddetto fine coincide altresì con il fine ultimo di “preservare la memoria della comunità nazionale e del suo territorio” e “promuovere lo sviluppo della cultura”. Assoluta centralità assumono a tale scopo nel C.B.C. il carattere storico-artistico dei beni culturali e la loro destinazione culturale, alla quale l’ art. 106 C.B.C. subordina l’ uso individuale dei beni culturali. La fruizione pubblica va dunque interpretata come un “processo di conoscenza, qualificata e compiuta, di un oggetto, di una realtà che diventa parte e patrimonio della cultura singola e collettiva”, mentre non costituisce pubblica fruizione qualsiasi mera occasione di pubblicità per il bene culturale. Anche la riproduzione del bene culturale, quale suo uso, può pertanto avvenire solo ove sussistano i caratteri della pubblica fruizione nei termini fin qui chiariti. Ciò è del resto confermato anche dalla collocazione degli artt. 107 e 108 C.B.C. nella Parte II del testo normativo, al Titolo II, rubricato proprio “Fruizione e valorizzazione”. Pertanto, non è sufficiente per la legittima riproduzione del bene culturale il pagamento (ancorché ex post) di un corrispettivo, poiché elemento imprescindibile dell’ utilizzo lecito dell’ immagine è il consenso reso dall’ Amministrazione, all’ esito della valutazione discrezionale circa la compatibilità dell’ uso richiesto (e la sua eventuale conformazione) con la destinazione culturale ed il carattere storico-artistico del bene. La natura stessa del bene culturale intrinsecamente dunque esige la protezione della sua immagine, mediante la valutazione di compatibilità riservata all’ Amministrazione, intesa come diritto alla sua riproduzione nonché come tutela della considerazione del bene da parte dei consociati oltre che della sua identità, intesa come memoria della comunità nazionale e del territorio, quale nozione identitaria collettiva: tale contenuto configura un diritto all’ immagine del bene culturale in senso pieno. L’ oggetto della tutela del patrimonio culturale è infatti ivi individuato anche nella sua funzione identitaria collettiva (“memoria della comunità nazionale”): il patrimonio culturale esprime e conserva il patrimonio intellettuale, politico, sociale, religioso, ideologico della collettività, la cui protezione viene ad individualizzarsi e concretizzarsi in relazione ai singoli beni culturali. Del resto, una definizione della compatibilità con la destinazione culturale ed il carattere storico e artistico del bene in termini esclusivamente negativi, di assenza di utilizzi in senso stretto denigratori ed offensivi, non risulta conciliabile con la ratio di tutela dinamica e valorizzazione del C.B.C., nonché con la destinazione collettiva del bene culturale individuata dalla Costituzione, che lo tutela come espressione dell’ identità collettiva. Pertanto, deve concludersi che l’ ordinamento ha configurato in relazione al bene culturale un pieno ed effettivo diritto all’ immagine. Del resto, la tutelabilità in giudizio del diritto all’ immagine trova ormai sereno riscontro nella giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 12929/2008; Cass. Civ. n. 8397/2016; Cass. Civ. n. 23401/2015; Cass. Civ. n. 18218/2009). In un’ ottica attenta all’ evoluzione della prassi degli operatori economici, e della conseguente riallocazione concreta degli interessi nell’ ordinamento, la Suprema Corte ha preso atto del corrente processo di emersione delle res materiali quali espressione di profili giuridici immateriali autonomamente rilevanti e suscettibili di tutela, pur in assenza di immediata e diretta riconducibilità alla persona. L’ immagine di un bene è dunque cosa diversa rispetto all’ immagine del suo titolare. Attesa dunque la già riconosciuta autonomia del diritto all’ immagine in relazione a semplici beni non qualificati da particolare rilievo per la collettività, seppur particolarmente noti ed ammirati dal punto di vista commerciale, non risulterebbe affatto ragionevole escludere la tutela di tale diritto con riferimento al bene culturale. Ciò che peraltro era stato espressamente riconosciuto dalla odierna reclamata nel precedente procedimento cautelare laddove aveva esposto che “In merito alla riproduzione ed utilizzo del (…) ha sempre agito in buona fede senza alcun fine di lucro e certamente senza dolo alcuno, spinta unicamente da motivazioni volte alla promozione culturale dell’ arte scultorea e dell’ opera stessa. La società esponente si impegna espressamente a conservare la riproduzione del (…) all’ interno del proprio Atelier quale strumento didattico per la formazione degli scultori ed a non consentirne l’ utilizzo che le sia richiesto per qualsivoglia ulteriore evento, se non previa richiesta ed autorizzazione da parte della Galleria della Accademia”. Direbbero i latini, con maggiore sintesi “ex ore tuo te iudico”.
