Angela Mendola
Dottoressa di ricerca in “Comparazione e diritti della persona” – Università degli Studi di Salerno
Trib. Milano, sez. spec. impresa, 6 giugno 2018, n. 6355 – Pres. Marangoni, rel. Dal Moro – Lidia Corp. e Elisabetta Canalis (avv. Morretta); Lormar s.r.l. (avv. Bartolani).
Diritto all’ immagine – Tutela del nome e dello pseudonimo – Necessità del consenso – Termini contrattuali – Danno patrimoniale e non patrimoniale
L’ indebito utilizzo dell’ immagine, del ritratto e del nome, senza il consenso della testimonial ed oltre i termini previsti dal contratto, comporta l’ obbligo di risarcire sia il danno patrimoniale, per lo sfruttamento degli stessi a fini commerciali e per lo svilimento dell’ interessata, sia il danno non patrimoniale per la lesione dell’ immagine della “persona” e per l’ uso abusivo del suo nome/pseudonimo.
Art. 2043 c.c.; Artt. 6-7-9-10 c.c.; Art. 8, co. 3, D. Lgs. 30/2005; Artt. 96-97 L. 633/1941
App. Milano, sez. spec. impresa, 22 gennaio 2021, n. 225 – Pres. Bonaretti, rel. Fontanella – Lormar s.r.l. (avv. Giuffrida); Lidia Corp. e Elisabetta Canalis (avv. Morretta).
Diritto all’ immagine – Tutela del nome e dello pseudonimo – Necessità del consenso – Manipolazione dell’ immagine – Divulgazione dell’ immagine per fini commerciali
La manipolazione delle fotografie e l’ eliminazione delle caratteristiche permanenti sul corpo così come il taglio del volto, costituiscono anche esse un atto gravemente abusivo dell’ immagine avendo l’ effetto di “mercificare” la persona interessata, trattata “alla stregua di un manichino”. Perché si configuri tale abuso è necessario che la divulgazione dell’ immagine non sia avvenuta per finalità di pubblica informazione ma solo per fini commerciali e pubblicitari.
Art. 2043 c.c.; Artt. 6-7-9-10 c.c.; Art. 8, co. 3, D. Lgs. 30/2005; Artt. 96-97 L. 633/1941
Per il Tribunale e per la Corte d’ Appello di Milano l’ utilizzo, senza consenso, dell’ immagine manipolata della showgirl Elisabetta Canalis costituisce sfruttamento illecito atteso che con tale uso la Lormar s.r.l. si è certamente avvantaggiata della notorietà della testimonial per finalità commerciali. Per i Giudici, inoltre, la modifica delle foto ritraenti la stessa costituiscono un atto gravemente lesivo della sua immagine così come l’ indebito utilizzo dello pseudonimo “Eli”.
For the Court and for the Milan Court of Appeal, the use, without consent, of the manipulated image of the showgirl Elisabetta Canalis constitutes illicit exploitation given that with this use Lormar S.r.l. it certainly took advantage of the reputation of the testimonial for commercial purposes. Furthermore, for the Judges, the modification of the photos portraying her constitutes an act seriously damaging to her image as well as the undue use of the pseudonym “Eli”.
Sommario: 1. Il caso. – 2. Abusivo trattamento dell’ immagine e tutela restitutoria nel sistema giuridico italiano. – 3. L’ illecita disposizione del ritratto altrui nell’ ordinamento tedesco e l’Eingriffskondiktion. – 4. Digitalizzazione della persona e danno non patrimoniale da lesione della dignità.
1. Il Tribunale di Milano è stato chiamato a decidere sulle domande risarcitorie avanzate dalla testimonial Elisabetta Canalis e dalla società di diritto statunitense Lidia Corp., che gestisce i diritti di immagine della predetta showgirl, contro la Lormar s.r.l. Per le attrici, nella specie, quest’ ultima avrebbe continuato l’ uso del ritratto della testimonial oltre il termine contrattuale e, nell’ utilizzo del diminutivo “Eli”, avrebbe precluso lo sfruttamento del nome della showgirl nel settore dell’ abbigliamento intimo nonché leso i suoi diritti di immagine, tramite la manomissione delle fotografie ritraenti la stessa. Di contro, la Lormar s.r.l. assumeva di non aver arrecato alcun pregiudizio atteso che l’ utilizzo della suddetta immagine sarebbe avvenuto entro i limiti di tempo, luogo e modo concordati con parte attrice; che avrebbe provveduto ad eliminare dai propri siti internet il ritratto della testimonial lasciando unicamente “fotografie tecniche” giammai lesive del diritto all’ immagine della Canalis e, in ultimo, che lo pseudonimo “Eli” non può essere associato in via esclusiva a quest’ ultima.
Per il Tribunale, invece, la Lormar s.r.l. ha sfruttato il ritratto e il nome di Elisabetta Canalis oltre il termine contrattuale. Del resto, riguardo la manipolazione degli scatti fotografici ritraenti la modella, secondo l’ autorità giudiziaria, sarebbe stata la stessa società ad aver ammesso di aver continuato ad utilizzare il materiale fotografico in suo possesso almeno fino a marzo 2015, ritoccandolo e modificandolo. In questo modo, senza alcuna autorizzazione, per il Tribunale, si sarebbe provocata una chiara lesione dell’ immagine della modella. A nulla rileverebbero, poi, le difese dalla convenuta circa l’ utilizzo del nome “Eli” “come uno dei tanti nomi femminili che contraddistinguono i prodotti Lormar”. Per i giudici, nella specie, non può sussistere alcuna casualità e anzi, come sostengono le attrici, tale scelta appare intenzionale per rafforzare il ruolo della Canalis come testimonial dei prodotti della Lormar. Il Tribunale, in ultimo, ritiene del tutto infondato l’ assunto della convenuta laddove riferisce che le immagini ed i video della testimonial siano stati postatiin igenza di contratto. Per i motivi di cui sopra, il Tribunale ritiene di configurare un illecito, ex art. 2043 c.c., sia nei confronti della società Lidia Corp. che nei riguardi della Canalis, per avere la Lormar s.r.l. svilito e mercificato, tramite i suddetti scatti fotografici, l’ immagine della modella così come averne violato il diritto al nome e allo pseudonimo. In virtù di quanto innanzi, parte convenuta è stata, quindi, condannata al risarcimento del danno patrimoniale, in favore di Lidia Corp., e del danno non patrimoniale, nei riguardi della testimonial Canalis. Non solo. Il Tribunale ha valutato opportuno ordinare alla Lormar s.r.l. di cessare immediatamente qualsivoglia utilizzo del predetto pseudonimo e di rimuovere ogni immagine, video o foto ritraenti la modella, con la fissazione di una penale per ogni giorno di ritardo dell’ inibitoria impartita. In ultimo, ha disposto la pubblicazione della sentenza resa su noti settimanali e sul sito aziendale della Lormar s.r.l., a spese di quest’ ultima.
Avverso la suindicata pronuncia, la Lormar s.r.l. ha proposto gravame. Nei propri motivi di appello, la società, in particolare, ha negato di aver mantenuto sul proprio sito web le foto ritraenti la modella Canalis oltre la scadenza del contratto ed all’ uopo ha assunto che alcun valore probatorio avessero gli screenshot prodotti da controparte. La s.r.l. assume, poi, a sostegno delle proprie difese, l’ impossibilità di un controllo costante sul web e che le manipolazioni degli scatti fotografici della showgirl non avevano in alcun modo danneggiato l’ immagine della modella. In ultimo, la società appellante sottopone all’ attenzione dei giudici di secondo grado la circostanza che lo pseudonimo “Eli” già era stato impiegato dalla stessa società in altre campagne pubblicitarie, in un contesto completamente estraneo alla attrice/modella Canalis. La Corte d’ Appello milanese respinge il gravame ritenendo infondati i motivi posti alla base dello stesso. In particolare, gli screenshot, così come rilevato già dal Tribunale, sono stati ottenuti tramite l’ interfaccia Wayback Machineche non si limita a “fotografare” le pagine web ma ne acquisisce l’ intero codice di programmazione, garantendo piena corrispondenza tra la pagina web e la versione della stessa riprodotta tramite il servizio Web Archive. Al riguardo, inoltre, continua la Corte, non era stata offerta dall’ appellante alcuna convincente prova contraria. Nel corpo della sentenza impugnata viene altresì evidenziato che la Lormar sr.l. ha certamente fruito in maniera abusiva dell’ immagine pubblica della showgirl, avvantaggiandosi della notorietà di quest’ ultima a fini di pubblicità commerciale e che, nonostante le foto fossero state ritoccate, la modella era chiaramente riconoscibile. I Giudici hanno, altresì, ritenuto che anche l’ utilizzo dello pseudonimo “Eli”, assolutamente non casuale, protratto oltre la scadenza del contratto, fosse stato dettato unicamente da scopi promozionali dalla Lormar s.r.l. ed hanno ancora rimarcato l’ onere della stessa di controllare ciò che veniva postato sulla propria pagina facebook aziendale. Alla luce di quanto innanzi, la Corte afferma, dunque, di condividere la decisione del Tribunale meneghino che ha puntualmente descritto gli illeciti commessi dalla Lormar s.r.l. nei confronti di Lidia Corp. ed il danno conseguente, chiarendo che l’ utilizzo illecito dell’ immagine, del ritratto e del nome della showgirl Elisabetta Canalis, ha comportato tanto un danno patrimoniale, per la predetta società, inteso come illecito sfruttamento degli stessi a fini commerciali e svilimento dell’ immagine della testimonial sul mercato, quanto un danno morale, per la modella, danneggiata nella sua sfera personale. Di qui la Corte ritiene infondate anche le doglianze mosse dall’ appellante circa la quantificazione dei danni evidenziando, invece, la correttezza del criterio di liquidazione seguito dal Tribunale così come delle inibitorie impartite nei confronti della Lormar s.r.l., non potendosi escludere il concretizzarsi di illeciti futuri, e a nulla rilevando, conclude la Corte, che le condotte poste in essere dalla predetta Lormar s.r.l. fossero cessate al momento dell’ emanazione della pronuncia.
2. La disciplina relativa al diritto all’ immagine, ancora di più nel contesto dei social network, diventa un punto di contatto tra i diritti della personalità e il principio di autonomia negoziale. Il fulcro del diritto de quo si rinviene, infatti, nell’ interesse a controllare, mediante la prestazione del consenso, la circolazione di un elemento raffigurativo dell’ individuo sul quale, come evidenziato, convergono interessi concorrenti[1]. Il fenomeno del personality merchandisingpuò, d’ altronde, comprendere anche ipotesi in cui l’ endorser, il testimonial, o lo sponsee non acconsenta più all’ utilizzo del proprio ritratto ai fini pubblicitari[2] o siano, semplicemente, scaduti i termini contrattuali.
Nell’ ordinamento giuridico italiano, la divulgazione dell’ immagine senza il consenso dell’ interessato è lecita soltanto se ed in quanto risponda alle esigenze di pubblica informazione[3], non anche allorché sia rivolta a fini pubblicitari[4], non ammettendosi un travisamento del patrimonio personale, in spregio alla tutela accordata all’ art. 2 Cost.[5]. In questo caso, infatti, il consenso, anche recato da una clausola contrattuale, conserva la propria natura giuridica di atto unilaterale avente ad oggetto non il diritto all’ immagine – personalissimo ed inalienabile – bensì soltanto l’ esercizio di tale diritto che, in quanto tale, è revocabile in ogni tempo, qualunque sia il termine fissato per la pubblicazione dell’ immagine a fini pubblicitari, ed a prescindere dalla pattuizione di un compenso[6]. È pertanto illecito l’ utilizzo dell’ immagine altrui, ai sensi dell’ art. 10 c.c., tutte le volte in cui il personaggio appaia come involontario testimonial del prodotto reclamizzato o, comunque, nei casi in cui il pubblico lo associ ad esso, reputando che la celebrità ne condivida la commercializzazione[7].
