Non Fungible Tokens e diritto d’autore

Laura Marchegiani

Prof. ord. di diritto commerciale dell’Università degli Studi di Macerata

Il contributo si sofferma su non-fungible tokens e diritto d’autore, prendendo le mosse dalla natura immateriale delle creazioni intellettuali e delle opere di ingegno e dal valore ordinante del sistema della proprietà letteraria e artistica che ai diritti sui beni immateriali è stato assegnato da Ascarelli.

The paper focuses on non-fungible tokens and copyright, taking as its starting point the intangible nature of intellectual creations and intellectual works and the ordering value of the literary and artistic property system that rights to intangible assets have been assigned by Ascarelli.

Sommario: 1.Premessa. – 2. Il caso degli NFTs “artistici”. – 3. La natura multiforme dell’NFT artistico. La funzione di collegamento con un asset digitale. – 4. Gli NFTs e le prerogative autoriali. – 5. Gli NFTs tra funzione certificativa e forma espressiva di opere dell’arte “immateriale”.

1. Nell’inquadrare il ruolo che i Non Fungible Tokens assumono nella attuale riflessione giuridica sulla proprietà intellettuale, ed in particolar modo sul diritto d’autore, occorre prendere le mosse dalla natura immateriale delle creazioni intellettuali e delle opere dell’ingegno e dal valore ordinante del sistema della proprietà letteraria e artistica che ai diritti sui beni immateriali è stato assegnato da un Maestro della levatura di Tullio Ascarelli[1]. La qualificazione di bene immateriale, quale oggetto di diritto è, nella concezione ascarelliana, imprescindibilmente legata a una previsione normativa: non esiste creazione intellettuale, quale dato di realtà che sia dotato di una rilevanza socioeconomica, che possa assurgere alla “costituzione in bene immateriale” senza la mediazione del diritto[2]. È dunque l’ordinamento giuridico a creare i beni immateriali disponendo una riserva di attività, per via del riconoscimento di un diritto assoluto, che raccoglie nella sfera giuridica del titolare ogni opportunità di guadagno connessa all’utilizzazione della creazione intellettuale. Questa chiara distinzione gius-positivistica tra ciò che è bene immateriale e ciò che non lo è, richiama la nostra attenzione su un più antico dibattito sui caratteri distintivi dei beni economici, e se in particolare debba esservi una distinzione tra beni materiali e immateriali nella prospettiva della scienza economica[3]. Ne emergeva, nel pensiero di Francesco Ferrara come riletto da Luigi Einaudi, il riconoscimento di una natura duplice a tutti i beni economici, la loro identificazione nella combinazione di componenti materiali e “spirituali” e la considerazione che risorse materiali e conoscenze immateriali sono elementi entrambi indispensabili alla produzione industriale, pur essendo oggetto di regole di circolazione giuridica diverse e distinte. L’analisi di Francesco Ferrara, fermo assertore di una compressione significativa dei diritti di proprietà letteraria e artistica, nella misura indispensabile a garantire all’autore l’appropriazione dei frutti del proprio lavoro[4], fu rapidamente assegnata alla logica liberista e non ebbe particolare eco nel dibattito italiano, né in quello internazionale.

Era tuttavia già evidente nell’evoluzione storica della riflessione sulla produzione industriale di massa, che troverà nella teorizzazione ascarelliana la consacrazione giuspositivistica, che il diritto d’autore si pone al crocevia tra versante materiale e immateriale della produzione industriale e che soprattutto crea i propri oggetti[5], ne definisce i confini e i ruoli nella loro dimensione socioeconomica, avvalendosi di tecniche di protezione assai diverse. Per questa via, dunque, si definiscono i rapporti tra proprietà e produzione, tra creatori e mercato. E in effetti è noto che, nella sistematica dei diritti di proprietà intellettuale, la specificità del diritto d’autore risiede proprio nel nascere come modello protezione di interessi tipicamente antiindustriali[6].

Ciò non ha impedito lo sviluppo di un sistema di protezione che, nella diversità delle tradizioni giuridiche, ha portato avanti di pari passo la valorizzazione della personalità dell’autore e la promozione di un sistema di incentivi alla creazione intellettuale e all’innovazione in funzione di un complessivo progresso sociale. Nel diritto europeo, e in particolare nelle due principali direttive sul diritto d’autore rispettivamente sull’armonizzazione di taluni aspetti dei diritti connessi nella società dell’informazione (2001/29/CE del 22 maggio 2001) e sul diritto d’autore e diritti connessi nel mercato unico digitale [(UE) 2019/790 del 17 aprile 2019] è evidente che il razionale economico sotteso alla creazione del mercato unico si fonda sulla teoria degli incentivi, anche nei confronti dei creatori di contenuti protetti dal diritto d’autore e che la legislazione eurounitaria degli ultimi decenni

IL fenomeno degli NFTs si innesta dunque in una cornice di valori e principi e in un quadro dogmatico che da tempo si misura con gli effetti della trasformazione tecnologica e con l’emergere di “nuove proprietà”[7]. Si è anzi osservato che l’emergere di nuove “entità immateriali” derivanti dall’evoluzioen tecnologica e dalle nove frontiere della tecnologia richiede di individuare un criterio di qualificazione che ne abiliti l’inserimento nella categoria dei beni giuridici per approntare forme di tutela in un quadro normativo al momento lacunoso[8]

2. Non esiste trattazione del tema dei non fungible tokens che non prenda le mosse dalla descrizione della loro ampia fenomenologia, che si dipana in un mercato multiforme e in rapida crescita. Dalla rilevazione delle fattispecie concrete si passa quindi all’analisi della struttura e della funzione di questi strumenti digitali, onde ricavarne alcune implicazioni utili ad inquadrarli nella teoria dei beni[9].

