Giorgia Vulpiani
Ricercatrice di diritto privato dell’Università degli Studi di Macerata, Phd
Trib. Milano, sez. spec. impresa, 25 gennaio 2021, n. 493 – Pres. Marangoni, rel. – Tecnica Group s.p.a. (avv. Sala); Diana s.r.l. (avv. Cianfrone); Mofra shoes s.r.l. e N2 s.r.l. (avv.ti Muraro, Verea, Bosshard, Belestriero); Serendipity s.r.l. (avv.ti Previti, Di Bella, La Rosa, Di Benedetto, Perra).
Diritto d’autore – Tutela proprietà intellettuale – Opera di industrial design – Qualità estetiche e artistiche – Valore di mercato
Se il valore artistico richiesto per la proteggibilità dell’opera di industrial design non può essere escluso dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente, che è connotazione propria di tutte le opere di tale natura, esso va ricavato da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista.
Diritto d’autore – Tutela proprietà intellettuale – Opera di industrial design – Elaborazione creativa – Contraffazione
In tema di diritto d’autore, l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria.
Art. 2 n. 10 L. n. 633/1941
La sentenza n. 493 del 25 gennaio 2021 del Tribunale di Milano si sofferma sulla questione del valore artistico dei modelli di design industriale ai fini della tutelabilità ai sensi dell’art. 2, n. 10, della legge sul diritto d’autore e sulla differenza tra elaborazione creativa e contraffazione. In particolare, il Tribunale ribadisce il valore artistico e la tutelabilità delle note calzature doposci Moon Boots e ravvisa un ipotesi di contraffazione con riferimento ad alcuni modelli di calzature a marchio Chiara Ferragni, giudicandoli privi di autonomia ed originalità creativa.
The judgment n. 493/2016 of the Court of Milan deals with the issue of the artistic value of industrial design ex art. 2, n. 10, L. 633/1941 and with the difference between artistic elaboration and counterfeit. The Court of Milan restates the artistic value of the famous boots “Moon Boots” and recognizes the counterfeit of Moon Boots by other boots with Chiara Ferragni’s trademark.
Sommario: 1. Il caso. – 2. La tutela dell’opera di design industriale. – 3. Differenza tra elaborazione creativa e contraffazione. – 4. Osservazioni conclusive.
1. Il provvedimento in commento affronta la questione della tutela del design industriale, soffermandosi inoltre sulla distinzione tra elaborazione creativa, ammissibile, e contraffazione illecita.
La società attrice Tecnica Group s.r.l., produttrice dei noti Moon Boots, agiva in giudizio nei confronti di alcune società (Diana s.r.l., Mofra Shoes s.r.l. e Serendipity s.r.l.) con le quali aveva stipulato un accordo transattivo, stipulato nel 2017, in forza della quale le convenute si erano impegnate a non utilizzare i marchi e le forme proprie del modello calzature doposci Moon Boots e a cessare la produzione e la vendita di una serie di modelli di snow boots con marchio Chiara Ferragni. Tecnica Group conveniva in giudizio anche un’altra società, N2 s.r.l., partecipata al 60% da Mofra Shoes e rimasta estranea all’accordo transattivo, a titolo di concorso nell’altrui inadempimento.
L’attrice affermava che, nonostante il menzionato accordo, le convenute avevano prodotto e commercializzato due modelli di calzature riproducenti le medesime forme di due modelli oggetto della transazione con modifiche di minima entità e che già nel 2018 avevano provveduto a contestare le violazioni intraprendendo un giudizio cautelare chiusosi a sua volta con un nuovo accordo con cui le resistenti si impegnavano a cessare produzione e commercializzazione delle calzature oggetto di causa. L’attrice deduceva peraltro che il Tribunale di Milano, con sentenza del 12 luglio 2016[1], aveva già affermato la titolarità, in capo a Tecnica Group, del diritto d’autore ex art. 2, n. 10, l.d.a. sulle forme dei Moon Boots[2]; titolarità che le convenute si erano impegnate, nella transazione, a non contestare. Nella citata sentenza si riconosceva, infatti, valore artistico ad un prodotto del fashion e si affermava che «I Moon Boots ben possono fregiarsi delle caratteristiche di opera creativa, dotata di “valore artistico” al fine dell’accesso alla tutela prevista dall’art. 2 n. 10 della legge sul diritto d’autore, in considerazione del loro particolare impatto estetico, che alla sua comparsa sul mercato, ha profondamente mutato la stessa concezione estetica dello stivale doposci, divenendo vera e propria icona del design italiano e della sua capacità di fare evolvere in modo irreversibile il gusto di un’intera epoca storica in relazione agli oggetti di uso quotidiano».
Nel contestare anche l’ipotesi di concorrenza sleale di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c., Tecnica Group chiedeva, pertanto, al Tribunale di Milano di accertare i suddetti illeciti e condannare le convenute al risarcimento del danno.
La convenuta Diana s.r.l., oltre ad eccepire la propria carenza di legittimazione passiva in ragione del ruolo di mero distributore di prodotti, affermava l’insussistenza delle violazioni in considerazione della diversità dei modelli commercializzati con quelli oggetto dell’accordo transattivo, essendo i primi connotati da autonoma caratterizzazione estetica, e l’insussistenza della concorrenza sleale dipendente, rivolgendosi i modelli a marchio Ferragni, per prezzo e qualità, a consumatori di diverso tipo.
Analoghe contestazioni venivano formulate anche dalle altre convenute che affermavano l’assoluta diversità tra modelli contestati e Moon Boots, caratterizzandosi i modelli a marchio “Chiara Ferragni” per elevata estrosità, l’utilizzo di glitter in gran parte della superficie e per l’apposizione del tradizionale marchio della nota influencer (un occhio dalle grandi dimensioni) sul retro della calzatura. Peraltro, secondo i Moon Boots, come tutte le opere d’arte, dovrebbero essere soggette a nuove definizioni e ridefinizioni provenienti dall’esterno, costituendosi, in caso contrario, un pregiudizio per la ricerca, la produzione artistica e la cultura in generale.
2. Nella sentenza in commento, il Tribunale di Milano, ribadendo quanto affermato nel precedente del 2016, riconosce la tutela del diritto d’autore garantita dall’art. 2 l.d.a. ai Moon Boots, in virtù del loro valore artistico, e precisa, peraltro, che, non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza del valore artistico, esso debba essere ricavato dalla percezione che la collettività ha di una determinata opera del design, contestualizzandola nel momento storico e culturale in cui è stata creata. In tale ottica, occorre dar rilievo al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza dell’opera «ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto».
Il Tribunale, oltre a richiamare espressamente le motivazioni della sentenza del 2016, evidenzia come i medesimi criteri di individuazione del valore artistico dell’opera di design industriale siano stati condivisi anche dalla giurisprudenza di legittimità successiva. In recente provvedimento la Cassazione ha infatti affermato che il valore artistico del design industriale va ricavato «da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista» e non può essere escluso «dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente»[3].
