Comodato di un’opera di Mario Schifano e questioni irrisolte relative alla sua restituzione

Enrico Damiani

Prof. ord. di diritto civile dell’Università degli Studi di Macerata

Un recente caso relativo ad un’opera del pittore Mario Schifano offre lo spunto per soffermarsi sul tema del comodato d’opera d’arte.

A recent case concerning a work by painter Mario Schifano provides an opportunity to focus on the issue of artwork commodification.

Sommario: 1. Premessa. – 2. La vicenda. – 3. Questioni rilevanti dal punto di vista civilistico: il comodato. 

       

1. Le Sezioni Unite della S.C.[1] hanno recentemente deciso con riguardo ad una questione relativa alla ammissibilità della restituzione agli eredi del pittore Schifano[2] di un’opera a suo tempo concessa in comodato alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma, anche se in effetti la questione concernente la titolarità effettiva dell’opera, come vedremo, nel caso di specie resta tutt’ora irrisolta.

       La decisione, infatti, conformemente alla ordinanza di rimessione della terza sezione civile pubblicata il 27 aprile 2023 n. 11111/2023, verteva sul tema della ammissibilità del ricorso per cassazione per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c.  relativamente all’errore di percezione sul contenuto oggettivo delle prove documentali, essendosi affermata anche una linea di pensiero in base alla quale sarebbe inammissibile a tal riguardo una censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, ma sarebbe percorribile solo la strada della impugnazione per revocazione ai sensi dell’art. 395, comma 1, n. 4.c.p.c.

       Gli aspetti che formeranno oggetto di analisi, però, saranno quelli concernenti gli aspetti sostanziali della vicenda portata innanzi alla suprema corte mentre le questioni processuali, di indubbio interesse, saranno oggetto di una veloce disamina sintetica.

       2. Negli anni 1965/1966 la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma organizzò una mostra itinerante: “Aspetti dell’arte italiana contemporanea”, nell’ambito della quale fu richiesto al pittore Mario Schifano di fornire sue opere. La scelta dell’artista cadde su due quadri: “Vero Amore” e “Paesaggio versione anemica con smalto ed anima”, entrambi del 1965, che furono spediti a Roma dalla Galleria Marconi di Milano a Roma con la precisazione che si trattava di opere non in vendita scelte dall’autore. Tutte le opere spedite furono richieste in restituzione dalla Galleria Marconi al termine della mostra itinerante con lettera raccomandata del 24 luglio 1967, ma il quadro “Paesaggio versione anemica con smalto ed anima” rimase presso la Galleria Nazionale che, nel 1997, la inserì nel proprio catalogo assegnando ad essa il numero di inventario 15941.

       Con lettera del 10 luglio 1967 l’allora Soprintendente della G.N.A.M. aveva scritto al pittore Mario Schifano presso una Galleria, diversa dalla Galleria Marconi che aveva curato la consegna dei dipinti, ringraziandolo per il prestito e dando la propria disponibilità alla riconsegna delle opere ricevute in comodato.

       Nel 2008, in occasione del decennale della morte del pittore Mario Schifano fu organizzata una mostra presso la Galleria Nazionale, su iniziativa dell’Archivio Mario Schifano e in quell’occasione la vedova dell’artista chiese informazioni sull’opera “Paesaggio versione anemica con smalto ed anima” che alla stessa risultava lasciata dal de cuiuspresso i locali della Galleria medesima. Dopo alcuni scambi di mail nell’ottobre 2012 la vedova e il figlio di Mario Schifano formalizzarono la richiesta di restituzione dell’opera in oggetto, senza ottenerla. 

Con lettera dell’allora Soprintendente della G.N.A.M. del 23 dicembre 2012, indirizzata all’Avvocato degli eredi Schifano, fu precisato che al termine di tour del 1967/1967, nonostante l’offerta di restituzione formalizzata il 10 luglio 1967 solo l’opera “Vero Amore” venne ritirata, mentre il quadro “Paesaggio versione anemica con smalto ed anima” rimase presso la Galleria senza più essere reclamato da alcuno. 