I casi di successo commerciale delle opere di “arte digitale” sono notevoli: tra i primi esempi di c.d. cryptoarte merita una menzione l’NFT dell’opera digitale intitolata “Everydays – The First 5,000 Days” in cui l’artista Beeple (pseudonimo di Mike Winklemann) ha raccolto in un unico collage in formato jpeg 5000 immagini digitali pubblicate tra il 1° Maggio 2007 e il 7 gennaio 2021. L’NFT dell’opera, recante «(solamente) il nome dell’autore, il titolo dell’opera, il token identificativo, l’indirizzo del wallet e dello smart contract relativo all’NFT, la dicitura “non-fungible token (jpg)”, alcune informazioni sull’immagine, il suo peso e la frase “Minted on 16 February 2021. This work is unique”»[10] è stato battuto all’asta da Christie’s, l’11 marzo, 2021, per la cifra record di 69,3 milioni di dollari.

Anche creazioni decisamente minori e altri memorabilia di dubbio valore autoriale sono stati oggetto di interesse per i collezionisti che popolano questo innovativo mercato in cui le transazioni vengono eseguite mediante smart contracts e i pagamenti sono regolati nella valuta digitale Ethereum: si va dal noto meme di un gattino volante il cui gettone è stato battuto all’asta per un valore allora pari a quasi 600.000 dollari[11],  al token del primo tweet di Jack Dorsey, acquistato da un collezionista per 2,9 milioni di dollari[12].

Non sono mancati nemmeno tentativi concreti di sostituzione dell’unicità o della scarsità degli esemplari con l’unicità del gettone digitale, in un caso trasferendo, a seguito del conio dell’NFT dell’opera figurativa, la facoltà di distruggere un originale di Basquiat[13], in un altro andando a richiamare nei metadati la riproduzione fotografica della performance distruttiva di una preziosa serigrafia su carta di un’opera di Bansky[14].

Finalità più coerenti con la conservazione del patrimonio artistico sembrano invece sottese alle tecniche di valorizzazione dell’opera originale che utilizzano la tecnologia blockchain per realizzare serigrafie digitali esclusive di capolavori assoluti come il Tondo Doni di Michelangelo[15] o un frazionamento della titolarità di versioni digitali di opere fisiche di autori celeberrimi come Andy Warhol e Gustav Klimt[16].

Se il grande movimento di mercato suscitato dalla ondata di emissioni del 2021 sembra allo stato ampiamente ridimensionato[17], anche a causa di un deprezzamento generale delle cripto-valute, il modello NFT rimane oggetto di attenzione da parte del giurista, in particolare alla luce delle sue innumerevoli traiettorie di sviluppo[18] che necessitano di un quadro giuridico certo per potersi compiutamente dispiegare. Rimane inoltre di grande interesse per l’economia delle industrie culturali il collegamento tra la tecnologia blockchain su cui si basano gli NFTs e i vari modi in cui si sta avverando la creatività artificiale, con l’ampio ricorso degli autori all’ausilio di algoritmi di machine learning per generare nuove opere grazie alla combinazione originale di molteplici tradizioni artistiche preesistenti[19].

Il discorso giuridico privatistico coglie la polivalenza del fenomeno, segnalando le peculiarità rispetto alla nozione di bene indicata dall’art. 810 c.c. e discutendo poi delle implicazioni che l’adozione di tecnologie di intelligenza artificiale produce con riguardo ad un sistema tradizionalmente “a soggetto” e non “ad attività” quale quello della “proprietà artistica e letteraria”. Volendo però privilegiare la prospettiva della produzione, come il dibattito sui nuovi beni sembra suggerire[20], si può osservare che l’elemento funzionale prevalente in questi trovati sia la capacità di attribuire uniqueness non tanto all’opera sottostante, quanto alla propria pretesa di essere riconosciuti titolari di quelle particolari informazioni ed essere inclusi nel novero limitato dei collezionisti di gettoni digitali. Risiede infatti nella gratificazione di un sentimento venato di tratti narcisistici, così come della consapevolezza di appartenere a una comunità di collezionisti di avanguardia, il successo di un programma imprenditoriale che si fonda sul trasferimento al token – unico elemento suscettibile di appartenenza esclusiva attraverso una situazione di titolarità certificata dalla piattaforma blockchain – dei valori attrattivi generati dall’opera sottostante, che rimane invece fruibile e spesso replicabile in forma digitale mantenendo intatte le caratteristiche di non rivalità nell’utilizzo tipiche delle opere dell’ingegno-beni immateriali[21].

Le caratteristiche strutturali e funzionali dell’NFT sono state diffusamente descritte in letteratura e non è necessario soffermarvisi[22]. Si tratta di un passo di codice, ossia in una sequenza di informazioni digitali registrate su blockchain che permettono di identificare univocamente il titolare di un account quale soggetto di una situazione giuridica che insiste sul token (per taluni esso costituisce vero e proprio titolo giuridico) con caratteri di virtualità, unicità e non falsificabilità, ma rinvia a una risorsa o a una utilità indicata dai metadati, sia essa un contenuto digitale o consista in informazioni che richiamano un’altra entità, che può avere anche natura corporale[23].

L’evoluzione dei protocolli di scrittura su Ethereum ha consentito di conseguire, attraverso standard innovativi quali ERC-721 e ERC-1155, le già menzionate caratteristiche di unicità e infungibilità dei gettoni crittografici e ne ha sviluppato la vocazione diventare beni commerciabili e collezionabili[24]. Va sempre tuttavia sottolineato che il token non coincide con l’opera digitale, né il minting è in grado di incidere sui caratteri di immaterialità tipici di quest’ultima, giacché essa rimane distinta dall’NFT, né la titolarità del gettone è in grado di incidere sul regime dei diritti d’autore che insistono sull’opera.

3. Abbiamo già avuto modo di sottolineare che l’NFT consiste in un gettone non fungibile oggetto di scrittura crittografica nella blockchain e che esso non coincide con il bene che rappresenta, ossia i   metadati, normalmente depositati in uno spazio di archiviazione virtuale off-chain. Rari sono i casi in cui i metadati sono direttamente integrati nella blockchain, trattandosi di una metodica che porta a livelli elevatissimi il “prezzo del gas”[25].

Il token è dunque una forma di documentazione «di una posizione giuridica su un bene o di una pretesa verso un determinato soggetto»[26] svolgendo vieppiù una funzione di collegamento con una risorsa o utilità (normalmente) esterna alla blockchain. Parte della dottrina si è domandata se non via sia in questo caso una incorporazione di una posizione creditoria che avvicina il gettone alla fattispecie del titolo di credito e dunque se non si possano utilizzare istituti del diritto cartolare, come la disciplina dei titoli rappresentativi di merci o di ipotesi affini ai titoli di credito come i documenti di legittimazione, per ricavarne regole applicabili a una figura solo lambita dal diritto positivo[27].