Pertanto, secondo la Suprema Corte il carattere artistico dei modelli del design industriale, ancorché seriali, può ricavarsi da elementi non tanto estetici e soggettivi, bensì da elementi oggettivi, desumibili dalla considerazione che i prodotti hanno presso il pubblico di riferimento.
Sulla base di tali principi, il Tribunale di Milano afferma, dunque, che il valore artistico dei Moon Boots emerge non solo dalle manifestazioni di apprezzamento da parte degli ambienti culturali e artistici, ma anche dall’inserimento del prodotto in diverse mostre d’arte e design, non potendo, peraltro, tale valore essere escluso dal fatto che gli stessi traggano diretto ed esplicito spunto dalle calzature utilizzate dagli astronauti nella missione Apollo, in quanto i Moon Boots sono caratterizzati da una diversa autonomia di forme con indubbio carattere creativo.
3. Affermato il carattere creativo e artistico dei Moon Boots e, dunque, la loro tutelabilità ex art. 2, n. 10, l.d.a. il Tribunale di Milano rileva l’interferenza tra gli stessi e i modelli a marchio “Chiara Ferragni” oggetto di causa richiamando, ancora una volta, il suo precedente del 2016.
Nella sentenza n. 8628/2016 della Corte milanese si osservava, infatti, che «il modello Moon Boots è contraddistinto sostanzialmente da una suola ambidestra a cui è raccordata, senza cuciture a vista, una tomaia che presenta un fascione di elevata altezza avvolgente la zona della punta e quella laterale del piede sino circa in corrispondenza della zona antistante i malleoli, in tale zona essendovi un raccordo con un contrafforte che si sviluppa maggiormente in altezza ad avvolgere parte dell’estremità posteriore del piede. Sono inoltre presenti dei lacci risvoltati su tre coppie di occhielli associate, due in corrispondenza del bordo superiore del fascione ed una del contrafforte; inferiormente la suola presenta una forma ambidestra». Tutte caratteristiche che, secondo il Tribunale di Milano, ricorrono nei modelli Ferragni contestati, la cui identità di forme non risulta in alcun modo compromessa dal fatto che presentino una colorazione particolare (glitter) o i marchi Chiara Ferragni.
A tal riguardo viene in rilievo la distinzione tra elaborazione creativa e contraffazione. Infatti, mentre la contraffazione consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, l’elaborazione creativa si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo.
Ciò posto, ai fini della qualificazione in un senso o nell’altro, assume rilievo non tanto la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, quanto la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria[4].
Evidenzia, inoltre, il Tribunale che il plagio di opera altrui comprende, oltre al plagio “semplice” anche il c.d. “plagio evolutivo”. Tale tipo di plagio ricorre quando vi è una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 l.d.a.[5]
Dunque, secondo il Tribunale, a conferire autonomia ed originalità creativa ai doposci Ferragni non sarebbe sufficiente l’estrosità data dall’utilizzo del glitter, data l’assoluta identità delle forme delle calzature con i Moon Boots. Si tratta, pertanto, non di rielaborazione creativa, ma di mero plagio/contraffazione. Il Tribunale afferma, quindi, che i modelli a marchio Chiara Ferragni costituiscono violazione dei diritti patrimoniali spettanti a Tecnica Group sui Moon Boots, con particolare riguardo al diritto esclusivo di riproduzione (art. 13 l.d.a.), elaborazione(artt. 4 e 18 l.d.a.) e distribuzione (art. 17 l.d.a.); violazione che assorbe la condotta di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c.
In considerazione della contraffazione dei modelli, il Tribunale accoglie, inoltre, le istanze dell’attrice con riguardo all’inadempimento dell’accordo transattivo limitatamente alle società firmatarie, escludendo l’ipotesi di concorso nell’inadempimento a carico della N2 s.r.l.
4. La sentenza in commento risulta di particolare interesse riguardo la tutela della moda, in quanto aderisce all’orientamento giurisprudenziale prevalente in tema di tutela del design industriale – secondo cui il valore artistico di un’opera di design, non escluso dalla serialità della produzione, va ricavato da elementi oggettivi, quali: a) il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche; b) l’esposizione in mostre o musei; c) la pubblicazione su riviste specializzate; d) l’attribuzione di premi; e) l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità; f) la creazione da parte di un noto artista – e lo applica ad un prodotto moda.
Il Tribunale, utilizzando i criteri individuati da tale orientamento, riconosce, infatti, carattere artistico ai celebri doposci Moon Boots e, di conseguenza, la loro tutelabilità ex art. 2, n. 10, della legge sul diritto d’autore.
Quanto alla questione della distinzione tra elaborazione creativa e mero plagio, la Corte milanese si pone nel solco dell’orientamento prevalente che afferma la necessaria sussistenza di un originale apporto creativo perché possa parlarsi di elaborazione creativa e rileva la sussistenza della contraffazione dei Moon Boots da parte dei modelli a marchio Ferragni.
A tal riguardo, è interessante evidenziare come, secondo il Tribunale, la presenza dei glitter e l’apposizione del marchio della nota influencer sul retro della calzatura non siano sufficienti a connotare di autonomia ed originalità i modelli Ferragni, che costituiscono pertanto violazione dei diritti patrimoniali spettanti alla società produttrice dei Moon Boots.
Provvedimento
Omissis – 1. La società attrice TECNICA GROUP s.p.a. ha dedotto l’esistenza di un patto transattivo intervenuto in data 8.9.2017 tra essa e le convenute DIANA s.r.l., MOFRA SHOES s.r.l. e SERENDIPITY s.r.l. – cui è formalmente estranea l’altra convenuta N2 s.r.l., peraltro partecipata al 60% da MAFRA SHOES s.r.l. e gestita dallo stesso titolare – in forza del quale queste ultime si erano impegnate a non utilizzare i marchi e le forme proprie del modello di calzature doposci Moon Boots, in quanto tutelate dal diritto d’autore, e a cessare la produzione e la vendita di una serie di modelli di calzature snow boots recanti il marchio Chiara Ferragni indicate specificamente nell’allegato A all’atto di transazione.
Nel 2018 parte attrice ha contestato alle odierne convenute la successiva produzione e commercializzazione di due modelli di calzature riproducenti le medesime forme di due modelli oggetto della transazione con modifiche di minima entità.
Il giudizio cautelare intrapreso ante causam nei confronti delle convenute è stato definito tra le parti mediante la sottoscrizione di un accordo in base al quale le resistenti hanno assunto l’impegno a cessare la produzione e commercializzazione di tali ulteriori modelli di calzature.
Nella presente causa – che attiene al merito ed alle istanze risarcitorie svolte da TECNICA GROUP s.p.a. in relazione alle contestazioni svolte in tale procedimento cautelare – parte attrice ha dedotto in suo favore la titolarità del diritto d’autore in relazione all’art. 2, n. 10 l.a. sulle forme delle proprie calzature Moon Boots già affermato da questo Tribunale con sentenza 12.7.2016, che le firmatarie del primo accordo transattivo si erano peraltro impegnate a non più contestare, nonchè la violazione dell’accordo transattivo dell’8.9.2017 rispetto alla quale N2 s.r.l. – che non aveva sottoscritto tale atto – dovrebbe rispondere a titolo di concorso nell’altrui inadempimento.