6. Il Tribunale ritiene opportuno evidenziare che non sono ravvisabili i presupposti per una rimessione all’ esame della Corte di Giustizia dell’ Unione Europea circa la durata temporale illimitata dei Beni Culturali oltre i termini posti dalla normativa sul diritto d’ autore, considerata la ben diversa dimensione della tutela del bene culturale – per i valori coinvolti come sopra esposto – rispetto alla tutela del mero diritto d’ autore.
7. Né si condividono i rilievi circa una presunta violazione della disciplina della tutela dei beni culturali – consideratone l’ altissimo rango costituzione conferito dall’ art. 9 costituzione – per la peraltro del tutto genericamente dedotta eccessività dei canoni di concessione con gli artt. 41 e 53 della Costituzione.
8. Quanto al contenuto del provvedimento da adottare, va disposta la rimozione del sito web (…) (con le specificazioni chieste dalla reclamante) della riproduzione delle immagini riproducenti il (…) o parti di esso, pubblicate all’ interno dei siti della società come richiesto, inibendo l’ utilizzo non autorizzato delle immagini riproducenti il (…) e della statua o statue in suo possesso del (…).
Si ritiene altresì opportuna la determinazione di una penale di Euro 500 al giorno per ogni giorno di ritardo nell’ esecuzione del provvedimento cautelare o di eventuali ripresa di uso abusivo dopo la sospensione dell’ attività illecita.
9. Parimenti va disposta la pubblicazione come richiesta, nei termini di cui al dispositivo.
10. Non si ritiene per contro necessario in questa sede cautelare l’ ordine di ritiro dal commercio e distruzione richiesti, che più opportunamente andranno disposti all’ esito del giudizio di merito, previa puntuale individuazione e ricognizione, anche al fine di assumere un provvedimento concretamente eseguibile.
11. Spese al definitivo.
P.Q.M.
Il Tribunale in composizione collegiale, ogni diversa istanza disattesa, in accoglimento del reclamo avverso l’ ordinanza n. RG. 2992/2021:
– inibisce a (…) s.r.l. in persona del suo legale rappresentante p.t. l’ utilizzo a fini commerciali dell’ immagine del (…) in qualunque forma e/o strumento, anche informatico sui propri siti internet e su tutti gli altri siti e social di sua competenza;
– ordina a (…) s.r.l in persona del suo legale rappresentante p.t. la rimozione delle immagini riproducenti il (…) o parti di esso, pubblicate all’ interno dei siti della società, ed in particolare così dettagliate e ricomprendenti le seguenti sezioni del sito: (Omissis)
– condanna (…) s.r.l. in persona del suo legale rappresentante p.t. al pagamento di una penale di Euro 500 per ogni giorno di ritardo nell’ esecuzione del provvedimento cautelare a decorrere dal settimo giorno successivo alla comunicazione del presente provvedimento e per il caso di eventuale ripresa dell’ utilizzo abusivo dopo la sospensione dell’ attività illecita per ordine del giudice;
– ordina la pubblicazione del presente provvedimento a cura e spese dello (…) s.r.l., per esteso, a caratteri doppi del normale, per tre volte, anche non consecutive, su due quotidiani a diffusione nazionale – tra cui il Corriere della Sera – su due quotidiani a diffusione locale – tra cui La Nazione – e su due periodici a carattere nazionale, anche nelle loro versioni on-line, nonché sul sito internet, su youtube e sulla pagina instagram delle società (…) s.r.l., con termine non superiore a giorni 7 dalla comunicazione per l’ inserzione, scaduto il quale potrà procedervi il Ministero per la Cultura con diritto a ripetere le spese dall’ obbligata, provvedendo altresì a darne idonea documentazione nel procedimento.
Omissis.
