Il problema della digitalizzazione delle opere d’arte per scopi commerciali

Simona Mochi

Dottoranda di ricerca in diritto costituzionale dell’Università degli Studi di Macerata

Il presente articolo affronta alcuni profili relativi alla riproduzione digitale di opere d’arte a scopo commerciale in base al Codice dei beni culturali e alla gestione dei diritti d’autore.

This article addresses some profiles related to the digital reproduction of works of art for commercial purposes under the Cultural Heritage Code and copyright management.

Sommario: 1. La riproduzione di opere d’arte: il caso Schifano. – 2. Il caso peculiare delle riproduzioni delle opere d’arte visiva cadute in pubblico dominio: la direttiva UE 2019/790 e la sua attuazione nell’ordinamento giuridico italiano. – 3. La riproduzione del bene culturale pubblico a scopo commerciale. – 4. Il DAW ®

1. Il diritto di riproduzione dell’opera, secondo quanto disposto dall’art. 13 della legge 633/41, spetta, in via esclusiva, al suo autore.

Tale diritto è soggetto, tuttavia, ad alcune limitazioni[1] al fine di bilanciare il diritto individuale dell’autore allo sfruttamento economico dell’opera con l’interesse fondamentale della collettività alla diffusione delle creazioni frutto dell’ingegno dell’artista.

Con la recente ordinanza n. 4038/2021, pubblicata l’8/02/2022, la Corte di Cassazione si è pronunciata in merito alla libera utilizzazione di opere d’arte: il caso ha interessato la pubblicazione dello «Studio metodologico» avente ad oggetto la catalogazione in formato digitale di dati relativi a ben 24.000 opere d’arte di Mario Schifano presenti nell’archivio della Fondazione.

A seguito di tale riproduzione, effettuata dalla Fondazione in collaborazione con l’Università degli Studi di Genova, gli eredi del defunto Schifano hanno citato in giudizio i realizzatori dell’opera denunciando la violazione dei diritti d’autore sui beni riprodotti in formato digitale, oltre che lo sfruttamento illecito del nome Schifano e l’usurpazione dei diritti morali d’autore.

Il Tribunale di Milano e la Corte d’Appello hanno respinto le domande proposte affermando la legittimità della pubblicazione delle copie digitali in quanto aventi finalità di studio e ricerca (art. 70 l. n. 633/1941).

Sul punto, in particolare, la Corte d’Appello ha altresì precisato che le copie realizzate consistono in uno studio di catalogazione informatica di immagini in piccole dimensioni che non ne consentono alcuno sfruttamento economico.

La Corte di Cassazione, a seguito dell’impugnazione della sentenza d’appello da parte degli eredi dell’autore, ha ribaltato l’esito del giudizio di secondo grado affermando il seguente principio di diritto: «la riproduzione di opere d’arte, allorché sia integrale e non limitata a particolari delle opere medesime non costituisce alcuna delle ipotesi di utilizzazione libera; per godere del regime delle libere utilizzazioni, inoltre, detta riproduzione deve essere strumentale agli scopi di critica e discussione, oltre che al fine meramente illustrativo correlato ad attività di insegnamento e di ricerca scientifica dell’utilizzatore e non deve porsi in concorrenza con l’utilizzazione economica dell’opera che compete al titolare del diritto: diritto che ricomprende non solo quello di operare la riproduzione di copie fisicamente identiche all’originale, ma qualunquealtro tipo di replicazione dell’opera che sia in grado d’inserirsi nel mercato della riproduzione, e quindi anche la riproduzione fotografica in scala[2]».

Tale pronuncia dei giudici di legittimità si inserisce, sicuramente, in un quadro di più ampio respiro volto ad ampliare la nozione di «riproduzione».

Di particolare rilievo appare la sentenza della Corte di giustizia dell’UE nel procedimento C-433/20 Austro-Mechana in materia di caricamento di contenuti tutelati dal diritto d’autore e cloud computing [3].

La Corte di giustizia dell’Unione europea si è pronunciata sull’interpretazione dell’art 5 par. 2 lett b) della direttiva 2001/29/CE e in particolare sulla definizione di «riproduzione su qualsiasi supporto».

A tal riguardo la Corte di giustizia dell’Unione europea ha chiarito che il caricamento di un’opera in uno spazio di memorizzazione nel cloud equivale ad un’attività di riproduzione dell’opera.

