Chiara Iorio
Assegnista di ricerca dell’Università degli Studi di Macerata
Il contributo si propone di inquadrare giuridicamente la street art, soffermandosi, in particolare, sulla tutelabilità della stessa in base al diritto d’autore, nonché sul problematico bilanciamento tra diritto dell’artista e diritto del proprietario del supporto materiale su cui l’opera è realizzata.
The essay aims to legally frame the street art, focusing, in particular, on its protectability under copyright law, as well as on the problematic balancing act between the artist’s right and the right of the owner of the material support on which the work is created.
Sommario: 1. Introduzione. – 2. La street art: un preliminare inquadramento. – 3. Street art e diritto d’autore. – 4. La titolarità dell’opera di street art. – 5. Diritto d’autore vs diritto di proprietà. – 5.1 Il bilanciamento tra i due opposti diritti. – 5.2. Una prima conclusione. – 6. Gli interessi pubblici
1. La street art evoca, sul piano giuridico, una molteplicità di quesiti di non agevole soluzione.
Alla manifesta interdisciplinarità, che connota in senso lato il diritto dell’arte, si somma la difficoltà – specifica della manifestazione artistica in esame – di comporre la pluralità degli interessi (privatistici e pubblicistici) in conflitto.
A scopo esemplificativo, basti pensare al dibattito, risalente a pochi mesi fa, circa la competenza, in capo alla Soprintendenza, quanto al restauro di un’opera di Banksy. Si trattava, nella specie, di «Migrant Child», realizzato, in assenza di preventiva autorizzazione, sul muro esterno di un edificio veneziano sottoposto a vincolo storico-artistico[1]: da ciò, la necessità di salvaguardare il diritto di proprietà, in capo al privato, di tutelare l’integrità del bene vincolato (portatore di interessi sovra-individuali), senza al contempo compromettere un’opera urbana dall’indiscusso pregio artistico, su cui insiste il diritto d’autore dell’artista.
Gli interrogativi sottesi a tale vicenda sono evocativi della complessità dell’inquadramento giuridico della street art. A questo tema saranno dedicate le riflessioni che seguono.
2. Della street art possono essere date svariate classificazioni ed elencati plurimi caratteri.
Ai fini di una indagine di carattere giuridico, appare, ad ogni modo, sufficiente soffermarsi sul tratto essenziale di tale manifestazione artistica, consistente nella specifica contestualizzazione delle opere[2].
Come lo stesso appellativo «street» art evoca, si tratta di raffigurazioni realizzate nel contesto urbano, spesso i muri esterni di edifici di proprietà privata. Tale dato svela alcune delle questioni di più urgente analisi: l’accertamento della liceità dell’opera realizzata in assenza di autorizzazione; il conflitto tra diritto di proprietà intellettuale dell’artista, da un lato, e diritto di proprietà, in capo al titolare del bene su cui l’opera insiste, dall’altro.
La contestualizzazione della street art qualifica quest’ultima come arte site specific[3]. Si tratta, in altri termini, di raffigurazioni il cui messaggio assume significato in virtù di una ben specifica collocazione spaziale. Si consideri il già citato «Migrant child», in cui la rappresentazione del soggetto a pelo dell’acqua, sul canale, è funzionale a veicolare un ben preciso messaggio di denuncia (sui temi delle migrazioni, delle tragedie in mare, delle condizioni della laguna veneziana) che non acquisirebbe la stessa potenza evocativa, in altro luogo.
Da qui, l’interrogativo circa la possibilità di «distaccare» l’opera e, ad esempio, musealizzarla.
La peculiare contestualizzazione urbana dell’opera di street art ne determina la natura essenzialmente effimera. Corrisponde, invero, alla volontà stessa degli artisti che l’opera svanisca, con il passare del tempo e l’azione degli agenti atmosferici o di terzi. Da qui, gli interrogativi relativi alla possibilità, ad esempio, di restaurare tali opere.
Si tratta, infine, di arte liberamente accessibile alla collettività intera: da qui, la necessità di delimitare i diritti esercitabili da parte del pubblico, nonché il quesito della riproducibilità e sfruttabilità, sotto il profilo economico, dell’opera.
3. Per poter rispondere ai quesiti posti nel paragrafo precedente, va, preliminarmente, chiarito se l’opera di street art sia tutelabile in base al diritto d’autore[4]. In effetti, alla base del movimento artistico in esame vi è una ben precisa impostazione ideologica, volta alla sottrazione dell’artista dai vincoli del diritto d’autore, come ben riassunto nel noto motto, coniato da Banksy: «Copyright is for losers»[5].
Potrebbe assumersi, allora, che la realizzazione dell’opera nel contesto urbano e, di frequente, nell’anonimato, possa essere qualificata alla stregua di una rinuncia, da parte dell’artista, alle prerogative del diritto d’autore.
Tale prospettazione potrebbe non apparire del tutto peregrina, se solo si considera che una simile conclusione è stata suggerita dallo stesso Tribunale di Milano[6], nell’ambito di una vicenda relativa, ancora una volta, a Banksy. Ebbene, anche se nel caso di specie il thema decidendum verteva su profili differenti, il giudicante rilevava, in un passaggio della motivazione, che la «realizzazione in un luogo pubblico di un’opera (…) implicherebbe in sé per un verso la pubblica e libera esposizione della stessa in rinuncia delle prerogative proprie della tutela autoriale e sotto altro profilo la natura effimera dell’opera stessa, in un contesto ideologico di diretta contestazione del diritto d’autore e/o dei circuiti commerciali propri di tale settore».
Nello stesso senso, può citarsi anche una decisione dell’Ufficio dell’Unione europea per la proprietà intellettuale[7], avente ad oggetto la dichiarazione di nullità di marchi figurativi registrati dalla Pest Control Office Ltd, società istituita da Banksy per l’autenticazione delle proprie opere. In un passaggio del provvedimento, invero, si legge che «le opere di street art vengono anche ad “annullare” qualsiasi diritto d’autore, anche se tale circostanza fosse espressamente negata dal titolare dei diritti».