Ha altresì dedotto l’ipotesi di concorrenza sleale dipendente di cui al n. 3 dell’art. 2598 c.c. in relazione alle medesime condotte.
Oltre all’accertamento di tali illeciti ha chiesto anche la condanna delle convenute al risarcimento dei conseguenti danni.
Si è costituita nel giudizio DIANA s.r.l. deducendo di aver sottoscritto in data 25.2.14 con SERENDIPITY s.r.l. un contratto per la realizzazione e gestione del sito web di e-commerce raggiungibile all’indirizzo www.chiaraferragnicollection.com e, in pari data, con MOFRA SHOES s.r.l. un contratto estimatorio, collegato al predetto contratto e-commerce stipulato con SERENDIPITY s.r.l., avente ad oggetto la vendita da parte di DIANA s.r.l. per il tramite di tale sito web di calzature prodotte da MOFRA SHOES s.r.l. e contrassegnate dal marchio “CHIARA FERRAGNI”, di cui MOFRA SHOES s.r.l. e SERENDIPITY s.r.l. erano licenziatarie.
Pur non essendo stata citata quale convenuta da TECNICA GROUP s.p.a. nella causa intrapresa nel 2017 nei confronti di MOFRA SHOES s.r.l. e di SERENDIPITY s.r.l., DIANA s.r.l. aveva sottoscritto l’accordo transattivo dell’8.9.2017 su richiesta di queste ultime che nel loro rapporto diretto avevano riconosciuto che le pretese violazioni contestate da TECNICA GROUP s.p.a. non erano ascrivibili a DIANA s.r.l. e conseguentemente si erano accollate integralmente l’esecuzione delle obbligazioni oggetto della transazione.
MOFRA SHOES s.r.l. aveva successivamente affidato a DIANA s.r.l. la commercializzazione di ulteriori modelli di calzature, tra i quali quelli oggetto delle contestazioni svolte dalla società attrice nella presente causa, e a seguito di ricorso cautelare promosso da TECNICA GROUP s.p.a. DIANA s.r.l. anche in questo caso aveva sottoscritto l’accordo conciliativo che aveva determinato l’estinzione di tale procedimento su richiesta delle sue clienti SERENDIPITY s.r.l. e MOFRA SHOES s.r.l., al solo scopo di preservare i rapporti commerciali intrattenuti con le stesse. Il risarcimento delle spese legali per il procedimento cautelare in favore di TECNICA GROUP s.p.a. in forza del predetto accordo conciliativo era stato interamente versato in tale occasione dalla sola MOFRA SHOES s.r.l.
Quanto alle domande svolte da TECNICA GROUP s.p.a. nella presente causa, ha eccepito la propria carenza di legittimazione passiva, in ragione della sua veste di mero distributore dei prodotti e in quanto contrattualmente vincolata alle specifiche direttive di MOFRA SHOES s.r.l. e di SERENDIPITY s.r.l.
In ogni caso nessun inadempimento all’accordo transattivo dell’8.9.2017 era sussistente, in quanto DIANA s.r.l. aveva interrotto la commercializzazione dei prodotti ivi menzionati e in quanto i modelli oggetto delle nuove contestazioni erano diversi da quelli indicati in tale accordo.
Quanto alla tutela del diritto d’autore, essa doveva ritenersi circoscritta al solo modello originario del Moon Boots, del tutto differente dai modelli contestati che presentano una loro autonoma caratterizzazione estetica.
Né sussisterebbe altresì l’illecito concorrenziale dedotto, tento conto che i modelli di scarpe da neve commercializzati dalle parti convenute si rivolgono, per prezzo e qualità, a consumatori di diverso tipo. In ogni caso la concorrenza sleale dipendente non sussisterebbe in assenza delle violazioni innanzi contestate.
Quanto al risarcimento del danno, ha contestato il richiamo svolto dalla società attrice alla retroversione degli utili prevista dall’art. 3 dell’art. 125 c.p.i., posto che analoga previsione non è presente nella disciplina del diritto d’autore.
In caso di accoglimento delle domande svolte da TECNICA GROUP s.p.a. ha formulato domanda di manleva nei confronti di MOFRA SHOES s.r.l. e di SERENDIPITY s.r.l.
Si sono costituite con memoria comune le convenute MOFRA SHOES s.r.l. e N2 s.r.l. , contestando l’applicabilità della tutela autorale al modello di calzatura Moon Boot già oggetto di riconoscimento eseguito da questo Tribunale con la sentenza emessa in data 12.7.2016.
Ha comunque contestato la lesione dei diritti di sfruttamento economico dell’opera del design, richiamando gli elementi individuati dal Tribunale nella citata sentenza in merito agli elementi caratteristici del modello Moon Boot, che non sarebbero in effetti presenti nei modelli di calzature contestati.
Quanto all’accordo transattivo dell’8.9.2017, ha affermato che il fatto che le parti convenute abbiano eccepito la (non) validità del diritto autorale, porterebbe alla conseguenza, laddove ne venisse accertata la nullità/inesistenza, che tale accordo sia nullo o comunque inopponibile alle convenute, ancorché l’attrice contesti alle medesime unicamente la violazione sul diritto d’autore e non i diritti di marchio pure menzionati nell’accordo stesso.
Sostengono tali convenute che applicando l’art. 1972, secondo comma, c.c. il soggetto che ha stipulato l’accordo e che fosse a conoscenza dell’invalidità del titolo non avrebbe a monte la possibilità di far valere l’invalidità della transazione. Ove tuttavia il brevetto (o comunque il titolo di proprietà industriale) fosse dichiarato nullo per effetto di una sentenza passata in giudicato ai sensi dell’art. 123 c.p.i. si dovrebbe applicare l’art. 77, lett. b) c.p.i. e pertanto l’impegno contenuto nella transazione a rispettare il brevetto dovrebbe ritenersi terminato in virtù della norma citata. Il soggetto che ha sottoscritto la transazione beneficerebbe comunque degli effetti del giudicato per il futuro, perdendo sia il diritto all’azione di contraffazione e sia il diritto all’azione di manutenzione del contratto ma conserverebbe, ad esempio, il diritto di trattenere le somme percepite in conseguenza della transazione, in mancanza dei presupposti che consentano di ottenere la declaratoria di nullità della transazione in base ai principi generali.
MOFRA SHOES s.r.l. avrebbe aderito all’accordo transattivo in questione sulla base del fatto che la sentenza del Tribunale di Milano del 12.7.2016 era passata in giudicato, ma solo recentemente avrebbe avuto contezza dei profili di inapplicabilità della tutela autoriale.
Hanno comunque eccepito le convenute che non vi sarebbe stata alcuna violazione dell’accordo transattivo dell’8.9.2017, posto che i modelli di calzatura oggi contestati non facevano parte di tale accordo e che essi dovrebbero considerarsi diversi da essi.
Gli illeciti contestati da parte attrice a MOFRA SHOES s.r.l. e connessi all’accordo di transazione, dove N2 non era parte, non potrebbero essere opponibili a quest’ultima, ancorchè facente parte del medesimo gruppo societario.