[1] Trib. Firenze (ord.), 11 aprile 2022, che si può leggere in https://www.lentepubblica.it/wp-content/uploads/2022/09/Tribunale-di-Firenze-Sentenza-11-Aprile-2022-utilizzo-a-fini-pubblicitari-beni-culturali.pdf. Analogamente aveva deciso lo stesso tribunale qualche anno prima, sempre con riguardo al David di Michelangelo: cfr. Trib. Firenze (ord.), 22 novembre 2017 (ined.).
La stessa opera d’ arte è stata inoltre oggetto di una vicenda risoltasi stragiudizialmente e conosciuta come “caso ArmaLite”, tra l’ Italia e una nota impresa statunitense costruttrice di armi, e vertente sull’ uso indebito dell’ immagine del capolavoro per pubblicizzare una marca di armi da guerra. Si può leggere, a tale riguardo, https://www.phaidon.com/agenda/art/articles/2014/march/10/italy-v-armalite-over-use-of-michelangelos-david/.
[2] Altro caso, sull’ argomento, concerne la lite insorta tra Fondazione Teatro Massimo di Palermo e la Banca Popolare del Mezzogiorno a seguito della quale si è pronunciato Trib. Palermo, 21 settembre 2017, che può leggersi in https://www.laseroffice.it/blog/2017/12/15/testo-integrale-della-sentenza-di-palermo-sulle-riproduzioni-del-teatro-massimo/, che ha condannato la Banca al pagamento, a favore della Fondazione, del canone previsto dall’ art. 108 del d. lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (“Codice dei beni culturali”), quale corrispettivo per l’ impiego dell’ immagine riproduttiva del Teatro Massimo sul sito della Banca e nelle brochure promozionali delle proprie agenzie.
[3] Cfr. M.S. Giannini, I beni culturali, in Riv. trim. dir. pubbl., 1976, p. 3 e segg., secondo il quale «il bene culturale non è bene materiale, ma immateriale: l’ essere testimonianza avente valore di civiltà è entità immateriale, che inerisce ad una o più entità materiali, ma giuridicamente è da questa distinta, nel senso che esse sono supporto fisico, ma non bene giuridico».
[4] A. Zoppini, I diritti della personalità delle persone giuridiche (e dei gruppi organizzati), in Riv. dir. civ., 2002, I, p. 852 e segg.; Ar. Fusaro, I diritti della personalità dei soggetti collettivi, Padova, 2002.
In giurisprudenza, Cass. 11 agosto 2009, n. 18218, in Danno e resp., 2010, p. 471 e segg., secondo cui «la tutela civilistica del nome e dell’ immagine, ai sensi degli art. 6, 7 e 10 c.c., è invocabile non solo dalle persone fisiche ma anche dalle persone giuridiche e dai soggetti diversi dalle persone fisiche e, nel caso di indebita utilizzazione della denominazione e dell’ immagine di un bene, la suddetta tutela spetta sia all’ utilizzatore del bene in forza di un contratto di leasing, sia al titolare dei diritti di sfruttamento economico dello stesso».
[5] Così G. Resta, L’ immagine dei beni in Cassazione, ovvero: l’ insostenibile leggerezza della logica proprietaria, in Danno e resp., 2010, p. 479.
[6] Trib. Firenze, 11 aprile 2022, cit.
[7] Cfr. G. Resta, Chi è proprietario delle Piramidi? L’ immagine dei beni tra property e commons, in Pol. dir., 2009, p. 567 e segg.
[8] Cfr. ancora G. Resta, Op. cit., p. 600, il quale riporta anche l’ esempio della struttura del Museo dell’ Ara Pacis di Richard Meier.
In argomento, recentemente, cfr. Cass. 8 febbraio 2022, n. 4038 (ord.), in Danno e resp., 2022, p. 459 e segg., con nota di F. Bosetti, Artisti senza pace. Mario Schifano e l’ anemico paesaggio del diritto esclusivo di riproduzione delle opere d’ arte. Anche in tal caso, secondo la Suprema Corte, il diritto di riproduzione delle immagini spettanti in esclusiva agli eredi del Maestro Schifano non può essere esercitato da terzi senza l’ autorizzazione dei titolari della privativa.