Tanto premesso, parrebbe non potersi dubitare della astratta tutelabilità autoriale dell’opera d’arte urbana. Quest’ultima, invero, rientra senz’altro nella categoria delle «arti figurative»[8] di cui all’art. 1, l.d.a.[9], ed è astrattamente idonea a soddisfare gli ulteriori requisiti ivi previsti. Come ben noto, affinché un’opera d’ingegno possa ricevere tutela autoriale, è necessario che la stessa soddisfi il carattere della «originalità», da intendersi nel senso di «creatività»[10], ancorché minima, che rifletta la personalità dell’autore, anche se non allineata con i gusti estetici dominanti[11].
Non si nega che talune particolari tipologie di arte urbana – quali le c.d. «tag» – difficilmente possano soddisfare il carattere della originalità[12]. Bisogna, tuttavia, rammentare che il concetto di creatività è stato esteso dalla giurisprudenza, sino a ricomprendere pure la personale organizzazione di linee e colori, che, unitariamente guardati, siano in grado di restituire l’idea di originalità della creazione artistica[13].
Ferma restando, dunque, la necessità di una valutazione su base casistica, non può astrattamente negarsi che le opere della street art possano rientrare nell’ambito di applicazione della legge sul diritto d’autore.
Ai fini della tutela autoriale, non costituisce ostacolo la circostanza che, di frequente, le opere siano realizzate illecitamente, vale a dire in assenza di un preventivo consenso da parte del proprietario del supporto materiale. In effetti, la street art non autorizzata potrebbe integrare una fattispecie penalisticamente rilevante. Essendo suscettibile di ledere la proprietà privata, il decoro e la sicurezza urbana, infatti, l’atto della rappresentazione può configurare i reati di imbrattamento (art. 639 c.p.) e di danneggiamento (655 c.p.)[14]. Sul punto, peraltro, si registra un contrasto in giurisprudenza. Stando ad alcune pronunce, invero, non sarebbe ravvisabile il reato di imbrattamento – per insussistenza degli elementi oggettivo e soggettivo – in presenza di opere caratterizzate da un valore artistico, posto che tale carattere escluderebbe l’idoneità della raffigurazione ad imbrattare la proprietà altrui[15].
Un orientamento opposto[16] esclude che al giudice possa essere demandata una valutazione sul pregio estetico della raffigurazione, la quale potrebbe rilevare soltanto sul – diverso e successivo – piano della determinazione della pena. Tutelando, invero, l’art. 639 c.p. l’estetica e la pulizia attribuiti al bene da colui che ne abbia la disponibilità sul piano giuridico, qualunque disegno o scritta non autorizzata sarebbero idonei a ledere tale interesse e, quindi, a integrare il reato di imbrattamento.
Anche a prescindere dall’orientamento che voglia accogliersi va, ad ogni modo, rilevato che, nel nostro ordinamento (come, del resto, in tutti quelli appartenenti alla famiglia del Civil Law) la liceità dell’opera non è un requisito per l’applicabilità della legge sul diritto d’autore.
A diverse conclusioni potrebbe giungersi negli ordinamenti di Common Law, in cui si riscontra la «Unclean hand doctrine»[17], la quale preclude a chi abbia commesso un illecito di trarne i conseguenti benefici economici[18]. Sta di fatto che la questione continua ad essere oggetto di acceso dibattito nella stessa dottrina statunitense. Si è osservato, invero, che, nei casi in esame, l’illiceità non riguarda il contenuto dell’opera, ma i processi di creazione della stessa, rispetto ai quali le regole del diritto d’autore si disinteresserebbero[19].
Quanto al Regno Unito, va rilevata l’esistenza di una previsione che introduce una eccezione per la tutela autoriale nel caso in cui sussistano motivi di ordine pubblico[20]. L’obiettivo, come chiarito dalla giurisprudenza, è quello di consentire al giudice di non accordare la tutela autoriale quando l’opera sia immorale o scandalosa, dannosa per la vita pubblica o l’amministrazione della giustizia: ciò che non dovrebbe potersi riscontrare nel caso della street art.
Ai fini della applicabilità del diritto d’autore, non è d’ostacolo la circostanza che l’opera d’arte urbana sia effimera. Nel nostro ordinamento, invero, non si riscontra, tra i requisiti di applicazione della l.d.a., la «fissazione» dell’opera su supporto durevole[21].
Non così, tuttavia, per gli ordinamenti di Common law, in cui sussiste il requisito indefettibile della fixation, da intendersi come necessità che la raffigurazione insista su «qualsiasi mezzo di espressione tangibile». Anche sul punto va, tuttavia, rilevata una interpretazione via via estensiva della giurisprudenza, incline a ritenere tale requisito soddisfatto anche nel caso in cui l’opera sia «sufficientemente permanente o stabile», per consentire che «sia percepita, riprodotta o comunicata in altro modo per un periodo più che transitorio»[22]. Ne consegue che, nonostante le opere di strada siano destinate ad essere distrutte dal tempo, la loro fissazione anche solo temporanea sembra sufficiente a soddisfare il criterio in esame[23].
Una volta acclarato che le opere d’arte urbana sono astrattamente tutelabili in base al diritto d’autore, si profilano una serie questioni ancora più complesse, che saranno illustrate nel paragrafo che segue.
4. Preliminarmente, va chiarito chi acquisti la proprietà dell’opera di street art[24].
È piuttosto diffusa la tesi che nega la proprietà dell’opera in capo al privato, proprietario del bene su cui la stessa insiste, sulla scorta della – ritenuta – inapplicabilità della disciplina codicistica relativa ai modi di acquisto della proprietà[25].
In effetti, taluni modi di acquisto della proprietà risultano incompatibili con la vicenda in esame. Così, è arduo assimilare la realizzazione dell’opera su bene altrui ad un «abbandono», con conseguente acquisto della stessa per occupazione da parte del proprietario dell’immobile. Difetta, invero, l’atto materiale di appropriazione, necessario per la configurazione di un acquisto a titolo originario; né, peraltro, è possibile qualificare l’opera di street art come bene mobile[26].