       Gli eredi dell’artista, quindi, con ricorso ex art. 702 bis e ss. c.p.c. depositato presso il Tribunale di Roma, chiesero la condanna della Galleria Nazionale alla restituzione dell’opera. La causa fu istruita mediante l’acquisizione della documentazione prodotta dalle parti e il Tribunale, con ordinanza del 6 giugno 2014 dichiarò la G.N.A.M. obbligata alla restituzione del quadro disponendo la compensazione delle spese processuali tra le parti.

       Il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Galleria Nazionale proposero appello chiedendo:

a) la declaratoria, in via preliminare, dell’intervenuta prescrizione del diritto alla restituzione del bene già concesso in comodato;

b) in via subordinata, la declaratoria di intervenuta usucapione stante il possesso prolungato ben oltre il decennio; 

c) in ulteriore subordine, la declaratoria di inesistenza del rapporto si comodato tra Mario Schifano e la G.N.A.M. e quindi dello stesso diritto alla restituzione.

La Corte d’Appello sospendeva l’efficacia della sentenza impugnata con ordinanza del 14 giugno 2015 e, su istanza degli eredi Schifano, autorizzava il sequestro dell’opera, stante l’unicità della stessa, nominando custode il Direttore pro tempore della Galleria Nazionale. Infine, con sentenza n. 1017/2020 la Corte, in accoglimento dell’appello, rigettava nel merito la richiesta di restituzione del quadro con conseguente revoca dell’ordinanza di sequestro, compensando integralmente tra le parti le spese processuali.

       Gli eredi Schifano hanno proposto ricorso per cassazione e il Ministero per i Beni e le Attività Culturali e la Galleria Nazionale hanno resistito con unico controricorso.

I ricorrenti hanno preliminarmente rilevato che la sentenza impugnata si era basata su tre punti: a) sul fatto che la lettera 13 dicembre 2012 della Soprintendenza sarebbe stata a torto ritenuta dal giudice di primo grado avente valore confessorio; b) sul fatto che la lettera 10 luglio 1967 della depositata all’udienza del 28 marzo 2014, non avesse il valore confessorio ritenuto dal giudice di primo grado, e sarebbe per contro irrilevante; c) sul fatto che il comodato alla sarebbe stato costituito (non dallo Schifano ma) dalla Galleria Marconi che aveva curato la consegna dell’opera (peraltro ritenuta appartenente ad ignoto collezionista identificato in forma anonima dalle iniziali A.U.).

       Con il primo i ricorrenti hanno censurato la sentenza impugnata per violazione dell’art. 116 c.p.c. in relazione agli artt. 2730, 2733 e 2735 c.c., nella parte in cui la Corte d’Appello ha affermato, erroneamente, che le lettere del 13 dicembre 2012 e del 10 luglio 1967 della Galleria Nazionale erano state a torto ritenute dal Tribunale in primo grado come aventi valore confessorio.

Per la parte ricorrente, infatti, la Corte non aveva motivato le ragioni in base alle quali il documento del 2012 sarebbe stato erroneamente inteso come avente valore confessorio dal Tribunale in quanto il realtà esso costituisce una evidente confessione stragiudiziale proveniente direttamente dalla G.N.A.M., di un fatto a sé sfavorevole (e cioè che furono richieste al pittore le due opere e che successivamente la Soprintendente aveva scritto all’artista perché questi riprendesse le due opere al termine del tour), alle controparti. Quanto alla lettera del 10 luglio 1967 i ricorrenti hanno evidenziato che in essa la Galleria Nazionale rivolge il suo ringraziamento per il prestito (non alla Galleria Marconi che pur aveva curato la consegna del dipinto, ma) a Mario Schifano, all’epoca domiciliato presso altra Galleria; e che tale circostanza avrebbe dovuto essere ritenuta indicativa del fatto che il comodato era intercorso tra lo e la Galleria Nazionale e che la Galleria aveva assolto il ruolo di semplice mandatario per la consegna. 

In definitiva, secondo parte ricorrente, la Corte territoriale ha violato l’art. 116 c.p.c., in quanto ha preteso di esercitare il potere di libero apprezzamento delle prove in relazione a prove legali, rispetto alle quali non è consentito l’esercizio di detto potere. 

Con il secondo motivo parte ricorrente ha denunciato la violazione degli artt. 111 Cost. e 132 n. 4 c.p.c. per motivazione inesistente nella parte in cui la Corte d’Appello ha affermato che la lettera 13 dicembre 2012 della era stata ritenuta a torto di valore confessorio dal Tribunale, senza formulare al riguardo alcuna motivazione. 