Interessante, al riguardo, si rivela il provvedimento della Corte di Appello di Milano[8], con il quale, conformemente a quanto deciso in primo grado[9], i giudici hanno specificato come sia illecita la riproduzione del corpo femminile, in assenza di consenso, anche quando l’ immagine sia tagliata in modo da escludere alcune parti rilevanti e riconoscibili del soggetto ritratto. Nella specie, il giudizio riguardava una celebrity e una nota azienda di intimo (di cui la prima era stata testimonial) che ha continuato a pubblicare, via web e sulla propria pagina Facebook, le fotografie del personaggio noto, oltre i termini contrattuali, pur tagliando parte del volto e cancellando i tatuaggi[10]. Ebbene, in tal caso, l’ autorità giudiziaria ha ravvisato un illecito utilizzo del nome[11], dello pseudonimo, dell’ immagine – personale e non già commerciale – e del ritratto della showgirl, con conseguente condanna della convenuta al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali sofferti, da determinarsi in via equitativa, secondo il criterio del c.d. “giusto prezzo del consenso” (cfr. artt. 158, comma 2, l. n. 633/1941; 125, d.lgs. n. 30/2005[12]; artt. 96 e 97, l. n. 633/1941; 8, comma 3, d.lgs. n. 30/2005)[13]. Come noto, l’ abusiva pubblicazione dell’ immagine altrui, quando comporta la perdita, da parte del titolare del diritto, della libertà di scegliere di offrire al mercato l’ uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente pregiudizio[14]. Il risarcimento dovuto al soggetto la cui immagine è stata utilizzata in difetto di autorizzazione può, in particolare, per la giurisprudenza, liquidarsi in via equitativa sulla base del compenso che il titolare del diritto avrebbe chiesto per consentirne l’ uso[15], sanzionandosi, in altre parole, la lesione della “libertà di scelta” in merito alla concessione dello sfruttamento del proprio ritratto.
Poiché a determinarsi, a carico della “vittima”, non è, però, una vera e propria perdita economica, quanto una illecita disposizione di un suo diritto, va da sé che la tutela preferibile non potrebbe che rivelarsi quella restitutoria e non già la risarcitoria[16]. In discussione, come si diceva, è una sorta, appunto, di “prezzo del consenso”. Il titolare del diritto all’ immagine potrebbe, infatti, ottenere il ritorno nel suo patrimonio di tutti quei vantaggi che avrebbe conseguito se avesse esercitato il suddetto diritto[17]. Più che ricostruire la reversione nella sfera del danneggiato del profitto conseguito dallo sfruttatore in termini di risarcimento del danno, pare, pertanto, opportuno rinvenirvi un’ azione di ingiustificato arricchimento ex art. 2041 c.c.[18], esperibile quante volte il vantaggio patrimoniale conseguito dall’ autore dell’ illecito superi la misura del danno risarcibile[19].
Il ricorso a rimedi che si fondano su di una illecita disposizione del diritto da parte di terzi appare insomma una strada da percorrere privilegiata e su cui – pur nella diversità di approcci – gli ordinamenti non esitano ad incamminarsi. Che, in altri termini, la prospettiva sia quella di considerare il nome o l’ immagine come un bene il quale può essere utilizzato dal suo titolare a fini di lucro appare – sia pure nella diversità delle soluzioni adottate, un profilo difficilmente revocabile in dubbio. Certo, stabilire se, e in che misura, le “usurpazioni dei diritti personali” siano idonee a far scattare domande di arricchimento, è aspetto che deve essere valutato caso per caso, in relazione alla specifica situazione giuridica violata. Sul tavolo della discussione – come si vede – è il fatto che, ferma l’ indisponibilità dei diritti della personalità, alcuni di essi possono essere utilizzati, trasformandosi sostanzialmente in “beni”. Va da sé che stabilire quali di questi possono essere commercializzati o, meglio, sfruttati economicamente, e quali no involge delicate scelte di politica del diritto, finendo con l’ alimentare un vivace dibattito dottrinale che – come è accaduto in Germania – può apparire fuorviante perché rischia di mettere da parte la dimensione “dispositiva” del consenso[20].
3. In un contesto normativo che riconduce il riconoscimento di un diritto generale della personalità all’ art. 2 Abs. 1 i. V. m. Art. 1 Abs. 1 GG[21], forme speciali di disposizione di questo diritto sono offerte dalla previsione di cui ai §§ 22 ss. KUG (Gesetz betreffend das Urheberrecht an Werken der bildenden Künste und der Photographie) nonché dalla disciplina del § 12 BGB (nel caso in cui si disponga del nome), cui fa da sfondo il sistema di tutela risarcitoria offerto dal § 823 (1) del BGB.
In assenza di consenso, oltre a Abwehransprüche, vale a dire a pretese difensive volte alla cessazione della condotta, entrano in considerazione anche istanze risarcitorie che – a partire dal filone inaugurato con l’ ormai risalente caso Soraya – trovano fondamento sugli artt. 1 e 2.1 GG[22]. In proposito la costante giurisprudenza del Bundesgerichtshof ha attratto gli interessi economici derivanti dallo sfruttamento di diritti della personalità nell’ ambito delle tutele a questi garantite, ritenendo che la disposizione del diritto all’ immagine renda possibili richieste di risarcimento per violazione del diritto della personalità[23] (BGHZ 50, 133, 137 – Mephisto). Laddove è chiaro che la dimensione risarcitoria riposa sulla considerazione che, altrimenti, le violazioni della dignità e dell’ onore della persona umana resterebbero senza sanzione.
In questo contesto, il progressivo sviluppo dei media e della connessa commercializzazione del diritto alla propria immagine ha posto in primo piano la tutela del patrimonio derivante dalle possibilità di utilizzazione economica dei tratti caratterizzanti il personaggio famoso. Sul piano operativo si è assistito così all’ emergere di una interessante giurisprudenza che, proprio partendo da siffatta premessa, ha progressivamente esteso la tutela dei diritti della persona anche a quella degli interessi patrimoniali da quelli derivanti, individuando il presupposto per il riconoscimento di vermögensrechtlicher Ansprüche (in caso di uso non autorizzato di un’ immagine) nella circostanza che l’ utilizzazione del ritratto sia commercialmente redditizia. Questo vermögensrechtliche Seite dei diritti della personalità appare limitato principalmente alle celebrità che tendono a sfruttare economicamente la loro popolarità e l’ immagine ad essa connessa consentendo a terzi di utilizzare anche il nome ed altri tratti della personalità che ne facilitino il riconoscimento nella pubblicità di beni o servizi, in cambio di denaro. La tendenza a pubblicizzare prodotti e/o ad avvalersi di tratti distintivi della personalità senza consenso chiama dunque in causa i §§ 22 e 23 KUG.
Il consenso diventa l’ elemento centrale di una attività dispositiva della propria immagine e per questo, espresso o implicito che sia, deve includere anche il contesto della pubblicazione, come la forma e lo scopo dell’ utilizzo[24]. Tanto, a meno che non si sia in presenza di un interesse pubblico prevalente alla conoscenza[25]. È chiaro, infatti, che se la diffusione dell’ immagine è coperta da un interesse generale all’ informazione meritevole di protezione, il titolare dei diritti deve consentire, anche contro la sua volontà, la pubblicazione del ritratto.
Nel caso Marlene Dietrich i giudici tedeschi, proprio partendo da queste premesse, hanno espressamente riconosciuto il diritto – post mortem – di un personaggio famoso allo sfruttamento commerciale della propria popolarità attraverso un’ immagine ad essa associata. La vicenda traeva origine dal fatto che il produttore di un musical berlinese “Sagt mihr wo die Blumen sind” (1993), dedicato alla vita di Marlene Dietrich, aveva consentito ad una azienda automobilistica di utilizzare un ritratto dell’ attrice e il lettering “Marlene” per pubblicizzare un modello speciale di veicolo. Di fronte alle istanze degli eredi, il ragionamento seguito dai giudici per riconoscerne le pretese, e superare orientamenti più antichi che ritenevano non si potesse configurare un diritto economico postumo all’ utilizzo dell’ immagine, è interessante e si fonda sulla considerazione che, “dies sei vor allem auch deshalb erforderlich, weil ansonsten der durch die Leistungen des Verstorbenen geschaffene und in seinem Bild, seinem Namen oder seinen sonstigen Persönlichkeitsmerkmalen verkörperte Vermögenswert nach seinem Tode dem Zugriff eines jeden beliebigen Dritten preisgegeben werde anstatt ihn den Personen, die ihm zu Lebzeiten nahestanden, zukommen zu lassen. Unberührt bleibt davon die Auseinandersetzung mit bekannten Persönlichkeiten in den Medien, die selbstverständlich zulässig ist”[26].
È, dunque, solo un utilizzo intenzionale dell’ immagine da parte di terzi, assistito dallo scopo specifico di ricavarne un utile, a far sorgere un diritto alla restituzione di quanto illegittimamente percepito[27]. Il punto di flessione del ragionamento è qui rappresentato dalla circostanza che “die zum Schadensersatz bei Verletzung vermögenswerter Bestandteile des Persönlichkeitsrechts auch nach dem Tod entwickelten Grundsätze lassen sich nicht auf Fälle übertragen, in denen keine kommerzielle Interessen in der Person der Verstorbenen bestehen und ihrer Abbildung kein wirtschaftlicher Wert zukommt”, per cui alcun compenso monetario spetta allorché non si sia in presenza di una utilizzazione economica[28]. Di tal che, ad esempio, la pubblicazione di interviste di personaggi famosi – anche inventate – al limitato scopo di accrescere l’ attenzione verso una determinata piattaforma, presentando importanti opportunità di utilizzo commerciale, fonda una richiesta di restituzione di quanto percepito.
Vero è che non sempre la pubblicazione dell’ immagine senza consenso è illecita, dovendosi tener conto dell’ interesse alla formazione dell’ opinione pubblica che può essere veicolato anche attraverso la pubblicità che pur rientra nella tutela della libertà di espressione (art. 5, comma 1, GG) e di manifestazione artistica. Del pari indubbio che, sul piano operativo, poiché ognuno può decidere autonomamente sull’ utilizzo dei dati personali, comprese le immagini, qualsiasi attività di marketing a fini pubblicitari richiede il consenso dell’ interessato. Condizione questa cui non si sottraggono i “Prominenten” che hanno diritto di controllare l’ uso del proprio ritratto determinando gli scopi promozionali e il contesto in cui questo può essere utilizzato[29].
Se è vero che colui che scatta una foto o fa un servizio ne è anche proprietario è anche vero che la pubblicazione di una immagine deve sempre essere autorizzata, ai sensi del § 22 Abs. 1 KUG o dell’ art. 6, c. 1 lettera a) GDPR[30] e può essere distribuita o esposta pubblicamente solo con il consenso della persona raffigurata presumendosi, nei casi dubbi, il consenso solo laddove quest’ ultima abbia comunque ricevuto un compenso per essersi lasciata raffigurare[31]. La stessa rappresentazione di una celebrità, attraverso un “sosia”, finisce così per ricadere nell’ ambito applicativo di cui al § 22 KUG a meno che non si tratti di una somiglianza meramente casuale, tale da non ingenerare confusione nel pubblico e laddove appaia prevalente l’ attività del produttore nella selezione dell’ attore da utilizzare per fini artistici.
Così nel caso “Simply the best – Die Tina Turner Story”. Qui, il fatto che il produttore pubblicizzasse lo spettacolo, facendo ricorso ad un sosia, con poster raffiguranti la cantante e utilizzandone il nome, non è stato ritenuto dai giudici condizione sufficiente a far sorgere un diritto al risarcimento del danno. Se è vero, insomma, che l’ uso del ritratto di un “Prominenter” aumenta l’ attenzione del pubblico è anche vero che occorre tener conto pur sempre dell’ esistenza di un diritto alla libertà artistica. Sicché, pubblicizzare uno spettacolo in cui le canzoni di una cantante famosa sono intonate da un’ artista che le assomiglia notevolmente, è fondamentalmente manifestazione di libertà artistica. Per i giudici una violazione ingiustificata della componente patrimoniale dei diritti generali della personalità dell’ originale Prominenter sarebbe configurabile solo se – come non era accaduto nel caso di specie – si desse l’ impressione “der unzutreffende Eindruck erweckt würde, das prominente Original unterstütze sie oder wirke sogar an ihr mit”[32]. Il che val quanto dire che le tutele si attivano laddove la possibilità di sfruttamento commerciale sia concreta ed effettiva e sia stata violata.
Sul piano rimediale, se si mettono da parte le tutele che attingono a soluzioni che non presentano ricadute economiche ma mirano alla cessazione della condotta, è allorché ci si sposta sul piano delle Schadensersatz o di specifiche Geldersatzansprüchen che si apprezza l’ ampiezza di quello che si è definito “costo del consenso”. In questi casi, l’ ordinamento tedesco mette a disposizione del soggetto leso una serie di rimedi il cui obiettivo è appunto quello di porre rimedio alla violazione delle componenti finanziarie del diritto generale della personalità.
In presenza di un danno, accanto alla richiesta di risarcimento derivante da una violazione dei diritti personali attraverso la pubblicità ex § 823 I BGB o § 823 II (in combinato disposto con §§ 22, 23 KUG), il personaggio famoso può, in alternativa, limitarsi a chiedere una somma corrispondente ai diritti di utilizzo dell’ immagine (Lizenzvergütung).