Allo stesso modo, sembrano non configurabili modi di acquisto della proprietà per unione, commistione o specificazione[27]. Le prime due, invero, riguardano l’aggregazione materiale tra cose mobili; la specificazione, invece, comporta la trasformazione della materia in un bene nuovo, non riscontrabile nel caso di specie, in cui non si riscontra, per effetto della realizzazione dell’opera, la trasformazione del supporto materiale in un quid novi.
Appare, invece, prospettabile l’acquisto per accessione della proprietà dell’opera, da parte del titolare del bene, ex art. 936 c.c., potendosi considerare la street art come opera fatta da un terzo con suo materiale e su bene altrui[28].
Come noto, tale fattispecie postula che il dominus soli acquisti immediatamente le addizioni, per effetto del mero evento della incorporazione dell’opera al bene immobile, a prescindere dalla volontà dell’autore[29]. Il proprietario del suolo potrà, dunque, decidere se ritenere le addizioni o obbligare colui che le ha effettuate a eliminarle; fermo restando che, qualora decida di ritenerle, dovrà pagare a sua scelta il valore del materiale o prezzo della manodopera, oppure l’aumento di valore del fondo.
Tale conclusione appare suffragata anche da un’indagine di carattere comparatistico. In diversi ordinamenti, invero, si è esplorata la possibilità dell’acquisto dell’opera d’arte da parte del proprietario del bene immobile, sulla scorta della applicazione di istituti assimilabili alla nostra «accessione». Così, ad esempio, la dottrina tedesca ha richiamato il § 946 del BGB[30], mentre quella francese l’art. 553 del Code Civil, il quale contiene una presunzione per cui il proprietario del terreno si presume proprietario di “costruzioni, piantagioni e opere” su tale terreno, salvo prova contraria. Similmente alla nostra previsione codicistica, anche qui l’articolo 555 prevede che «se le piantagioni, le costruzioni e le opere sono state fatte da un terzo e con materiali che gli appartengono, il proprietario del fondo ha il diritto, fatte salve le disposizioni del paragrafo, di preservare la proprietà o di farle rimuovere dal terzo»[31].
5. Una delle questioni maggiormente problematiche concerne l’individuazione del criterio per la risoluzione dei conflitti tra diritto d’autore, in capo all’artista, e diritto di proprietà, in capo al titolare del supporto su cui l’opera risulti (senza autorizzazione) realizzata.
Il diritto d’autore, come noto, è astrattamente idoneo a limitare l’esercizio del diritto di proprietà. L’artista, in quanto autore, e quindi titolare dei diritti morali (o della personalità) e patrimoniali, è legittimato non soltanto a rivendicare la paternità dell’opera, ma anche a preservarne l’integrità[32], a sfruttarla economicamente, riprodurla, ed elaborarla. E, tuttavia, a fronte di un’opera realizzata sul proprio bene in assenza di preventiva autorizzazione, il proprietario potrebbe avere l’opposto interesse a rimuovere una raffigurazione che non incontri il suo gusto estetico; ovvero – considerato che la stessa insiste sul proprio bene – a sfruttarla economicamente, o, persino, a conservarla, e restaurarla.
Ne risulta un contrasto tra i due diritti difficilmente componibile.
Diverse sono le prospettazioni avanzate dalla dottrina.
Una prima impostazione ha ritenuto di risolvere il contrasto in favore del proprietario, assumendo che la realizzazione dell’opera su bene altrui sia da intendere alla stregua di una tacita rinuncia, da parte dell’artista, ai suoi diritti d’autore. Di talché potrebbe potersi desumere, quale logica conseguenza, una libera utilizzabilità dell’opera di street art[33].
Tale tesi si espone, tuttavia, a criticità. Anzitutto, è ampiamente discussa, da parte della dottrina, l’ammissibilità di una integrale rinuncia al diritto d’autore. In tal senso – si osservato[34] – deporrebbe l’art. 119 l.a. che, impedendo la cessione dei diritti patrimoniali futuri o per utilizzazioni non note al momento dell’atto di disposizione, parrebbe far propendere per la soluzione negativa.
Né pare possibile argomentare che la realizzazione dell’opera su bene altrui configuri una cessione degli stessi verso il proprietario dell’immobile. È, invero, arduo assumere che la realizzazione dell’opera su bene altrui, in assenza di preventiva autorizzazione, configuri effettivamente un contegno concludente idoneo in tal senso.
Una tesi opposta risolve il contrasto in favore dell’autore, ritenendo che la realizzazione dell’opera sul bene altrui sarebbe da intendere come «licenza non esclusiva senza limiti temporali e territoriali e a titolo gratuito»[35]. La licenza avrebbe ad oggetto, più precisamente, il diritto di esposizione, di talché ai terzi sarebbe concessa la possibilità di riproduzione dell’opera (nella forma fotografica o videografica) ai soli fini di comunicazione dell’opera al pubblico, compresa l’immissione dell’opera nelle reti telematiche. Con la conseguenza che il proprietario del bene, su cui insiste l’opera, dovrebbe cedere, a fronte dell’esercizio dei restanti diritti morali e patrimoniali da parte dell’artista, non potendo, ad esempio, distaccare l’opera, restaurarla, sfruttarla economicamente, o distruggerla.
Al fine di risolvere più efficacemente il dilemma, appare imprescindibile prendere le mosse dalla constatazione che, nel caso di specie, si raffrontano due diritti parimenti costituzionali: da un lato, la libertà di espressione artistica (artt. 33 cost., che si correla anche all’art. 9 cost.), da un lato, il diritto di proprietà (art. 42 cost.).
Più che nel senso della prevalenza, una volta e per tutte, dell’uno sull’altro, appare preferibile optare per un bilanciamento, a seconda delle pretese che, di volta in volta, vengono in rilievo[36].