Con riferimento, poi, alla nozione di «qualsiasi supporto» e alla possibilità di considerare tale anche uno spazio di memorizzazione messo a disposizione da un fornitore di servizi cloud computing, la Corte di giustizia dell’Unione europea ha sottolineato che lo scopo della direttiva è anche quello di armonizzare la normativa in materia di protezione autorale all’interno degli Stati membri, adeguandola all’evoluzione della tecnologia.

Alla luce di tali considerazioni, la Corte è giunta a ritenere che la nozione«qualsiasi supporto» di cui all’art. art. 5, par. 2, lett. b) della direttiva 2001/29/CE deve interpretarsi in senso ampio, così da ricomprendere tutti quei supporti su cui un materiale coperto da diritto autorale può essere riprodotto, compresi, nella fattispecie, anche i server quali quelli utilizzati nell’ambito di servizi di cloud computing.

2. La Convenzione di Faro del 2005, ratificata dal Parlamento Italiano il 23 settembre 2020, riconosce all’articolo 4 «il diritto individuale e collettivo di trarre beneficio dal patrimonio culturale e di contribuire al suo arricchimento» evidenziando la funzione dell’eredità culturale nell’incremento dei processi di sviluppo economico, politico, culturale e sociale (art.8). La Convenzione prevede, dunque, in capo alla collettività un vero e proprio «diritto al patrimonio culturale» invitando i musei e le istituzioni pubbliche a ridisegnare un sistema più inclusivo e aperto di partecipazione alla fruizione e alla valorizzazione del patrimonio culturale.

Sul solco di tali principi enunciati dalla Convenzione procede l’art. 14 della recente direttiva comunitaria 2019/790[4]. La ratio della norma di cui all’art. 14 è quella di favorire, attraverso l’armonizzazione delle legislazioni nazionali in materia di diritto d’autore, in linea con quanto previsto al Considerando 53 della direttiva, un ampio utilizzo, nel territorio dell’Unione, delle copie di opere dell’arte visiva[5] cadute in pubblico dominio. L’art.14 prevede, infatti, che le riproduzioni di opere delle arti visive cadute in pubblico dominio non siano più soggette a diritto d’autore o a diritti connessi, salvo che esse stesse non costituiscano un’opera originale.

Requisito necessario, dunque, affinché tali riproduzioni possano godere della tutela autorale è che esse stesse si identifichino come «nuove opere», ovvero, come opere d’arte dotate  di quella autonomia, unicità  ed originalità propria di una creazione intellettuale dell’autore[6].

In Italia, i principi espressi dall’art. 14 della direttiva UE 2019/790 hanno trovato attuazione, seppur con limitazioni, attraverso il decreto legislativo dell’8 novembre 2021 n. 177.

L’art. 1 comma 1 lettera b) del decreto legislativo ha disposto, infatti, l’introduzione dell’art 32 quater della legge n. 633/1941[7] (legge sul diritto d’autore).

La norma di cui all’art 32 quater, stabilendo che il materiale derivante da un atto di riproduzione non originale di un’opera delle arti visive caduta in pubblico dominio non è soggetta al diritto d’autore e a diritti ad esso connessi, fa salva, espressamente, l’applicazione della disciplina prevista in materia di riproduzione dei beni culturali[8] di cui al decreto legislativo 22 gennaio 2004 n. 42.

La disciplina relativa alla riproduzione del bene culturale può presentare, pertanto, profili complessi e distinti, talvolta fra loro non armonizzati: da un lato la matrice pubblicistica del Codice dei beni culturali, fondato sul concetto di proprietà pubblica del bene culturale, dall’altro la matrice privatistica della legge sul diritto d’autore (l. 22 aprile 1941 n. 633) posta a tutelare i diritti di proprietà intellettuale riconosciuti agli autori di opere creative.

Per porre rimedio a tale complessità sono state elaborate, in Italia, recenti linee guida per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale del 29 giugno 2022 inserite nel Piano nazionale per la digitalizzazione (PND).

Tali linee guida distinguono la normativa da applicare alle riproduzioni di beni culturali in base alla «diversa tipologia di beni culturali»[9], alle diverse modalità di acquisizione delle riproduzioni, agli usi della copia,  nonché al «tipo di riproduzione»: riproduzione fedele o creativa dell’opera.