Nel tempo, soprattutto grazie ad una giurisprudenza che – come si diceva – ha progressivamente riconosciuto la forte componente economica che caratterizza alcuni diritti della personalità, si è fatta strada la possibilità ulteriore di esigere la restituzione del profitto che l’ utente non autorizzato ha tratto dal suo intervento ai sensi del § 812 I 1 Alt. 2 BGB. Il riferimento, in questi casi, è all’ Eingriffskondiktion e, dunque, all’ arricchimento da ingerenza derivante da illecito, ottenuto a svantaggio di altri per effetto di un’ invasione nella relativa sfera giuridica che appronta una adeguata tutela risarcitoria laddove si determini una violazione dell’ obbligo di astenersi dall’ invadere i diritti e la privacy di una persona[33]. Come dire che colui il quale agisce illecitamente e si arricchisce deve anche sopportare la perdita dell’ arricchimento che si è prodotto[34].
Tale figura, originariamente sorta sulla linea di confine con la sfera dell’ illecito, siccome imperniata su una connotazione in senso marcatamente antigiuridico della condotta dell’ usurpatore, ha progressivamente assunto un’ autonoma collocazione nel quadro del principio dell’ ingiustificato arricchimento, nonché una propria specifica funzione di tutela, tesa alla salvaguardia del potere, riservato unicamente al titolare, in ordine alle scelte concernenti la concessione a terzi della facoltà di sfruttamento rispetto a beni oggetto di allocazione esclusiva. A questa considerazione, dottrina e giurisprudenza tedesche sembrano allinearsi, nel senso di ritenere che – in caso di uso non consentito di immagine da parte di un testimonial – in discussione non sia il risarcimento del danno ma, piuttosto, quello dei vantaggi di cui è stato privato il proprietario del bene danneggiato. Il fondamento dell’ azione sembra essere rappresentato da un bene che genera “valore”.
La Eingriffskondiktion guarda dunque ai vantaggi economici di cui è stato privato il titolare del diritto[35] sì che solo il concreto sfruttamento economico di questo diritto può dar vita ad una “Anspruch auf Wertersatz” ex §§ 812 Abs. 1 S. 1 Alt. 2, 818 Abs. 2 BGB[36].
4. Va da sé che un discorso diverso va fatto, invece, rispetto al danno non patrimoniale. Secondo la costante giurisprudenza del BGH, in questi casi, la richiesta di risarcimento pecuniario è subordinata, per un verso, alla presenza di una grave violazione dei diritti della persona e, per l’ altro, all’ impossibilità di attivare altri rimedi. In presenza di un danno non patrimoniale legato all’ uso improprio di una immagine, in discussione non è il risarcimento dello Schmerzensgeld, di cui al § 847 BGB, quanto piuttosto la necessità di dare risposta alla violazione della dignità umana. Laddove è chiaro che il combinato disposto del § 823 BGB e dell’ art. 1 GG offre la cornice giustificatrice all’ interno della quale si colloca il riconoscimento di un danno che si concentra sul soddisfacimento delle ragioni della vittima del danno e svolge una funzione essenzialmente preventiva[37].
La violazione, comunque, deve essere grave e cioè integrare gli estremi di derisione, pubblicità abusiva o, nel caso di dichiarazioni inventate, vulnerazione della propria sfera intima o privata, secondo quanto si ricava da una giurisprudenza che si è posta alla ricerca di indicatori importanti da cui desumere la gravità della violazione[38].
Su questa scia, ben noti si rivelano, anche nel nostro ordinamento giuridico, i casi di lesione della dignità da parte di determinati messaggi pubblicitari[39]. Anche qui la valutazione della gravità della condotta pare ricavarsi da tutta una serie di indici, non ultimo l’ elemento psicologico del danneggiante. Per la Corte d’ Appello di Milano, ad esempio, nel caso prima citato, il danno non patrimoniale risiede nella lesione dei diritti della persona, che si evince dal dato per cui il corpo della donna fosse “mortificato, mercificato ed utilizzato alla stregua di un manichino, (…), sì da compromettere l’ integrità dell’ immagine e la dignità della persona”[40]. Il che rileva ancora di più se si considera che il contratto concluso tra le parti prevedeva proprio che il volto e il corpo dell’ artista non potessero subire alcuna modifica nei lineamenti o nelle espressioni” e che “qualsiasi manipolazione non autorizzata della figura sarebbe stata considerata come un danno per l’ immagine dell’ artista e come inadempimento dell’ intero rapporto contrattuale”[41].
Come dire che la comunicazione commerciale, pur svolgendo un ruolo particolarmente utile nel processo economico, deve pur sempre ispirarsi ai canoni di verità, onestà e correttezza, nel rispetto della dignità della persona in tutte le sue “forme ed espressioni e deve evitare ogni forma di discriminazione, compresa quella di genere” (art. 10 CAP)[42], vieppiù quando il messaggio è veicolato attraverso l’ uso di piattaforme informatiche. Non a caso la digitalizzazione è entrata negli standard globali per la pubblicità responsabile della Camera di Commercio Internazionale (ICC) che ha elaborato una serie di regole etiche destinate a valere per blogger, influencer e vlogger. Dal canto suo, il Deutschen Werberat, pur ripetutamente investito delle questioni riguardanti pubblicità lesive della personalità del Prominenten, ha sempre evitato, in quanto organo amministrativo, di pronunciarsi in materia[43].
Il tema già ricorre pertanto rispetto alla diffusione di determinate forme di pubblicità nei media tradizionali, ma evidentemente si attualizza in ambito di social network attesa la diffusione ben più rapida e ad ampio raggio dell’ immagine della celebrity con la conseguente moltiplicazione delle ipotesi di attentato all’ identità della persona[44] e alla vita privata tutelata ex art. 8 CEDU[45]. I contratti sui diritti della personalità si caratterizzano, così, per l’applicazione di un regime maggiormente protettivo rispetto a quello ordinario, volto a conciliare le esigenze di certezza e stabilità dello scambio con i precetti costituzionali di tutela della dignità e dell’ autodeterminazione della persona[46]. Gli attributi della personalità, ancora di più nell’ orbita dei social network, sono, d’ altronde, “diritti di esclusione” poiché corrispondono alle qualità della persona che devono essere difese nel rapporto con gli altri[47], sicché un abusivo sfruttamento della celebrità altrui, in tutte le sue sfaccettature, non può che costituire una ulteriore ed evidente manifestazione della lesione della libertà di scelta nel social media marketing.
Trib. Milano, sez. spec. impresa, 6 giugno 2018, n. 6355 – Pres. Marangoni, rel. Dal Moro – Lidia Corp. e Elisabetta Canalis (avv. Morretta); Lormar s.r.l. (avv. Bartolani).
– Omissis Ciò premesso si osserva: E. C. ha concesso lo sfruttamento dei propri diritti d’ immagine alla società di diritto statunitense Lidia Corp., che, in data 7 novembre 2012, ha concluso con Lormar un contratto di testimonial (doc. 1). Con tale contratto, Lidia ha concesso a Lormar lo sfruttamento esclusivo dell’ immagine e del nome di E. C. dal 1° marzo 2013 al 31 marzo 2014, limitatamente al settore intimo e corsetteria ed al territorio italiano, verso un compenso omnicomprensivo di E 110.000,00 (doc. 1, artt.4, 5 e 6). In esecuzione del contratto, Lormar ha realizzato diverse fotografie ritraenti E. C. con i propri prodotti da utilizzare per cataloghi (doc. 2 – 5), cartellonistica, pagine pubblicitarie e siti Internet, packaging, cartelli vetrina ecc. Nel contratto le parti avevano espressamente previsto che E. C. dovesse approvare tutte le fotografie utilizzate da Lormar (art. 3.10, doc. 1), vietando qualsiasi manipolazione della figura della testimonial senza la sua espressa autorizzazione, specificando che la mancata autorizzazione a dette modifiche sarebbe stata considerata ‘ danno per l’ immagine dell’ artista e come inadempimento dell’ intero rapporto contrattuale’ (doc. 1, art. 3.9). Infine Lormar si era impegnata a non ‘ fare alcun altro uso dell’ immagine della testimonial oltre quello espressamente previsto nel presente accordo’ e a non servirsi del materiale prodotto in esecuzione del contratto in forme o per scopi diversi da quelli pattuiti (doc. 1, art. 2.2. penultimo paragrafo). Risulta dunque dallo stesso chiaro tenore degli accordi contrattuali, che, successivamente alla scadenza del contratto (31 marzo 2014, doc. 1, art. 6), Lormar non avrebbe, quindi, più potuto utilizzare ‘ in nessun modo e forma, il materiale pubblicitario realizzato, ad esclusione dei pack che verranno utilizzati fino ad esaurimento delle scorte distribuite’ (doc. 1, ultimo paragrafo art. 2.2); anche la possibilità di utilizzare l’ immagine di E. C. attraverso il sito web di Lormar (–omissis–) era espressamente limitata al solo ‘ periodo di validità del presente contratto’ (art. 2.2. lett. e) – doc. 1). A) I fatti accertati Ciò detto quanto al perimetro e al contenuto degli accordi negoziali raggiunti, si osserva che dai documenti prodotti in causa risulta che Lormar ha continuato a sfruttare l’ immagine, il ritratto ed il nome di E. C. oltre il termine contrattuale: 1. almeno fino al 16 dicembre 2014, Lormar ha infatti mantenuto sul proprio sito web (–omissis–) le fotografie di E. C. realizzate in esecuzione del contratto (docc. 12, 13 e 32): questa circostanza e` dimostrata da alcuni estratti del sito web di Lormar, tracciati attraverso il servizio ‘ Web Archive – Wayback Machine’ (–omissis–); 1.a) Lormar ammette di aver utilizzato le immagini di E. C. fino al 28 aprile 2014, ma adduce l’ infondata giustificazione di una insussistente proroga contrattuale che sarebbe da ravvisarsi nella circostanza che il sig. R. R.(agente di E. C., e non già di Lidia, unico soggetto titolato a disporre dei diritti di immagine di E. C.), avrebbe invitato Lormar a cessare l’ utilizzo dell’ immagine della sig.ra C. ‘ a partire dalla giornata di lunedì 28 aprile 2014 : secondo la convenuta questo ‘ invito’ avrebbe determinato una proroga ‘ espressa’ del termine contrattuale in relazione al diritto di utilizzare l’ immagine della C.; in realtà, anche a prescindere dalla carenza in capo al R. di poteri in proposito, la pretesa ‘ proroga’ nella proposta dell’ agente era chiaramente condizionata alla rinuncia1 da parte di Lormar a qualsiasi pretesa o azione in merito alla violazione dell’ esclusiva merceologica da parte delle attrici altrove contestata dalla convenuta (doc. 11): poiché detta rinuncia non è mai avvenuta ( ed anzi la Lormar ha promosso un giudizio nei confronti delle attuali attrici attualmente definito i grado d’ appello con il rigetto delle domande di Lormar) è del tutto evidente che nessuna proroga contrattuale si è mai prodotta né implicitamente né – tantomeno ‘ espressamente’ come afferma Lormar. 1.b) Lormar nega, invece, di aver pubblicato sul proprio sito immagini dell’ attrice dopo il 28 aprile 2014 e afferma di voler ‘ disconoscere’ , ai sensi dell’ art. 2712 c.c., i documenti prodotti dalle attrici sub doc. 32 contestando l’ attendibilità dello strumento Web Archive’ e la sua idoneità a ‘ tracciare’ e correttamente datare le pagine web dei siti internet. Sul punto il Tribunale reputa corretta la difesa di parte attrice che osserva: a) Lormar non contesta la conformità tra una copia (cartacea o informatica) e il suo originale – unico disconoscimento consentito ex art. 2712 c.c.; b) Lormar contesta l’ attendibilità dello strumento in esame che ecostituisce ‘ archivio storico’ delle modifiche apportate alle pagine internet nel corso del tempo: attraverso l’ interfaccia ‘ Wayback Machine’ (accessibile all’ indirizzo –omissis–) Web Archive non si limita ad archiviare gli screenshot delle pagine web ma e` in grado di replicare l’ intero codice HTML delle pagine archiviate, conservando elementi caratterizzanti quali l’ URL (l’ indirizzo web), la data, il tipo di codifica della pagina web a garanzia di attendibilità del servizio di archiviazione e ‘ ripescaggio’ dei dati memorizzati; attraverso l’ interfaccia ‘ Wayback Machine’ si può dunque verificare come appariva il sito Lormar in passato e constatare che alle date 6.4.2014; 21.9.2014; 21.10.2014; 8.11.2014; 6.12.2014 e 16.12.2014 il sito della convenuta conteneva immagini di E. C. (doc. 32). 