5.1 Stante la scissione tra corpus mysticum e corpus mechanicum, è possibile ritenere che, a prescindere dalla titolarità del diritto di proprietà sul bene, l’artista resta titolare dei relativi diritti patrimoniali d’autore. Ne consegue che al proprietario del bene è precluso lo sfruttamento economico dell’opera, la sua riproduzione e elaborazione, le quali spettano, invece, all’artista.
Maggiormente problematico appare l’esercizio del diritto (morale) d’autore all’integrità dell’opera, che potrebbe collidere con l’interesse del proprietario, che invece voglia distruggere o rimuovere l’opera.
Nell’ottica del – summenzionato – criterio di bilanciamento, appare possibile discernere, a seconda delle ipotesi che potranno prospettarsi nel caso concreto.
(a) si può considerare, anzitutto, l’ipotesi che il proprietario intenda distaccare l’opera e collocarla altrove, in spregio al diritto morale dell’artista.
Sul punto, appare utile volgere lo sguardo alla giurisprudenza, che, con riguardo ad opere d’arte tradizionali, ha più volte puntualizzato che anche lo spostamento di un’opera d’arte figurativa indicata dal luogo individuato per la sua collocazione e il trasferimento di un’opera in una posizione che possa «modificarne significativamente la percezione, e dunque il giudizio, da parte del pubblico»[37] possano ledere il diritto morale d’autore.
Le peculiarità della street art hanno, condivisibilmente, spinto parte della dottrina a suggerire una valutazione a seconda del caso di specie[38]. In effetti, in taluni casi l’opera assume un significato proprio in ragione della specifica collocazione (si pensi all’opera «Migrant Child» già menzionata), di talché uno spostamento potrebbe collidere con il messaggio comunicativo che l’artista intendeva veicolare. Potrebbe escludersi una violazione del diritto all’integrità dell’opera, viceversa, in quei casi in cui la collocazione del graffito non assuma tale rilievo preponderante[39].
(b) Vi è, poi, l’interrogativo circa la possibilità, per il proprietario, di distruggere l’opera, ad esempio verniciando il muro o demolendo il supporto su cui la stessa è realizzata, specialmente allorquando (come spesso accade) si tratti di edifici fatiscenti, che il proprietario potrebbe voler radere al suolo o ristrutturare. Simile è il problema riguardante la eventuale responsabilità del proprietario per omessa manutenzione (id est restauro) dell’opera.
In effetti, con riguardo all’arte figurativa tradizionale, la dottrina ha a lungo discusso sul diritto dell’artista di opporsi alla distruzione della sua opera, da parte del proprietario della stessa.
L’indirizzo maggioritario della giurisprudenza esclude che possa farsi rientrare nella tutela morale d’autore il diritto di opporsi alla distruzione dell’opera, che non sia realizzata con modalità squalificanti, idonee a ledere la personalità dell’artista[40]. Si ravvisa, per la verità, pure qualche pronuncia contraria della giurisprudenza, che tuttavia, allo stato, resta minoritaria[41].
Anche a prescindere dalla soluzione che intenda accogliersi, le specificità della street art conducono, a nostro avviso, a negare che la distruzione dell’opera possa violare il diritto morale dell’artista[42]. È, invero, la natura effimera della street art che conduce inevitabilmente a tale conclusione: realizzando la propria arte in strada, l’autore accetta implicitamente l’eventualità che la stessa possa venire distrutta da terzi o dal tempo[43].
(d) vi è, poi, il quesito se il proprietario abbia il diritto di musealizzare il bene.
In effetti, parte della dottrina ha affermato che il diritto di esposizione rientri nel contenuto minimo di proprietà, senza che il diritto morale dell’autore possa imporre la necessità di ottenere una preventiva autorizzazione da parte dell’artista[44]. Stando ad altra prospettazione, invece, l’esposizione rientrerebbe nel diritto di “utilizzare economicamente l’opera”, che spetta all’autore ai sensi dell’art. 12 l.a.[45]
Sul punto, ancora una volta, appare necessario rammentare le specificità della street art: vista la collocazione urbana dell’opera, la sua esposizione potrebbe essere effettuata (i) tramite un suo distacco e ricollocazione nel museo; (ii) ovvero tramite una riproduzione digitale della stessa.
Sennonché l’ipotesi sub (i) si pone con evidenzia in collisione rispetto al diritto morale dell’autore, alla stregua delle considerazioni già maturate, poiché – contrastando a pieno con l’essenza del movimento artistico (che rifugge dai canali classici di esposizione dell’arte) – è idoneo a ledere la personalità dell’artista. L’ipotesi sub (ii) rientra, evidentemente, nel diritto esclusivo dell’artista.
Né può affermarsi che i musei siano titolari del diritto di riproduzione digitale dell’opera.
In effetti, appare opportuno rammentare che il nostro legislatore, attuando la direttiva 2001/29/CE – che prevedeva la possibilità per gli Stati membri di introdurre eccezioni o limitazioni al solo diritto di riproduzione con riguardo agli atti di riproduzione specifici effettuati da musei in assenza di finalità lucrativa – con l’art. 68 comma 2 l.a. ha previsto la sola possibilità della «fotocopia» dell’opera, e non genericamente degli «atti di riproduzione»[46].
5.2 Pare, quindi, che la elaborazione giurisprudenziale maturata con riguardo alle opere tradizionali possa guidare l’interprete anche nella risoluzione delle più intricate controversie in tema di street art.
Ai fini di un più efficace bilanciamento degli interessi in conflitto, ad ogni modo, appare utile guardare ad una soluzione avanzata dalla giurisprudenza francese[47], in un caso riguardante la illecita realizzazione di un mosaico in un edificio occupato abusivamente da un gruppo di artisti. A fronte della volontà del proprietario di distruggere l’opera, e della relativa opposizione degli artisti, il Tribunale invitava questi ultimi a rimuovere a proprie spese l’opera entro un termine congro, legittimando – in caso contrario – il proprietario alla relativa demolizione.