[9] Cfr. M. Fusi, Sulla riproduzione non autorizzata di cose altri in pubblicità, in Riv. dir. ind., 2006, p. 89 e segg., spec. p. 98, secondo cui «[c]he l’ esclusiva dominicale investa anche l’ aspetto esteriore della res e che il proprietario, in funzione di essa, goda di uno jus excludendi alios non può quindi (…) essere negato».
Cfr. anche M. Pastore, Prove (a)tecniche di tutela esclusiva dell’ immagine dei beni, in Danno e resp., 2010, p. 486 e segg., spec. p. 488, secondo cui «qualora in relazione al bene sussista un diritto d’ autore o un diritto di privativa per opere architettoniche, disegni o modelli industriali, appare pacifico che rientri tra le facoltà esclusive dell’ autore il potere di autorizzare o interdire la riproduzione visiva, fatte salve le c.d. cause di libera utilizzazione poste dalla stella legge nel contemperamento di interessi pubblici. Ma, se sul regime giuridico del bene non incide alcun diritto di proprietà intellettuale, appare più arduo individuare un fondamento di tutela della cosa in sé (…). Tradizionalmente, la categoria giuridica cui maggiormente si è fatto riferimento per ancorare una tutela esclusiva sull’ immagine dei beni è stato il diritto di proprietà (…)».
V. ancora G. Resta, Op. cit., p. 584, il quale riporta il caso della riproduzione dei dipinti di Caravaggio presenti nella Chiesa di San Luigi de’ Francesi a Roma. I proprietari dell’ edificio di culto avevano agito nei confronti della Armando Curcio Editore chiedendo un risarcimento del danno per l’ avvenuta riproduzione delle immagini dei dipinti senza autorizzazione. Domanda poi respinta perché tale autorizzazione si era ritenuta sussistente a monte, a favore del fotografo al quale la Società editrice aveva chiesto le foto. Con ciò, in ogni caso, ribadendo che la riproduzione dell’ immagine del bene artistico di proprietà privata è vietata senza preventiva autorizzazione.
Analoga conclusione per un altro caso, riguardante un fotografo che si era introdotto clandestinamente nell’ abitazione della contessa Marzotto per effettuare foto e riprese di alcuni quadri e disegni di Guttuso presenti nell’ immobile, la cui riproduzione veniva effettivamente inibita dal giudice.
[10] Cfr. U. Mattei, Beni culturali, beni comuni, estrazione, in Aa.Vv., Patrimonio culturale, profili giuridici e tecniche di tutela, Roma, 2017, p. 147 e segg., spec. p. 152: «Se sono proprietario di un quadro di Picasso di valore inestimabile e voglio farmi cremare con il quadro non posso, anche se esso formalmente è mio. È mio, l’ ho comprato, l’ ho pagato un sacco di soldi, sono andato all’ asta, ma non posso farmi cremare con il quadro di Picasso. Questo perché c’ è un valore, che è intergenerazionale di quella produzione artistica che non può essere oggetto di proprietà privata idiosincratica».
[11] È il caso della Galleria dell’ Accademia di Firenze, che accoglie il David di Michelangelo, dalla cui vicenda prendono le mosse le presenti considerazioni.
[12] Sulla funzione sociale della proprietà, cfr. P. Perlingieri, Introduzione alla problematica della «proprietà», Napoli, 1971; Id., La «funzione sociale» della proprietà nel sistema italo-europeo, in Le Corti salernitane, 2016, p. 175 e segg.; G. Carapezza Figlia, Proprietà e funzione sociale. La problematica dei beni comuni nella giurisprudenza delle Sezioni unite, in Rass. dir. civ., 2012, p. 535 e segg.
[13] La legge n. 124/2017, peraltro, completa quanto già anticipato dal c.d. Art Bonus (d.l. 31 maggio 2014, n. 83) sulla possibilità per i privati di riprodurre liberamente i beni culturali. Sul punto, cfr. E. Sbarbaro, Codice dei beni culturali e diritto d’ autore: recenti evoluzioni nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale, in Riv. dir. ind., 2016, II, p. 63 e segg., nonché dalla legge 9 gennaio 2008, n. 2 che, aggiungendo il comma 1 bis all’ art. 70 della legge sul diritto di autore (L. 22 aprile 1941, n. 633), prevede espressamente che «È consentita la libera pubblicazione attraverso la rete internet, a titolo gratuito, di immagini e musiche a bassa risoluzione o degradate, per uso didattico o scientifico e solo nel caso in cui tale utilizzo non sia a scopo di lucro». Cfr., in argomento, D. Sarti, Nota in tema di diritto d’ autore, reti telematiche e libere utilizzazioni per scopi didattici, in Nuove Leggi civ. comm., 2009, p. 368 e segg.