È stato osservato che al token artistico, nonostante le apparenti similitudini, non sembra potersi applicare, neppure in via analogica, lo schema tipico dei titoli rappresentativi di merci ex art. 1996 c.c. Si è argomentato che il gettone rinvia normalmente ad asset digitali memorizzati in un server e liberamente accessibili al dante causa e che le stesse ipotesi di smart properties fisiche non prevedono nelle figure social-tipiche prevalenti l’incorporazione nel token di una situazione giuridica soggettiva di natura reale, ma piuttosto di una pretesa a vedersi consegnato il bene e a poterne usufruire, rimanendo estranea alla fattispecie da ultimo indicata la funzione di favorire la circolazione del sottostante[28]. Tale considerazione non pare propriamente risolutiva per quelle fattispecie in cui il token attribuisce il potere di disporre dell’originale dell’opera dell’arte figurativa, in cui effettivamente la documentazione di una pretesa di stampo dominicale sembra essere ricompresa nel contratto di emissione del gettone; tuttavia mette conto di osservare, e di condividere in questo senso l’opinione critica appena citata, come le regole di legittimazione all’esercizio dei diritti incorporati nel gettone, così come la relativa legge di circolazione, obbediscono alle regole proprie della piattaforma digitale e non alle regole dei titoli di credito.

Vi è un altro versante di osservazione da cui questa peculiare forma di incorporazione e la posizione di un collegamento ad un sottostante esterno merita di essere esaminata ed è il raffronto con la giurisprudenza europea in tema di link ipertestuali. Se infatti, pur nell’incertezza circa l’idoneità dell’NFT a incorporare un diritto, si conviene che il token svolge una funzione di collegamento ad opere localizzate su spazi digitali di conservazione, la creazione di tale collegamento può essere equiparata alla creazione di un link ipertestuale, che la giurisprudenza europea, a partire dal caso Svensson, ha ritenuto legittima quando l’opera di approdo fosse stata diffusa in rete con il consenso degli autori.

Ciò comporterebbe un’ampia libertà di conio di gettoni che rimandano ad opere già accessibili in linea[29]. Ciò tuttavia non potrebbe comportare la pretermissione dei titolari dei diritti patrimoniali dalla partecipazione ai risultati economici di questa particolare forma di valorizzazione delle opere, giacché l’esclusione della necessità del consenso dell’autore per la legittimità dell’atto di comunicazione al pubblico divisata dalla Corte di giustizia nel caso Svensson è connessa alla ben precisa condizione che il collegamento non comporti un ampliamento del pubblico potenziale inizialmente compreso nell’atto di comunicazione autorizzato e che l’accesso non fosse limitato da misure tecnologiche di protezione. Come è stato chiarito dallo stesso giudice nel caso GS Media BV[30], infatti, se all’autore del collegamento è nota o conoscibile la circostanza che il collegamento ipertestuale da essa predisposto conduce ad un’opera illegittimamente pubblicata sul web, se l’intervento dell’autore del collegamento consente di eludere misure restrittive, ovvero ancora la creazione del collegamento avviene per perseguire una finalità lucrativa[31] essa costituisce una «comunicazione al pubblico» ai sensi dell’articolo 3, paragrafo 1 della direttiva 2001/29 e richiede, come tale, il consenso dell’autore. 

4. Alla luce delle considerazioni appena svolte si può trarre una prima conclusione: l’attribuzione al titolare del token o, meglio, al suo account, mediante scritturazione dello smart contract, del file che riproduce un’opera dell’ingegno non necessariamente determina una contraffazione. Mette però conto sottolineare che l’atto di minting rimarrà estraneo alla fattispecie di plagio solo nella misura in cui l’autore dell’asset digitale destinato al mercato abbia verificato l’assenza di diritti patrimoniali d’autore sul contenuto che intende incorporare nei metadata, ovvero abbia conseguito la relativa autorizzazione. In mancanza, solo creazioni cadute in pubblico dominio o già messe a disposizione del pubblico, senza alcuna misura di restrizione all’accesso, potranno integrare le condizioni di libera riproducibilità necessarie ad assicurare la liceità dell’incorporazione nel token.

Il tema della violazione del diritto di riproduzione disciplinato dall’articolo 2 della Direttiva 2001/29 rimane in effetti centrale nel raffronto del fenomeno degli NFTs artistici con i diritti patrimoniali d’autore[32]. Tuttavia, c’è da osservare che solo nel caso di metadati on-chain, l’atto di minting può essere direttamente qualificato come atto di riproduzione vietato, mentre più incerta appare la riconduzione alla fattispecie in discorso, pur nell’ampiezza della definizione normativa, del conio di un token che richiama una versione digitale dell’opera attraverso il collegamento a siti di stoccaggio on cloud o a sistemi di deposito peer-to-peer come l’Interplanetary File System (IPFS). Occorre in effetti qui considerare le modalità e le condizioni che hanno condotto alla disponibilità dell’opera sottostante. In tutti i casi in cui l’opera digitale oggetto del collegamento sia protetta dal diritto d’autore e non vi sia stata una comunicazione al pubblico tale da far ritenere integrati i presupposti della giurisprudenza Svensson, è presumibile che l’esemplare digitale oggetto dell’NFT sia stato conseguito avvalendosi delle facoltà concesse per la copia privata, o di qualche altra limitazione o eccezione del diritto d’autore. Vi è da osservare che il perseguimento delle finalità lucrative tipicamente connesse all’atto di minting esorbita dallo scopo delle norme che permettono di disporre di opere protette in regime di eccezione, così come degli argomenti interpretativi che tendono a mantenere l’equilibrio tra l’interesse dei titolari dei diritti d’autore e gli interessi e i diritti fondamentali degli utenti dei materiali protetti, e in particolare della loro libertà d’espressione e d’informazione, garantita dall’articolo 11 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea.