Si tratta, a ben vedere, di una decisione che riecheggia la soluzione adottata positivamente nell’ordinamento statunitense, nel Visual Artist Rights Act del 1990 (anche noto come «VARA»). Lì si prevede che il proprietario dell’immobile che intenda rimuovere, alterare o distruggere l’opera debba notificare la propria volontà all’autore con un preavviso minimo di 90 giorni. Soltanto nell’ipotesi in cui l’artista non rimuova l’opera, si consente al proprietario di procedere[48].
Tale soluzione, in effetti, appare in grado di salvaguardare il diritto di proprietà, a fronte di una realizzazione eseguita illecitamente, offrendo, al contempo, strumenti per una pari tutela dell’opera che presenti un valore artistico.
A ben vedere, un simile approccio è stato recentemente sperimentato anche nel nostro ordinamento, nella (già menzionata) vicenda del «Migrant Child» di Banksy. A fronte dell’esposto ex art. 169 c.p., che sanziona la realizzazione illecita di opere su beni culturali, la Soprintendenza ha valorizzato proprio il valore artistico del graffito, per escludere un atto di deturpamento del palazzo. Se ne è fatto conseguire che i proprietari dell’immobile non avrebbero potuto distruggere l’opera ma, se del caso, affidare il compito della sua rimozione a restauratori.
In un’ottica de iure condendo, allora, si potrebbe suggerire l’adozione, anche nel nostro ordinamento, di una soluzione ispirata al suddetto criterio di bilanciamento, in grado di preservare efficacemente il diritto di proprietà, salvaguardando quello dell’artista e l’integrità dell’opera.
6. Vale la pena menzionare, in chiusura, che le soluzioni proposte potrebbero apparire inappaganti a fronte di talune espressioni della street art le quali, in virtù della propria forza espressiva, del collegamento con la comunità di un dato contesto urbano, si facciano portatrici di interessi che travalicano quelli meramente privatistici.
In effetti, già da tempo parte della dottrina ha evidenziato che le opere di street art che assurgano a strumenti di qualificazione urbana non possano essere valutate alla stregua delle sole regole del diritto privato. La ricerca del «bello» o della «pulizia», in tali casi, dovrebbe cedere a fronte della valorizzazione che tale arte contribuisce alla «creazione di valori immateriali e comuni, che non possono (o non devono) rispondere né a logiche di “proprietarizzazione” né essere ridotte a interessi di mercato»[49]. Anche per tali ragioni, parte della dottrina ha posto l’accento sulla circostanza che la realizzazione dell’opera su bene altrui sottenderebbe un intento eminentemente abdicativo delle pretese dell’artista, così da ricostruire la fattispecie nei termini di dicatio ad patriam, ossia (della possibile costituzione) di un diritto di uso pubblico sulle opere della Street Art, realizzate su beni privati, in presenza di un giudizio di utilità o interesse per la collettività[50].
Tale prospettiva «pubblicistica» conduce a valutare l’applicabilità delle previsioni in tema di tutela dei beni culturali che, come noto, attraggono, al contempo, interessi privatistici e pubblicistici.
Sta di fatto che, allo stato attuale, l’opera di street art non può essere qualificata come «bene culturale», difettando il requisito di carattere temporale[51], e non essendo la stessa soggetta ai provvedimenti di natura dichiarativa da parte del Ministero (ai sensi dell’art. 10, comma 3, lett. d) e e).
Né soddisfa la prospettiva – piuttosto diffusa – di quanti hanno proposto di rievocare – a tal fine – la categoria dei «beni comuni»[52], da intendersi – nell’accezione prospettata da Stefano Rodotà – come quelle «cose che esprimono utilità funzionali all’esercizio dei diritti fondamentali nonché al libero sviluppo della persona», e che «devono essere tutelati e salvaguardati dall’ordinamento giuridico anche a beneficio delle generazioni future»[53].
Come recentemente osservato[54], infatti, la categoria dei «beni comuni» si espone a plurime criticità sotto il profilo dogmatico, non essendo agevole chiarire quale dovrebbe essere la relativa disciplina applicativa.
Parrebbe, allora, che allo stato la street art possa essere tutelata soltanto ex art. 10, comma 3, del Codice Urbani, laddove l’opera assurga a testimonianza «culturale e identitaria»[55].
In effetti, la lettera d) di tale articolo ha già trovato applicazione, con riguardo alla apposizione del vincolo di riconoscimento «dell’interesse particolarmente importante» dell’opera «Tuttomondo» di Keith Haring a Pisa, sebbene la stessa fosse stata realizzata a meno di settanta anni dall’intervento della Soprintendenza.
[1] Cfr. il comunicato stampa del Ministero della cultura, disponibile al seguente link: https://www.beniculturali.it/comunicato/25372
[2] Per un inquadramento del movimento artistico in esame, si rinvia all’analisi di I. Ferlito, Diritto e street art. Profili comparatistici, Torino, 2019, p. 11 ss.
[3] F.sca Benatti, La Street Art musealizzata tra diritto d’autore e diritto di proprietà, in Giur. comm., 2017, p. 790.
[4] Vale la pena precisare che la compatibilità rispetto al diritto d’autore è un problema che interessa svariate forme artistiche della contemporaneità. Si pensi, a scopo esemplificativo, all’arte concettuale, in cui il messaggio veicolato dall’artista assume un rilievo preponderante rispetto alla forma espressiva. E tuttavia, come ben noto, oggetto del diritto d’autore non è l’idea, vale a dire l’intuizione artistica, bensì la forma, intesa quale rappresentazione dell’idea. Per un inquadramento della questione, si rinvia a A. Donati, Law and Art: diritto civile e arte contemporanea, Milano, 2012; A. Chianale, Diritto e identità dell’opera d’arte contemporanea, in G. Ajani – A. Donati (a cura di), I diritti dell’arte contemporanea, Torino, 2011, p. 57.
