Sandro Nardi
Professore associato di diritto privato dell’Università di Foggia
Un volume recentemente pubblicato da Pacini giuridica[1] ci offre l’occasione per riflettere sul rapporto tra il diritto e l’arte e, più in generale, sul rapporto tra il diritto e le altre discipline. E in effetti, il giurista è custode e interprete delle norme giuridiche e non può confinare la sua esperienza nelle sole categorie del diritto positivo. L’unità del sapere[2] gli impone l’interdisciplinarità, per cui inserire il diritto in un sistema assai più ampio che abbraccia la filosofia, la storia, l’economia, la sociologia, la psicologia e, appunto l’arte.
In un recente convegno tenutosi lo scorso 28 novembre, in onore del Prof. Giovanni Battista Ferri, intitolato “Il diritto civile come opera d’arte”, si è effettivamente data ampia conferma di come il giurista debba porsi un siffatto obiettivo, assai egregiamente raggiunto dal celebrato e indimenticato Maestro. E come lui, tra gli altri, Natalino Irti. Si pensi, tra i tanti riferimenti, alla sua lettura di una pagina di Dostoevskij[3], Francesco Carnelutti, e al suo Arte del diritto[4], Sabino Cassese, il quale, ispirandosi a Italo Calvino, ha avuto modo di illustrare la sua “storia singolare” attraverso l’intreccio con le “altre storie” che hanno attraversato e plasmato la sua vita accademica e istituzionale.[5]
In questa prospettiva si pone il volume sopra richiamato, che raccoglie gli scritti che Feliciano Benvenuti ha dedicato a Venezia.
Invero, la prima riflessione che suscita la lettura di tali Scritti, ordinati in un’elegante edizione, così vari quanto alle discipline trattate e così uniformi quanto allo stile, sempre sobriamente arricchito di tanti riferimenti culturali, che invogliano il lettore all’approfondimento, è proprio la grande ampiezza culturale dell’Autore, un vero umanista, un «giurista oltre il diritto» – come evidenziano i curatori del volume nel titolo della prefazione – e un accademico esemplare, che ha certamente incarnato il senso della universitas studiorum, istituzione ove si incontrano i vari saperi dell’uomo.
Venezia è il fulcro intorno al quale ruotano gli Scritti, tutti animati dall’amore che l’Autore nutriva per la città lagunare e per la sua civiltà pur se direttamente attinenti a diverse discipline, l’Arte, la Storia, il Diritto, che il Benvenuti maneggia tutte con evidente agilità dando al lettore una magistrale lezione sulle funzioni e sulle virtù della interdisciplinarità, necessaria all’evoluzione di ogni singola scienza e del suo scienziato. In particolare, gli Scritti del Benvenuti appaiono tutti ordinati a comprendere l’unico sistema in cui le varie discipline si inscrivono, delineandone tratti specifici e particolari, comunque intrecciati tra loro. Così, ad esempio, lo studio su Tiziano incisore e i suoi tempi (p. 37 ss.) è un chiaro esempio di approccio anche storico-politico dell’analisi artistica del pittore veneziano che, come noto, fu esponente di spicco dell’Umanesimo, delle cui idee si fece latore, con la sua arte, nell’Europa intera di cui Venezia costituiva certamente un centrale luogo di riferimento. Ancor più evidente l’intreccio di saperi è nello studio sul Manierismo a Venezia (p. 137 ss.) ove il Benvenuti tratta ampiamente dell’humus socio-politico sul quale anche a Venezia si sarebbe impiantata una vera e propria rivoluzione artistica quale fu, appunto, il Manierismo. Che la ricerca fosse sempre ordinata alla globalità, alla totalità dei fenomeni è concetto che il Benvenuti esprime chiaramente nel saggio su Il Verdi “politico” del “Macbeth” (p. 181 ss.). Ed in effetti dai “grandi” ossia dai “classici” emerge la capacità che essi hanno di esprimere qualcosa di globale, di «sollevare gli interessi più diversi perché capaci di penetrare negli interessi più diversi». Verdi figura certamente tra i grandi dai quali ognuno può trarre un insegnamento, non solo il musicista, ma anche il filologo, lo storico, il politico. Nel Macbeth, in particolare, emerge il Verdi uomo politico, “Maestro della Rivoluzione italiana”; in quell’opera «il compenetrarsi nella tragedia shakespeariana non si manifesta soltanto nelle arie o nei caratteri o nelle situazioni drammatiche, individuali e collettive, ma ridonda in un clima di esaltazione che non si saprebbe non chiamare appunto politica, perché in esso, al di sopra della storia contingente, viva una partecipazione ideale ad ogni storia che vede oppressi ed oppressori, che vede vindici e martiri e, nella tragedia, vizi e virtù» (p. 187).