Con il terzo motivo denuncia la violazione dell’art. 115 c.p.c. per travisamento della prova nella parte in cui la Corte territoriale – dopo aver ritenuto irrilevante sia il fatto che era stato lo stesso pittore a scegliere le due opere da inviare per la mostra itinerante per il tramite della Galleria e che allo stesso artista, dopo la conclusione del tour itinerante, era stato rivolto il ringraziamento da parte della Soprintendente della G.N.A.M., aveva finito con lo stravolgere le risultanze processuali.

Con il quarto motivo i ricorrenti hanno denunciato la violazione e falsa applicazione dell’art. 1803, anche in relazione all’art. 1325 n. 4 c.c., nonché degli artt. 1809, 1810, 1811, 1766 e 1770 c.c. (e conseguentemente dell’art. 113 c.p.c.) nella parte in cui la Corte territoriale aveva ritenuto non provato il fatto che il comodato fosse intercorso tra lo stesso Mario Schifano e la Galleria Nazionale per il tramite della Galleria Marconi.

Con il quinto motivo la parte ricorrente ha denuncia la violazione degli artt. 1803, 1809 e 1810, nonché degli artt. 1141, 2934 e 2935 (e, di conseguenza, dell’art. 113 c.p.c.) nella parte in cui la corte territoriale sembra convalidare la tesi della Galleria Nazionale, ma non indica il formale atto di interversione del possesso ex art. 1141 secondo comma nei confronti dello Studio Marconi (o di A.U. quale soggetto comodante), in forza del quale la G.N.A.M. si sarebbe trasformata da detentore in possessore e a decorrere dal quale sarebbe decorso il tempo per la presunta usucapione. 

Il comodatario, infatti, in quanto detentore in nome altrui, non può acquistare il possesso ad usucapionem della cosa prestategli. Tale acquisto può ricorrere soltanto nel caso in cui il comodatario compia idonee attività materiali con le quali manifesti al comodante la volontà di possedere esclusivamente in nome e nell’interesse proprio. Il comodato di un bene culturale mobile, infine, si rinnova tacitamente ex art. 24 del d. Igs. n. 42/2004. 

Sostanzialmente, quindi, per i ricorrenti, in difetto di un atto formale di interversione nei confronti del possessore, il dipinto deve intendersi a tutt’oggi presente nella Galleria Nazionale a mero titolo di detenzione a titolo di comodato. 

Il sesto ed ultimo motivo, in via subordinata rispetto ai precedenti, verte sulla nullità della sentenza per violazione dell’art. 158 c.p.c. e sull’illegittimità costituzionale degli artt. 62-72 della legge n. 98 del 2013 per contrasto con l’art. 106 secondo comma Cost. nella parte in cui il Collegio della corte territoriale, che ha pronunciato la sentenza impugnata, è stato composto con la partecipazione di un giudice onorario, che ha assunto anche le funzioni di relatore e di espositore. I ricorrenti hanno sostenuto che detti articoli della legge n. 98 del 2013 prevedono e regolano l’attribuzione a un magistrato onorario, quale ausiliario di corte d’appello, delle funzioni di giudice collegiale, in luogo delle funzioni di giudice singolo costituzionalmente imposte.

La terza sezione della Corte di Cassazione nell’ordinanza pubblicata il 27 aprile 2023, ha riassunto sinteticamente, il contenuto di entrambe le pronunce di merito.

Il Tribunale di Roma ha attribuito un oggettivo ed univo valore confessorio alle lettere del 13 dicembre 2012 e del 1^ luglio 1967 della Galleria Nazionale e sulla base del loro contenuto ha ritenuto provato che il quadro oggetto di causa fosse stato consegnato dall’Artista alla G.N.A.M. per il tramite della Galleria Marconi in virtù di un rapporto di comodato, e che nessun atto di interversione del possesso fosse mai intervenuto.