[5] Tale espressione figura in diverse opere di Banksy, ed è riportata anche nel suo libro Walls and peaces, Londra, 2006.
[6] Si tratta di Trib. Milano, 15 gennaio 2019, in Dir. ind., 2019, p. 272.
[7] EUIPO, 14 settembre 2020, n. 33843 C, in Dir. ind., 2021, p. 292, con nota di G. Foglia.
[8] Parte della dottrina, ad ogni modo, ha proposto di introdurre per via legislativa una nuova categoria, in cui dovrebbe essere ricompresa pure la street art, vale a dire quella delle “arti visive”. Così, F.sca Benatti, La Street Art musealizzata tra diritto d’autore e diritto di proprietà, cit., p. 790.
[9] Come noto, invero, l’art. 1 della Legge sul diritto d’autore prevede che siano protette, ai sensi di questa legge, «le opere dell’ingegno di carattere creativo che appartengono alla letteratura, alla musica, alle arti figurative, all’architettura, al teatro ed alla cinematografia, qualunque ne sia il modo o la forma di espressione».
[10] Sul concetto di «creatività» si rinvia alle riflessioni di A. Musso, Diritto d’autore sulle opere dell’ingegno letterarie e artistiche, in Comm. c.c. Scialoja-Branca, Bologna-Roma, 2008, p. 21 ss.
[11] Si legga, da ultimo, Cass., 19 gennaio 2023, n. 1674, in DeJure online, per la quale, «In tema di diritto d’autore, il concetto giuridico di creatività, cui fa riferimento l’articolo 1 della legge n. 633 del 1941, non coincide con quello di creazione, originalità e novità assoluta, riferendosi, per converso, alla personale e individuale espressione di un’oggettività appartenente alle categorie elencate, in via esemplificativa, nell’art. 1 della legge citata, di modo che un’opera dell’ingegno riceva protezione a condizione che sia riscontrabile in essa un atto creativo, seppur minimo, suscettibile di manifestazione nel mondo esteriore, con la conseguenza che la creatività non può essere esclusa soltanto perché l’opera consiste in idee e nozioni semplici, ricomprese nel patrimonio intellettuale di persone aventi esperienza nella materia».
[12] In arg., E. Polymenopoulou, Artistic Freedom in International Law, Cambdrige, 2023, p. 141
[13] M. A. Caruso, Temi di diritto dei beni immateriali e della concorrenza, Milano, 2011, p. 134.
[14] Sul punto si rinvia alla dettagliata analisi di B. Mastropietro, Street Art, ovverosia quando la libertà creativa dell’artista incontra la proprietà altrui, in Rass. dir. civ., 2021, spec. p. 963 ss.
[15] Cfr. Trib. pen. Milano, 17 gennaio 2014, n. 14928, in cui si legge che l’imbrattamento postula una alterazione negativa, che va esclusa in caso di disegno “di pregio artistico ed esteticamente apprezzabile”, richiamata da B. Mastropietro, Street Art, cit., p. 967.
[16] B. Mastropietro, Street Art, cit., p. 968, la quale richiama, a tal proposito, Trib. pen. Milano, 12 luglio 2010, n. 8297, in Giur. cost., 2011, p. 3277 ss.
[17] Per un inquadramento critico della tutelabilità autoriale della street art nel diritto statunitense, anche alla luce della Unclean hand doctrine, cfr. D. D. Schwender, Does Copyright Law Protect Graffiti and Street Art?, in J. I. Ross (ed.), Routledge Handbook of Graffiti and Street Art, Oxfordshire, 2016, p. 456.
[18] Peraltro, anche nella decisione, già menzionata, dell’EUIPO, si legge – tra le altre cose – che le opere di street art «che non vengano eseguite con l’espressa autorizzazione del proprietario del bene su cui sono realizzate, costituiscono atto criminale e, in tale misura, nessun diritto d’autore potrebbe derivare da un’opera del genere (o si potrebbe sostenere che il diritto d’autore sia stato donato al proprietario del supporto dall’artista)».
[19] Cfr., in arg., E. Bonadio, Street Art, Graffiti and Copyright: A US Perspective, in Id (ed.), The Cambdridge handbook of Copyright in street art and graffiti, Cambridge, 2019, p. 118. Il quale evidenzia significativamente che nelle decisioni più recenti, in cui le parti in giudizio si erano avvalse della teoria menzionata, i giudici hanno risolto la controversia senza entrare nel merito della dottrina. L’A. riporta, a scopo esemplificativo, il caso “Pollara vs Seymour” (risalente al 2003). Un’opera non autorizzata installata nella piazza dell’Empire State Building di New York era stata rimossa dalla sua cornice e danneggiata in modo significativo. Qui la Corte affermò che «there is no basis in the statute to find a general right to destroy works of art that are on property without the permission of the owner». La questione resta, ad ogni modo, controversa, tanto che l’A. rileva che trattasi ancora una “gray area» del Copyright.
[20] Cfr. E. Bonadio, Street Art, Graffiti and Copyright: A UK Perspective, in The Cambdridge handbook of Copyright in street art and graffiti, cit., p. 160.
[21] Sul punto, l’art. 2.2 della Convenzione di Berna riserva ai singoli Paesi la facoltà di prescrivere che le opere non siano protette “fintanto che non siano state fissate su un supporto materiale”. Il nostro ordinamento non prevede tale requisito, per cui la circostanza che le opere di street art siano effimere non costituisce un ostacolo, ai fini della tutela autoriale.
[22] E. Bonadio, Street Art, Graffiti and Copyright: A US Perspective, cit., p. 107.
[23] Del resto, questa soluzione è suggerita anche dall’evoluzione che può riscontrarsi nell’elaborazione giurisprudenziale. Significativamente, nella causa Metix Ltd contro G.H. Maughan (Metix (UK) Ltd v G.H. Maughan (Plastics) [1997] FSR 718), è stato affermato che una scultura di ghiaccio, sebbene non permanente, dovrebbe essere protetta in linea di principio come un’opera tridimensionale realizzata dalla mano di un artista: in arg., E. Bonadio, Street Art, Graffiti and Copyright: A UK Perspective, cit., p. 162.