2. Dopo il 28.4.2014 ed almeno fino al 13 marzo 2015 Lormar ammette di aver continuato ad utilizzare il materiale fotografico realizzato in esecuzione del contratto di testimonial, parzialmente ‘ ritoccando e manipolando’ l’ immagine di E. C.. Ha, invero pubblicato 31 immagini di E. C., elaborate senza alcuna autorizzazione (doc. 14): Lormar, infatti, ha eliminato parte del volto di E. C., ed anche alcune sue caratteristiche peculiari (come i tatuaggi). Sostiene la convenuta che si tratterebbe di l’ mere immagini tecniche, nelle quali la modella ritratta è stata resa irriconoscibile’ e, comunque, che la clausola contrattuale secondo la quale qualsiasi manipolazione dovrebbe essere intesa quale danno all’ immagine della testimonial, non potrebbe più trovare applicazione essendosi il contratto concluso. Si tratta di argomenti difensivi infondati: anzitutto il fatto che il contratto sia scaduto appare irrilevante dal momento che proprio il contratto costituiva il presupposto del lecito utilizzo di immagini che – in mancanza – Lormar mai avrebbe potuto utilizzare; ed il fatto che le parti nel disciplinare il lecito utilizzo delle immagini di E. C. avessero ritenuto di specificare, per reciproca chiarezza, che ogni manipolazione delle stesse sarebbe stata considerata una lesione dell’ immagine della Testimonial, rende evidente che Lormar non solo era perfettamente consapevole, ma aveva convenuto ed accettato il fatto che – al di là del lecito l’ utilizzo delle immagini negoziato – qualsiasi manipolazione delle stesse avrebbe avuto l’ effetto di una lesione di immagine. Inoltre le immagini manipolate in discorso non sono affatto considerabili ‘ immagini tecniche nelle quali la modella ritratta è stata resa irriconoscibile’ : la sig. C., infatti, è perfettamente riconoscibile dal pubblico dei consumatori cui la campagna pubblicitaria si era rivolta per più di un anno e le stesse costituiscono un atto gravemente abusivo dell’ immagine della ‘ persona’ ; : a) a smentire la tesi della convenuta circa l’ irriconoscibilità della modella è sufficiente un raffronto tra il catalogo Lormar 2013/2014 e le immagini comparse sul suo sito fino al 13 marzo 2015 proprio la scelta di manipolare le foto in modo da mantenere nelle immagini ‘ tagliate’ la bocca i capelli e parte del viso di E. C. va nella direzione opposta rispetto a quella di rendere ‘ irriconoscibile la modella ritratta nelle immagini’ : e` evidente che le immagini ritraggono la stessa modella, così come ancor più evidente è che la modella sia E. C. per un pubblico che aveva potuto vedere per oltre un anno E. C. come testimonial Lormar attraverso l’ abbondante materiale pubblicitario realizzato in esecuzione del contratto (ossia ‘ manifesti stradali (affissioni) 6X3 – 70X100 e 100X140 e maxiaffissioni’ , ‘ packaging, cartelli vetrina, materiale p.o.p. e bandine’ , ‘ pagine pubblicitarie su riviste di settore e moda in genere, quali magazine/settimanali/mensili/quotidiani’ , nonché pagine web (doc. 1, art. 2); attraverso, cioè, un’ operazione di marketing che ha impresso nel pubblico il ricordo di E. C. come testimonial Lormar. b) la manipolazione delle foto mediante il taglio del volto (tranne la bocca, i capelli e parte del viso) e l’ eliminazione di quelle caratteristiche impresse dalla sig. C. permanentemente sul corpo (i tatuaggi) con l’ intento, evidentemente, di conferire allo stesso nonché alla sua immagine un’ identità specifica ed unica, costituiscono, altresì, un atto gravemente abusivo dell’ immagine della ‘ persona’ ; tali manipolazioni, non solo appaiono maldestri tentativi di non incorrere nella violazione dei limiti imposti con il contratto all’ uso delle fotografie realizzate, ma hanno prodotto l’ effetto, come afferma la difesa dell’ attrice, di ‘ mercificare’ la persona della sig. C., trattata ‘ alla stregua di un manichino’ . Infine appare pretestuosa la giustificazione della convenuta per cui la pubblicazione delle immagini di E. C. sarebbe avvenuta solo sul ‘ sito istituzionale’ di Lormar e non sul quello di e-commerce e dunque non ‘ con lo scopo di vendere o promuovere il prodotto’ quanto, invece, di ‘ informare il visitatore del sito delle famiglie dei prodotti e delle caratteristiche degli stessi’ , posto che Lormar pubblicizza i propri prodotti attraverso un unico sito (–omissis–) che al suo interno è dotato della sezione di e- commerce ‘ shop on-line’ , e che la pubblicazione delle fotografie in questione, in questo contesto, non può che avere uno scopo ‘ promozionale’ ; peraltro detta giustificazione è anche irrilevante perché, scaduto il contratto di testimonial, Lormar non era più autorizzata all’ uso del materiale pubblicitario realizzato, come aveva chiarito (ad abundantiam) lo stesso contratto (ove Lormar si era impegnata ‘ dopo la scadenza del contratto (…) a non utilizzare più, in nessun modo e forma, il materiale pubblicitario realizzato’ (doc. 1, art. 2) e ad utilizzare l’ immagine di E. C. attraverso il proprio sito Internet ‘ limitatamente al periodo di validità del presente contratto’ (doc. 1, art. 2.2. lett. e). 3. E’ pacifico che Lormar ha utilizzato e utilizza il nome ‘ ELI’ , corrispondente al diminutivo del nome ‘ Elisabetta’ , in funzione distintiva per alcuni prodotti di abbigliamento intimo della linea ‘ new basic’ , tanto attraverso il proprio sito internet, quanto mediante apposizione sul packaging dei relativi prodotti (docc. 23 – 28). Secondo Lormar, tale condotta non costituirebbe tuttavia un illecito sfruttamento del nome/pseudonimo di E. C., posto che: (i) E. C. non vanterebbe alcun diritto sul ‘ nome ELI (…) trattandosi di un mero soprannome femminile che in alcun modo può essere associato in via esclusiva all’ odierna attrice’ ; (ii) ‘ ELI’ sarebbe soltanto uno dei tanti nomi femminili che contraddistinguono i prodotti Lormar, peraltro già utilizzato in passato e ‘ casualmente’ riproposto in concomitanza con la conclusione del contratto di testimonial con E. C., anche in ragione della pretesa ‘ difficoltà, a volte, di trovare ‘ nuovi nomi’ ‘ con cui identificare le linee di lingerie. Gli argomenti difensivi della convenuta non appaiono convincenti: (a) E. C. risulta conosciuta al grande pubblico anche con il diminutivo ‘ Eli’ , che, quindi, quale suo nome/pseudonimo va tutelato: parte attrice ha prodotto numerosi articoli di stampa ( docc. da 15 a 22), che dimostrano che il diminutivo ‘ Eli’ sia stato e sia tutt’ ora comunemente utilizzato, dal pubblico e dai media, per identificare, E. C.; (b) non è credibile che la scelta del nome ‘ Eli’ sia stata del tutto ‘ casuale’ e dettata unicamente dalla ‘ difficoltà’ di reperire altri nomi femminili da associare, peraltro, proprio a quei a prodotti di lingerie, indossati da E. C. nelle campagne pubblicitarie realizzate in esecuzione del contratto di testimonial; semmai, come osservato dalla difesa delle attrici, Lormar appare aver intenzionalmente scelto il nome ‘ Eli’ per rafforzare il ruolo di E. C. come testimonial dei propri prodotti, anche attraverso l’ utilizzo del suo nome sul packaging degli articoli di intimo. Del resto – come si evince dalla stessa difesa sul punto della convenuta – il nome/marchio ‘ Eli’ è l’ unico ad essere costituito da un diminutivo di un nome italiano, mentre tutti gli altri sono nomi completi stranieri (G., S., C., M., C., L., S.) che, peraltro, richiamano le protagoniste di due famose serie tv di grande successo (‘ Sex & the City’ e ‘ Desperate Housewifes’ ). Detta condotta viola le norme poste a tutela del nome/pseudonimo (artt. 6,7 e 9 c.c. e art. 8, comma 3, c.p.i. per cui ‘ se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall’ avente diritto, o con il consenso di questi, (…) i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo (…)’ ). 4. Sul profilo Facebook aziendale di Lormar sono ancora presenti – come ammette la convenuta – immagini di E. C. (doc. 29): ‘ fotografie effettuate in esecuzione del contratto di sfruttamento d’ immagine per fini pubblicitari’ , che sarebbero state ‘ inserite (…) durante il periodo in cui era stata concesso l’ utilizzo dell’ immagine della sig.ra C.’ ma che non sarebbero state ‘ utilizzate da Lormar srl per pubblicizzare i prodotti aziendali’ . Reputa il Collegio del tutto irrilevante che le immagini e i video siano stati postati da Lormar in vigenza del contratto, quando vigeva cioè l’ autorizzazione degli aventi diritto, dal momento che, dopo la scadenza del contratto e, quindi, con il venir meno di detta autorizzazione, Lormar avrebbe dovuto eliminare i post con l’ immagine di E. C., essendosi, peraltro espressamente impegnata a terminare qualsiasi utilizzazione dell’ immagine della testimonial successivamente alla fine del contratto (doc. 1 art. 2.) B) la natura dell’ illecito Detta condotta integra un illecito ex art. 2043 c.c., tanto nei confronti di Lidia quanto nei confronti di E. C., la cui immagine e la cui persona risultano senz’ altro svilite e mercificate a mezzo dell’ elaborazione delle fotografie di cui s’ è detto; integra, inoltre, violazione degli artt. 10 c.c., 96 e 97 L. n. 633/1941 dal momento che né E. C., né tanto meno Lidia, hanno mai autorizzato Lormar all’ utilizzo dell’ immagine e del ritratto dell’ attrice oltre la scadenza contrattuale del 31 marzo 2014. Omissis La condotta predetta relativo all’ uso in finzione distintiva dello pseudonimo ‘ ELI’ , inoltre, costituisce violazione tanto degli artt. 6,7 e 9 c.c. posti a tutela del diritto al nome e allo pseudonimo, quanto, come osservano le attrici, dell’ art. 8, comma 3, D.lgs. 30 del 10.2.2005 per cui ‘ se notori, possono essere registrati o usati come marchio solo dall’ avente diritto, o con il consenso di questi, (…) i nomi di persona, i segni usati in campo artistico, letterario, scientifico, politico o sportivo (…)’ . Omissis C) La domanda di inibitoria. Sostiene Lormar che le condotte contestate sarebbero cessate da anni, donde l’ inattualità delle domande con cui le attrici hanno chiesto al Tribunale la cessazione dell’ indebito sfruttamento del nome e dell’ immagine di E. C., oltre che un’ inibitoria per il futuro. Detta difesa tuttavia appare infondata alla luce dei documenti di causa e del contraddittorio. È un fatto pacifico, anzitutto, che Lormar continui a identificare alcuni prodotti della linea ‘ new basic’ con il marchio ‘ Eli’ , invero non lo ha mai negato avendo piuttosto contestato che ciò possa costituire una condotta illecita. Quanto alle immagini presenti sulla pagina Facebook aziendale Lormar non ha contestato il fatto, ma che esso costituisca un illecito perdurante sfruttamento commerciale dell’ immagine della Testimonial. Poiché dunque Lormar ha continuato e continua, dunque, a sfruttare indebitamente l’ immagine e il nome di E. C. senza alcuna autorizzazione, vanno emessi ordini volti – a far cessare immediatamente qualsivoglia utilizzo del nome o dello pseudonimo ‘ ELI’ di E. C. per contraddistinguere propri prodotti di abbigliamento intimo, con l’ eliminazione di ogni riferimento all’ attrice dal sito internet di Lormar e dal packaging dei suoi prodotti, mentre non appaiono sussistere i presupposti del richiesto ritiro dal commercio della linea di abbigliamento intimo ‘ ELI’ , sussistendo obiettiva incertezza sul fatto se la merce così’ contraddistinta e che eventualmente si trovi ancora nella disponibilità di terzi sia da far risalire a rapporti di commercializzazione realizzati nella vigenza di regolari accordi commerciali tra l’ attrice Lidia Corp e la convenuta; – a far rimuovere senza indugio ogni immagine, ritratto o video di E. C. dalla pagina Facebook di Lormar A detti comandi va accompagnata la fissazione di una penale di E 5000,00 per ogni giorno di ritardo dell’ inibitoria impartita con la presente sentenza a partire al 10° giorno successivo alla notificazione in forma esecutiva della stessa, nonché della penale di euro 50,00 per ogni prodotto immesso in commercio in violazione dell’ inibitoria. Infine sussistono i presupposti per disporre la pubblicazione della sentenza per una volta a caratteri doppi del normale, sui settimanali Donna Moderna e Grazia e per trenta giorni sul sito aziendale di Lormar (–omissis–) a spese della società convenuta e a cura delle attrici. D) I danni subiti da Lidia ed E. C. l’ utilizzo illecito dell’ immagine, del ritratto e del nome di E. C. oltre i termini contrattuali ha prodotto un danno patrimoniale (per illecito sfruttamento degli stessi a fini commerciali e per svilimento della testimonial) e un danno non patrimoniale in termini lesione dell’ immagine della ‘ persona’ di E. C. manipolata fino a poter essere utilizzata come ‘ mero supporto tecnico’ (come la stessa convenuta del resto afferma, pur con l’ intento di replicare alla contestazione mossale da controparte) e di abusivo