Quanto al risarcimento del danno, hanno contestato la mancata prova di alcun pregiudizio economico sopportato dalla società attrice e comunque il diverso quadro ove di colloca la valutazione degli utili conseguiti dal soggetto ritenuto contraffattore dall’art. 158 l.a. rispetto alla reversione degli utili di cui all’art. 125 c.p.i.
In via subordinata al rigetto delle domande svolte da parte attrice, hanno svolto domanda di manleva nei confronti di SERENDIPITY s.r.l., sulla base del contratto di licenza esistente tra essa e MOFRA SHOES s.r.l..
Si è infine costituita nel presente giudizio la convenuta SERENDIPITY s.r.l., rivendicando il proprio ruolo di mera gestione “amministrativa” dei marchi Chiara Ferragni ed affermando che tale ruolo non comprenderebbe, se non in maniera estremamente marginale, la realizzazione, produzione, commercializzazione e vendita dei prodotti recanti detti marchi, attività che – ai sensi dei contratti di licenza – sono normalmente sotto l’esclusiva responsabilità del licenziatario.
MOFRA SHOES s.r.l., alla quale SERENDIPITY s.r.l. ha commissionato l’intera attività di disegno e “creazione” dei modelli di calzatura oggetto di licenza, sarebbe dunque l’unica responsabile di eventuali illeciti.
Rilevato che parte attrice non avrebbe indicato a quale titolo e in base a quali concrete condotte essa avrebbe addebitato responsabilità in capo a SERENDIPITY s.r.l., ha eccepito la nullità dell’atto di citazione ai sensi dell’art. 164 comma 4 c.p.c.
Quanto alla dedotta violazione dell’accordo transattivo dell’8.9.2017 ne ha contestato la sussistenza, rilevando che i modelli di calzature contestate non costituiscono contraffazione dei Moon Boots perché non ne riprendono tutti gli elementi caratterizzanti e creativi e perché comunque suscitano un’impressione generale diversa.
Quanto alla tutela del diritto d’autore sui modelli Moon Boots di parte attrice, la convenuta ha sostenuto che non vi sarebbe contraffazione in quanto le calzature a marchio “Chiara Ferragni” si caratterizzano per l’elevata estrosità, per l’utilizzo di glitter in gran parte della superficie, nonché per l’apposizione del tradizionale marchio rappresentante l’occhio dalle lunghe ciglia di grandi dimensioni sul retro della calzatura.
Peraltro – secondo la convenuta – come tutte le opere d’arte la calzatura di parte attrice dovrebbe essere soggetta a nuove definizioni e ridefinizioni provenienti dall’esterno, posto che ritenere il contrario costituirebbe un pregiudizio per la ricerca, la produzione artistica e la cultura in generale ove costituisse un impedimento contro qualsiasi tentativo finalizzato alla sua rielaborazione.
Ha quindi contestato le pretese risarcitorie formulate da TECNICA GROUP s.p.a., prive di fondamento e comunque eventualmente non riferibili ai modelli di calzature considerati nell’accordo transattivo dell’8.9.2017 – ove era previsto anche un risarcimento del danno – ed in quanto sprovviste di ogni prova in ordine al pregiudizio subito dall’attrice, non potendosi ritenere ammissibili le istanze istruttorie svolte a tal fine.
Ha quindi formulato in via subordinata domanda di manleva nei confronti di MOFRA SHOES s.r.l., fondata sulle garanzie contrattuali da questa prestate in ordine alla conformità dei prodotti oggetto della licenza ad ogni e qualsivoglia normativa applicabile, nonché sulla conformità della condotta della stessa MOFRA SHOES s.r.l. alla correttezza professionale.
2. In via preliminare sul piano processuale deve disattendersi l’eccezione di nullità dell’atto di citazione sollevata dalla convenuta SERENDIPITY s.r.l. in relazione all’ipotesi di cui all’art. 164 comma 4 c.p.c.
Secondo tale convenuta l’atto di citazione notificato avrebbe completamente omesso di circostanziare la posizione di essa rispetto alle violazioni alla normativa in tema di diritto d’autore e in relazione alla dedotta violazione dell’accordo transattivo dell’8.9.2017 per effetto della commercializzazione di due modelli di calzature oggetto delle contestazioni svolte da TECNICA GROUP s.p.a. in questa causa e già oggetto del precedente procedimento cautelare conclusosi con gli impegni assunti all’udienza del 10.4.2018.
Rileva tuttavia il Collegio che la questione relativa alla contraffazione del modello di calzatura Moon Boot era stato appunto oggetto dell’accordo transattivo dell’8.9.2017 cui la stessa SERENDIPITY s.r.l. aveva partecipato assumendo insieme alle altre parti convenute in tale sede (MOFRA SHOES s.r.l.) ed a DIANA s.r.l. l’impegno a cessare “definitivamente la produzione, la vendita diretta, la commercializzazione, la pubblicità a fini commerciali dei prodotti indicati in allegato A”. La contestazione svolta da TECNICA GROUP s.p.a. nell’atto di citazione di questo giudizio era chiaramente incentrata sul fatto che i due modelli di calzature costituivano violazione di tale accordo in quanto indicati dalla società attrice come identici ad alcuni dei modelli specificamente indicati dalle parti nell’allegato A dell’accordo transattivo.
Se dunque sul piano contrattuale la contestazione era del tutto comprensibile per la convenuta SERENDIPITY s.r.l. in quanto parte dell’accordo ed in relazione all’oggetto delle contestazioni (i due modelli successivamente commercializzati), la menzione del concorso tra tutte le parti convenute nella violazione contrattuale e in quella connessa di violazione del diritto d’autore – con addebito in capo a SERENDIPITY s.r.l. in particolare dell’attività di pubblicizzazione dei prodotti – consentiva alla convenuta eccipiente di contrastare senza difficoltà alcuna le contestazioni svolte.
Come è noto, la nullità della citazione comminata dall’art. 164, quarto comma, c.p.c. si produce solo quando “l’esposizione dei fatti costituenti le ragioni della domanda”, prescritta dal n. 4 dell’art. 163 c.p.c., sia stata omessa o risulti assolutamente incerta, con valutazione da compiersi caso per caso, occorrendo tenere conto sia che l’identificazione della “causa petendi” della domanda va operata con riguardo all’insieme delle indicazioni contenute nell’atto di citazione e dei documenti ad esso allegati, sia che la nullità della citazione deriva dall’assoluta incertezza delle ragioni della domanda, risiedendo la sua “ratio” ispiratrice nell’esigenza di porre immediatamente il convenuto nelle condizioni di apprestare adeguate e puntuali difese (così Cass. 11751/13).
Se, dunque, il criterio di verifica dell’effettiva possibilità per SERENDIPITY s.r.l. di prendere posizione rispetto alle contestazioni avversarie può essere individuato anche nella conferma o meno che essa abbia potuto adottare un linea difensiva appropriata e pertinente all’oggetto delle stesse, tale obbiettivo risulta essere stato pienamente raggiunto tenuto conto dell’ampiezza delle argomentazioni svolte nella memoria di costituzione di SERENDIPITY s.r.l. e della loro diretta pertinenza all’ambito effettivo delle contestazioni e delle questioni poste all’attenzione delle parti dall’attrice.