Ad ogni modo, anche a prescindere da tale dato, va sempre rilevato che fotografare la street art e i graffiti potrebbe aiutare a soddisfare il requisito della fixation: In arg. M. Iljadica, Copyright Beyond Law: Regulating Creativity in the Graffiti Subculture, London, 2016, p. 103; contra, M. M. Carpenter, S. Hetcher, Function Over Form: Bringing the Fixation Requirement into the Modern Era, in Fordham Law Rev., 2014, vo. 82, p. 222.
[24] In virtù della scissione tra corpus mechanicum e corpus mysticum. In arg., ex multis, cfr. D. Messinetti, voce Beni immateriali, in Enc. giur. Treccani, V, 1988, p. 1 ss.
[25] F. Riccio, Street art, arte negli spazi pubblici, regole proprietarie e patrimonio culturale, in Riv. crit. dir. priv., 2020, p. 506 ss; nello stesso senso pure B. Mastropietro, op. cit., p. 981. M. R. Marella, Le opere di Street Art come Urban Commons, in Riv. crit. dir. priv., 2020, p. 485.
[26] Ibidem. Ha, viceversa, esplorato la possibilità di considerare le opere di street art come res nullius suscettibili di appropriazione P.N. Salib,The Law ofBanksy: Who Owns the Street Art?, in Chicago Law Rev., 2015, vol. 39, p. 2295.
[27] F. Riccio, Street art, arte negli spazi pubblici, regole proprietarie e patrimonio culturale, cit., p. 507.
[28] In arg. B. Graziosi, Riflessioni sul regime giuridico delle opere della Street Art: tutela e appartenenza «pubblica», in Riv. gitir. edil., 2016, p. 425; B. Mastropietro, op. cit., p. 979; A. Sau, Street art: le ragioni di una tutela, le sfide della valorizzazione, in Federalismi.it, 6 ottobre 2021, p. 182. In senso contrario, M. R. Marella, Le opere di Street Art come Urban Commons, cit., p. 485; F. Riccio, Street art, arte negli spazi pubblici, cit., p. 506.
[29] Cfr. M. Paradiso, L’accessione al suolo, in Cod. civ. comm. Schlesinger, Milano, 1994, p. 22 ss.
[30] M. Mimler, Street Art, Graffiti and Copyright: A German Perspective, in The Cambdridge handbook of Copyright in street art and graffiti, cit., p. 195.
[31] S. Burke, Graffiti, Street Art and Copyright in France, in The Cambdridge handbook of Copyright in street art and graffiti, cit., p. 184.
[32] Si consideri, a scopo esemplificativo, l’art. 20 l.d.a, che attribuisce all’autore il diritto di opporsi alle modifiche sostanziali dell’opera, comprese quelle che ne alterino il pregio artistico o il significato complessivo.
[33] In arg., cfr. i richiami operati da F.sca Benatti, op. cit., p. 796.
[34] Cfr. F. Benatti, La street art musealizzata, cit., p. 799, nt. 69, la quale richiama M. S. Spolidoro, Open source e violazione delle sue regole, in AIDA, 2004, p. 92, nota 2, secondo cui «che sia possibile una totale abdicazione al diritto d’autore è da negarsi, mentre la questione se sia data la possibilità di un’abdicazione totale ai diritti patrimoniali d’autore dipende dalla tradizione legislativa (…). Nel diritto italiano, un argomento a favore della non legittimità di una integrale rinunzia al diritto si potrebbe desumere dalla regola che impedisce la cessione dei diritti patrimoniali futuri o anche per utilizzazioni non note al momento dell’atto di disposizione (art. 119 l.a.)».
[35] È questa l’impostazione di V. Zeno-Zencovich e P. Sammarco, Sistema e archetipi delle licenze open source, in AIDA, 2004, p. 262. F.sca Benatti, La Street Art musealizzata, cit., p. 801 ritiene che la realizzazione dell’opera di street art sul bene altrui attribuisca al proprietario dello stesso una licenza «avente ad oggetto il diritto di esposizione dell’opera stessa». Diritto che, secondo l’A., sarebbe da ricondurre all’interno del più ampio diritto di comunicazione dell’opera, ai sensi dell’art. 16 l.a.
[36] Un simile criterio, del resto, è stato già proposto dalla dottrina con riguardo alle opere di architettura, rispetto alle quali si è avvertita la necessità di bilanciare l’esercizio del diritto d’autore con le facoltà del proprietario di godere e disporre del bene. In arg. A. Sau, op. cit., p. 160, la quale richiama a tale proposito l’opinione di A. Musso, Del diritto di autore, cit., p. 119.
[37] Trib. Bologna, 13 ottobre 2014, in AIDA, 2015, p. 909 ss. Peraltro, anche la giurisprudenza della Corte di giustizia ha affermato che, con riferimento alle opere ad esemplare unico, «le modificazioni del corpus mechanicum che contiene l’opera […] devono essere comprese nella immediata, originaria facoltà esclusiva di riproduzione»: cfr. F.sca Benatti, Diritto d’autore e supporto dell’opera, Torino, 2021, p. 110
[38] Così, A. Sau, op. cit., p. 163 ss. Ma contra F. BENATTI, Diritto d’autore e supporto dell’opera, cit., p. 82 ss.
[39] Tale criterio attento alla valutazione delle specificità del caso in esame è stato seguito anche dalla giurisprudenza tedesca, in un caso relativo al trasferimento della scultura Keilstück, di Wilfried Hagebölling, da una piazza della chiesa nel centro della città in cui era collocata (Minden) a un cortile di un edificio non accessibile al pubblico. Al fine della decisione se tale diversa collocazione contrastasse con il diritto morale all’integrità dell’opera, il Tribunale distrettuale di Colonia ha puntualizzato la necessità di verificare se l’opera possa raggiungere la sua espressività solo in un particolare contesto, o meno, di talché, nella prima eventualità, si ravviserebbe una distorsione dell’opera stessa. Cfr. Entstellung einer Plastik durch Entfernung von einem öffentlichen Platz und Verbringung auf einen Bauhof ZUM-RD 443, in OLG Hamm, 2001, p. 444. In arg. M. Mimler, Street Art, Graffiti and Copyright: A German Perspective, cit., p. 201.