«Il semplice atto di digitalizzazione»[10] inteso nelle linee guida come trasposizione di un’opera dal formato analogico al formato digitale è da annoverarsi nell’ambito delle riproduzioni fedeli, prive di carattere creativo. La «digitalizzazione dell’opera» comporta, infatti, senz’altro «competenze tecniche qualificate da parte dell’operatore ma non costituisce un apporto originale tale da poter prefigurare la costituzione di un’opera creativa»[11], pertanto,  per le riproduzioni fedeli di beni culturali pubblici in pubblico dominio troverà applicazione elusivamente il Codice Urbani (art. 107 e 108 del Codice) e nessuna privativa connessa al diritto d’autore sarà applicabile per la copia e per i suoi utilizzi successivi.

Alle riproduzioni creative di beni culturali pubblici in pubblico dominio si applicherà, invece, il Codice dei beni culturali in relazione all’oggetto della riproduzione ma anche le norme in materia di diritto d’autore sull’immagine frutto di riproduzione creativa.

3. Il decreto legislativo n. 42 del 2004 (Codice dei beni culturali e del paesaggio) limita l’accesso e la riproduzione dei beni facenti parte del «patrimonio culturale» individuati all’art 2 del decreto.

I limiti alla riproduzione previsti dalla Sezione II del d. lgs n. 42 del 2004, dedicata all’ «uso dei beni culturali» sono fondati sullo status di beni «in consegna» a determinati enti a cui inerisce il compito di consentirne la riproduzione e l’uso.

L’art. 107 del Codice Urbani prevede, infatti, al primo comma, che spetti al Ministero, alle regioni, e agli altri enti pubblici territoriali rilasciare il consenso alla riproduzione e all’uso strumentale e precario dei beni culturali che hanno in consegna, fatte salve le disposizioni del comma 2 dell’articolo 107, e fatte salve le disposizioni in materia di diritto d’autore.

La discrezionalità dell’ente di concedere l’autorizzazione presuppone il previo compimento di opportune valutazioni circa le modalità di riproduzione dell’opera nonché gli usi e le finalità della riproduzione, anche sotto il profilo della «dignità storico-artistica» dei beni da riprodurre e il numero delle copie da realizzare[12].

L’articolo 108 comma primo del Codice dei beni culturali prevede, inoltre,  che l’autorità che ha in consegna il bene culturale determini i canoni di concessione e i corrispettivi connessi alla riproduzione per scopo di lucro, pertanto, nel caso in cui un soggetto privato intenda effettuare la riproduzione di un bene culturale al fine di venderne, a collezionisti acquirenti, la copia digitale, dovrà chiedere l’autorizzazione dell’ente pubblico competente[13] e procedere, ai sensi dell’art. 108 del Codice dei beni culturali, al versamento di canoni e dei corrispettivi per la riproduzione determinati secondo i criteri, gli indirizzi e le modalità previste dal decreto ministeriale del 20 aprile 2005.

I corrispettivi connessi alla riproduzione saranno dipendenti dall’oggetto della concessione, dai mezzi adoperati, dalla destinazione d’uso e dall’entità dei benefici di natura economica dell’opera riprodotta.

Sul punto appare significativa la recente ordinanza dell’11 aprile 2022 del Tribunale di Firenze in cui i giudici hanno affermato che l’assenza di preventiva autorizzazione dell’ente integri, salvo i casi di libera riproduzione tassativamente indicati all’art 108 comma 3 bis del Codice Urbani, una lesione del diritto all’immagine del bene culturale oggetto di riproduzione[14].

Nell’affermare, poi, che il responsabile dell’ente può valutare discrezionalmente la compatibilità dell’uso dell’opera con la sua destinazione culturale e storico-artistica, il Tribunale ha ribadito che possono essere oggetto di censura non solo gli usi denigratori ed offensivi dell’immagine del bene culturale, ma anche, più in generale, tutti quegli usi che, sulla base di insindacabile valutazione dell’ente pubblico, rischierebbero di «snaturare l’identità del bene culturale intesa come memoria della comunità nazionale e del territorio».