uso del suo nome /pseudonimo. Legittimata a chiedere il danno patrimoniale è solo la Lidia Corp cui la sig. C. ha concesso in esclusiva il diritto di sfruttamento dei propri diritti d’ immagine. Mentre legittimata a far valere il danno morale è solo la sig. E. C. Il danno patrimoniale come sopra individuato va determinato in via equitativa; allo scopo pare ragionevole fare ricorso al criterio del c.d. giusto prezzo del consenso (cui fanno riferimento gli artt. 158, comma 2, L. 633/1941 e 125 D.lgs 30/2005 e, quanto al ritratto e al nome, gli artt. 96 e 97 L. 633/1941 e 8, comma 3, D.lgs 30/2005) come del resto ammette la stessa Corte di legittimità: ‘ in assenza di prova di specifiche voci di danno patrimoniale,(che nella specie, in effetti, l’ attrice Lidia Corp, pur invocando l’ impossibilità di concludere contratti di Testimonial, non ha offerto) il risarcimento dovuto al soggetto la cui immagine sia stata utilizzata in difetto di autorizzazione può essere liquidato in via equitativa sulla base del compenso che il titolare del diritto avrebbe richiesto per consentirne l’ uso (Cass. 11 maggio 2010 n. 11353, Cass. 16 maggio 2008 n. 12433), Omissis. Appare, peraltro, condivisibile la considerazione che il risarcimento vada commisurato non solo all’ importo che il titolare del diritto e il licenziatario avevano concordato in normali condizioni di mercato, bensì nell’ importo che avrebbero concordato ad illecito già accertato, quando quindi il titolare del diritto – nello scenario ipotetico funzionale alla liquidazione equitativa – concederebbe lo sfruttamento a fronte di un diritto ormai violato: contesto in cui il prezzo è ragionevole ritenere sarebbe stato maggiore rispetto a quello determinato nelle ordinarie condizioni di mercato, perché necessario, appunto, funzionale a fra si che il titolare rilasciasse ex post il proprio consenso allo sfruttamento del diritto. Ebbene considerato che l’ illecito utilizzo dell’ immagine e del nome della testimonial si è protratto per oltre un anno (almeno fino al 13 marzo 2015) in assenza di consenso, e che il corrispettivo previsto per il lecito utilizzo ‘ di tutti i diritti di immagine, di uso del nome’ è stato di euro 110.000,00, appare ragionevole far riferimento in via equitativa a detto importo, anche perché la convenuta osserva che sarebbe necessario ridurre l’ importo risarcitorio preteso da parte attrice invocando criteri (‘ il compenso pattuito per lo sfruttamento del diritto all’ immagine e del nome per la durata di un anno non fu quindi pari ad E 110.000, bensì alla minor somma di E 40.000: ragionevolmente paritetica per immagine e nome’ (comparsa conclusionale, pag. 17) che non trovano un riscontro nella lettera del contratto di testimonial. Pertanto considerato che l’ illecito sfruttamento dell’ immagine del nome (e dello pseudonimo) di E. C. è durato circa un anno (dal 31 marzo 2014 ad, almeno, il 13 marzo 2015) il corrispettivo spettante a Lidia per un anno di sfruttamento dell’ immagine, del ritratto e del nome di E. C. da parte di Lormar è stato contrattualmente determinato in E 110.000,00 (‘ prezzo del consenso alle ordinarie condizioni di mercato’ ) si può ragionevolmente concludere che il danno in parola possa determinarsi in via equitativa, in complessivi euro 120.000 euro, oltre interessi legali ed alla rivalutazione monetaria dalla data dell’ evento lesivo (1.4.2014) al saldo. Sempre in via equitativa va risarcito il danno non patrimoniale subito dalla sig. C. per l’ abusiva manipolazione dell’ immagine di E. C. e del suo pseudonimo, che il Tribunale reputa congruo determinare, in considerazione della durata e della diffusività di detta condotta in euro 30.000 oltre interessi legali ed alla rivalutazione monetaria dalla data dell’ evento (28.4.2014) al saldo. Spese. Le spese di lite, il cui onere segue il criterio della soccombenza si liquidano – in considerazione del valore della causa, delle tariffe e dell’ impegno difensivo profuso – in euro 13,400 per compensi, 15% su compensi per spese forfetarie, CPA e IVA come per legge – Omissis.
App. Milano, sez. spec. impresa, 22 gennaio 2021, n. 225 – Pres. Bonaretti, rel. Fontanella – Lormar s.r.l. (avv. Giuffrida); Lidia Corp. e Elisabetta Canalis (avv. Morretta).
– Omissis Con il primo motivo l’ appellante contesta di avere mantenuto sul proprio sito web fino al 16 dicembre 2014 le foto di El. Ca. scattate in esecuzione del contratto successivamente alla scadenza pattuita nel 31/3/2014 e sostiene la permanenza sul sito delle predette foto, pur essendo decorso il termine di durata del contratto, solo fino al 28 aprile 2014 . In proposito l’ appellante contesta l’ idoneità a provare la permanenza ulteriore della documentazione fornita dalle attrici, consistente in una serie di screenshot, ritraenti il sito web dell’ appellante (–omissis–) e recanti data successiva alla scadenza del contratto. Afferma l’ appellante che il predetto strumento di tracciamento delle versioni passate delle pagine web sarebbe privo di qualsivoglia attendibilità, atteso che non esisterebbe alcuna certezza circa la corrispondenza delle schermate dallo stesso estratte alle pagine originali e alla data delle stesse; ripropone pertanto l’ istanza di disconoscimento ex art. 2712 c.c. dei documenti in questione. Rileva la Corte che il Tribunale ha ritenuto tali screenshot prodotti attraverso l’ interfaccia Wayback Machine idonei a provare la condotta illecita, nonché il perdurare della stessa almeno fino al 16 dicembre 2014,1 in particolare, nella motivazione della sentenza viene chiarito che l’ interfaccia Wayback Machine, ‘ non si limita ad archiviare gli screenshot delle pagine web ma é in grado di replicare l’ intero codice HTML delle pagine archiviate, conservando elementi caratterizzanti quali l’ URL (…), la data, il tipo di codifica della pagina web’ , fornendo così una sufficiente ‘ garanzia dell’ attendibilità del servizio di archiviazione e ‘ ripescaggio’ dei dati memorizzati’ (cfr. p. 5). 1 La prima schermata prodotta risulta datata 6 aprile 2014, mentre l’ ultima riporta per l’ appunto la data del 16 dicembre 2014 (cfr. doc. 32 parte appellata). Il Tribunale ha anche ritenuto inammissibile il disconoscimento dei documenti digitali operato dalla Lormar, affermando che l’ unico disconoscimento consentito ai sensi dell’ art. 2712 c.c. é quello volto a contestare la non conformità tra una copia (cartacea o informatica) ed il suo originale. Rileva la Corte, che, come accertato dal Tribunale e come spiegato nella perizia tecnica prodotta dalle appellate (la cui ammissibilità é riconosciuta da Cass.S.U. n.13902/13 secondo cui ‘ la ctp costituisce una semplice allegazione difensiva a contenuto tecnico, priva di autonomo valore probatorio, sicché la sua produzione, in quanto sottratta al divieto di cui all’ art. 345 cpc é ammissibile in appello’ ), gli screenshot sono stati ottenuti tramite il servizio ‘ Web Archive – Wayback Machine’ (accessibile dal sito –omissis–); Web Archive consiste in una biblioteca digitale no profit, contenente quello che può essere definito un archivio storico delle pagine internet (Web Archive archivia, al momento, circa 400 miliardi di pagine) il quale, tramite l’ interfaccia ‘ Wayback Machine’ , memorizza nel tempo i cambiamenti delle pagine web, consentendo pertanto di accedere alle loro ‘ versioni passate’ ossia di visualizzare un determinato sito come esso risultava in una data precedente a quella attuale. L’ interfaccia Wayback Machine non si limita a ‘ fotografare’ le pagine web e a conservare gli screenshot così ottenuti, bensì acquisisce l’ intero codice di programmazione (codice HTML) che indentifica e ‘ sostiene’ ciascuna pagina, garantendo così la corrispondenza tra la pagina web come era e la versione della stessa ‘ riprodotta’ ex post da Web Archive. Le appellate hanno altresì richiamato giurisprudenza internazionale che dimostra come tale sito costituisca un sistema di archiviazione delle pagine internet accreditato come strumento idoneo a consentire il recupero di ‘ prove’ pubblicate online e successivamente cancellate (cfr. United District Court for the Eastern District of Pennsylvania, case n. 05-3524, Healthcare Advocates vs. Harding Earley, Follmer & Frailey et. al. del 20 luglio 2007; United States District Court for the District of Kansas, case n. 14-2464-JWL, Marten Transport Ltd vs. Plattform Advertising Inc. del 29 aprile 2016, prodotte in giudizio con i docc. 37 e 39 ). Sulla base di tutto ciò e in assenza di una convincente prova contraria da parte dell’ appellante, che si é limitata a una generica contestazione dell’ attendibilità dei documenti, deve condividersi la valutazione del Tribunale che ha concluso : ‘ attraverso l’ interfaccia ‘ Wayback Machine’ si può verificare come appariva il sito Lomar in passato e constatare che alle date 6/4/14, 21/9/14, 21/10/14,8/11/14, 6/12/14,e 16/12/14 il sito della convenuta conteneva immagini di El. Ca.’ Con riguardo poi al disconoscimento operato dall’ appellante, osserva la Corte che l’ art.2712 cc. consente di contestare i documenti elettronici che costituiscono rappresentazione informatica di atti, fatti o altri dati aventi rilevanza giuridica, resa possibile grazie alle nuove tecniche derivanti dal progresso scientifico. Come chiarito dalla giurisprudenza, il “disconoscimento” che fa perdere alle riproduzioni informatiche idoneità probatoria, deve concretarsi nell’ allegazione di chiari elementi indicatori della non corrispondenza tra realtà fattuale e realtà riprodotta (cfr. Cassazione civile, sentenza n. 3122 del 17 febbraio 2015; Cassazione civile, sentenza n. 8998 del 3 luglio 2001) il che non é nella fattispecie in cui l’ appellante ha formulato un generico disconoscimento sul presupposto – del tutto indimostrato – di una verità fattuale asseritamente divergente dalle risultanze degli screenshot. Con il secondo motivo l’ appellante contesta che le manipolazioni effettuate sulle fotografie di El. Ca. (nello specifico, l’ eliminazione del volto e la cancellazione dei tatuaggi di quest’ ultima) abbiano concretato un utilizzo abusivo dell’ immagine e del ritratto, nonché la violazione dei diritti della persona. Il motivo é infondato. Rileva la Corte che Lomar srl non nega di aver posto in essere la condotta denunciata, ma contesta che la stessa integri gli illeciti predetti, sostenendo, da un lato, che le manipolazioni apportate alle foto della signora Ca. sarebbero state tali da rendere del tutto irriconoscibile la persona nelle stesse ritratta, dall’ altro, che i ritocchi effettuati sulle fotografie della Ca. non sarebbero state in alcun modo ‘ offensive’ per la modella ivi ritratta. Ritiene la Corte che Lormar S.r.l., con la pubblicazione non autorizzata delle foto di El. Ca. così ritoccate, ha certamente fruito abusivamente dell’ immagine pubblica di quest’ ultima, avvantaggiandosi della notorietà della showgirl a fini di pubblicità commerciale, giacché dall’ esame delle foto in questione può affermarsi che, pur a fronte dei ritocchi e delle manipolazioni, la modella ritratta fosse perfettamente riconoscibile: il volto della showgirl é solo parzialmente tagliato, ma la parte inferiore dello stesso (ed in particolare la bocca) rimane completamente visibile, così come le braccia e le mani e, di conseguenza, la gestualità. Ciò risulta chiaramente dalla comparazione effettuata dal Tribunale (cfr. p. 6), che ha accostato le foto originali di El. Ca. a quelle ritoccate, mettendo in evidenza come le manipolazioni di Lormar non siano affatto tali da rendere non riconoscibile il soggetto e come, anzi, dal confronto emerga che Lormar non avesse affatto intenzione di nascondere l’ identità della modella ritratta nelle immagini. Inoltre, come correttamente rilevato in sentenza, le foto manipolate da Lormar sono state pubblicate sul sito web di quest’ ultima senza soluzione di continuità con quelle ‘ intere’ , scattate quando il contratto tra le parti era ancora in vigore ed utilizzate da Lormar per la propria campagna pubblicitaria, così che i consumatori ai quali la predetta campagna era diretta erano portati ad associare le foto ‘ tagliate’ a quelle ‘ intere’ , pubblicate sino a poco prima sul medesimo sito, dunque ad indentificare in El. Ca. la modella ritratta nelle stesse. Per quanto riguarda, poi, la lesione dei diritti non patrimoniali della sig.ra Ca., é evidente come l’ operazione effettuata da Lormar di taglio e modifica delle immagini fotografiche costituisca un atto gravemente lesivo per il