Anche a prescindere dal fatto che la presente causa era stata preceduta da procedimento cautelare in cui la stessa SERENDIPITY s.r.l. aveva svolto senza lagnanza alcuna le sue contestazioni, deve dunque ritenersi che le difese da essa approntate nella sua comparsa di costituzione nella presente causa denotavano piena comprensione di tutti gli aspetti della controversia, tanto che nel corso dello sviluppo della causa esse sono rimaste a caratterizzare la linea difensiva approntata dalla stessa convenuta senza sostanziali modificazioni o eventuali adattamenti successivi.
L’eccezione deve dunque essere respinta, rimanendo riservate al merito della causa tutte le ulteriori argomentazioni svolte da SERENDIPITY s.r.l. in ordine alla sussistenza di una propria effettiva responsabilità rispetto alle condotte contestate.
3. Ritiene il Collegio per ciò che attiene al merito delle domande svolte da TECNICA GROUP s.p.a. di dover affrontare in primo luogo la questione relativa al riconoscimento in favore del modello di calzatura da neve denominato Moon Boot della qualità di opera del design industriale cui accede la tutela propria di cui all’art. 2, n. 10 l.a.
Come è ben noto alle parti in causa, questo Tribunale ha già risposto positivamente a tale specifica questione nella sentenza n. 8628 del 12.7.2016.
In estrema sintesi – ma in ogni caso la motivazione in ordine al riconoscimento di tale tutela autorale deve intendersi in questa sede integralmente riprodotta – devono richiamarsi le considerazioni svolte in ordine all’interpretazione del presupposto del “valore artistico” necessario per il riconoscimento della tutela del diritto d’autore in favore di un novero circoscritto di opere del design industriale.
A tale proposito – non potendo il giudice arrogarsi il compito di stabilire l’esistenza o meno in una determinata opera di un valore artistico – occorre rilevare nella maniera più oggettiva possibile la percezione che di una determinata opera del design possa essersi consolidata nella collettività ed in particolare negli ambienti culturali in senso lato, estranei cioè ai soggetti più immediatamente coinvolti nella produzione e commercializzazione per un verso e nell’acquisto di un bene economico dall’altro. In tale prospettiva ha ritenuto questo Tribunale di dare rilievo – al fine di riconoscere una positiva significatività della qualità artistica di un’opera del design – al diffuso riconoscimento che più istituzioni culturali abbiano espresso in favore dell’appartenenza di essa ad un ambito di espressività che trae fondamento e che costituisce espressione di tendenze ed influenze di movimenti artistici o comunque della capacità dell’autore di interpretare lo spirito dell’epoca, anche al di là delle sue intenzioni e della sua stessa consapevolezza, posto che l’opera a contenuto artistico assume valore di per sé e per effetto delle capacità rappresentative e comunicative che essa possiede e che ad essa vengono riconosciute da un ambito di soggetti più ampio del solo consumatore di quello specifico oggetto.
In tale contesto il giudice dunque non attribuisce all’opera del design un “valore artistico” ex post in quanto acquisito a distanza di tempo, bensì ne valuta la sussistenza con un procedimento che in qualche modo richiede un apprezzamento che contestualizzi l’opera nel momento storico e culturale in cui è stata creata, di cui assurge in qualche modo a valore iconico, che può richiedere (come per tutti i fenomeni artistici) una qualche sedimentazione critica e culturale.
L’applicazione di tali criteri ha determinato il Tribunale nella sentenza citata – con apprezzamento in fatto che qui si condivide – a riconoscere nei modelli dei Moon Boots la qualità di opera del design industriale ai sensi del n. 10 del comma 1 dell’art. 2 l.a., evidenziando a tale fine tutti gli elementi e le circostanze che testimoniavano già all’epoca la considerazione che tale prodotto e le sue peculiari forme avevano assunto da parte di ambienti culturali ed artistici nonché del mondo del design.
In questa sede le convenute – in particolar modo le difese della convenuta SERENDIPITY s.r.l. – hanno contestato tali conclusioni, di fatto però riproponendo in maniera pedissequa i termini del dibattito sviluppatosi a suo tempo sull’interpretazione del presupposto del “valore artistico” per il riconoscimento della tutela autorale ad un’opera del design.
Tali argomentazioni di fatto si limitano a riproporre profili già affrontati nelle motivazioni della sentenza di questo Tribunale innanzi richiamata – ma anche da altri provvedimenti precedenti ivi richiamati, di cui costituisce applicazione e sviluppo – senza addurre elementi di qualche novità che impongano in questa sede una specifica ed ulteriore presa di posizione.
Ritiene dunque in questa sede il Tribunale di limitarsi a richiamare tali motivazioni, aggiungendo che peraltro in epoca successiva al deposito di tale sentenza la stessa giurisprudenza di legittimità ne ha condiviso pienamente gli esiti in ordine all’individuazione dei criteri di interpretazione del presupposto del “valore artistico”, affermando che se il valore artistico richiesto per la proteggibilità dell’opera di “industrial design” non può essere escluso dalla serialità della produzione degli articoli concepiti progettualmente, che è connotazione propria di tutte le opere di tale natura, esso va ricavato da indicatori oggettivi, non necessariamente concorrenti, quali il riconoscimento, da parte degli ambienti culturali ed istituzionali, circa la sussistenza di qualità estetiche ed artistiche, l’esposizione in mostre o musei, la pubblicazione su riviste specializzate, l’attribuzione di premi, l’acquisto di un valore di mercato così elevato da trascendere quello legato soltanto alla sua funzionalità ovvero la creazione da parte di un noto artista (così Cass. 7477/17).
Alle manifestazioni di apprezzamento degli ambienti culturali ed artistici già richiamati nella citata sentenza di questo Tribunale – che confermano in concreto la sussistenza del presupposto del “valore artistico” delle forme del Moon Boots – possono essere aggiunti in questa sede gli ulteriori e successivi riconoscimenti, quali l’inserimento di tale prodotto nell’ambito del Triennale Design Museum di Milano nel 2016 nonché nell’esposizione permanente del Metropolitan Museum of Modern Art (MOMA) nel 2018, oltre ad ulteriori dirette conferme in sede giudiziaria (Tribunale Venezia, sentenza 15.3.2019; Corte d’appello Venezia, sentenza 7.3.2019).
Né particolare rilievo sembrano assumere – al fine di sostenere una pretesa mancanza di novità dei Moon Boots – le pretese anteriorità costituite dalle calzature utilizzate dagli astronauti nella missione Apollo, cui il modello dell’attrice traeva diretto ed esplicito spunto ma dando luogo ad una del tutto autonoma e diversa autonomia di forme avente indubbio carattere creativo, o di altri modelli di calzature da neve per le quali tuttavia non è stata fornito alcun elemento in base al quale poter confermare la loro preesistenza rispetto all’immissione in commercio dei Moon Boots originali.