L’utilizzo, nel caso in esame, dell’immagine del David del Michelangelo sul sito di un’impresa commerciale che persegue scopo di lucro è idoneo a determinare, secondo i giudici di merito, lo svilimento del bene culturale degradato da «memoria della comunità nazionale e del territorio» a «elemento distintivo delle qualità dell’impresa commerciale», fine del tutto incompatibile con la natura dell’opera.

4. Il fenomeno della creazione di copie digitali di beni culturali pubblici effettuato da soggetti privati attraverso le più sofisticate tecnologie a scopo di vendita delle riproduzioni è stato al centro di importanti polemiche che hanno portato il Parlamento, nel giugno dello scorso anno, a porre l’attenzione su tale fenomeno.

Il caso emblematico, oggetto di riflessione, riguarda la vendita da parte dell’azienda privata Cinello, in collaborazione con la Galleria degli Uffizi di Firenze della copia digitale (DAW ®) del Tondo Doni di Michelangelo, capolavoro della storia dell’arte.

Dalle interrogazioni parlamentari tenutesi il 22 giugno alla Camera dei Deputati al fine di far chiarezza sull’accaduto e al fine di poter regolamentare al meglio tale fenomeno diffuso che si presenta come opportunità per i musei stessi di poter beneficiare dei ricavi della vendita della copia, è emersa una linea direttrice fondamentale che tali iniziative di digitalizzazione a scopo commerciale debbono seguire: la non distruzione di valore dell’opera e, dunque, la protezione del suo contenuto.

Va chiarita, dunque, la natura di tali beni risultanti da opera di digitalizzazione del patrimonio culturale, nella fattispecie il DAW ®  Digital Artwork.[15]

Un DAW ® è un bene digitale esistente materialmente, a differenza degli NFT.

L’acquirente del DAW ® sarà dotato, infatti, di un dispositivo hardwere (MYGAL), un monitor, una cornice artigianale che riproduce l’originale e un certificato materiale[16].

Cinello, al fine di preservare il valore e l’unicità dell’oggetto dell’arte, ha sviluppato una piattaforma in cui ogni singolo file è unico e dunque non può essere replicato o destinato ad usi diversi.

Questa innovativa soluzione, oggetto di brevetto in Europa, Cina e Nord America, consente di realizzare, attraverso un sistema di crittografia[17], delle serie limitate, autenticate e numerate fonte di ricavi per musei e per proprietari delle opere d’arte.

Ciò che viene creato è un nuovo diritto legato al DAW ®, ovvero al brevetto di Cinello.

La società deterrà infatti i diritti sul brevetto registrato e dunque sui Digital Artworks creati e il collezionista che acquisterà il DAW ®, per contratto, non potrà esporlo in mostre pubbliche.

L’opera, pertanto, sarà fruibile, in linea con quanto previsto dagli articoli 106 e 108 del d. lgs n.42 del 2004, soltanto per uso privato e, in ogni caso, non per usi che non siano autorizzati dall’ente che ha in consegna l’opera originale, nella fattispecie gli Uffizi.

L’uso delle immagini digitali da parte del concessionario, soggetto estraneo all’amministrazione, dovrà, inoltre, qualificarsi espressamente come non esclusivo e i diritti delle opere riprodotte resteranno in capo ai musei proprietari.


[1] Per le limitazioni ai diritti di sfruttamento economico dell’autore sulle sue opere dell’ingegno vedi artt.  65-71 quinquies l.n. 633 del 1941, Convenzione di Berna, e direttiva Info Soc. 29/2001/CE.

[2] Cass. ord. 4038/2021

[3] Corte di giustizia UE sentenza del 24 marzo 2022 n.433, sez. II

[4] Direttiva (UE) 2019/790 del Parlamento europeo e del Consiglio del 17 aprile 2019 sul diritto d’autore e sui diritti connessi nel mercato unico digitale.

[5] Le opere d’arte figurativa si distinguono, secondo la dottrina, dalle altre opere dell’ingegno in virtù del fatto che, mentre per le opere dell’ingegno è possibile distinguere il corpus mysticum dal corpus mechanicum «nell’arte figurativa questa trascendenza si attenua fino a diventare quasi un’immanenza: l’intensità del legame tra l’elemento spirituale e il supporto materiale determina la «massima materializzazione» dell’opera e di conseguenza una perdita di valenza da parte del diritto di riproduzione» così V. M. SESSA, La tutela degli interessi pubblici e privati nella riproduzione delle opere d’arte, Foro Amm., fasc. 4, 2001.