La Corte di Appello, dopo aver rilevato l’inammissibilità della domanda di usucapione formulata in via subordinata dai resistenti solo nel giudizio di secondo grado, e avendo fatto espresso riferimento al contenuto di entrambi i documenti posti a base del giudizio del Tribunale, ha ritenuto da un lato che non fosse provato, all’esito dell’istruttoria, né che l’opera fosse stata consegnata direttamente dall’artista alla Galleria Nazionale, né che l’opera fosse stata ceduta a titolo di comodato da parte dello Schifano, sia pure per il tramite della Galleria Marconi. Conseguentemente la Corte ha ritenuto che per ritenere provata la conclusione del comodato tra il pittore e la G.N.A.M. sarebbe stato indispensabile dimostrare la consegna diretta dell’opera da parte del suo autore, mentre dalla documentazione acquisita nel corso del giudizio sarebbe emerso che il quadro non apparteneva al pittore ma ad un anonimo collezionista (in sigla A.U.).  Comunque, per la Corte, il diritto alla restituzione si sarebbe prescritto, essendo lo stesso decorso dal 1977.

La terza sezione della S.C. ha ritenuto che i primi tre motivi del ricorso ponessero al Collegio la questione del travisamento del contenuto oggettivo della prova, che a detta del Collegio si deve distinguere dal travisamento del fatto, in quanto il primo implica, non una valutazione del fatto, ma una constatazione o un accertamento della circostanza che una determinata informazione probatoria, utilizzata in sentenza, sia espressamente contraddetta da uno specifico atto processuale[3].  Mentre l’errore di valutazione in cui sia caduto il giudice di merito nell’apprezzamento “dell’idoneità dimostrativa della prova” non è mai sindacabile in sede di legittimità, sarebbe invece sindacabile ai sensi dell’art. 360 n. 4 c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., l’errore di percezione che sia caduto sulla ricognizione del contenuto oggettivo della prova, qualora esso “investa una circostanza che abbia formato oggetto di discussione tra le parti”[4].

La terza sezione della S.C. ha chiesto al primo Presidente l’eventuale assegnazione alle Sezioni Unite della questione, ritenendo sussistente un contrasto tra le decisioni che ammettono che il travisamento della prova sia censurabile in cassazione ai sensi dell’art. 360 n. 4) c.p.c., per violazione dell’art. 115 c.p.c., a condizione che esso cada non sulla valutazione della prova (demostrandum) ma sulla ricognizione del contenuto oggettivo della medesima (demostratum), che tale contenuto abbia formato oggetto di discussione nel giudizio, che l’errore de quo sia decisivo con assoluta certezza, e quelle[5] secondo le quali il travisamento della prova non sarebbe più deducibile come motivo di ricorso per cassazione a seguito della riforma dell’art. 360, comma 1, n. 5, c.p.c. che ha reso inammissibile la censura per insufficienza o contraddittorietà della motivazione, costituendo solo motivo di revocazione ai sensi dell’art. 395, comma 1, c.p.c.

L’ordinanza di rimessione ha fatto riferimento alla sentenza n. 12362 del 24 maggio 2006, della III sezione della Cassazione, la quale riguardo al tema del travisamento della prova, ha affermato che esso si distingue dal travisamento del fatto, in quanto richiede non una valutazione del fatto, ma un mero accertamento che una data prova, utilizzata nella sentenza, è palesemente contraddetta da uno specifico atto processuale.

       Le S.U., però, hanno affermato che il tema del travisamento della prova e della sua distinzione dal travisamento del fatto, ha origini ben più remote. Una antica dottrina[6] aveva sostenuto quasi 150 anni fa, e secondo una opinione all’epoca maggioritaria, che se i giudici di merito fossero incorsi in un falso giudizio del fatto, snaturando quella che era una evidente verità, muovendo dall’allora art. 1123 c.c. corrispondente all’odierno art. 1372 c.c. che attribuiva al contratto forza di legge, ammetteva la sindacabilità per cassazione per travisamento della prova.

       La dottrina più autorevole (Calamandrei e Satta, in particolare), stigmatizzò questo orientamento, da un lato ritenendo un mero artificio quello di equiparare il contratto alla legge, dall’altro evidenziando che la tesi opposta si fondava su un presupposto arbitrario, cioè che esistessero cose chiare, insuscettibili di interpretazione e valutazione. Si affermò in giurisprudenza come prevalente l’orientamento della Cassazione di Roma che riteneva insuscettibili di formare oggetto di ricorso i gravami fondati sul travisamento delle clausole di un contratto ovvero sull’errore in cui sarebbe incorso un giudice nel dedurre presunzioni dalle risultanze di una testimonianza o da fatti desumibili dagli atti della causa.