Lo sfruttamento commerciale dell’opera attraverso la creazione di un token destinato alla circolazione incide dunque in modo determinante su qualsiasi causa di giustificazione connessa alle ragioni di diffusione della cultura e di progresso collettivo cui i regimi di eccezione, così come i principi della direttiva sul diritto d’autore nella società dell’informazione sono ispirati[33]. La logica sottesa alla creazione del gettone crittografico è, a ben vedere, opposta a tali principi e a tali finalità, sostanziandosi nell’intento di rendere oggetto di appropriazione esclusiva o limitata ciò che si può trovare, per volontà dell’autore o poiché già caduto in pubblico dominio, a libera disposizione del pubblico; per altro verso la possibilità di visualizzare l’opera attraverso un lettore di NFT sembra integrare pienamente gli estremi della comunicazione al pubblico in modo del tutto analogo a quanto la giurisprudenza europea ha stabilito con riguardo ai sistemi di condivisione di opere protette attraverso reti peer-to-peer[34].  

Sempre inforcando la lente delle facoltà esclusive dell’autore il fenomeno può essere inquadrato nella figura dell’opera derivata, richiamando il diritto di elaborazione disciplinato dall’art. 2.3 della Convenzione di Berna per cui «si proteggono come opere originali, senza pregiudizio dei diritti dell’autore dell’opera originale, le traduzioni, gli adattamenti, le riduzioni musicali e le altre trasformazioni di un’opera letteraria e artistica». La formulazione ampia della fattispecie convenzionale, che trova corrispondenza nella previsione dell’art. 4, l. 633/1941, e che ricomprende «le trasformazioni da una in altra forma letteraria od artistica» pare adattarsi alla codifica dell’opera in un NFT, potendo questa operazione determinare una transizione da un genere espressivo ad un altro, con l’assegnazione alla forma interna, dunque all’opera come organizzata e composta nell’astrazione mentale e nella costruzione organica dell’autore, di una nuova forma esterna con caratteristiche di scarsità altrimenti inedite.

Anche accettando questo tipo di ricostruzione, tuttavia, le conseguenze in tema di applicazione delle facoltà autoriali al fenomeno del minting non verrebbero meno: infatti, se pure si considerasse il conio del gettone una elaborazione creativa, e dunque la si qualificasse come format-shifting, la tutela dell’opera derivata avverrebbe pur sempre «senza pregiudizio dei diritti esistenti sull’opera originaria» conservandosi in capo all’autore il diritto di opporsi allo sfruttamento economico di quest’ultima e dunque la necessità di conseguire la sua autorizzazione. 

5. L’ipotesi interpretativa che conduce a qualificare il token artistico come opera derivata conduce ad approfondire ulteriormente l’eventualità che l’esclusività conferita all’accesso ai metadati dal protocollo tecnico di scrittura del contratto nella blockchain e la possibilità di trasferirne la pretesa all’accesso, possa fare dell’NFT non solo un bene mobile incorporale, agevolmente inquadrabile nella teoria delle smart properties[35], ma, in un ulteriore ampliamento di prospettiva, uno strumento di documentazione di opere dell’arte concettuale e, in definitiva, un’opera protetta in sé. 

La riflessione sui non fungible tokens ha messo bene in evidenza che la caratteristica di incorporare una relazione univoca tra gettone e opera d’arte sottostante e la certificata attribuzione dell’asset a un titolare «assolve …una funzione ancillare di garanzia di provenienza e di autenticità dell’opera»[36].

La funzione certificativa in senso proprio dei token è però discussa soprattutto nel senso che non è chiaro cosa sia oggetto di certificazione e quale sia l’attendibilità di tale certificazione. Se si conviene che il certificato di autenticità è un documento che svolge la funzione di attestare la paternità e l’integrità dell’opera e di conseguenza, garantire una parte sostanziale del suo valore[37], è evidente che, almeno per i token che rinviino a metadati depositati off-chain, la veridicità di quanto dichiarato con riguardo all’opera sottostante non presenta quei caratteri di affidabilità che ci si attenderebbe dall’utilizzo della tecnologia dei registri distribuiti[38]. L’NFT fornisce la certificazione dell’unicità dell’asset digitale, ma comunica informazioni veridiche unicamente su chi ha generato l’NFT e sui  diritti che egli ha inteso associare all’emissione del token: la neutralità tecnologica degli NFTs non impedisce che nel sistema crittografico siano introdotte informazioni false, a meno che siano predisposti particolari meccanismi di assicurazione dell’autenticità del sottostante, che i sistemi più frequentemente utilizzati per la creazione di gettoni attualmente non prevedono.

La circostanza fattuale che il gettone sia tecnicamente idoneo a incorporare un certificato[39], pur non essendo di per sé in grado di garantire l’autenticità del sottostante, può avere un significato su un altro versante, quello delle manifestazioni artistiche la cui espressione si arresta sulla soglia della forma interna dell’opera, ossia nel momento della organizzazione da parte dell’intelletto dell’idea in una costruzione originale.

Si tratta di quelle espressioni artistiche genericamente definite come “arte concettuale” o “arte immateriale”, una fenomenologia che abbraccia figure assai variegate che vanno dalle opere effimere, destinate a venire meno nel tempo, alle installazioni che prevedono la sintesi di linguaggi espressivi diversi ma anche diverse riattivazioni della medesima opera.

Ci sono poi opere che si sostanziano in “indicazioni” provenienti dall’autore, relative alla loro futura realizzazione, in genere contenute in un documento scritto o che si esprimono in documenti che “autenticano” come propria opera d’arte (performativa) un atto umano: ad esempio il gesto di aver dato un calcio nel fondoschiena al suo acquirente reclamato come opera originale da Ben Vautier (Geste, 1961). Si tratta di casi che tendono ad essere inquadrati come arte nel documento[40]: il contratto con cui George Brecht (Relocation, 1963-64 ca.) consente alla controparte la possibilità di definire i confini geografici dell’opera e di ricollocarla fino a cinque volte all’anno, qualunque cosa sia realmente quest’opera d’arte, che in effetti nel contratto non è descritta.