soggetto rappresentato : come lamentato da parte appellata e come correttamente rilevato dal Tribunale, le manipolazioni descritte hanno fatto sì che il corpo della Ca. venisse, di fatto, mortificato, mercificato ed utilizzato alla stregua di un manichino, per esporre e mostrare la merce di Lormar, sì da compromettere l’ integrità dell’ immagine e la dignità della persona. Peraltro, il pregiudizio subito da parte appellata in ragione della condotta descritta appare ancora più grave ove si consideri che dal contratto concluso tra la Li. Co.. e la Lormar emerge chiaramente il forte interesse della sig.ra Ca. a mantenere il controllo sulla propria immagine nonché a prevenire ogni tipo di modificazione non autorizzata della stessa. Infatti, a pag. 3 del contratto si legge che ‘ la Lormar garantisce che non verrà fatto alcun altro uso dell’ immagine della testimonial oltre a quello espressamente previsto nel presente accordo e che del materiale prodotto non verrà fatto alcun uso diverso da quello pattuito né verrà diffuso in forme e/o modi e/o a terzi soggetti destinatari diversi da quelli pattuiti’ e che ‘ dopo la scadenza del contratto, la Lormar si impegna a non utilizzare più, in nessun modo e nessuna forma, il materiale pubblicitario realizzato’ . Inoltre, a pag. 4 (punto 3.9) viene previsto che ‘ il volto e il corpo dell’ artista non potrà subire alcuna modifica nei lineamenti o nelle espressioni’ e che ‘ qualsiasi manipolazione non autorizzata della figura verrà considerata come un danno per l’ immagine dell’ artista e come inadempimento dell’ intero rapporto contrattuale’ . Pertanto, anche alla luce delle pattuizioni contrattuali non residua alcun dubbio che la manipolazione delle foto della sig.ra Ca. operata da Lormar abbia integrato una condotta illecita in violazione dei diritti della persona. Con il terzo motivo, l’ appellante censura la sentenza nella parte in cui accerta che Lormar non avrebbe potuto utilizzare il nomignolo ‘ Eli’ (diminutivo del nome ‘ El.’ , rivendicato dalla Ca. quale pseudonimo con cui la showgirl é nota al pubblico) come marchio con cui indentificare i suoi prodotti facenti parte di una linea di abbigliamento intimo (ossia la linea ‘ new basic’ , in cui ogni capo viene associato ad un nome o nomignolo femminile). In particolare, Lormar sostiene di aver fatto uso di tale pseudonimo già in passato e in un contesto completamente estraneo alla collaborazione con El. Ca. e produce alcuni cataloghi Lormar degli anni 2002, 2003, 2004 e 2006 in cui risulta già presente una linea di intimo denominata ‘ Eli’ (come dimostrato dalle fatture già prodotte in primo grado e allegate quale doc. 15 all’ atto di appello). Inoltre, l’ appellante evidenzia come il nomignolo in questione non potrebbe comunque ritenersi assurto a notorio pseudonimo della sig.ra Ca., trattandosi di un comune diminutivo del nome ‘ El.’ , utilizzabile da chiunque porti tale nome. Il motivo é infondato. Rileva la Corte che, effettivamente la documentazione prodotta da parte appellante attesta l’ uso in passato da parte di quest’ ultima dello pseudonimo in questione, ma é altrettanto vero che tale diminutivo – la cui diretta associabilità, presso il pubblico, con El. Ca. risulta dalla stessa provata attraverso la produzione di numerosi articoli di stampa – é stato ‘ riesumato’ dalla Lormar proprio in concomitanza della collaborazione con El. Ca. ed é stato per di più associato proprio a quegli stessi prodotti di lingerie indossati da quest’ ultima nella campagna pubblicitaria realizzata in esecuzione del contratto di testimonial concluso. Dunque, non sembra plausibile che tale scelta sia stata casuale, apparendo invece dettata, come correttamente rilevato dal Tribunale e dalle parti appellate, proprio dalla volontà di ‘ rafforzare’ il ruolo di Ca. quale testimonial di Lormar in vigenza di contratto, e, una volta scaduto quest’ ultimo, dall’ intenzione di continuare a sfruttare la notorietà della showgirl a fini pubblicitari, approfittando dell’ associazione ormai creatasi nei consumatori tra la persona della Ca. ed i prodotti Lormar. Tale convinzione, rileva la Corte, é ulteriormente confermata dalla constatazione che nella menzionata linea di intimo denominata ‘ new basic’ , ‘ Eli’ é l’ unico diminutivo di nome italiano, mentre tutti gli altri sono nomi completi stranieri, che richiamano le protagoniste di famose serie tv (‘ Sex and the City’ e ‘ Desperate Housewives’ ). Pertanto va condivisa la valutazione del Tribunale secondo cui la descritta condotta tenuta da Lormar viola le norme del codice civile (artt. 6, 7 e 9) e del codice della proprietà industriale (artt. 8, comma 3) Con il quarto motivo, l’ appellante censura il capo della sentenza che la ritiene responsabile della illegittima presenza delle fotografie della Ca. sul profilo facebook della Lormar, sostenendo che non si potrebbe pretendere un controllo costante delle immagini che compaiono sul web. Il motivo é palesemente infondato. Rileva la Corte che l’ attrice ha contestato nel giudizio di primo grado non la generica circolazione di proprie foto sul web, ma la pubblicazione delle stesse specificamente sul profilo facebook della Lormar, in violazione degli impegni contrattuali che imponevano a tale società di interrompere l’ uso di ogni sua immagine dopo la scadenza del contratto di testimonial. E’ poi indubbio che la Lormar abbia ampia e concreta possibilità, nonché l’ onere, di controllare ciò che viene postato sulla propria pagina facebook aziendale. Con il quinto motivo Lormar S.r.l. censura la sentenza nella parte in cui ha accertato l’ indebita utilizzazione da parte sua del nome di El. Ca., sostenendo di non aver mai utilizzato tale nome ed evidenziando che, peraltro, l’ appellata non avrebbe mai lamentato nulla in proposito. Il motivo va respinto. Rileva la Corte che Lormar S.r.l., come si é visto, ha fatto illecito uso, dopo la scadenza del contratto intercorso tra le parti, dello pseudonimo ‘ Eli’ , ed é evidente che tale pseudonimo, non rappresenta solamente un diminutivo del nome proprio ‘ El.’ , ma comporta l’ immediata associazione al personaggio che era stato fino a quel momento testimonial dell’ abbigliamento commercializzato, da qui l’ indebito utilizzo anche del nome di El. Ca.. Come ha condivisibilmente replicato la difesa dell’ appellata, la protezione richiesta in relazione ai fatti dedotti deve intendersi complessiva, ossia inerente alla persona e al nome, di cui lo pseudonimo é parte integrante. Con il sesto motivo, parte appellante censura la sentenza con riguardo alle statuizioni condannatorie, adducendo la mancanza di prova dei danni, sia patrimoniali che non patrimoniali,, nonché, con riguardo ai primi, l’ erronea interpretazione da parte del Tribunale del c.d. ‘ criterio del giusto prezzo del consenso’ e, con riguardo ai secondi, l’ insussistenza degli illeciti comportanti un qualche pregiudizio ai danni di El. Ca.. Lormar sostiene altresì che il risarcimento dei danni non patrimoniali non sarebbe dovuto anche perché il pregiudizio derivante dall’ illecito sfruttamento dell’ immagine della Ca. sarebbe stato già risarcito quale danno patrimoniale. Il motivo é infondato e va respinto. Rileva la Corte, che il Tribunale ha analiticamente descritto gli illeciti commessi nei confronti di Li. Co.. (cfr. p. 8) ed il danno conseguente (cfr. pag. 9 della sentenza), chiarendo che l’ utilizzo illecito dell’ immagine, del ritratto e del nome (nei termini appena illustrati) ha comportato tanto un danno patrimoniale conseguente all’ illecito sfruttamento degli stessi a fini commerciali e allo svilimento dell’ immagine della testimonial sul mercato, quanto un parallelo danno morale, per la lesione dell’ immagine ‘ personale’ (e non commerciale) di El. Ca., conseguente all’ aver Lormar manipolato le raffigurazioni del corpo dell’ appellata fino a mercificarla ed utilizzarla come mero supporto tecnico e nell’ avere utilizzato abusivamente la sua notorietà e il suo nome, condotta quest’ ultima che pregiudica l’ ambito personale oltre che quello commerciale. Ebbene, con riguardo al danno patrimoniale, la giurisprudenza afferma: ‘ chiunque pubblichi abusivamente il ritratto di una persona notoria, per finalità commerciali, é tenuto al risarcimento del danno, la cui liquidazione deve essere effettuata tenendo conto anzitutto delle ragioni della notorietà, specialmente se questa é connessa all’ attività artistica del soggetto leso, alla quale si collega normalmente lo sfruttamento esclusivo dell’ immagine stessa; pertanto l’ abusiva pubblicazione, quando comporta la perdita, da parte del titolare del diritto, della facoltà di offrire al mercato l’ uso del proprio ritratto, dà luogo al corrispondente pregiudizio’ (cfr. per tutte Cass. 1° dicembre 2004, n. 22513). Nella fattispecie l’ abusivo utilizzo del ritratto e dello pseudonimo di El. Ca. a fini commerciali ha impedito alla suddetta (o meglio, alla Li. Co.. quale titolare del diritto allo sfruttamento commerciale dei predetti diritti) di poter presentare e ‘ vendere’ sul mercato l’ immagine e il nome del personaggio con la stessa effettività con cui avrebbe potuto farlo in assenza della condotta illecita, pertanto Li. Co.. ha senz’ altro diritto al ristoro del pregiudizio corrispondente. In merito alla quantificazione del danno, infondate devono ritenersi le contestazioni di parte appellante secondo cui la stessa sarebbe eccessiva e errata. Invero il Tribunale, tenuto conto che gli illeciti commessi da Lormar derivavano dall’ aver proseguito per un periodo di circa un anno ad utilizzare le immagini ed il nome della Ca. dopo la scadenza del contratto di testimonial, ha ragionevolmente ritenuto di quantificare il danno in via equitativa sulla base del compenso che il titolare del diritto avrebbe percepito se il contratto fosse stato regolarmente prorogato per un altro anno, applicando poi una maggiorazione volta a tenere conto del fatto che tale consenso viene fornito ad illecito già perpetrato e quindi senza piena ‘ libertà di scelta’ in merito alla concessione dello sfruttamento. Pertanto, poiché il compenso previsto dal contratto stipulato tra Lormar e Li. Co.. per un anno ammontava ad Euro 110.000,00, il Tribunale ha quantificato il danno patrimoniale in E. 120.000,00. Rileva la Corte che tale criterio é del tutto conforme alla giurisprudenza di legittimità (cfr. in particolare Cass. 11 maggio 2010, n. 11353; Cass. 16 maggio 2008, n. 12433) e va senz’ altro condiviso. Con riguardo, invece, al danno non patrimoniale, il Tribunale ha liquidato Euro 30.000 in favore di El. Ca.: la liquidazione é stata effettuata in via equitativa, tenendo conto della durata della condotta (circa un anno) e della diffusività della stessa (che ha riguardato più profili, dalla manipolazione delle foto e cancellazione degli attributi propri della persona all’ uso indebito dello pseudonimo della danneggiata). A tal proposito, é priva di fondamento la contestazione di Lormar secondo cui il risarcimento non sarebbe dovuto in quanto la violazione dell’ immagine di El. Ca. sarebbe già stata risarcita in sede di liquidazione del danno patrimoniale a favore di Li. Co.. E’ appena il caso di ricordare che il pregiudizio non patrimoniale ha natura diversa dal pregiudizio economico connesso all’ illecito sfruttamento commerciale, giacché le condotte di mercificazione e svilimento della persona hanno comportato la lesione di diritti assoluti e indisponibili che prescindono dalla sfruttabilità economica dell’ immagine del danneggiato. Con il settimo motivo, infine, viene impugnata la statuizione che inibisce alla Lormar il futuro utilizzo dell’ immagine, del ritratto, del nome e dello pseudonimo di El. Ca., sostenendo l’ appellante che le predette inibitorie, così come le correlate penali, sarebbero inutilmente punitive a fronte della cessazione dell’ utilizzo delle fotografie (quanto meno, intere) della Ca. già dall’ aprile 2014 (ossia un solo mese dopo la scadenza del contratto). Il motivo é infondato e va respinto. Rileva la Corte che le inibitore nei confronti di Lormar S.r.l. hanno la chiara funzione di evitare che le condotte illecite da quest’ ultima poste in essere nei tempi e nei modi accertati con la sentenza possano ripetersi in futuro ed é pertanto irrilevante che le stesse fossero già cessate al momento della pronuncia, non potendosi escludere la commissione di illeciti futuri. In conclusione, l’ appello va rigettato con l’ aggravio delle spese, secondo il principio della soccombenza – Omissis.