[14] Cfr. Cass. 11 agosto 2009, n. 18218, cit.
[15] Sui beni comuni cfr. S. Rodotà, I beni comuni. L’ inaspettata riscoperta degli usi collettivi, Napoli, 2018; Id., Il terribile diritto. Studi sulla proprietà provata e i beni comuni, Bologna, 2013; U. Mattei, Beni comuni. Un manifesto, Roma-Bari, 2011; G. Carapezza Figlia, Oggettivazione e godimento delle risorse idriche. Contributo a una teoria dei beni comuni, Napoli, 2008; Id., Premesse ricostruttive del concetto di beni comuni nella civilistica italiana degli anni Settanta, in Rass. dir. civ., 2011, p. 1061 e segg.; A. Lucarelli, Introduzione: verso una teoria giuridica dei beni comuni, in Rass. dir. pubbl. eur., 2007, 2, p. 3 e segg.; M.R. Marella, Il diritto dei beni comuni. Un invito alla discussione, in Riv. crit. dir. priv., 2011, p. 103 e segg.
[16] U. Mattei, Beni culturali, beni comuni, estrazione, cit., p. 152.
[17] G. Resta, Op. cit., p 600.
[18] Trib. Firenze, 11 aprile 2022, cit.
[19] Corte Cost., 24 giugno 1986, n. 151, in Giur. cost., 1986, n. 3, p. 1010 e segg., con nota di A. Anzon, Principio cooperativo e strumenti di raccordo tra le competenze statali e regionali.
[20] Alla cui tutela è strumentale la legge ordinaria. Si pensi al Codice dei Beni Culturali, ma anche alla recente riforma ex L. 9 marzo 2022, n. 22, che ha introdotto nel Codice penale le “Disposizioni in materia di reati contro il patrimonio culturale”.
[21] Si pensi alla Gioconda con i baffi di Marcel Duchamp, voce del Dadaismo, notoriamente contrario ai valori e alle regole del mondo occidentale, e ordinato invece al raggiungimento di una libertà creativa, fuori da ogni schema tradizionale.
[22] Cfr. Cons. Stato, VI sez., 28 ottobre 2010, n. 7635, in Giur. it., 2011, p. 676 e segg., secondo cui «ai sensi dell’ art. 160, comma 4, D. Lgs n. 42/2004, qualora, a seguito di danno a bene culturale, non ne sia possibile la reintegrazione, il responsabile deve corrispondere allo Stato una somma pari al valore della cosa perduta o alla diminuzione di valore subita dalla stessa».
[23] Come noto, infatti, il D. Lgs. 3 aprile 2006, n. 152 (c.d. “Codice dell’ Ambiente”) riconosce al solo Ministero dell’ Ambiente e della tutela del territorio e del mare la legittimazione ad agire per il risarcimento del danno ambientale, così come si evince dall’ art. 311, comma 1, accordando per il medesimo pregiudizio ai privati cittadini solo una facoltà sollecitatoria nei confronti dell’ ente predetto (art. 309, comma 1): «Le regioni, le province autonome e gli enti locali, anche associati, nonché le persone fisiche o giuridiche che sono o che potrebbero essere colpite dal danno ambientale o che vantino un interesse legittimante la partecipazione al procedimento relativo all’ adozione delle misure di precauzione, di prevenzione o di ripristino previste dalla parte sesta del presente decreto possono presentare al Ministro dell’ ambiente e della tutela del territorio e del mare, depositandole presso le Prefetture – Uffici territoriali del Governo, denunce e osservazioni, corredate da documenti ed informazioni, concernenti qualsiasi caso di danno ambientale o di minaccia imminente di danno ambientale e chiedere l’ intervento statale a tutela dell’ ambiente a norma della parte sesta del presente decreto».