Ancora, il certificato di Sol LeWitt (Wall Drawing #1217, 2006), comprova l’originalità di un’opera che, all’atto dell’acquisto, materialmente non esiste; il certificato di Yves Klein (Zones de Sensibilité Picturale Immateriélle, 1959) richiede all’acquirente di compiere una sorta di rituale e di bruciare solennemente la ricevuta (una volta che le sue generalità e la data dell’acquisto sono state annotate nel registro dell’emittente), mentre l’autore, davanti a due testimoni e a un qualificato esperto d’arte, getta in mare la metà dell’oro ricevuto come corrispettivo, così che la zona di sensibilità pittorica immateriale sarà definitivamente acquisita proprio nel suo valore immateriale.

Anche nel mondo dei token artistici si stanno diffondendo pratiche che collegano l’emissione del gettone alla distruzione dell’opera fisica, in favore della scarsità immateriale validata dalla blockchain. Per altro verso si apprezzano forme di crittografia in cui il confine tra l’opera d’arte e la sua “documentazione”[41] diviene estremamente labile: progetti artistici come “plantoid”, iniziato nel 2014 da Primavera de Filippi in cui si sviluppano forme di vita artificiale appoggiate alla tecnologia blockchain per assicurarne la procreazione e la sopravvivenza ed è uno smart contract a definire le caratteristiche e le modalità di riproduzione, sembrano sviluppare una creatività e una originalità tale da poter accedere autonomamente alla tutela autoriale.

E la tecnologia dei token non fungibili è altrettanto utile, come forma espressiva autonoma, a quegli artisti concettuali che incentrano sull’idea e sulla sua forma interna il proprio gesto creativo e che attraverso un certificato incorporato in un token e autenticato dalla blockchain – corredato volendo dalle relative istruzioni di sviluppo dell’idea creativa – possono materializzare la propria opera, nonché prevedere sistemi di circolazione della stessa «anche mediante meccanismi di registrazione della titolarità del certificato»[42].

In questi casi l’NFT pare perdere il carattere di strumento di accesso a una creazione dotata di una forma esterna sua propria e tende ad assumere i connotati di forma esterna dell’opera concettuale, secondo una modalità – di elevazione della scrittura informatica a opera dell’ingegno – già nota all’ordinamento fin dall’opzione legislativa di tutelare con il diritto d’autore le creazioni di programmi per elaboratore elettronico.


[1] Ne riferisce puntualmente M. Stella Richter, Tullio Ascarelli e i beni immateriali, in «Afferrare…l’inafferrabile». I giuristi e il diritto della nuova economia industriale fra Otto e Novecento, a cura di A. Sciumé e E. Fusar Poli, Milano, 2013, p. 1233 ss., a 1237 ss., evidenziando anche la scelta editoriale certamente ascrivibile allo stesso Ascarelli, di dedicare due voci intitolate ai Beni immateriali nella Enciclopedia del diritto: M. Are, Beni immateriali: a) diritto privato e G.C. Venturini, Beni immateriali: b) diritto internazionale privato, in Enc. dir., vol. V, Milano, 1959, 244 ss. e 270 ss. 

[2] T. Ascarelli, Teoria della concorrenza e interesse del consumatore, in Saggi di diritto commerciale, Milano, 1955, p. 35 ss. a p. 72. Per una magistrale ricostruzione del pensiero ascarelliano in tema di concorrenza, M. Libertini, Il diritto della concorrenza nel pensiero di Tullio Ascarelli, in Annali del seminario giuridico dell’Università di Catania, 2004-2004, p. 87 ss.

[3] La sintesi di questo secolare dibattito è delineata da L. Einaudi, Rileggendo Ferrara. A proposito di critiche recenti alla proprietà intellettuale e industriale, in Rivista di storia economica, 1940, p. 217 ss.

[4] Per la ricostruzione del titolo dell’esclusiva nel riconoscimento dei frutti del lavoro intellettuale dell’autore, G. Oppo, Creazione ed esclusiva nel diritto industriale, in Riv. dir. comm., 1967, p. 187 ss.

[5] M. Stella Richter, Tullio Ascarelli e i beni immateriali, cit., p. 1238.

[6] R. Romano-P.Spada, Parte generale, in Aa.Vv., Diritto industriale. Proprietà intellettuale e concorrenza, Torino, 2023, p. 3 ss., spec. p. 45 ss. sottolineano come l’impresa culturale e creativa abbia ricercato strumenti di tutela e di controllo di un rischio di impresa via via esacerbato dalle agevolazioni delle attività di copia rese possibili dall’evoluzione tecnologica e dalla tecnologia digitale. 