[1] Come ben sottolinea G. Carapezza Figlia, Diritto all’ immagine e «giusto rimedio civile». Tre esperienze di civil law a confronto: Italia, Francia e Spagna, in Rass. dir. civ., 2013, 3, p. 888, per il quale “la sottrazione della circolazione dell’ immagine al consenso del soggetto effigiato appare una regola di giudizio ragionevole, soltanto qualora concretizzi la preferenza gerarchica sul diritto all’ immagine di un principio concorrente dotato della medesima caratura assiologica”.
[2] La vicenda, con particolare riguardo al diritto allo sfruttamento commerciale della notorietà, è esaminata da R. Caso, La società della mercificazione e della sorveglianza: dalla persona ai dati. Casi e problemi di diritto civile, Milano, 2021, pp. 30 ss.
[3] Le ipotesi sono tassative e si rinvengono in necessità di giustizia o di polizia, scopi scientifici, didattici o culturali, notorietà o ufficio pubblico ricoperto, collegamento della riproduzione a fatti, avvenimenti o cerimonie di interesse pubblico o svoltesi in pubblico. Va, in ogni caso, specificato che, pur in presenza di un interesse pubblico tale da giustificare la divulgazione dell’ immagine, risulta comunque indispensabile rispettare la dignità del soggetto ritrattato, in termini di onore, reputazione e decoro. Al riguardo, cfr. Cass. civ., 5 aprile 1978, n. 1557, in Foro pad., 1979, I, c. 309; Cass. civ., 2 maggio 1991, n. 4785, in Giur. it., 1991, I, 1, cc. 975 ss.; Cass. civ., 29 settembre 2006, n. 21172, in Giust. civ., 2007, I, p. 2785.
[4] Sulla necessità del consenso per procedersi alla riproduzione dell’ immagine altrui, cfr. Trib. Milano, 21 gennaio 2014, sez. spec. Imprese, in Dir. ind., 2015, 3, pp. 292 ss., con nota di C. Del Re, Tutela dell’ immagine: nozione estensiva del Tribunale di Milano, per cui l’ utilizzo non autorizzato di una sosia che impieghi gli elementi caratterizzanti il personaggio della Audrey Hepburn impersonificato in “Colazione da Tiffany” senza il consenso degli eredi costituisce violazione del diritto all’ immagine ex art. 10 c.c. in quanto oggetto di tutela sulla base della normativa civilistica e dei relativi fondamenti costituzionali (art. 2 Cost.). Cfr. altresì Trib. Roma, sez. spec. Imprese, 17 luglio 2014, ivi, 2015, 3, pp. 273 ss., con nota di F. Florio, Il diritto all’ immagine dei personaggi famosi – Il diritto all’ immagine, la necessità del consenso e le sue eccezioni, per cui, in ipotesi di compresenza tra finalità informative e culturali, da un lato, e commerciali, dall’ altro, occorre far ricorso ad un giudizio di bilanciamento tra i predetti fini e considerare lecita l’ utilizzazione dell’ immagine solo quando le prime finalità sopra indicate prevalgono. Nel caso di specie, il Tribunale non ha ritenuto violati né il diritto alla riservatezza, attesa la preminenza dell’ interesse pubblico alla conoscenza delle fattezze di un cantante famoso e di fatti attinenti alla sua vita privata ed artistica, né il diritto alla personalità individuale, dal momento che non sono state manipolate le vicende del personaggio famoso attraverso la rappresentazione di eventi non accaduti o non veritieri o lesivi dell’ onore e della reputazione dello stesso. La Cassazione pure esclude la liceità dello sfruttamento dell’ immagine altrui senza il consenso dell’ interessato, poiché considera irriducibile alle esigenze di pubblica informazione l’ impiego dell’ effige a scopi prevalentemente di lucro, come quelli pubblicitari (cfr. Cass. civ., 13 aprile 2007, n. 8838, in Riv. dir. ind., 2008, p. 133).
[5] G. Resta, Diritti della personalità: problemi e prospettive, in Dir. informaz. e inf., 2007, 6, p. 1068; S. Bonavita, E. Stringhi, Identità digitale e personalità online: i profili sostanziali di tutela, in www.quotidianogiuridico.it, 3 maggio 2021.
[6] Cass. civ., 17 febbraio 2004, n. 3014, in Resp. civ., 2004, 2, pp. 112 ss., con nota di A. Albanese, Immagine: lesione del diritto e consenso tacito allo sfruttamento commerciale; Cass. civ., 29 gennaio 2016, n. 1748, cit.
[7] Cass. civ., 16 giugno 2022, n. 19515, in Mass. Giust. civ., 2022, per cui l’ esimente prevista dall’ art. 97 della l. n. 633 del 1941, secondo cui non occorre il consenso della persona ritratta in fotografia quando, tra l’ altro, la riproduzione dell’ immagine è giustificata dalla notorietà o dall’ ufficio pubblico ricoperto, ricorre non solo allorché il personaggio noto sia ripreso nell’ ambito dell’ attività da cui la sua notorietà è scaturita, ma anche quando la fotografia lo ritrae nello svolgimento di attività a quella accessorie o comunque connesse, fermo restando, da un lato, il rispetto della sfera privata in cui il personaggio noto ha esercitato il proprio diritto alla riservatezza, dall’ altro, il divieto di sfruttamento commerciale dell’ immagine altrui, da parte di terzi, al fine di pubblicizzare o propagandare, anche indirettamente, l’ acquisto di beni e servizi. Cfr. Cass. civ., 27 novembre 2015, n. 24221, in Mass. Giust. civ., 2015; Trib. Milano, sez. spec. Imprese, 16 aprile 2015, in www.ilcaso.it.
[8] App. Milano, 22 gennaio 2021, in www.rplt.it.
[9] Trib. Milano, 6 giugno 2018, in Dir. ind., 2019, 5, pp. 505 ss., con nota di G. Gatti, Il tatuaggio come elemento costitutivo dell’ immagine della persona, ha accertato l’ illecito utilizzo da parte dell’ azienda di cui una showgirl era testimonial, del nome, dello pseudonimo, dell’ immagine e del ritratto della modella, nonché l’ illecita manipolazione delle fotografie che la ritraggono. Il Tribunale ha rilevato altresì che le predette condotte si erano protratte per un periodo di circa un anno e ha pertanto condannato l’ azienda al risarcimento del danno patrimoniale pari ad euro 120.000, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria dalla scadenza del contratto al saldo, nonché del danno non patrimoniale quantificato in euro 30.000, oltre interessi e rivalutazione come già indicati. Il Tribunale ha, inoltre, inibito alla convenuta qualsiasi ulteriore utilizzo dell’ immagine, del ritratto (anche elaborato), del nome della showgirl, oltre che del suo pseudonimo, fissando una penale pari ad euro 5.000 per ogni giorno di ritardo e ad euro 50,00 per ogni prodotto messo in commercio in violazione della sentenza e ha ordinato la pubblicazione del provvedimento su riviste di settore e sul sito web della convenuta.
[10] Trib. Milano, 6 giugno 2018, cit., afferma che nel caso in cui una persona abbia scelto di imprimere sul proprio corpo permanentemente dei tatuaggi, con l’ intento di conferire ad essi un’ identità specifica per la sua persona, la rimozione non autorizzata degli stessi su ritratti fotografici in digitale è un atto gravemente abusivo dell’ immagine. Cfr., però, anche Trib. Torino, sez. spec. Imprese, 27 febbraio 2019, n. 940, in Dir. ind., 2020, 1, pp. 54 ss., con nota di A. Pistilli, Il caso Audrey Hepburn: i recenti sviluppi sullo sfruttamento dell’ immagine in assenza di consenso e l’ abuso dell’ immagine altrui, il quale, in una causa promossa contro una società che aveva realizzato e commercializzato, anche via social network, magliette con il ritratto di Audrey Hepburn ricoperta di tatuaggi, ha riconosciuto agli eredi della stessa, oltre il danno patrimoniale, altresì la responsabilità extracontrattuale derivante dall’ annacquamento dell’ immagine per la perdita di valore commerciale della stessa, ritenendo che i tatuaggi fossero lesivi del decoro dell’ attrice. Sul tema, cfr. altresì, E. Poddighe, Tatuaggi e identità personale, in Dir. informaz. e inf., 2022, 3, pp. 557 ss. per la quale “si potrebbe forse ipotizzare che nel caso dei tatuaggi il diritto all’ identità personale evolva verso il diritto all’ autodeterminazione, muovendo dal lato meramente passivo della “etero-rappresentazione”, a quello più propriamente attivo della “auto-rappresentazione”.
[11] Osserva F. Di Ciommo, Diritti della personalità tra media tradizionali e avvento di internet, in G. Comandè (a cura di), Persona e tutele giuridiche, Torino, 2003, p. 38, che la nascita e la progressiva affermazione della società dell’ informazione, attribuendo un valore sempre crescente all’ immagine, ha contribuito ad incrementare pure l’ importanza del nome “sino a renderlo – così come l’ immagine – un bene che, pur non essendo trasferibile ad altri, può essere utilizzato dal suo titolare a fini di lucro”. L’ a. offre l’ esempio delle campagne pubblicitarie in cui si associa un dato prodotto ad un nome noto che evoca un personaggio e, quindi, la sua immagine per varie ragioni apprezzato dalla collettività senza che il suo ritratto compaia.
[12] Su cui si rinvia a P. Pardolesi, Un’ innovazione in cerca d’ identità: il nuovo art. 125 CPI, in Corr. giur., 2006, 11, pp. 1605 ss.
[13] Sulla base del parametro del c.d. prezzo del consenso. Cfr. Cass. civ., 10 novembre 1979, n. 5790, in Giust. civ., 1980, I, p. 1372; Cass. civ., 6 febbraio 1993, n. 1503, ivi, 1994, I, c. 229; Cass. civ., 10 giugno 1997, n. 5175, in Foro it., 1997, I, 2, c. 920; Cass. civ., 11 ottobre 1997, n. 9880, ivi, 1998, I, c. 499. Osserva Trib. Napoli, 8 settembre 2022, in www.dejure.it, che “la quantificazione dell’ importo del risarcimento dovuto andrà peraltro commisurata alla durata, limitata sotto il profilo sia spaziale che temporale, dell’ abusivo utilizzo contestato, nonché delle modalità dell’ utilizzo stesso”.
[14] Cass. civ., 1 dicembre 2004, n. 22513, in Danno e resp., 2005, 10, pp. 969 ss.?
[15] Cass. civ., 16 maggio 2008, n. 12433, in Nuova giur. civ. comm., 2008, 12, pp. 404 ss., nonché Trib. Tortona, 24 novembre 2003, in Danno e resp., 2004, 5, con nota di P. Pardolesi, Il cigno rossonero: illecito sfruttamento e dilution dell’ immagine; e di B. Tassone, La parabola del diritto all’ immagine: dal right of publicity al risarcimento del danno non patrimoniale, per cui “il risarcimento dovuto al soggetto di cui sia stata abusivamente sfruttata l’ immagine può essere liquidato sulla base del compenso che il titolare del diritto avrebbe richiesto per consentirne l’ uso e dell’ annacquamento dell’ immagine conseguente all’ utilizzo non autorizzato”. In dottrina, non condividono l’ applicazione del criterio del “giusto prezzo del consenso”, A. Albanese, Ingiustizia del profitto e arricchimento senza causa, Padova, 2005, p. 439; A. Thiene, L’ immagine fra tutela risarcitoria e restitutoria, in Nuova giur. civ. comm., 2011, 2, p. 349, argomentando soprattutto dal fatto che lo sfruttamento abusivo dell’ immagine altrui risulterebbe più conveniente della ricerca del consenso del titolare del diritto laddove, effettivamente, il ristoro corrisponda al corrispettivo dell’ uso dell’ immagine.