[6] Art 14 direttiva UE 2019/790: «gli Stati membri provvedono a che, alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arte visive, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non sia soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi, a meno che il materiale risultante da tale atto di riproduzione sia originale nel senso che costituisce una creazione intellettuale propria dell’autore».

[7] Art. 32 quater l. n. 633/ 1941 (legge sul diritto d’autore) «alla scadenza della durata di protezione di un’opera delle arti visive, anche come individuate all’articolo 2, il materiale derivante da un atto di riproduzione di tale opera non è soggetto al diritto d’autore o a diritti connessi, salvo che costituisca un’opera originale. Restano ferme le disposizioni in materia di riproduzione dei beni culturali di cui al decreto d.lgs. 42/2004».

[8] Le norme che prevedono l’individuazione dei «beni culturali sono le disposizioni di cui agli artt. 2, 10 ed 11 del d. lgs 42/2004.

[9] Le linee guida del PND distinguono la disciplina da applicare in base a diverse categorie di beni culturali: B1 beni culturali pubblici in pubblico dominio; B2 Beni culturali pubblici protetti dal diritto d’autore; B3 beni archivistici pubblici caratterizzati da problematiche di riservatezza

[10] Linee guida elaborate per l’acquisizione, la circolazione e il riuso delle riproduzioni dei beni culturali in ambiente digitale del 29 giugno 2022 inserite nel piano nazionale di digitalizzazione (PND)

[11] Troverebbe in tal caso applicazione, secondo quanto predisposto anche dalle linee guida nel PND, l’art. 32 quater della legge n. 633/1941.

[12] E. SBARBARO, Codice dei beni culturali e diritto d’autore recenti evoluzioni nella valorizzazione e nella fruizione del patrimonio culturale, in Rivista di Diritto industriale, fasc. 2, 2016.

[13] Nella fattispecie della copia certificata (il DAW ®) del Tondo Doni di Michelangelo l’ente competente a concedere l’autorizzazione è la Galleria degli Uffizi di Firenze a cui il Ministero dei beni culturali ha delegato la conservazione e la gestione del bene.

[14]  Trib. di Firenze ordinanza 11/04/2022: «(…) deve concludersi che l’ordinamento ha configurato in relazione al bene culturale un pieno ed effettivo diritto all’immagine. Del resto, la tutelabilità in giudizio del diritto all’immagine trova ormai sereno riscontro nella giurisprudenza di legittimità (Cass. Civ. n. 12929/2008; Cass. Civ. n. 8397/2016; Cass. Civ. n. 23401/2015; Cass. Civ. n. 18218/2009). In un’ottica attenta all’evoluzione della prassi degli operatori economici, e della conseguente riallocazione concreta degli interessi nell’ordinamento, la Suprema Corte ha preso atto del corrente processo di emersione delle res materiali quali espressione di profili giuridici immateriali autonomamente rilevanti e suscettibili di tutela, pur in assenza di immediata e diretta riconducibilità alla persona. L’immagine di un bene è dunque cosa diversa rispetto all’immagine del suo titolare. Attesa dunque la già riconosciuta autonomia del diritto all’immagine in relazione a semplici beni non qualificati da particolare rilievo per la collettività, seppur particolarmente noti ed ammirati dal punto di vista commerciale, non risulterebbe affatto ragionevole escludere la tutela di tale diritto con riferimento al bene culturale».

[15] Nel caso in esame si tratta di DAW ® e non di NFT come invece riportato in modo fuorviante da alcuni giornali.

[16] Il DAW ®, infatti, non si basa su blockchain e si distingue dagli NFT che fanno riferimento ad un asset digitale che può essere scaricato, copiato e distribuito da chiunque. La certificazione del DAW ® consiste, a differenza degli NFT certificati su blockchain, in un certificato scritto e firmato da Cinello e dal museo fondazione che detiene i diritti sull’opera oggetto di riproduzione.

[17] Il sistema di crittografia protegge il contenuto dell’opera cioè il file impedendone la copia o la moltiplicazione indebita. Ciò consente di poter definire un numero limitato di copie ognuna differente dalle altre per numero di edizione. 

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