[7] L’amplissima letteratura sul tema si pone sulla scia della fortunata formula risalente agli anni Sessanta dello scorso secolo (la “new property” delineata da C.A. Reich, The New Property, in Yale Law Journal, vol. 73, 1964, p. 733 ss.) che vi ravvisava diverse utilità quali occupational licenses, drivers’ licenses, franchises, income and benefits, subsides, jobs, services, contracts e use of public resources. Tali risorse, elargite dallo Stato in una fase di ampio intervento pubblico in economia, rischiavano di essere prive di tutela a fronte all’esercizio della discrezionalità amministrativa per il perseguimento di un interesse pubblico talvolta sfuggente. Se per un approfondimento del contesto storico e sociale di questo contributo seminale può utilmente leggersi K.M. Tani, Flemming v. Nestor: Anticommunism, the Welfare State, and the Making of ‘New Property’, in Law and History Rev., vol. 26(2), 2008, p. 379 ss., il tema delle nuove proprietà è stato trattato con grande ampiezza dalla letteratura italiana in tutta la seconda parte del secolo scorso: S. Pugliatti, La proprietà nel nuovo diritto, Milano, 1954; P. Greco, voce Beni immateriali, in Novissimo Digesto it., Torino, 1958, p. 356 ss.; P. Grossi, Un altro modo di possedere, Milano, 1977; G. Pugliese, Dalle res incorporales del diritto romano ai beni immateriali di alcuni sistemi giuridici odierni, in Riv. trim. dir. proc. civ., 1982, p. 1137 ss.; V. Zeno-Zencovich, voce Cosa, in Digesto discipline privatistiche, sezione civile, vol. III, 1988, p. 438 ss.; D. Messinetti, voce Beni immateriali, in Enc. giur. Treccani, vol. V, Roma, 1989, p. 4 ss.;  G. De Nova et al., Dalle res alle New Properties, Milano, 1991, p. 13 ss.; A. Gambaro, Dalla new property alle new properties (Itinerario, con avvertenze, tra i discorsi giuridici occidentali), in V. Scalisi (cur.), Scienza e insegnamento del diritto civile in Italia, Milano, 2004, p. 675 ss.; per una visione critica dell’unitarietà del concetto di bene, particolarmente con riguardo ai prodotti dell’economia della conoscenza e dell’innovazione, A. Zoppini, Le “nuove proprietà” nella trasmissione ereditaria della ricchezza (note a margine della teoria dei beni), in Riv. dir. civ., 2000, I, 191; G. Resta, Nuovi beni immateriali e numerus clausus dei diritti esclusivi, in Id. (cur.), Diritti esclusivi e nuovi beni immateriali, Milano, 2011; V. Gastaldo, La sfida della tecnologia “blockchain” al diritto: una nuova frontiera per il mercato delle opere di interesse artistico?, in federalismi.it, 6/2023, p. 116 ss.; N. Muciaccia-S. Lopopolo, Prime riflessioni sul rapporto tra “NFT” e proprietà intellettuale, in Diritto dell’informazione e dell’informatica, 2022, p. 893 ss.; E. Battelli, Epistemologia dei beni immateriali: inquadramento sistematico e spunti critici, in Giust. civ., 2022, p. 49 ss.; C. Abatangelo, Il paradigma dell’accesso nell’economia digitale e il suo significato per il dibattito sulle forme di appartenenza, in Osservatorio del diritto civile e commerciale, 2021, p. 301 ss.; C. Sandei, “Blockchain” e sistema autorale: analisi di una relazione complessa per una proposta metodologica, in Nuove leggi civ. comm., 2021, p. 194 ss. C. Galli, La proprietà intellettuale nell’era digitale: la necessità di un quadro d’insieme, in AIDA, 2021, p. 346 ss.

[8] Questa la premessa dell’ampio studio di E. Battelli, Epistemologia dei beni immateriali, cit., p. 49.

[9] Due interessanti contributi pubblicati su questa stessa Rassegna hanno recentemente affrontato il tema sul versante civilistico: E. Damiani, Cripto-arte e non fungible tokens: i problemi del civilista, in questa Rassegna, 2022, fasc. 2, p. 355 e ss. e A. Alpini, Dalla ‘platform economy’ alla ‘clout economy’. La discussa natura giuridica degli NFTs, ivi, p. 365 ss. Da ultimo anche, M.F. Tommasini, NFT o “crypto art”. Inquadramento giuridico e prospettive di tutela nel mercato digitale, in Jus civile, 2023, fasc. 3, p. 610 ss. e A. Alpini, NFT and NFTed artworks between property and copyrightability, in Persona e mercato, 2023, p. 50 ss. La centralità della questione delle forme giuridiche di appartenenza per la qualificazione giuridica dei fenomeni connessi alla produzione e circolazione dei non-fungible tokens è ben evidenziata anche da A. Guaccero – G. Sandrelli, Non-Fungible Tokens (NFTs), in Banca borsa, titoli di credito, 2022, 824 ss.

[10] L’esatto oggetto dell’acquisto compiuto dal tycoon indiano Vignesh Sundaresan, titolare del fondo di investimento Metapurse, specializzato in arte digitale è definito da F. Annunziata – A. Conso, NFT. L’arte e il suo doppio. Non fungible token: l’importanza delle regole, oltre i confini dell’arte, Milano, 2021, p. 34.

[11] Si tratta di NyanCat, la GIF animata di un gattino volante creata nel 2011 da Chris Torres, cui il New York Times ha dedicato un articolo il 22 febbraio 2021: E. Griffith, Why an Animated Flying Cat with a Pop-Tart Body Sold for Almost S 600,000, https://www.nytimes.com/2021/02/22/business/nft-nba-top-shot-crypto.html. Il token è stato venduto al valore allora corrente dei 300 ETH (Ether), valuta usualmente utilizzata per regolare le transazioni eseguite mediante smart contracts. Sulla tokenizzazione dei meme, F. Annunziata – A. Conso, NFT, cit., p. 37.

[12] Come osservano A. Guaccero – G. Sandrelli, Non-Fungible Tokens, cit., p. 826, il primo tweet del fondatore di Twitter è liberamente accessibile da qualsiasi utente della rete che ne consulti il profilo social. 

[13] Il collettivo artistico Daystorm proprietario dell’esemplare dell’opera di Jean-Michel Basquiat “Free Comb with Pagoda” ha annunciato di voler coniare un NFT dell’opera, concedendo all’acquirente la facoltà di distruggere l’opera originale. L’operazione di vendita all’asta sulla piattaforma OpenSea è stata bloccata grazie all’opposizione dell’Archivio Basquiat che ha fatto valere la titolarità da parte della fondazione del diritto d’autore sull’opera e la circostanza che nessuna facoltà autoriale fosse stata licenziata o ceduta al venditore dell’NFT, il che ha indotto la piattaforma intermediaria a rimuovere il gettone dalla vendita.

[14] Il relativo NFT è stato venduto per oltre 228 ETH sulla piattaforma specializzata OpenSea, come riferiscono B. Singh – K. Jain, Story of Cryptokitties, Art and NFTs, The Daily Guardian, May 20, 2021,  https://thedailyguardian.com/story-of-cryptokitties-art-and-nfts/; sul tema anche A. Iscoe, Burnt Bansky’s Inflammatory N.F.T. Not-Art, The New Yorker, May 10, 2021  https://www.newyorker.com/magazine/2021/05/17/burnt-banksys-inflammatory-nft-not-art

[15] I dettagli di questa operazione sono riferiti da F. Annunziata – A. Conso, NFT, cit., p. 35.

[16] È il caso della tokenizzazione e vendita all’asta di frazioni dell’opera “14 Small Electric Chairs” di Andy Warhol, analizzato da E. Damiani, Cripto-arte e non fungible tokens, cit., p. 357, ma anche dell’operazione promossa dal Belvedere Museum di Vienna in occasione del San Valentino del 2022, con la messa in vendita di una serie di 10000 NFTs rappresentativi di altrettante porzioni di una copia digitale ad alta risoluzione del celeberrimo dipinto di Gustav Klimt “Il bacio” realizzato tar il 1907 e il 1908, https://thekiss.art/.