4. Così confermata l’attribuzione della tutela autorale al modello dei Moon Boots, ritiene il Collegio che debba essere altresì confermata l’effettiva interferenza dei modelli di calzature oggetto delle contestazioni svolte da parte attrice con le forme dell’opera del design industriale di TECNICA GROUP s.p.a.
Nella stessa sentenza n. 8628 del 12 luglio 2016 il Tribunale aveva individuato gli aspetti peculiari di tali forme – nel contesto delle calzature da neve aventi forme “massicce” – evidenziando testualmente che “il modello Moon Boots è contraddistinto sostanzialmente da una suola ambidestra a cui è raccordata, senza cuciture a vista, una tomaia che presenta un fascione di elevata altezza avvolgente la zona della punta e quella laterale del piede sino circa in corrispondenza della zona antistante i malleoli, in tale zona essendovi un raccordo con un contrafforte che si sviluppa maggiormente in altezza ad avvolgere parte dell’estremità posteriore del piede. Sono inoltre presenti dei lacci risvoltati su tre coppie di occhielli associate, due in corrispondenza del bordo superiore del fascione ed una del contrafforte; inferiormente la suola presenta una forma ambidestra”.
Non è contestabile che tutte tali caratteristiche – unitamente alla considerazione del complesso delle forme di tali calzature, valutate nel loro insieme – siano del tutto riprodotte nei modelli in questa sede contestati dalla società attrice alle convenute.
Si riproduce di seguito il modello originale del Moon Boots:
nonché i modelli di calzature contestati:
Il confronto visivo tra tali modelli conferma in tutta evidenza la sostanziale identità delle forme – anche nei particolari innanzi evidenziati – che non risulta in alcun modo compromessa dal fatto che i prodotti contestati presentino una colorazione particolare (glitter) o i marchi Chiara Ferragni.
Appare opportuno precisare i criteri di valutazione della sussistenza del plagio/contraffazione nelle opere tutelate dal diritto d’autore, in quanto evidentemente del tutto direttamente pertinenti alla fattispecie in esame, posto che le parti convenute sul punto hanno invece argomentato richiamando concetti e criteri riferibili in realtà a diversi istituti di proprietà industriale.
In effetti in tema di diritto d’autore, l’elaborazione creativa si differenzia dalla contraffazione, in quanto mentre quest’ultima consiste nella sostanziale riproduzione dell’opera originale, con differenze di mero dettaglio che sono frutto non di un apporto creativo ma del mascheramento della contraffazione, la prima si caratterizza per un’elaborazione dell’opera originale con un riconoscibile apporto creativo. Ciò che rileva, pertanto, non è la possibilità di confusione tra due opere, alla stregua del giudizio d’impressione utilizzato in tema di segni distintivi dell’impresa, ma la riproduzione illecita di un’opera da parte dell’altra, ancorché camuffata in modo tale da non rendere immediatamente riconoscibile l’opera originaria (così Cass. 9854/12).
Poiché in particolare la convenuta SERENDIPITY s.r.l. ha argomentato circa il fatto che in tema di opere protette dal diritto d’autore dovrebbe essere consentito a terzi di dare luogo a rielaborazioni creative dell’opera stessa per evitare il sorgere di un pregiudizio per la ricerca, la produzione artistica e la cultura in generale, va rammentato che la fattispecie di plagio di un’opera altrui non è data soltanto dal “plagio semplice o mero plagio” o dalla “contraffazione” dell’opera tutelata, ma anche dal cosiddetto “plagio evolutivo”, il quale costituisce un’ipotesi più complessa di tale fenomeno, in quanto integra una distinzione solo formale delle opere comparate, sicché la nuova, per quanto non sia pedissequamente imitativa o riproduttiva dell’originaria, in conseguenza del tratto sostanzialmente rielaborativo dell’intervento su di essa eseguito, si traduce non già in un’opera originale ed individuale, per quanto ispirata da quella preesistente, ma nell’abusiva, e non autorizzata, rielaborazione di quest’ultima, compiuta in violazione degli artt. 4 e 18 l.a. (così Cass. 14635/18).
Gli elementi che – secondo in particolare la convenuta SERENDIPITY s.r.l. – determinerebbero la sussistenza di un’opera originale ed individuale nei due modelli di calzature contestati in questa sede sarebbero individuabili nel fatto che essi sarebbero diversamente caratterizzati “per l’elevata estrosità, per l’utilizzo di glitter in gran parte della superficie, nonché per l’apposizione del tradizionale marchio rappresentante l’occhio dalle lunghe ciglia di grandi dimensioni sul retro della calzatura”.
Al di là dell’inconferenza alla tematica del plagio/contraffazione di un’opera del design tutelata dal diritto d’autore della presenza di un marchio sul prodotto, la pretesa autonomia creativa si ridurrebbe di fatto all’estrosità conferita ai modelli dall’uso del glitter.
Ritiene il Collegio che tale profilo sia del tutto inessenziale a conferire l’autonomia ed originalità creativa necessaria per conferire al modello “glitterato” dignità di opera autonoma, tenuto presente l’assoluta identità delle forme della calzatura – come si rileva facilmente dal confronto tra le immagini innanzi riportate – con il Moon Boots originale.
Trattasi per entrambi i modelli di calzature contestate di mero plagio/contraffazione, non risultando nemmeno effettivamente prospettabile l’ipotesi del plagio evolutivo.
Deve dunque confermarsi che i modelli di calzature in contestazione costituiscano violazione dei diritti patrimoniali spettanti alla società attrice sull’opera del design industriale denominata Moon Boots, ed in particolare delle facoltà di cui all’art. 13 (diritto esclusivo di riproduzione), agli artt. 4 e 18 (diritto di elaborazione), all’art. 17 (diritto esclusivo di distribuzione).
4. TECNICA GROUP s.p.a. ha altresì dedotto in relazione alle medesime condotte di produzione e commercializzazione dei due modelli di calzature da neve in contestazione l’inadempimento all’accordo transattivo intervenuto con le convenute MOFRA SHOES s.r.l., SERENDIPITY s.r.l. e DIANA s.r.l. in data 8.9.2017 e per quanto riguarda N2 s.r.l. a titolo di concorso nell’altrui inadempimento.
Le conclusioni innanzi raggiunte in merito alla conferma della protezione delle forme dei Moon Boots dalla tutela del diritto d’autore risultano del tutto assorbenti delle eccezioni svolte da SERENDIPITY s.r.l. e da MOFRA SHOES s.r.l. in relazione alla presunta nullità/inopponibilità dell’accordo transattivo in questione, che – secondo la tesi esposta da tali convenute – discenderebbe dalla negazione della sussistenza della tutela autorale.
Deve dunque verificarsi se effettivamente i due modelli di calzature in questa sede contestati possano ritenersi prodotti e commercializzati in violazione degli impegni assunti dalle convenute che avevano sottoscritto tale accordo e che era riferito in concreto a determinati modelli di calzature indicati nell’allegato all’accordo stesso sia mediante riproduzione della loro immagine e del rispettivo codice identificativo di catalogo.