       Secondo le S.U. l’orientamento della Corte di Cassazione è rimasto fermo per decenni nell’escludere che possa costituire vizio di legittimità ricorribile in cassazione il travisamento delle prove. Prima della novella dell’art. 360, n. 5 c.p.c. si ammetteva solo la possibilità di un controllo sul travisamento qualora esso avesse determinato una insufficiente motivazione. Attualmente, per le S.U., nel caso di travisamento è proponibile solo una istanza di revocazione ai sensi dell’art. 395, n. 4 c.p.c..

       Nel caso de quo la Corte di appello aveva motivatamente  ritenuto che le due dichiarazioni provenienti dalla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma non avessero valore confessorio. Essa, infatti, dopo aver premesso che la controversia non aveva per oggetto la questione circa la proprietà del quadro “Paesaggio versione anemica con smalto ed anima” ma solo quella circa l’esistenza del diritto personale degli eredi Schifano alla restituzionedell’opera stessa, ha ritenuto che la dichiarazione del 1967 proveniente dalla G.N.A.M.  fosse irrilevante in quanto spedita al pittore presso una Galleria di Roma diversa da quella che aveva consegnato il quadro in comodato, e che essendo state esposte nella mostra itinerante diverse opere dello Schifano, in assenza di una esplicita indicazione dell’opera menzionata nella missiva, non si potesse evincere da essa alcuna evidenza probatoria circa la titolarità del bene. Inoltre la Corte di appello ha evidenziato che solo la Galleria Marconi di Milano, quale depositaria del quadro, avesse titolo per costituire il comodato e che nella lettera di trasmissione dell’opera la stessa aveva dichiarato che apparteneva al collezionista A.U. e che pertanto non era in vendita, mentre in altri casi i dipinti consegnati alla G.N.A.M. riportavano l’indicazione “Proprietà dell’Artista”.

       Alla luce di ciò le S.U. hanno ritenuto infondati i primi tre mezzi e il sesto mezzo di impugnazione ed inammissibili il quarto e quinto, rigettando così il ricorso.

       3. Il tema centrale della vicenda testé sintetizzata verte sul riconoscimento del diritto alla restituzione di un quadro di Mario Schifano intitolato “Paesaggio versione anemica con smalto ed anima” a suo tempo “consegnato” in comodato dalla Galleria Marconi di Milano alla Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma nel 1965[7].

       Secondo l’opinione dominante in dottrina[8] il comodato sarebbe un contratto essenzialmente gratuito reale che si perfeziona con la consegna del bene. Più di recente una dottrina[9], dopo aver esaminato la discussione aperta circa le tesi consensualistiche in Germania con riguardo al paragrafo 598 del BGB secondo cui il comodato è il contratto con cui il comodante si obbliga a concedere al comodatario l’uso gratuito della cosa, e dopo aver esaminato la disciplina di tale contratto nella vigenza del diritto romano, perviene alla conclusione di ritenere che il comodato non sia un contratto reale e che la consegna del bene svolga un ruolo esecutivo del programma negoziale[10].

       La questione concernente il ruolo della consegna nell’ambito della formazione del contratto de quo potrebbe fornire utili elementi per interpretare la questione oggetto della vicenda sopra esposta.

       Un primo problema da affrontare è quello concernente la individuazione del soggetto legittimato a porre in essere il contratto di comodato. L’acquisto della detenzione qualificata da parte del comodatario è a titolo derivativo-costitutivo, in quanto postula che le facoltà di godimento derivini dalla situazione giuridica soggettiva facente capo al comodante, che può essere di tipo reale (proprietà, usufrutto, uso ed abitazione se si ritenga che non sia a tal riguardo d’ostacolo il divieto di cessione di tali diritti sancito dall’art. 1024 c.c.[11]) o di tipo personale (il conduttore se autorizzato dal locatore, e il comodatario se autorizzato dal comodante)[12].