[17] F. Gonzàlez, Gli Nft ormai non valgono niente, in Wired, 28 settembre 2023, https://www.wired.it/article/nft-non-valgono-niente/;  A. Guaccero – G. Sandrelli, Non-Fungible Tokens, cit., p. 825, riferiscono la tentazione di relegare il fenomeno dei Cryptokitties da collezione come «moda passeggera per internauti i futile intrattenimento virtuale» se non fosse per la capacità di propagazione in settori vicini e in mercati dagli scambi assai voluminosi, del modello di codifica di tali smart assets.

[18] Per l’impiego degli NFT nel settore musicale si vedano F. Annunziata-A. Conso (cur.), NFT in musica, Milano, 2022.

[19] Sulla funzione strumentale dell’intelligenza artificiale nel campo della creazione di opere dell’ingegno, si confronti l’intervista al collettivo Obvious, attivo nell’ambito dell’arte digitale e della creatività assistita dall’intelligenza artificiale, G. Vernier, Les NFT vus par Obvious, in Dalloz IP/IT, 2023, p. 75 ss.

[20] E. Battelli, Epistemologia dei beni immateriali, cit., p. 81 ss.

[21] Lo sottolineano A. Guaccero-G. Sandrelli, Non Fungible Tokens, cit., pp. 838 e 843. Si parla al riguardo di c.d. clout economy, in cui proprio le opere digitali on chain, quindi per necessità native digitali, si potrebbe riscontrare una rivalry del tutto simile a quella di un bene fisico. C’è da dire però che il caso di un’opera interamente on chain non è frequente né agevolmente replicabile per gli altissimi costi energetici che la scritturazione del file digitale che rappresenta l’opera nei metadati comporta.

Si confronti, di nuovo, lo studio di E. Battelli, Epistemologia dei beni immateriali, cit., specialmente a p. 83 ss. ove si evidenzia la natura non-materiale e non-corporale delle informazioni espresse in linguaggio informatico crittografato che rientrano certamente nella nozione di cosa, pur essendo sottoposte a forme e modalità di esercizio di diritti esclusivi che trovano il proprio fondamento nelle regole tecniche che caratterizzano i formati di scrittura di codice nella blockchain prima ancora che in un riconoscimento da parte del diritto positivo.

[22] Si confrontino, da ultimo, le ampie informazioni contenute nel report dell’organismo istituito presso il Ministero della Cultura francese per rispondere alle questioni poste ai titolari dei diritti d’autore e dei diritti connessi dallo sviluppo della rete internet e delle tecnologie digitali: Conseil Superieur de la Propriété Litteraire et Artistique (CSPLA), Rapport de la Mission sur les Jetons non Fongibles, Juillet 2022, disponibile al sito https://culture.gouv.fr

[23] Su queste nozioni si vedano ad esempio F. Annunziata – A. Conso, NFT. L’arte e il suo doppio, cit., p. 15 s.; A. Guaccero – G. Sandrelli, Non Fungible Tokens, cit., p. 829 ss.

[24] Come è stato osservato, attraverso l’NFT è possibile ricostituire una spazializzazione unica di un oggetto digitale, utilizzando tecnologie crittografiche che garantiscono l’unicità del’oggetto, V. Benabou, Une cinquième libertè de circulation numerique? Est-ce possible? Est-ce utile?, in Revue trimestrielle de droit européen, 2021, p. 279.

[25] Con questa espressione ci si riferisce al costo di archiviazione in Ethereum, F. Annunziata – A. Conso, NFT, cit., p. 9 ss.

[26] C. Sandei, Initial Coin Offering e appello al pubblico risparmio, in M. Cian-C. Sandei (cur.), Diritto del Fintech, Padova, 2020, p. 277 ss, a p. 280.

[27] Il recente Regolamento (UE) 2023/1114 relativo ai mercati delle cripto-attività (c.d. MiCAR) pubblicato nella Gazzetta Ufficiale dell’Unione Europea il 9 giugno 2023, ha fornito una definizione di cripto-attività quale “rappresentazione digitale di un valore o di un diritto che può essere trasferito e memorizzato elettronicamente, utilizzando la tecnologia del registro distribuito o una tecnologia analoga” [art. 3, par. 1, n. 5)]. Ai sensi dell’art. 2, par. 3, il Regolamento «non si applica alle cripto-attività che sono uniche e non fungibili con altre cripto-attività». Il considerando 10 chiarisce che tra le cripto-attività considerate uniche e non fungibili ai fini dell’esclusione in discorso devono essere ricompresi l’arte digitale e gli oggetti da collezione e che l’esonero vale anche per le cripto-attività che rappresentano servizi o attività materiali che sono unici e non fungibili, come le garanzie dei prodotti o i beni immobili. Uno spazio di applicazione del Regolamento rimane tuttavia aperto per le frazioni di una cripto-attività unica e non fungibile che discendono dall’applicazione del diffuso standard ERC-1155, secondo la linea definita dall’undicesimo considerando. La formulazione definitiva del testo corregge l’impostazione che delimitava il campo di applicazione del regolamento escludendo i token che i) non sono trasferibili senza il consenso dell’emittente; ii) sono unici e non fungibili con altre cripto-attività; iii) non sono frazionabili e sono accettati solo dall’emittente; iv) rappresentano diritti di proprietà intellettuale; v) certificano l’autenticità di un bene unico tangibile. Mette conto segnalare che i termini di questo richiamo, superato nella versione definitiva del Regolamento, testimoniavano le incertezze qualificatorie sull’oggetto dei token, giacché certamente gli NFTs artistici non rappresentano, di norma, diritti di proprietà intellettuale – lo osservano correttamente A. Guaccero – G. Sandrelli, Non Fungible Tokens, cit., pp. 862 s. – mentre rimane quantomeno dubbia la possibilità che svolgano una funzione di certificazione di autenticità. Sul punto anche G. Vulpiani, Non-Fungible Tokens: An Italian Private Law Perspective, in Italian Law Journal, 2023, p. 363 ss., pp. 368 s.