Il confronto tra i due modelli di calzatura da neve oggetto della presente causa – innanzi riprodotti ed indicati dalle convenute nell’accordo transattivo nel procedimento svoltosi ante causam come aventi codici identificativi CF1760, CF1761, CF1762, CF 1763 e CF1764 – e quelli contraddistinti nell’allegato all’accordo 8.9.2017 con i codici CF1345 e CF 1351 ne denota a parere del Collegio la sostanziale e pressochè completa sovrapponibilità, con l’unica eccezione – irrilevante sul piano dell’identità dei modelli – che quelli oggi contestati non riproducono il marchio Chiara Ferragni su di una fascia orizzontale del gambale.
Sembra dunque sostenibile la tesi di parte attrice che riconduce tutti detti prodotti al medesimo stampo produttivo.
Né può essere ritenuto rilevante il rilievo secondo il quale l’allegato in questione riporterebbe dei prodotti aventi specifico codice identificativo, non coincidente con quello assegnato ai due modelli in questa sede contestati.
Invero l’oggetto dell’impegno assunto in tale sede riguardava evidentemente l’aspetto esteriore dei prodotti in quella sede ritenuti – fondatamente – in violazione dei diritti di TECNICA GROUP s.p.a. sul design dei Moon Boots, mentre il codice identificativo risultava menzionato per individuare in concreto i modelli allora in produzione/commercializzazione da parte delle controparti.
La ripresa pedissequa dei medesimi modelli per i quali era operativo l’impegno di astensione assunto consente di individuare la specifica violazione degli impegni medesimi, non aggirabili mediante la mera attribuzione ad essi di un codice diverso anche in considerazione degli obblighi di buona fede connaturati all’ambito contrattuale di riferimento.
Va dunque confermato l’inadempimento all’accordo dell’8.9.2017 rispetto alla violazione degli obblighi di astensione assunti dalle convenute SERENDIPITY s.r.l. , MOFRA SHOES s.r.l. e DIANA s.r.l.
Va altresì confermato l’ulteriore inadempimento posto in essere dalle stesse convenute quanto all’obbligo di non contestazione della tutela autorale spettante al design dei Moon Boots assunto dalle stesse. Tale obbligo appare del tutto legittimo, risultando detta rinuncia pertinente a diritti disponibili delle parti, ed è stato obbiettivamente non rispettato almeno dalle convenute MOFRA SHOES s.r.l. e SERENDIPITY s.r.l. che invece hanno sollevato in questa sede specifiche eccezioni in tal senso. Le conseguenze patrimoniali di tale specifico inadempimento risulterebbero peraltro assorbite dalla regolazione delle spese processuali proprie di questo giudizio non essendo stata allegata alcuna contestazione svolta in ambito stragiudiziale.
5. Non ritiene peraltro il Collegio che sussistano spazi di effettiva autonomia rispetto alle condotte innanzi accertate per dichiarare anche la sussistenza dell’ipotesi di concorrenza sleale ex art. 2598 n. 3 c.c. a titolo di concorrenza sleale dipendente dalla violazione dei diritti della società attrice sul design dei Moon Boots.
In effetti tale violazione appare del tutto coincidente con la condotta di plagio/contraffazione innanzi accertata e non comprende uletriori profili che ne consentono un’autonoma individuazione.
Essa deve dunque ritenersi assorbita dalle violazioni ai diritti patrimoniali derivanti dal design industriale tutelato dalla legge sul diritto d’autore.
6. Occorre ora verificare la responsabilità delle parti convenute rispetto alle violazioni innanzi accertate.
Quanto all’illecito consistito nella lesione dei diritti di utilizzazione economica del design dei Moon Boots esistenti in capo a TECNICA GROUP s.p.a., deve confermarsi l’orientamento costante della giurisprudenza in ordine al fatto che nei confronti di tale titolare ogni soggetto che abbia partecipato alla filiera produttiva e distributiva del prodotto contraffatto debba risponderne in via solidale con gli altri appartenenti a tale filiera, avendo essi posto in essere un contributo causale comunque rilevante ai fni della consumazione dell’illecito (v. in tal senso Tribunale Milano 25.1.2006).
Nel caso di specie – e fatte salve le domande di manleva interne svolte dalle convenute tra loro – devono ritenersi responsabili in concorso tra loro di tale illecito:
– la convenuta DIANA s.r.l., in quanto gestisce il sito e-commerce www.chiaraferragnicollection.com e le attività di promozione, commercializzazione e logistica afferenti alla vendita dei prodotti ad essa forniti da MOFRA SHOES s.r.l. recanti il marchio Chiara Ferragni; il richiamo ad una non condivisibile e superata giurisprudenza di legittimità – secondo il quale il diritto di distribuzione risulterebbe esaurito con la prima immissione in commercio dell’opera – non consente di superare il dato normativo di cui all’art. 17 l.a. secondo il quale l’esaurimento di tale diritto non si verifica ove il primo atto di trasferimento dell’opera originale o di sue copie sia avvenuto senza il consenso del titolare del diritto, principio ancora più pregnante nel caso di opere contraffatte e dunque riprodotte in violazione dell’art. 13 l.a.;
– la convenuta MOFRA SHOES s.r.l., in quanto produttrice dei prodotti contestati e licenziataria del marchio Chiara Ferragni;
– quanto a SERENDIPITY s.r.l., in quanto licenziante dei marchi Chiara Ferragni e corresponsabile dell’ideazione, scelta ed approvazione dei prodotti contestati in base alle clausole del contratto di licenza intercorso con MOFRA SHOES s.r.l. (v. artt. 6.1 e 7 contratto 30.3.2016, in doc. 7 Serendipity);
– quanto a N2 s.r.l., in quanto venditrice dei prodotti che sono stati acquistati dalla società attrice (v. doc. 6 Tecnica Group).
Per ciò che attiene invece alla violazione di natura contrattuale relativa all’inadempimento all’accordo dell’8.9.2017, ritiene il Collegio di delimitare la relativa responsabilità alle società convenute che hanno sottoscritto tale accordo – e cioè MOFRA SHOES s.r.l., SERENDIPITY s.r.l. e DIANA s.r.l. – assumendo i relativi impegni. Il ruolo di consapevole concorso nell’inadempimento di tali soggetti attribuito alla mera rivenditrice N2 s.r.l. non appare invece sufficentemente comprovato, al di là della partecipazione della stessa nella violazione extracontrattuale dell’opera del design industriale.
7. Appare dunque necessario disporre la prosecuzione della fase istruttoria volta a determinare l’entità del danno risarcibile in favore della società attrice in relazione alle condotte illecite innanzi accertate.
Quanto alla sussistenza di un pregiudizio in danno del titolare dell’opera oggetto di plagio/contraffazione, l’esistenza in sé di tale pregiudizio è connessa alla natura assoluta dei diritti spettanti all’autore ed ai suoi aventi causa sul piano delle facoltà di utilizzazione economica di essa (v. Cass. 12954/16).