       D’altro canto non sono legittimati a concedere un bene in comodato[13] coloro che hanno acquisito il possesso o la detenzione di esso non a scopo di godimento ma a diverso titolo: il mandatario, il depositario, il sequestratario, lo spedizioniere, il vettore, il creditore pignoratizio ecc.

       Nel caso del comodato dell’opera di Schifano, pertanto, ci troviamo di fronte ad un contratto di comodato, ma la Galleria Marconi nella nota di trasmissione dell’opera evidenzia che la stessa non è in vendita in quanto appartenente ad un privato collezionista (A.U.), così esplicitando la carenza in capo alla stessa Galleria di una situazione giuridica idonea alla costituzione diretta di un rapporto di comodato. Chi concede un bene in comodato, infatti, deve essere titolare di una situazione giuridica che attribuisca le facoltà d’uso e di godimento del bene; è stato ben fatto notare come sia necessario, essendo acquisito il diritto del comodatario a titolo derivativo-costitutivo, che in capo al soggetto comodante esista almeno “un diritto di pari natura ed ampiezza”[14].

       Nel caso di specie la Galleria Nazionale d’Arte Moderna e Contemporanea di Roma ha ricevuto l’opera de qua a titolo di comodato e la Galleria Marconi di Milano con la nota di trasmissione del dipinto ha dichiarato di agire per conto di A.U., collezionista privato, e che pertanto il quadro non era in vendita. Entrambi i soggetti, quindi, erano in uno stato psicologico cui si attribuisce il nome di laudatio possessoris cioè di riconoscimento del possessore[15].

       Questo dato appare determinante in quanto la Galleria Marconi, agendo da mandataria del legittimo proprietario del quadro al fine di costituire il rapporto di comodato, non era presumibilmente  il soggetto cui eventualmente palesare un atto di interversione del possesso, La G.N.A.M. ha tentato infatti di presentare in sede di appello una domanda di riconoscimento dell’usucapione, peraltro ritenuta inammissibile, nei confronti degli eredi Schifano che, a detta della Corte di Appello, e delle S.U. della Cassazione, non sarebbero neanche stati i soggetti legittimati dal punto di vista processuale stante la insufficienza dei mezzi di prova al riguardo.

       Le due dichiarazioni provenienti dai soprintendenti della G.N.A.M. del 1967 e del 2012, infatti, sono state reputate prive di valore confessorio per le motivazioni sopra elencate e riportate nella sentenza delle S.U. del 2024. 

Anche la questione della presunta prescrizione del diritto alla restituzione, essendo pervenuta la richiesta a tal riguardo da parte della Galleria Marconi nel 1967, soggetto che aveva agito solo per la costituzione del rapporto di comodato mediante la consegna dell’opera e del quale non sono noti i limiti e i poteri conferiti nel mandato dal proprietario. Nel comodato a tempo indeterminato, è vero, infatti, che il termine di prescrizione del diritto del comodante alla restituzione della cosa inizia a decorrere da quando resta inadempiuta la richiesta di restituzione, così come statuito da ultimo dalla II Sezione della S.C. di Cassazione con ordinanza del 13 novembre 2023 n. 31434, ma tale richiesta, però, deve provenire con certezza, dal dominus o da un suo procuratore.

       Dalla lettura dell’ordinanza e della sentenza si ricava pertanto che gli eredi Schifano non sono riusciti a dare la prova del fatto che il comodato fosse stato costituito dalla Galleria Marconi per conto dell’artista stesso, e che pertanto, a tutt’oggi il reale comodante del quadro non ha ancora richiesto la restituzione dell’opera. Dall’altro lato la G.N.A.M. non ha potuto dare la prova dell’avvenuta interversione del possesso, né è sufficiente a tal riguardo una ultraventennale detenzione della cosa[16] e una modifica dell’inventario della Galleria che da opera in deposito veda transitato il quadro nel novero delle opere in catalogo, trattandosi di atto a mera rilevanza interna.

       Secondo la dottrina dominante l’atto di opposizione del detentore verso il possessore “deve essere inconfondibilmente” rivolto verso quest’ultimo[17] ma nel caso deciso dalla S.C. il soggetto comodante resta nell’ombra. Non risulta che l’effettivo proprietario abbia mai richiesto la restituzione dell’opera, quindi è sostanzialmente pendente il rapporto di comodato.