[16] G. Carapezza Figlia, op. cit., p. 888. L’ a. condivide l’ impostazione di C. Castronovo, La nuova responsabilità civile, Milano, 2006, p. 636, nt. 182, per cui la disciplina della responsabilità civile riguarda la lesione del diritto sotto il profilo della facoltà di godimento, mentre quella dell’ arricchimento afferisce al potere di disposizione.
[17] Cass. civ., 11 maggio 2010, n. 11353, in Foro it., 2011, I, cc. 540 ss., con nota di P. Pardolesi, Abusivo sfruttamento d’ immagine e danni punitivi, per la quale “considerato che ogni soggetto ha il diritto esclusivo sulla propria immagine, ed è il solo titolare del diritto di sfruttarla economicamente, ne deriva che, con la pubblicazione non autorizzata, l’ autore dell’ illecito si appropria indebitamente dei vantaggi economici che sarebbero spettati alla vittima. Il risarcimento dei danni patrimoniali consiste, pertanto, nel ritrasferire quei vantaggi dall’ autore dell’ illecito al titolare del diritto, e ad essi va commisurata l’ entità della liquidazione”.
[18] In proposito, cfr. P. Pardolesi, Responsabilità civile e arricchimento ingiustificato per lesione del diritto d’ autore e del diritto di proprietà industriale, in E. Gabrielli (dir. da), Comm. c.c., a cura di U. Carnevali, Milano, 2013, pp. 11 ss.; P. Trimarchi, L’ arricchimento senza causa, Milano, 1962, p. 44 ss.
[19] Cfr. A. Nicolussi, La lesione del potere di disposizione e l’ arricchimento, Milano, 1998, pp. 370 s.; P. Pardolesi, Arricchimento da fatto illecito: dalle sortite giurisprudenziali ai tormentali slanci del legislatore, in Riv. crit. dir. priv., 2006, 3, pp. 523 ss.; A. Albanese, Il rapporto tra restituzioni e arricchimento ingiustificato dall’ esperienza italiana a quella europea, in Contr. impr. Europa, 2006, 2, p. 922; D. Carusi, Il concorso dei rimedi restitutori con quello risarcitorio (e il problema dell’ arricchimento ottenuto mediante fatto ingiusto), in Riv. crit. dir. priv., 2008, 1, pp. 67 ss.; P. Sirena, La restituzione dell’ arricchimento e il risarcimento del danno, in Riv. dir. civ., 2009, 1, pp. 28 ss.
[20] Per alcuni il diritto all’ autodeterminazione sessuale non cadrebbe in questo ambito. Critico sul punto è, tuttavia, A.A. Wolf, Bereicherungsausgleich bei Eingriffen in höchstpersönliche Rechtsgüter, Baden-baden, 2017, passim.
[21] N. Klass, in Erman, BGB, 15. Aufl. 2017, Anhang zu § 12 Das Allgemeine Persönlichkeitsrecht, Rn.167.
[22] BVerfG, 14 febbraio 1973 – 1 BvR 112/65, in dejure.org.
[23] BGH, 14 aprile 1992 – VI ZR 285/91, in NJW, 1992, pp. 2084 s.; BGH, 14 ottobre1986 – VI ZR 10/86, in GRUR, 1987, p. 128.
[24] Nel caso “Paul Dahlke”, le immagini fotografiche dell’ attore su uno scooter erano state vendute anche al produttore di quest’ ultimo, che le aveva utilizzate per scopi pubblicitari. Per i giudici il consenso dell’ attore riguardava solo la pubblicazione su una determinata rivista e non anche l’ utilizzo delle foto per uno scopo diverso, vale a dire la pubblicità dello scooter, non potendosi discorrere (rispetto a questo profilo) neppure di consenso implicito. Cfr. BGH, 8 maggio 1956 – I ZR 62/54, in NJW, 1956, pp. 1554.
[25] S. Kläver, Bereicherungsrechtliche Ansprüche bei eines Verletzung des allegemeinen Persönlichkeitsrecht, Hamburg, 1999, pp. 185 ss. In giurisprudenza, tra le tante, rileva la vicenda dell’ attore Oskar Lafontaine che, poco dopo le dimissioni da ministro delle finanze, ha visto la propria immagine utilizzata da una grande compagnia di autonoleggio in una pubblicità che ritraeva il gabinetto federale. I giudici del BGH hanno ritenuto che, nella specie, l’ immagine o il valore pubblicitario dell’ attore non si riflettesse sul servizio pubblicizzato e, quindi, hanno negato la pretesa del richiedente. Cfr. BGH, 26 ottobre 2006 – I ZR 182/04.
[26] BGH, 1 dicembre 1999 – I ZR 49/97.
[27] Nella specie cfr. LG Offenburg, 15 novembre 2022 – 2 O 20/21 a proposito di un’ azione intentata da Boris Becher per l’ uso non autorizzato della sua immagine in un programma di intrattenimento del comico Pocher nell’ ottobre 2020. I giudici hanno ritenuto che, trattandosi di immagini attuali, alcun danno è derivato al tennista.
[28] BGH, 6 dicembre 2005, Az. VI ZR 265/04.
[29] BVerfG, 22 agosto 2006 – 1 BvR 1168/04, in GRUR, 2006, pp. 1049 s., C. Alexander, Das Spannungsfeld zwischen investigativem Journalismus und dem Schutz von Geschäftsgeheimnissen, in Zeitschrift für Medien- und Kommunikationsrecht, in AfP, 2017, 6, pp. 556 ss.
[30] Il § 22 KUG recita “Bildnisse dürfen nur mit Einwilligung des Abgebildeten verbreitet oder öffentlich zur Schau gestellt werden. Die Einwilligung gilt im Zweifel als erteilt, wenn der Abgebildete dafür, daß er sich abbilden ließ, eine Entlohnung erhielt. Nach dem Tode des Abgebildeten bedarf es bis zum Ablaufe von 10 Jahren der Einwilligung der Angehörigen des Abgebildeten. Angehörige im Sinne dieses Gesetzes sind der überlebende Ehegatte oder Lebenspartner und die Kinder des Abgebildeten und, wenn weder ein Ehegatte oder Lebenspartner noch Kinder vorhanden sind, die Eltern des Abgebildeten”. Sul punto, J. Kowalewsky, Die Werbung mit prominenten Personen ohne deren Einwilligung Das Recht am eigenen Bild und am eigenen Namen, Oldenburg, 2012, passim.
[31] In dottrina, cfr. H.P. Götting, in G. Schricker, U. Loewenheimm (Hrsg.), Urheberrecht, 2010, Rdnr. 7 zu § 60 / § 22 KUG. In BGH 14 aprile 1992, in NJW, 1992, pp. 2084 ss. i giudici hanno ritenuto che la pubblicizzazione dell’ immagine del noto attore Joachim Fuchsberger, che aveva indossato un paio di occhiali (ed era stato fotografato), da parte della maison integrasse gli estremi di una Eingriffskondiktion e cioè creasse le condizioni per un’ azione basata su una illecita interferenza.
[32] BGH, 24 febbraio 2022 – I ZR 2/21.
[33] B. Dickson, The Law of Restitution in the Federal Republic of Germany: A Comparison with English Law, in The International and Comparative Law Quarterly, 1987, 4, vol. 36, pp. 771 ss.
[34] J. Kowalewsky, op. cit.
[35] V. Emmerich, BGB-Schuldrecht Besonderer Teil. 12 Aufgabe, Heidelberg, 2009, pp. 230 ss.
[36] C.W. Canaris, Lehrbuch des Schuldrechts, II/2, 13. Auflage 1994, § 69 I1d, S.171
[37] BGH, 5 dicembre 1995 – VI ZR 332/94, dove per l’ appunto i giudici discorrono di Präventionsgedanken.
[38] H.P. Göting, C. Schertz, W. Seitz, Handbuch des Persönlichkeits rechts, Presse- und Medienrecht, München, 2019, pp. 850.
[39] Eloquente è quello raffigurante una ragazza seminuda e semisdraiata su un divano la quale, con espressione rassegnata, ostentava un collare in pelle nera, con incastonati vistosi aculei. In tale ipotesi, il Giurì dell’ Autodisciplina pubblicitaria ritenne che fosse innegabile il suggerimento dell’ idea della donna come oggetto di dono e che il contrasto fra la delicatezza della ragazza e l’ immagine degli aculei intorno al collo urtasse con il rispetto per la donna, per di più adolescente e con le esigenze di difesa della sua dignità (Giurì, n. 40/01, in www.iap.it). Un altro esempio può essere offerto da una pronuncia della medesima autorità, del 13 marzo 2006, n. 38, in Dir. ind., 2006, 4, pp. 376 ss., con nota di F. M. Andreani, Il testimonial hard e la dignità della persona. Il caso era quello dell’ assimilazione della donna all’ alimento della patatina, determinandosi, così, una riduzione dell’ universo femminile ad una merce da consumare a puro piacimento dell’ uomo, e, quindi, una violazione della dignità della persona. Ancora, si pensi all’ annuncio pubblicitario che illustrava una scritta sulla schiena nuda di una giovane donna inginocchiata a testa bassa verso il lettore, vista in un atto di asservimento e sottomissione, senza viso né cervello, così, chiaramente, privata della sua dignità (Giurì, n. 289/01, inwww.iap.it). Altra ipotesi, ancora più significativa, è quella che mostra una donna di colore che, ripresa di schiena totalmente nuda, porta addosso delle catene da neve agganciate ai fianchi, costrizioni che – sottolinea il Giurì – “vengono fatte ‘ indossare’ ai copertoni, alle gomme d’ automobile”, sì da rilevare che “farle indossare ad una donna, in più nuda, ha un indubbio valore di mercificazione” (Dec. 31/01: Comitato di Controllo c. Weissenfels S.p.A., Ag. Casiraghi Greco S.r.l., in www.iap.it).
[40] App. Milano, 22 gennaio 2021, cit.
[41] App. Milano, 22 gennaio 2021, cit.
[42] Il tema è approfondito da B. Pozzo, La pubblicità del prodotto moda e la tutela della dignità della donna: le nuove iniziative in un’ analisi di diritto comparato, in B. Pozzo, V. Jacometti (a cura di), Fashion Law. Le problematiche giuridiche della filiera della moda, 2016, Milano, pp. 365 ss.; Id., Protecting the dignity of women in fashion advertisement: The new legal initiatives in a comparative law perspective, in E. Mora, M. Pedroni (a cura di), Fashion Tales: Feeding the Imaginary, Bern · Bruxelles · Frankfurt am Main · New York · Oxford · Warszawa · Wien, 2017, p. 309. Cfr. altresì R.E. Cerchia, Naked Women And IAP Case Law: A Defense Against The Inappropriate Use Of Women In Italian Commercial Advertising, in Global Jurist, 2012, 4, vol. 12.
[43] Cfr. https://www.werberat.de/content/leitfaden-zum-werbekodex-des-deutschen-werberats, nonché il Deutscher Werberat Leitfaden zum Werbekodex.
[44] In merito, si rinvia a M. Tavella, L’ utilizzo del corpo femminile nella pubblicità: i limiti da rispettare, in Dir. ind., 2017, 1, p. 106.
[45] Corte eur. dir. uomo, 21 febbraio 2002; Corte eur. dir. uomo, 24 giugno 2004; Corte eur. dir. uomo, 19 settembre 2013, n. 8772, tutte in www.ech.coe.int. Al riguardo, osserva G. Finocchiaro, La protezione dei dati personali e la tutela dell’ identità, in G. Finocchiaro, F. Delfini, Diritto dell’ informatica, Milano, 2014, pp. 120 ss. che il diritto alla protezione dei dati personali va specificamente distinto dal diritto alla riservatezza, atteso che quest’ ultimo è il diritto di creazione giurisprudenziale consistente “nell’ escludere altri dalla conoscenza di vicende strettamente personali e familiari”, quale diritto a contenuto negativo, di non fare conoscere e mantenere riservate alcune informazioni, piuttosto che a contenuto positivo, quello cioè di esercitare un controllo sulle medesime.
[46] Testualmente G. Resta, Contratto e persona, nel Tratt. del contr., dir. da V. Roppo, VI, Interferenze, Milano, 2006, pp. 67 ss.
[47] G. Alpa, Alle origini dei diritti della personalità, in Riv. trim. dir. proc. civ., 2021, 3, p. 684; R. Pardolesi, Dalla riservatezza alla protezione dei dati personali: una storia di evoluzione e discontinuità, in Id. (a cura di), Diritto alla riservatezza e circolazione dei dati personali, Milano, 2003, p. 1 ss.