Se è vero che il criterio della reversione degli utili non è stato esteso dal legislatore alla disciplina del diritto d’autore nei termini in cui esso è stato trasfuso nel terzo comma dell’art. 125 c.p.i., tuttavia il secondo comma dell’art. 158 l.a. prevede espressamente che il lucro cessante deve essere valutato dal giudice anche tenuto conto degli utili realizzati in violazione dei diritti. Tale parametro, fondato sul beneficio tratto dall’attività vietata, nell’apprezzamento delle circostanze del caso concreto assurge infatti ad utile criterio di riferimento del lucro cessante, segnatamente quando il danno sia correlato al profitto del danneggiante, nel senso che questi abbia sfruttato a proprio favore occasioni di guadagno di pertinenza del danneggiato, sottraendole al medesimo (Cass. 11225/15).
Deve dunque procedersi nella fase istruttoria come da separata ordinanza.
8. Ogni questione relativa alle domande di manleva che le parti convenute hanno svolto nei loro reciproci confronti dovranno essere valutate e decise all’esito dell’ulteriore fase istruttoria.
Appare tuttavia necessario in questa sede provvedere in ordine all’eccezione di arbitrato irrituale svolta da SERENDIPITY s.r.l. nei confronti di DIANA s.r.l. sulla base dell’art. 17 del contratto stipulato tra le parti in data 25.2.2014 (doc. 2 Diana), avente natura pregiudiziale di merito.
La domanda di manleva è stata svolta da DIANA s.r.l. nella comparsa di costituzione e controparte ha tempestivamente sollevato detta eccezione nella prima udienza di comparizione del 23.10.2018.
La clausola menzionata copre ogni questione discendente dal contratto in questione e ad esso connessa anche sotto il profilo della sua esecuzione e prevede che il Collegio arbitrale dovrà decidere “in via irrituale, secondo diritto, senza formalità” impegnandosi le parti “a dare pronta e puntuale esecuzione alla decisione degli arbitrim cui sin d’ora attribuiscono la stessa efficacia vincolante della loro stessa volontà contrattuale”.
Non vi è tra le parti alcuna contestazione in ordine alla natura irrituale dell’arbitrato in questione.
Per la natura contrattuale dell’arbitrato irrituale, l’eccezione di compromesso non dà luogo a una questione di competenza bensì di proponibilità della domanda, risultando la relativa eccezione di natura sostanziale, attinente al merito. Anche in esito alla novella del 2006, che ha inserito e disciplinato l’istituto dell’arbitrato irrituale all’interno del codice di rito all’art. 808 ter c.p.c., l’orientamento giurisprudenziale ormai consolidato ritiene che la clausola di arbitrato irrituale non comporti l’incompetenza del giudice ordinario a conoscere della domanda, ma soltanto, qualora la controparte sollevi ritualmente la relativa eccezione, l’improponibilità della medesima (vedi Cass. 19060/17).
9. Le istanze istruttorie relative alla determinazione del danno risarcibile e quelle eventualmente pertinenti alle domande di manleva svolte tra le parti convenute sono devolute alla decisione del giudice istruttore nel contraddittorio tra le parti, come indicato nella separata ordinanza con la quale si provvede alla rimessione della causa sul ruolo istruttorio previo tentativo di conciliazione.
La regolazione delle spese del giudizio va rinviata all’esito della decisione su tutte le residue domande delle parti. – Omissis.
Trib. Milano, sez. spec. impresa, 12 luglio 2016, n. 8628 in Riv. dir. ind., 2017, II, p. 324, con nota di S. Caselli, Le ultime tendenze sulla tutela autoriale del design e sul requisito del valore artistico. In particolare, nel provvedimento si riconosce valore artistico ad un prodotto moda, i Moon Boots. ↑
L’art. 2, n. 10 l.d.a. tutela le opere del disegno industriale che presentino di per sé carattere creativo e valore artistico ed è stata introdotta in seguito all’emanazione della Direttiva 98/71/CE, attuata con il D.lgs. 2 febbraio 2001, n. 95. Sul punto, v. A. Musso, Diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, in Comm. cod. civ. Scialoja Branca, 2008, p. 80 ss. ↑
Cass., 23 marzo 2017, n. 7477, in Foro it., 2017, 5, I, c. 1589 e in Dir. & Giust., 2017, fasc. 55, p. 1, con nota di A. Mazzaro, Articoli da decoro interni: tutelate come opere del disegno industriale le creazioni Thun. Nello stesso senso, v. Cass. 13 novembre 2015, n. 23292, in Foro it., 2016, I, c. 562; Cass., 12 gennaio 2018, n. 658, in Foro it., 2018, I, c. 943, con nota di G. Casaburri. Nella giur. di merito, v. Trib. Milano 2 febbraio 2015, in Foro it., 2016, Rep. 2016, voce Diritto d’autore, n. 108; Trib. Milano 16 giugno 2015, in Giur. dir. ind., 2015, p. 1088; Trib. Milano 4 febbraio 2015, in Annali it. dir. autore, 2016, p. 882; Trib. Milano, 22 novembre 2017, n. 11766, Trib. Torino, 31 gennaio 2019, n. 482, entrambe in dejure.it. In tema di tutela del design industriale, v. G. Floridia, La protezione del diritto d’autore sulle opere dell’industrial design, in Riv. dir. ind., 1984, p. 372 ss.; più recentemente, A. Musso, Diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, cit., p. 75 ss.; M. Montanari, L’industrial design tra modelli, marchi di forma e diritto d’autore, in Riv. dir. ind., 2010, p. 21; Id., Idea, oggetto, valore artistico del design industriale, in Riv. dir. ind., 2019, p. 42; F. Morri, Le opere dell’industrial design tra diritto d’autore e tutela come modelli industriali: deve cambiare tutto perché (quasi) nulla cambi?, in Riv. dir. ind., 2013, p. 177; S. Guizzarsi, La tutela d’autore del disegno industriale: incentivi all’innovazione e regime giuridico, Milano, 2015; G. Ghidini, Profili evolutivi del diritto industriale, Milano, 2015, p. 264; E. Varese, S. Barabino, La tutela della forma delle creazioni di moda: problematiche e prospettive, in Fashion Law, Le problematiche giuridiche della filiera della moda, a cura di B. Pozzo e V. Jacometti, Torino, 2016, p. 93 ss.; A. Maietta, Il diritto della moda, Torino, 2018, p. 71 ss.; C. Galli, La tutela europea di diritto d’autore per le opere dell’Industrial design e la necessità di un approccio realistico, in Riv. dir. ind., 2020, p. 51. ↑
In questo senso, v. Cass. 15 giugno 2012, n. 9854, in Dir. autore, 2012, p. 350, in tema di plagio di opere musicali. V. anche Cass., 27 ottobre 2005, n. 20925, in Giur. it., 2007, p. 625. ↑
Trib. Roma, 26 novembre 2021, n. 18570; App. Firenze, 11 febbraio 2020, n. 362; Cass. 8 giugno 2018, n. 14635, in Riv. dir. ind., 2018, p. 68, con nota di V. Torti, Personaggi di fantasia tra plagio e contraffazione. Riflessioni sull’orientamento della Suprema Corte di Cassazione e in Dir. ind., 2019, p. 564, con nota di G. Cassano, Personaggi di fantasia e tutela autoriale, i limiti all’operatività del plagio evolutivo. ↑