[28] A. Guaccero – G. Sandrelli, Non Fungible Tokens, cit., p. 851 ss.

[29] Corte di Giustizia, 13 febbraio 2014, C-466/12 (Svensson c. Retriever Sverige AB), par. 31, ha escluso che occorresse il consenso dell’autore per la fornitura di un servizio in cui si mettevano a disposizione su un sito internet collegamenti ipertestuali, che rinviavano ad articoli giornalistici disponibili in modalità non criptata sul sito sorgente; la Corte riteneva che quella condotta, non integrasse gli estremi di un atto di comunicazione al pubblico ai sensi dell’art. 3, par. 1, della Direttiva 2001/29/CE, poiché tale comunicazione non era in grado di raggiungere nuovi ed ulteriori destinatari rispetto a quelli della comunicazione originaria. Le conclusioni rimangono intatte quando gli utenti che utilizzino il link abbiano l’impressione che l’opera venga loro mostrata dal sito di approdo e non da quello in cui il materiale protetto è stato originariamente pubblicato. L’elemento determinante, affinché vi sia atto di comunicazione al pubblico, è, per la giurisprudenza qui citata, la comunicazione ad un pubblico nuovo, ossia ad un pubblico che non sia stato preso in considerazione dai titolari del diritto d’autore al momento dell’autorizzazione della comunicazione iniziale. Nel caso esaminato il sito su cui le opere erano disponibili era ad accesso libero; dunque, il linking non implicava comunicazione al pubblico; diversa conclusione si sarebbe dovuta raggiungere se il link avesse consentito agli utenti di aggirare misure restrittive (integrandosi in questo caso il requisito del pubblico “nuovo”). Sul tema dell’evoluzione del diritto d’autore in risposta alle sfide dell’ambiente digitale, A. Musso, L’impatto dell’ambiente digitale su modelli e categorie dei diritti d’autore o connessi, in Riv. trim. dir, proc. civ., 2018, p. 471 ss.; Id., Eccezioni e limitazioni ai diritti d’autore nella Direttiva UE n. 790/2019, in Dir. informazione e informatica, 2020, p. 411 ss. C. Sganga, Evoluzioni e trasformazioni dei diritti connessi nei percorsi di armonizzazione del diritto d’autore europeo, in Riv. dir. ind., 2021, p. 146 ss.

[30] Corte di Giustizia, 8 settembre 2016, C-160/15 (GS Media BV c. Sanoma Media Netherlands BV et al.).

[31] Secondo Corte di Giustizia, 8 settembre 2016, cit., par. 55, per determinare «se il fatto di collocare su un sito Internet collegamenti ipertestuali verso opere protette, liberamente disponibili su un altro sito Internet senza l’autorizzazione del titolare del diritto d’autore, costituisca una ‘comunicazione al pubblico’ ai sensi di detta disposizione, occorre determinare se tali collegamenti siano forniti senza fini di lucro da una persona che non fosse a conoscenza, o non potesse ragionevolmente esserlo, dell’illegittimità della pubblicazione di tali opere su detto altro sito Internet, oppure se, al contrario, detti collegamenti siano forniti a fini di lucro, ipotesi nella quale si deve presumere tale conoscenza».

[32] Sono numerosi i casi di artisti che hanno denunciato la tokenizzazione non autorizzata delle proprie opere. Un esempio è quello dell’artista WeirdUndead che ha trovato gli NFT delle proprie opere in vendita sulla piattaforma OpenSea senza che aver autorizzato il conio né la commercializzazione; l’NFT era stato realizzato grazie a una copia digitale dell’opera allegata ad un tweet: J. Purtill, Artists report discovering their work is being stolen and sold as NFTs, March 15 2021,  https://www.abc.net.au/news/science/2021-03-16/nfts-artists-report-their-work-is-being-stolen-and-sold/13249408. Sul tema, anche riguardo alle conseguenze di “mercato”, G. Nava, I non-fungible token, in Aa.Vv., Il diritto nell’era digitale. Persona, Mercato, Amministrazione, Giustizia, Milano, 2022, p. 265 ss.

[33] La Direttiva 2001/29/CE indicava, nel terzo considerando, la finalità di contribuire all’applicazione delle quattro libertà del mercato interno e di assicurare il rispetto del diritto di proprietà e di proprietà intellettuale in uno con la libertà d’espressione e l’interesse generale. In modo più specifico il trentunesimo considerando mirava a garantire “un giusto equilibrio tra i diritti e gli interessi delle varie categorie di titolari nonché tra quelli dei vari titolari e quelli degli utenti dei materiali protetti”.

[34] Corte di Giustizia, 17 giugno 2021, C-597/19 (Mircom International Content Management &Consulting c. Telenet BVBA et al.).

[35] Da ultimo, sul tema, si veda G. Vulpiani, Non-Fungible Tokens, cit., p. 363 ss. 

[36] A. Guaccero – G. Sandrelli, Non Fungible Tokens, cit., p. 863

[37] Questa la nozione accolta da CSPLA, Rapport, cit., p. 20.

[38] In senso favorevole al riconoscimento di una funzione di certificazione di autenticità sembrano A. Guaccero – G. Sandrelli, Non Fungible Tokens, cit., 834.

[39] E ricordiamo che l’art. 64 del d.lgs. 22 gennaio 2004, n. 42 (Codice dei beni culturali e del paesaggio), con riguardo agli attestati di autenticità e di provenienza stabilisce i requisiti che la documentazione che attesta autenticità e provenienza dell’opera deve possedere specificando che la relativa dichiarazione deve essere apposta su copia fotografica dell’oggetto, solo ove questo sia possibile “in relazione alla natura dell’opera e dell’oggetto”.

[40] Sul tema, ampiamente, A. Donati, Law and art: diritto civile e arte contemporanea, Milano, 2012, p. 127 ss.

[41] G. Frezza, Blockchain, autenticazioni e arte contemporanea, in Dir. fam. pers., 2020, II, p. 489 ss.

[42] Di qui la conclusione che «l’opera-idea … si materializza nello stesso certificato, che costituisce strumento essenziale per la esistenza dell’opera», A. Donati, Law and art: diritto civile e arte contemporanea, Milano, 2012, p. 182.

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