[40] Così afferma, ex multis, A. Musso, Del diritto di autore, cit., p. 174 ss. In giurisprudenza, cfr. App. Bologna, 13 marzo 1997, in AIDA, 1998, p. 556, in cui si legge che «negare all’acquirente dell’opera dell’ingegno il diritto di disfarsi dell’opera quando lo ritenga opportuno, o pretendere che debba rispondere della perdita della stessa, importerebbe una limitazione dell’esercizio del diritto di proprietà sull’opera materiale trasferitagli dall’artista senza alcuna riserva, che non trova riscontro in alcun testo di legge e che rappresenterebbe un vincolo non giustificato alla circolazione delle opere». Così pure Cass., 31 luglio 1951, n. 2273, in Foro it., 1952, I, c. 1061.
[41] Trib. Milano, 20 gennaio 2005, in AIDA, 2005, p. 1057, per il quale «può in astratto configurarsi una violazione del diritto morale dell’autore di un dipinto ex art. 20 l.a. anche nel caso di degrado dell’opera in conseguenza del trascorrere del tempo insieme al concorso di altri specifici fattori negativi imputabili al detentore, quali ad esempio un atto omissivo qual è l’omissione del restauro del dipinto, considerato che superato il limite del decadimento naturale il degrado potrebbe causare una lesione all’integrità dell’opera d’arte figurativa ed influenzare negativamente la percezione dell’opera presso il pubblico e costituire quindi una lesione della reputazione dell’artista».
In tal senso anche qualche voce in dottrina ha osservato che la distruzione dell’opera non possa che ledere la personalità dell’artista, e quindi qualificare una violazione del diritto all’integrità morale: Così, Z. O. Algardi, La tutela dell’opera dell’ingegno, Padova, 1978, p. 45 ss.
[42] A. Sau, op. cit., p. 169, e a nt. 87 ulteriori riferimenti di dottrina.
[43] Indicazioni in questo senso giungono, ancora, dalla giurisprudenza tedesca. Con riferimento ad un graffito realizzato nella East Side Gallery, oramai deteriorato dal tempo, si offriva all’artista la possibilità di scegliere se ridipingere il muro nuovamente, ovvero di permettere a terzi di farlo. A fronte delle resistenze da parte di costui, il quale opponeva la prevalenza del suo diritto morale all’integrità dell’opera, il Tribunale Distrettuale di Berlino ha osservato che l’interesse dell’artista dovesse cedere, a fronte di quello (prevalente) del proprietario del muro. In arg., M. Mimmler, op. cit., p. 189.
[44] A. Sau, op. cit., p. 166 e ivi ampi riferimenti di dottrina.
[45] F.sca Benatti, La street art musealizzata, cit., p. 807.
[46] Ibidem.
[47] TGI Paris, 3rd Ch.,13 October 2000, Benjamin Aichouba et autres v Francis Lecole. In arg. S. Burke, Graffiti, Street Art and Copyright in France, cit., p. 185.
[48] In arg., cfr. I. Ferlito, op. cit., p. 166.
[49] M. Riccio, op. cit., p. 520, il quale propone l’introduzione di una legge sull’arte negli spazi pubblici, «che individui gli interessi e, quindi, i decisori e i valori da proteggere». Cfr. anche Id., Arte negli spazi pubblici e superamento delle logiche proprietarie: suggerimenti e suggestioni dall’analisi comparatistica, in Riv. dir. comparati, 2020, p. 5 ss.
[50] È la tesi di B. Graziosi, Riflessioni sul regime giuridico delle opere della street art: tutela e appartenenza “pubblica”, in Riv. giur. ed., 2016, p. 423.
[51] Come noto, infatti, Codice dei beni culturali e del paesaggio delle opere realizzate da artista vivente o non più vivente la cui esecuzione non risalga ad oltre settanta anni per le opere di cui all’art. 10, co. 1105 e co. 3, lett. a) ed e) o cinquant’anni per quelle indicate al comma 3, lett. d-bis).
[52] M. R. Marella, op. cit., p. 471 ss.
[53] È questa la definizione contenuta nella proposta di legge, art. 1, comma 3, lett. c) della la proposta di legge, S. Rodotà, U. Mattei e E. Reviglio (a cura di), I Beni pubblici, dal governo democratico dell’economia alla riforma del codice civile, Roma, 2010.
[54] Cfr. in arg. G. Perlingieri, Criticità della presunta categoria dei beni c.dd. «comuni». Per una «funzione» e una «utilità sociale» prese sul serio, in Rass. dir. civ., 2022, p. 136.
[55] Lettera d): le cose immobili e mobili, a chiunque appartenenti, che rivestono un interesse particolarmente importante a causa del loro riferimento con la storia politica, militare, della letteratura, dell’arte, della scienza, della tecnica, dell’industria e della cultura in genere, ovvero quali testimonianze dell’identità e della storia delle istituzioni pubbliche, collettive o religiose. Se le cose rivestono altresì un valore testimoniale o esprimono un collegamento identitario o civico di significato distintivo eccezionale, il provvedimento di cui all’articolo 13 può comprendere, anche su istanza di uno o più comuni o della regione, la dichiarazione di monumento nazionale; lettera e): le collezioni o serie di oggetti, a chiunque appartenenti, che non siano ricomprese fra quelle indicate al comma 2 e che, per tradizione, fama e particolari caratteristiche ambientali, ovvero per rilevanza artistica, storica, archeologica, numismatica o etnoantropologica, rivestano come complesso un eccezionale interesse.