Nei saggi sulla Storia di Venezia emerge la chiara propensione del Benvenuti a cercare nel passato la chiave di lettura del presente. Venezia non è mai venuta meno alla sua impostazione primitiva di Città-Stato, ove fu sempre presente il concetto di Patria, conservatosi per secoli fino all’avvento degli stati nazionali (cfr. Venezia da patria a nazione, p. 211 ss.), nonché il senso dell’appartenenza, della veneticità (cfr. Ragioni e caratteri della veneticità, p. 231 ss.), che si distingueva anche per i suoi “piaseri” privati e pubblici, tra cui il carnevale, per i suoi libri licenziosi e per quelli che introducevano le idee nuove di Rousseau, di Voltaire (cfr. La città dei “piaseri”, p. 283 ss.).
Gli scritti giuridici confermano lo stile del Benvenuti ampiamente contaminato di storia e arte. Le riflessioni sui problemi urbanistici di Venezia sono, ad esempio, ricche di riferimenti alle vicende lagunari che nel corso del tempo hanno interessato la Città (cfr. I problemi di Venezia. Il coordinamento dei pubblici poteri locali e centrali, p. 399 ss.). Assai interessante, appunto anche in ragione dei richiami storici, è il saggio Conterminazione lagunare: storia, ingegneria, politica e diritto nella laguna di Venezia. Conclusioni, p. 445 ss., ove il Benvenuti sottolinea come a Venezia non esista la parola “demanio”, perché Venezia non è e non era un regno, ma è una “res publica” da tutti sentita come tale. Dunque, mentre nel regno di Francia si sente il bisogno del demanio come proprietà del re, a Venezia non c’è bisogno di un demanio, perché la proprietà pubblica è la somma delle proprietà private, la quale però è garantita, tutelata e controllata dallo Stato.
Infine, è significativo il saggio che chiude il volume: L’interdisciplinarietà, metascienza delle Accademie, p. 477 ss., indica le accademie come società di uomini colti, dove si riunivano personaggi importanti, intrecciando rapporti personali fra di loro, comunicando gli stati di avanzamento dei loro lavori. Sono luoghi di scambio culturale, ove le utilità soggettive vengono trasferite in utilità oggettive, dove addirittura lo scambio diventa una utilità aggiunta. Una riflessione che, oltre a essere interdisciplinare, diventa metascientifica. Questo è uno dei compiti assolti dalla presenza di un’Accademia (p. 481).
Dunque, le pagine di Benvenuti, così saggiamente raccolte dai curatori Fulvio Cortese e Luigi Garofalo, benché in apparenza dedicate a specifici temi legati a Venezia, in realtà consentono al lettore di viaggiare ben oltre la città lagunare, nella storia e nel mondo, attraverso l’arte e il diritto. E ci si rende ancora una volta conto che lo studio del diritto non è studio delle leggi, ma comprensione della realtà e delle sue regole che solo l’unità del sapere, la universitas studiorum, consente fino in fondo.
Proprio in quest’ottica deve porsi la formazione del giurista, e ancor prima il tema della sua identità[6], non mero tecnico del puro diritto, ma intellettuale in grado di confrontarsi con questioni globali e complesse, che richiedono uno studio integrato. In questo senso, dunque, le Università sono oggi chiamate a ripensare i propri programmi di studio, in grado di offrire percorsi formativi multidisciplinari[7]. E, in fondo, i grandi Maestri lo avevano capito già da tempo.
[1] Si tratta di F. Benvenuti, Venezia. Arte, Storia, Diritto, a cura di F. Cortese e L. Garofalo, Pisa, Pacini Giuridica, 2024, pp. 482.
[2] G. Tanzella-Nitti, Interdisciplinarità e unità del sapere, in Riv. fil. prat. educ., 2023, p. 81 ss.
[3] N. Irti, Una pagina di Dostoevskij. L’onestà di Naùm, in Il salvagente della forma, Bari, Ed. Laterza, 2007, p. 28 ss.
[4] F. Carnelutti, Arte del diritto, Torino, Giappichelli, 2017.
[5] S. Cassese, Il mondo nuovo del diritto. Un giurista e il suo tempo, Bologna, Il Mulino, 2008, che richiama I. Calvino, Lezioni americane. Sei proposte per il prossimo millennio, Milano, Mondadori, 1988.
[6] F. Viola, Nuovi percorsi dell’identità del giurista, in Filosofia del diritto: identità scientifica e didattica, oggi, a cura di B. Montanari, Milano, Giuffrè, 1994, p. 119 ss.
[7] Cfr. F. Gambino, Diritto e arte tra unità e distinzione delle attività umane. Le radici della ricerca interdisciplinare, in Quaderni fiorentini, II, 2023, p. 1155 ss., spec. p. 1160 ove, richiamando Pareyson, secondo cui ogni operazione umana è figurativa nel senso di esigere dall’uomo «quel processo di invenzione e produzione in cui consiste il formare» (L. Pareyson, Problemi dell’estetica, I, Teoria, a cura di M. Ravera, Milano, 2009, p. 115), afferma che «è in questa formatività, presente in ciascuna operazione umana — speculativa, pratica, figurativa — che riposa (…) la radice della ricerca interdisciplinare, oggi al centro dei disegni istituzionali dell’attività didattica, di formazione e di studi scientifici. Si delinea il proposito, nell’individuare punti di raccordo tra più saperi — tra i quali qui spicca il diritto come uno dei termini del raffronto —, di una riduzione ad unità di distinte attività umane».