       Se non si ipotizza una fantasiosa teoria sulla possibile applicazione della Verwirkung al nostro comodante, come pare sia stata ipotizzata di recente con riguardo alla ipotesi di improvvisa richiesta di integrale pagamento di tutti i canoni di locazione scaduti dopo che per anni il locatore aveva omesso di chiederne il saldo, che la Cassazione[18] ha ritenuto ipotesi di esercizio abusivo del diritto, sembra difficile ritenere che la Galleria d’Arte Moderna e Contemporanea possa aver acquisito la proprietà del quadro.

       Molto probabilmente, quindi, sulla questione non è ancora stata detta l’ultima parola.


[1] Cass., sez. un., 5 marzo 2024, n. 5792, secondo cui “Il travisamento del contenuto oggettivo della prova, il quale ricorre in caso di svista concernente il fatto probatorio in sé, e non di verifica logica della riconducibilità dell’informazione probatoria al fatto probatorio, trova il suo istituzionale rimedio nell’impugnazione per revocazione per errore di fatto, in concorso dei presupposti richiesti dall’articolo 395, n. 4, c.p.c., mentre, ove il fatto probatorio abbia costituito un punto controverso sul quale la sentenza ebbe a pronunciare, e cioè se il travisamento rifletta la lettura del fatto probatorio prospettata da una delle parti, il vizio va fatto valere, in concorso dei presupposti di legge, ai sensi dell’articolo 360, n. 4 e 5, c.p.c., a seconda si tratti di fatto processuale o sostanziale”.

[2] La figura di Mario Schifano è apparsa più volte in recenti decisioni della S.C. Di recente con la ordinanza n. 4038 dell’8 febbraio 2022 è stata risolta definito la controversia, sollevata dall’Archivio Mario Schifano contro la fondazione M.S. Multistudio, afferente la violazione e falsa applicazione dell’art. 70, nonché degli artt. 12, 13, 17 e 18, comma 3, R.D. n. 633/1941 in materia di diritto d’autore. La Corte d’Appello di Milano aveva reputato legittima la raccolta e la pubblicazione di un catalogo composto da sei volumi di tutte le 24.000 opere dell’artista Mario Schifano. La Cassazione ha invece ritenuto che poiché solo il “riassunto, la citazione o la riproduzione di brani o di parti di opera e la loro comunicazione al pubblico sono liberi se effettuati per uso di critica o di discussione, nei limiti giustificati da tali fini e purché non costituiscano concorrenza all’utilizzazione economica dell’opera; se effettuati a fini di insegnamento o di ricerca scientifica l’utilizzo deve inoltre avvenire per finalità illustrative e per fini non commerciali”, nel caso di specie, invece, la riproduzione fotografica di opere rappresentanti l’intero catalogo del pittore è idonea a ledere i diritti di sfruttamento dell’opera spettanti agli eredi dell’artista. Cfr.: L. Serra, Raccolta di opere in uno ”studio metodologico”: violazione del diritto d’autore?, in https://www.altalex.com/documents/news/2022/02/22/raccolta-di-opere-in-uno-studio-metodologico-violazione-del-diritto-d-autore; S. Mochi, Il problema della digitalizzazione delle opere d’arte per scopi commerciali, in Questa Rivista, 2023, p. 45 ss.

[3] In tal senso cfr. Cass., Sez. I, n. 10749 del 25 maggio 2015.

[4] A seguito della modifica della legge sulla responsabilità civile dei magistrati il tema del travisamento del fatto o della prova (e le inerenti relazioni col tema dell’errore di fatto revocatorio) ha assunto una particolare rilevanza in quanto ai sensi dell’art. 2 comma 3 della legge n. 18/2015, il travisamento del fatto o delle prove costituisce colpa grave per il magistrato. Cfr. al riguardo F. Valerini, Travisamento del fatto o della prova?, in https://www.dirittoegiustizia.it.

[5] Cass., sez. lav., ord. n. 24395 del 3 novembre 2020 in Foro it. 2020, I, 3739, con nota di V. Ferrari, La domanda amministrativa all’ente previdenziale fra interpretazione dell’atto di autonomia privata e travisamento della prova documentale.

[6] L. Mattirolo, Elementi di diritto giudiziario italiano, IV, Torino, 1878, p. 572 ss.

[7] In tema di comodato e opere d’arte, v. A. Nervi, Il comodato di opera d’arte. La sponsorizzazione culturale. I diritti di sfruttamento economico dell’opera d’arte e il merchandising museale, in I contratti del turismo, dello sport e della cultura, a cura di F. Delfini e F. Morandi, Torino, 2010, p. 540 ss. V. anche G. D’Auria, Comodato e deposito di beni culturali, in Aedon, 1/2004. 

[8] Per limitare il riferimento ai contributi più recenti si vedano: A. Galasso, Il comodato, in Tratt. Di dir. civ. e comm. già diretto da Cicu e Messineo e proseguito da Mengoni e Schlesinger, Milano, 2004, p. 72 ss.; N. Cipriani, Il comodato, in Tratt. Di dir. civ. del Cons. Naz. del not., diretto da P. Perlingieri, IV, Napoli, 2005, p. 87 ss;  A. Ciatti Càimi, Il comodato, in I contratti di utilizzazione dei beni, a cura di V. Cuffaro, vol. 9, in Trattato dei contratti, diretto da E. Gabrielli e P. Rescigno, Torino, 2008, p. 257 ss.; A. Luminoso, Comodato. 1) Diritto civile, in Enc. Giur.Treccani, Roma, 1988; 

[9] F. Scaglione, Il comodato. Artt. 1803 – 1812, in Comm. cod. civ., fondato da P. Schlesinger, diretto da F. D. Busnelli, Milano, 2011, p. 10 ss.

[10] F. Scaglione, op. cit., p. 78.

[11] Ammette, ad esempio, che il titolare del diritto d’uso possa concedere la cosa in comodato C.M. Bianca, Diritto civile. La proprietà, VI, Milano, 1999, p. 630. In giurisprudenza vedasi Cass., Sez. II, sent. N. 3565 del 31 luglio 1989, in https://www.e-glossa.it/wiki/cass._civile,_sez._ii_del_1989_numero_3565_(31$$07$$1989).aspx secondo la quale “Il divieto di cessione dei diritti di uso e di abitazione, sancita dall’art. 1024 c.c., non è di ordine pubblico e pertanto può essere oggetto di deroga ove espressamente convenuta tra il proprietario (costituente) e l’usuario, senza che la stessa possa desumersi, implicitamente, per il solo fatto che quest’ultimo, violando la norma, ceda il suo diritto a terzi”. Su tale sentenza si veda la nota di R. Mazzon, Diritti d’uso e di abitazione: non è d’ordine pubblico, in https://www.personaedanno.it/articolo/derogabile-il-divieto-di-cessione-dei-diritti-duso-e-abitazione-non-e-dordine-pubblico-riccardo-mazzon

[12] F. Scaglione, op. cit., p. 101 ss..

[13] F. Scaglione, op. cit., p. 102.

[14] F. Scaglione, op. cit., p. 108.

[15] Al riguardo si vedano R. Sacco – R. Caterina, Il possesso, III ed., in Tratt. Di dir. civ. e comm., già diretto da Cicu e Messineo, e continuato da Mengoni e Schlesinge, Milano, 2014, p. 87 ss..

[16] E. Bruno, L’interversione del possesso non è automaticamente provata dalla pacifica e ultraventennale detenzione, nota a sent. Cass., II Sez., 12 aprile 2013 n. 8900, in Dir. & Giust., 12 aprile 2013.

[17] R. Sacco – R. Caterina, op. cit., p. 210. Ritiene rilevante qualsiasi comportamento manifestamente tenuto dal detentore F. Alcaro, Il possesso. Artt. 1140-1143, in Comm. Cod. civ. Schlesinger continuato da Busnelli, Milano, 2014, p. 116 ss. 

[18] Mi riferisco a Cass. 14 giugno 2021 n,. 16743, in Nuova giur. civ. comm., 2021, I, p. 1043, sulla quale vicenda si vedano, fra i tanti, M. Orlandi, Ermeneutica del silenzio, in Nuova giur. civ. comm., 2021, II, p. 1179 ss. e C. Scognamiglio, La Verwirkung (ed i suoi limiti) innanzi alla Corte di Cassazione, in Nuova giur. civ. comm., 2021, II, p. 1186 ss.

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